Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 20 gennaio 2014, n. 999

il comportamento colposo del danneggiato puo’ – secondo un ordine crescente di gravita’ – atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilita’ del custode. Si e’ riconosciuto, cioe’, che nel concetto di caso fortuito puo’ rientrare anche la condotta della stessa vittima, la quale puo’ interrompere il nesso eziologico esistente tra la causa del danno e il danno stesso.

 

La tematica trattata nella pronuncia in oggetto, può essere approfondita con la lettura del seguente articcolo:

La responsabilità della p.a. quale propietaria delle strade.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 20 gennaio 2014, n. 999

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe M. – Presidente

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9512-2008 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE SORRENTO (OMISSIS), in persona del Dirigente del 1 Dipartimento Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/02/2007 R.G.N. 3943/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio il Comune di Sorrento, davanti al Tribunale di Torre Annunziata, Sezione distaccata di Sorrento, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta dovuta al manto stradale sconnesso e dissestato.

Costituitosi il Comune, il Tribunale rigettava la domanda.

2. Avverso tale pronuncia proponeva appello la (OMISSIS) e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 19 febbraio 2007, rigettava l’appello, confermava la sentenza impugnata e compensava integralmente le spese del grado.

Osservava la Corte territoriale che l’attrice aveva chiesto in primo grado la condanna ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., sicche’ non poteva essere proposta per la prima volta in appello la diversa domanda fondata sull’articolo 2051 cod. civ., richiedendo i due tipi di responsabilita’ l’accertamento di elementi di fatto diversi.

Cio’ premesso, la Corte, richiamati alcuni precedenti della giurisprudenza di legittimita’, dichiarava che l’attrice non aveva dimostrato la sussistenza dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, in particolare in relazione alla natura di insidia o trabocchetto costituita dal manto stradale. Nella specie, infatti, era risultato che la (OMISSIS) stava camminando su di una strada dissestata e che era caduta a causa di un tombino il cui coperchio era malfermo; non sussisteva, quindi, una situazione “oggettivamente pericolosa creata colposamente dalla P.A.”, in quanto l’appellante avrebbe potuto “facilmente evitare la prevedibile situazione di pericolo con l’adozione della piu’ elementare accortezza”. La situazione dei luoghi imponeva un’andatura particolarmente prudente, magari evitando di transitare per quella strada e, comunque, evitando “di camminare sul tombino che, ad un controllo visivo, appariva malfermo e mobile”.

3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso la (OMISSIS), con atto affidato a sei motivi.

Resiste il Comune di Sorrento con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c..

Rileva la ricorrente che la sentenza, dopo aver affermato che la domanda proposta ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ. sarebbe nuova, perviene poi al rigetto della domanda sul presupposto che non vi sarebbe una domanda nuova. D’altra parte, l’accertamento dei fatti contenuto nella sentenza (inciampo su di un tombino malfermo) non costituisce domanda nuova rispetto a quella originariamente proposta (inciampo su manto stradale dissestato), sicche’ la sentenza d’appello avrebbe dovuto correttamente riformare quella di primo grado.

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omessa o insufficiente motivazione circa profili fondamentali e decisivi per la controversia, oltre a inadeguato ed incongruo apprezzamento delle circostanze evidenziate dalla prova testimoniale.

Dall’istruttoria svolta – ed in particolare dalla deposizione della teste (OMISSIS) – risulterebbe chiaramente che l’instabilita’ del tombino che ha causato la caduta non era visibile ne’ prevedibile per un passante che transitava per la strada, il che dimostrerebbe in modo chiaro l’erroneita’ della ricostruzione operata dal giudice d’appello.

3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051 del codice civile.

Rileva la ricorrente che la domanda da lei proposta in primo grado non era fondata in via esclusiva sul principio del neminem laedere di cui all’articolo 2043 cod. civ., perche’ in essa si era evidenziata, in modo generico, “soltanto la precisa responsabilita’ del sinistro a carico dell’ente comunale convenuto, per legge tenuto alla regolare manutenzione, ordinaria e straordinaria, del locale manto stradale cittadino”; la domanda, quindi, si fondava su entrambi i titoli di responsabilita’ (articoli 2043 e 2051 cod. civ.). Pertanto non sarebbe esatta l’affermazione della Corte napoletana secondo cui la domanda basata sull’articolo 2051 cod. civ. non era stata proposta; e comunque il giudice, a prescindere dal nomen iuris, ha il potere-dovere di attribuire la giusta qualificazione giuridica all’azione proposta.

4. Col quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omessa o insufficiente motivazione circa profili fondamentali e decisivi per la controversia, oltre a incongruo apprezzamento delle circostanze evidenziate dalla prova testimoniale.

A norma dell’articolo 2051 cod. civ., infatti, il custode e’ responsabile salvo che provi il fortuito. Nella specie, il Comune di Sorrento non avrebbe provato tale circostanza, indispensabile ai fini dell’esonero dalla responsabilita’. Risulterebbe pacificamente, anzi, la condotta colposa del Comune nella tenuta della strada in questione, perche’ e’ evidente che la presenza di un tombino sconnesso determina una colpa, almeno concorrente, di chi e’ tenuto alla manutenzione della strada.

5. Col quinto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c..

Rileva la (OMISSIS) che la sentenza impugnata sarebbe errata anche se si ritenesse applicabile nella fattispecie l’ipotesi di cui all’articolo 2043 c.c.. La piu’ recente giurisprudenza di legittimita’, infatti, ha depurato l’interpretazione di detta norma dalle figure della insidia e del trabocchetto, ed ha posto in risalto che l’utente della strada e’ tenuto soltanto a dimostrare il danno ed il nesso di causalita’, perche’ sulla pubblica amministrazione grava comunque un obbligo di mantenimento delle strade in buone condizioni.

6. Col sesto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), violazione e falsa applicazione dell’articolo 61 cod. proc. civ., in relazione all’omissione della c.t.u. nonostante la sua indispensabilita’.

Si rileva, al riguardo, che la c.t.u. era stata ritualmente chiesta fin dal primo grado e che il giudice, anche d’appello, ne avrebbe erroneamente rifiutato l’ammissione.

7. Per ragioni di economia processuale conviene procedere innanzitutto all’esame dei motivi primo, terzo e quinto, i quali pongono problemi fra loro connessi.

Le censure, gia’ sopra esposte, sono cosi’ riassumibili: 1) la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che la domanda configurata ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ. fosse nuova rispetto a quella originaria, ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., poiche’ i fatti prospettati nell’atto di citazione erano riconducibili ad entrambe le fattispecie ed il tipo di addebito mosso al Comune di Sorrento era, nella sostanza, il medesimo; 2) ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ., il Comune era tenuto, per andare esente da responsabilita’, a provare l’esistenza del caso fortuito, cosa che non ha in alcun modo dimostrato; 3) anche inquadrando la fattispecie nell’ipotesi regolata dall’articolo 2043 cod. civ., la ricorrente avrebbe comunque fornito la prova dell’esistenza di una colpa in capo al Comune convenuto, il quale doveva essere condannato anche a prescindere dall’esistenza dell’obbligo di custodia.

L’esame di tali censure impone di seguire un rigoroso iter logico che, attraverso i necessari richiami alle precedenti pronunce di questa Corte sull’argomento, consenta di pervenire alla soluzione.

7.1. Occorre innanzitutto affermare, quanto al profilo della novita’ della domanda proposta ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ. rispetto a quella di cui all’articolo 2043 cod. civ., che questa Corte ha gia’ da tempo posto in luce come l’azione di responsabilita’ fondata sulla violazione di un obbligo di custodia sia intrinsecamente, per cosi’ dire, diversa da quella fondata sul principio generale del neminem laedere. Cio’ in quanto “l’applicabilita’ dell’una o dell’altra norma implica, sul piano eziologico e probatorio, diversi accertamenti e coinvolge distinti temi d’indagine, trattandosi di accertare, nel primo caso, se sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo, dal quale e’ derivato un pregiudizio a terzi, e dovendosi prescindere, invece, nel caso di responsabilita’ per danni da cosa in custodia, dal profilo del comportamento del custode, che e’ elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’articolo 2051 cod. civ., nella quale il fondamento della responsabilita’ e’ costituito dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito” (cosi’ la sentenza 6 luglio 2004, n. 12329, richiamando un orientamento ancora piu’ risalente). In altre parole, mentre l’azione ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ. comporta la necessita’, per il danneggiato, di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’articolo 2051 cod. civ. la responsabilita’ del custode e’ prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del fortuito. Ne consegue un’ovvia differenza in ordine ai temi di indagine ed al riparto dell’onere della prova, perche’ nel primo caso il danneggiato dovra’ attivarsi a dimostrare qualcosa, mentre nel secondo sara’ il danneggiante a doversi attivare.

Tale approdo giurisprudenziale e’ stato in seguito ribadito da questa Corte (v. sentenze 23 giugno 2009, n. 14622, e 20 agosto 2009, n. 18520). E da tanto si trae la dovuta conseguenza per cui, una volta proposta in primo grado una domanda ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ. – fondata, ad esempio, sulle figure dell’insidia e del trabocchetto, ancorche’ impropriamente richiamate – non e’ consentito alla parte in grado di appello fondare la medesima domanda sulla violazione dell’obbligo di custodia, perche’ cio’ verrebbe inevitabilmente a stravolgere il processo, mettendo il danneggiante nella situazione di doversi attivare quando una serie di preclusioni processuali si sono gia’ maturate.

Dando per pacifica tale conclusione, la giurisprudenza piu’ recente ha esplicitato in modo ancora piu’ chiaro che la domanda fondata sull’articolo 2051 cod. civ. puo’ non essere considerata nuova rispetto a quella fondata sull’articolo 2043 cod. civ. – e, quindi, improponibile in appello – solo se l’attore abbia “sin dall’atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli” (sentenze 21 giugno 2013, n. 15666, e 5 agosto 2013, n. 18609). Con la importante precisazione, pero’, che la regola probatoria di cui all’articolo 2051 cod. civ., piu’ favorevole per il danneggiato, “in tanto puo’ essere posta a fondamento dell’affermazione della responsabilita’ del convenuto stesso in quanto non gli si ascriva la mancata prova di fatti che egli non sarebbe stato tenuto a provare in base al criterio di imputazione ordinario della responsabilita’ originariamente invocato dall’attore” (cosi’ la sentenza n. 18609 del 2013).

7.2. Tali affermazioni, nitide al punto da non richiedere ulteriori spiegazioni, consentono di affrontare la prima delle tre contestazioni sopra riassunte, pervenendo a dichiararne l’infondatezza. La ricorrente, infatti, si limita ad affermare che la domanda da lei proposta in primo grado poteva essere inquadrata in entrambe le diverse fattispecie di responsabilita’ civile, ma non fornisce alcuna prova al riguardo, anche ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6). Ne’ nel primo ne’ nel terzo motivo, infatti, e’ specificato quale fosse il tenore della domanda originaria, sicche’ questa Corte non e’ in condizioni di valutare se l’affermazione della Corte napoletana circa la novita’ della domanda di cui all’articolo 2051 cod. civ. – del tutto corretta in linea di principio – sia da ritenere errata in relazione al caso concreto.

La censura relativa al profilo della novita’ della domanda e’, pertanto, infondata.

8. Occorre, a questo punto, affrontare i profili di possibile violazione degli articoli 2043 e 2051 cod. civ. sopra riassunti. A questo proposito, e’ bene prendere le mosse dalle affermazioni contenute nella sentenza impugnata (gia’ riportate nella parte in fatto) secondo cui dall’istruttoria e’ risultato che la (OMISSIS), insieme ad altri pedoni, stava camminando in fila indiana su di una strada dissestata e che era caduta a causa di un tombino il cui coperchio era malfermo; non sussisteva, quindi, una situazione “oggettivamente pericolosa creata colposamente dalla P.A.”, in quanto l’appellante avrebbe potuto “facilmente evitare la prevedibile situazione di pericolo con l’adozione della piu’ elementare accortezza”.

E’ bene ricordare che questa Corte, anche in relazione all’ipotesi di responsabilita’ gravante sul custode, ha affermato che il comportamento colposo del danneggiato puo’ – secondo un ordine crescente di gravita’ – atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilita’ del custode (v. sentenza 12 luglio 2006, n. 15779). Si e’ riconosciuto, cioe’, che nel concetto di caso fortuito puo’ rientrare anche la condotta della stessa vittima, la quale puo’ interrompere il nesso eziologico esistente tra la causa del danno e il danno stesso (v., fra le altre, le sentenze 22 aprile 2010, n. 9546, e 24 febbraio 2011, n. 4476). Tali principi valgono, a maggior ragione, ove il fondamento giuridico della responsabilita’ del danneggiante venga rinvenuto nell’articolo 2043 cod. civ., come la Corte d’appello ha fatto nel caso di specie richiamando le figure dell’insidia e del trabocchetto.

Alla luce di queste premesse, la sentenza impugnata, pur contenendo qua e la’ alcune “imperfezioni”, resiste alle censure prospettate. Ed infatti, poiche’ la (OMISSIS) stava transitando su di una strada dissestata (fatto pacifico) – tanto dissestata, anzi, che i pedoni procedevano in fila indiana – e’ evidente che a suo carico gravava un onere massimo di attenzione. Cio’ non puo’ spingersi, come osserva non correttamente la sentenza impugnata, fino al punto di pretendere dall’utente la scelta di transitare per un’altra strada – essendo evidentemente nel potere-dovere del Comune chiudere il passaggio ove il medesimo sia impraticabile – ma comporta l’onere della massima prudenza in quanto la situazione di pericolo e’ altamente prevedibile. Ed e’ proprio il concetto di prevedibilita’ che toglie forza ai motivi di ricorso ora in esame: in una strada dissestata e’ del tutto ragionevole l’esistenza di un tombino malfermo e mobile, sicche’ la caduta in una situazione del genere puo’ ricondursi anche alla esclusiva responsabilita’ del pedone, ovvero non si deve ritenere di necessita’ “cagionata dalla cosa in custodia” (per riprendere la formula dell’articolo 2051 cod. civ.).

Dal che deriva, in conclusione, il rigetto del primo, terzo e quinto motivo di ricorso.

9. Gli ulteriori motivi di ricorso rivestono un’importanza marginale e sono infondati quando non addirittura inammissibili.

Ed infatti il secondo ed il quarto motivo, entrambi formulati in termini di vizio di motivazione – oltre a non contenere il prescritto momento si sintesi, necessario trattandosi di ricorso soggetto, ratione temporis, al regime dell’articolo 366-bis cod. proc. civ. – si risolvono in un tentativo di ottenere da questa Corte una nuova valutazione del merito delle risultanze istruttorie, oltrepassando i limiti del giudizio di legittimita’. Cio’ e’ di tutta evidenza in relazione al secondo motivo; quanto al quarto, esso in realta’ propone una censura che sembra piuttosto di violazione di legge che non di vizio di motivazione, e valgono al riguardo le osservazioni gia’ fatte quanto ai motivi primo, terzo e quinto.

In riferimento al sesto motivo, infine, il Collegio osserva che – anche trascurando le ragioni di inammissibilita’ conseguenti alla genericita’ del quesito di diritto ed alla formulazione in modo tale che non e’ dato comprendere con certezza di quale c.t.u. si lamenti il mancato svolgimento – la decisione circa la necessita’ o l’opportunita’ di ammettere una consulenza tecnica spetta al giudice di merito; e comunque, ove si tratti della c.t.u. medica finalizzata all’accertamento dell’entita’ dei danni riportati dalla (OMISSIS) (v. ricorso, p. 2), e’ del tutto ovvio che la Corte d’appello, in presenza di una domanda risarcitoria infondata, abbia escluso l’ammissione di uno strumento processuale nella specie superfluo.

10. In conclusione, il ricorso e’ rigettato.

In considerazione delle modifiche, non sempre univoche, della giurisprudenza di questa Corte sull’argomento, si ritiene conforme ad equita’ compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.