In tema di revocatoria fallimentare, gli atti costitutivi di titoli di prelazione per debiti preesistenti non scaduti, sono inefficaci ai sensi dell’articolo 67, comma 1, n. 3), L. Fall., anche in presenza di altri debiti preesistenti e gia’ scaduti ovvero contestualmente creati nei confronti del titolare della garanzia, restando l’atto pregiudizievole comunque inopponibile alla massa dei creditori per l’intera esposizione debitoria garantita

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Sentenza 22 novembre 2017, n. 27830

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15341/2012 R.G. proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) in (OMISSIS).

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., in amministrazione straordinaria (C.F. (OMISSIS)), in persona del commissario liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) in (OMISSIS).

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1694/2011, depositata il 22 dicembre 2011.

Sentita la relazione svolta all’udienza del 28 settembre 2017 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fichera.

Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto De Augustinis, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

Uditi l’avv. (OMISSIS) per la ricorrente e l’avv. (OMISSIS) per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 22 dicembre 2011, accogliendo l’appello della (OMISSIS) s.r.l., in amministrazione straordinaria (di seguito breviter (OMISSIS)), nel giudizio di opposizione allo stato passivo della stessa procedura proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa (in prosieguo solo (OMISSIS)), dichiaro’ inefficace, ex articolo 67, primo comma, n. 3), L. Fall., l’ipoteca concessa dalla societa’ poi ammessa all’amministrazione straordinaria, ammettendo la banca al concorso con il grado chirografario per i crediti vantati in forza dei mutui fondiari erogati; compenso’ poi nella misura della meta’ le spese del primo grado, condannando (OMISSIS) alla rifusione della restante meta’ di quelle ivi sostenute da (OMISSIS) e per intero delle spese dell’appello.

Ritenne il giudice di merito, anzitutto, che l’appello fosse fondato in relazione alla decisione di primo grado che aveva senz’altro respinto, per difetto di tempestiva indicazione degli elementi di fatto, la domanda riconvenzionale spiccata dalla (OMISSIS) tesa ad ottenere la revocatoria dell’ipoteca volontaria; pronunciando quindi sulla detta domanda riconvenzionale, la corte catanese, ritenuta l’esistenza di debiti preesistenti non scaduti della mutuataria e non dimostrata la inscentia decoctionis della (OMISSIS), dichiaro’ inefficace l’ipoteca iscritta in suo favore.

Avverso la detta sentenza della corte d’appello, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi; (OMISSIS) ha depositato controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va dato atto che (OMISSIS) ha depositato, in data 17 ottobre 2016, un “ricorso in riassunzione ex articolo 303 c.p.c.”, in seno al quale allega che con decreto del Tribunale di Catania depositato il 19 luglio 2016, la procedura di amministrazione straordinaria della (OMISSIS) s.r.l. e’ stata convertita in fallimento, invocando in conseguenza di cio’ l’adozione dei provvedimenti necessari.

Osserva tuttavia la Corte che deve escludersi la necessita’ di adottare provvedimento alcuno, in quanto per orientamento consolidato la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di interruzione del giudizio in sede di legittimita’, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione le comuni cause di interruzione del processo contemplate in via generale dalla legge (Cass. 23/03/2017, n. 7477).

2. Con il primo motivo (OMISSIS) deduce violazione degli articoli 112, 161, 163 e 342 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiche’ la corte d’appello erroneamente non ha rilevato la nullita’ dell’atto di appello proposto da (OMISSIS) per difetto di specificita’, esaminando domande ed eccezioni nuove formulate per la prima volta soltanto con la comparsa conclusionale.

Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 112 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., comma 5, nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice di merito ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale spiccata dalla (OMISSIS), in violazione del sistema delle preclusioni processuali in ordine ai fatti costitutivi rilevanti della stessa.

Con il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 67, comma 1, n. 3) L. Fall., nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il giudice d’appello ritenuto i debiti della (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) preesistenti e non scaduti, pure in difetto di idonea prova, ed erroneamente affermato che la banca non avesse dimostrato la propria inscientia decoctionis.

Con il quarto motivo lamenta violazione degli articoli 2808, 2809, 2838 e 2855 c.c., degli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., n. 4), nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiche’ la corte d’appello, una volta accertato che la garanzia era stata costituita anche per debiti contestualmente creati, avrebbe dovuto escludere la revocabilita’ della stessa limitatamente ai detti debiti.

Con il quinto mezzo eccepisce la violazione dell’articolo 91 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando l’erronea parziale compensazione tra le parti delle spese del primo grado e la condanna al pagamento di quelle sostenute dalla (OMISSIS) in appello.

3. Il primo motivo e’ infondato.

Com’e’ noto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio di appello – che non e’ un novum iudicium – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificita’ esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono.

Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilita’ del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attivita’ difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non e’ sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma e’ altresi’ necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificita’ da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 27/09/2016, n. 18932; Cass. 27/01/2014, n. 1651; Cass. 13/04/2010, n. 8771; Cass. 18/04/2007, n. 9244).

Nella vicenda in esame la mera lettura dell’atto di appello formulato dalla (OMISSIS), consente di addivenire alla conclusione che le ragioni di doglianza dell’appellante siano state esposte in maniera sufficientemente specifica, dovendosi escludere che attraverso la comparsa conclusionale siano stati in qualche modo integrati gli originari motivi o addirittura proposti di nuovi; del resto dalla lettura della sentenza di appello non risulta che la stessa (OMISSIS) ebbe mai a dolersi, nel corso del giudizio, di una presunta inammissibilita’ del gravame proposto.

4. Il secondo motivo e’ infondato.

Va premesso che l’articolo 183 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, prima della novella risalente al Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, al quarto comma, consentiva all’attore, entro la prima udienza di trattazione, di proporre le eccezioni e le domande che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, mentre permetteva alle parti, nel termine di cui al successivo comma 5, solo la precisazione e la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni gia’ proposte, ma non la proposizione di ulteriori e diverse eccezioni e domande.

Peraltro, come di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “modificazione” della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c., puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, percio’ solo, si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass. s.u. 15/06/2015, n. 12310).

Ne consegue la sicura ammissibilita’ della modifica, fino al deposito della memoria ex articolo 183 c.p.c., u.c., dell’originaria domanda formulata anche in relazione ad uno o piu’ dei c.d. “fatti principali”, cioe’ di quei fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa dedotta in giudizio; restano invece precluse quelle modificazioni della domanda e delle eccezioni gia’ proposte, che intervengano successivamente alla scadenza dei termini per il deposito delle memorie ex articolo 183 c.p.c., quando esse possano determinare in concreto, attraverso l’allegazione di nuovi fatti principali, una modifica del petitum o della causa petendi.

Al contrario, per i c.d. “fatti secondari”, vale a dire per tutti quegli elementi fattuali dedotti in funzione di prova determinante di una circostanza principale, essendo all’evidenza inidonei a modificare il petitum o la causa petendi, non valgono le cennate preclusioni, potendo fare ingresso nel processo fino alla scadenza dei termini previsti per le istanze istruttorie e, dunque, nel regime previgente alla riforma del 2005, almeno fino al deposito delle memorie ex articolo 184 c.p.c., comma 1.

Nella vicenda che ci occupa, allora, come correttamente rilevato dalla corte d’appello, (OMISSIS) articolo’ la domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta in maniera sufficientemente chiara, deducendo sia il petitum (la declaratoria di inefficacia dell’ipoteca posta a fondamento dell’invocato rango privilegiato), sia la causa petendi con l’indicazione dei fatti principali costituivi della pretesa (cioe’ la revocabilita’ delle garanzie concesse per debiti preesistenti non scaduti in forza dell’articolo 67, comma 1, n. 3), L. Fall., ovvero, con la consapevolezza del pregiudizio alle ragioni dei creditori, ai sensi dell’articolo 2901 c.c.).

Devono invece ritenersi alla stregua di fatti secondari, tesi a dimostrare i fatti principali, quelli allegati dall’attrice in riconvenzionale per dimostrare la fondatezza della domanda soltanto con la memoria ex articolo 184 c.p.c. (tutti sostanzialmente tesi a provare, da un lato, la presenza di debiti preesistenti non scaduti e, dall’altro, l’elemento soggettivo nella revocatoria ordinaria), come tali di certo idonei a contribuire alla formazione del thema probandum ma non ad integrare il thema decidendum, restando cosi’ sottratti alle preclusioni di cui al ridetto articolo 183 c.p.c., u.c..

5. Il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente attesa l’evidente connessione, sono entrambi privi di fondamento.

Avuto riguardo all’eccezione sollevata nella memoria ex articolo 378 c.p.c. dalla (OMISSIS), va anzitutto escluso che sui fatti oggetto dell’odierno processo sia intervenuto giudicato esterno favorevole alla predetta, per effetto del passaggio in cosa giudicata di altra sentenza resa dalla corte d’appello di Catania, per la decisiva ed assorbente considerazione che la detta decisione – come affermato dalla medesima ricorrente -, risulta essere stata pronunciata tra la (OMISSIS) e altro soggetto giuridico (la (OMISSIS) s.p.a.) diverso dalla odierna controricorrente.

Orbene, la corte d’appello ha ritenuto revocabile ex articolo 67, comma 1, n. 3), L.F. – nel testo applicabile ratione temporis precedente alla riforma introdotta dal cennato Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35 – il rogito concluso in data 1.3.1995, in forza del quale la (OMISSIS) in bonis concesse ipoteca volontaria sui propri beni in favore della (OMISSIS), trattandosi di garanzia costituita nel biennio anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza della debitrice.

Al riguardo, va osservato che nel caso di atti costitutivi di garanzie reali, ai sensi dell’originaria disciplina della legge fallimentare del 42, la revocatoria delle ipoteche iscritte nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, restava consentita purche’ esse fossero state costituite “per debiti preesistenti non scaduti”; quando invece si fosse trattato di “debiti scaduti”, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, n. 4), L. Fall., l’inefficacia restava astretta soltanto alle garanzie rilasciate entro l’arco temporale di un anno precedente la dichiarazione di fallimento, come pure nel caso di debiti “contestualmente creati”, per i quali veniva meno, altresi’, ai sensi dell’articolo 67, comma 2, L. Fall., la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza in capo al beneficiario della garanzia.

Ora, la distinzione, ancora oggi presente nella legge fallimentare riformata, fra debiti “preesistenti” e debiti “contestuali”, ai fini della diversa disciplina stabilita, rispettivamente, nell’articolo 67, commi 1 e 2 L. Fall., trova la sua ratio nel dato di comune esperienza in forza del quale la richiesta di una garanzia per un debito contestuale rientra nella normale prudenza e non costituisce indice di quella conoscenza dello stato di insolvenza, sulla quale si fonda invece la presunzione di frode posta dal comma 1 del citato articolo 67 L.F. (cosi’ gia’ Cass. 27/01/1968, n. 264).

Come bene ha osservato la corte d’appello, nella vicenda che ci occupa l’ipoteca oggetto di lite fu costituita a garanzia delle esposizioni debitorie analiticamente elencate nella convenzione interbancaria stipulata il 9.2.1995 tra un pool di banche (compresa la (OMISSIS)) e le societa’ che costituivano il c.d. gruppo Costanzo tra le quali rientrava anche la (OMISSIS) -, in forza della quale venne prevista non solo l’erogazione in favore delle societa’ del detto gruppo di nuove linee di credito – riconducibili nell’ambito dei debiti contestualmente creati – ma anche il “consolidamento” delle esposizioni debitorie gia’ in essere per mutui e scoperti di conto corrente, mediante la cristallizzazione del saldo debitorio complessivo alla data del 30.9.1994 – oltre interessi calcolati a decorrere dal 1.1.1994 -, e l’espressa previsione di un termine ultimo per il rimborso del detto saldo consolidato, oltre interessi convenzionali, entro la data del 31.12.1999.

Dunque, non v’e’ da dubitare che accanto a debiti “contestualmente creati”, nella convenzione del 9.2.1995 vennero ricompresi anche debiti preesistenti e, tuttavia, per patto espresso, non ancora scaduti (rectius esigibili) alla data della stipula dell’ipoteca impugnata, essendo stata prevista una precisa dilazione dei tempi del programmato rimborso, alla stregua di quello che puo’ definirsi un vero e proprio pactum de non petendo.

La circostanza che l’ipoteca iscritta fosse riferita anche ad eventuali debiti scaduti ed immediatamente esigibili, ovvero contestualmente creati, non esclude allora che quella medesima garanzia sia stata accesa anche per debiti preesistenti, ancorche’ al momento della sua costituzione non piu’ immediatamente esigibili, essendo stati assoggettati alle descritte operazioni di “consolidamento”.

Ne’ puo’ dirsi che l’esistenza di una pluralita’ di debiti aventi diversa natura – taluni scaduti, altri non scaduti, altri ancora contestuali – garantiti dalla medesima garanzia reale, costituisca ostacolo alla sua revocabilita’ ai sensi del richiamato comma 1, n. 3), dell’articolo 67 L. Fall., ove ne ricorrano le condizioni anche con riferimento ad uno solo dei debiti garantiti, perche’ com’e’ noto la garanzia opera per intero con riguardo a ciascuno dei debiti per cui e’ costituita (Cass. 25/01/2008, n. 1745).

In altre parole, una volta che l’atto astrattamente pregiudizievole (nella specie consistente nella costituzione di ipoteca volontaria), risulti intervenuto nel biennio sospetto in presenza di una pluralita’ di debiti, tra i quali solo taluni preesistenti e non esigibili da parte del creditore garantito, ne discende la sua integrale inefficacia nei confronti della massa dei creditori fallimentari, non essendo consentita nell’ambito del “sistema concorsuale” una inopponibilita’ alla massa dell’atto che viola la par condicio creditorum solo parziale, in relazione cioe’ a taluni tra i crediti concorrenti e non ad altri.

Va allora affermato il seguente principio di diritto: “In tema di revocatoria fallimentare, gli atti costitutivi di titoli di prelazione per debiti preesistenti non scaduti, sono inefficaci ai sensi dell’articolo 67, comma 1, n. 3), L. Fall., anche in presenza di altri debiti preesistenti e gia’ scaduti ovvero contestualmente creati nei confronti del titolare della garanzia, restando l’atto pregiudizievole comunque inopponibile alla massa dei creditori per l’intera esposizione debitoria garantita”.

Inammissibili, infine, si mostrano tutte le doglianze avanzate da (OMISSIS) in relazione all’elemento soggettivo della dichiarata revocatoria.

Com’e’ noto, in tema di revocatoria fallimentare, alla luce della presunzione iuris tantum stabilita dall’articolo 67, comma 1, L. Fall., non spetta alla curatela dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza, ma spetta al convenuto in revocatoria fornire la prova della inscientia decoctionis, dimostrando la insussistenza, al momento dell’atto, di elementi rivelatori dello stato di insolvenza, ovvero la prova della ricorrenza di circostanze tali da indurre una persona di normale prudenza e avvedutezza a ritenere che l’impresa si trovasse in situazione di normale esercizio.

E’ chiaro poi che la effettiva mancanza di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente puo’ essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purche’ idonei a fornire la prova per presunzioni di tale condizione soggettiva.

Tuttavia la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimita’ (Cass. 19/02/2015, n. 3336).

Orbene, assumendo che la corte d’appello abbia motivato in maniera insufficiente e contraddittoria gli elementi indiziari in atti, in realta’ la ricorrente intende sollecitare a questa Corte una inammissibile rivalutazione di tutte le risultanze istruttorie che hanno condotto il giudice del gravame a ritenere, da un lato, insuperata la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla banca e, dall’altro lato, accertata la sua piena consapevolezza della effettiva lesivita’ dell’atto costitutivo dell’ipoteca rispetto alle ragioni del restante ceto creditorio.

6. Il quinto motivo e’ inammissibile.

Invero in tema di compensazione delle spese processuali ai sensi dell’articolo 92 c.p.c. – nel testo, qui applicabile ratione temporis, come novellato alla L. 28 dicembre 2005, n. 263 e prima dell’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 -, il sindacato della Corte di cassazione e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunita’ di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri “giusti motivi” (Cass. 31/03/2017, n. 8421; Cass. 19/06/2013, n. 15317; Cass. 06/10/2011, n. 20457).

Nel caso a mano, allora, la corte d’appello nel regolare le spese del grado di appello ha fatto applicazione del principio della soccombenza, atteso che (OMISSIS) risultava interamente vittoriosa, con decisione che si sottrae a censure di sorta, mentre ha ritenuto di compensare in ragione della meta’ le spese del primo grado, in ragione del parziale accoglimento dell’opposizione allo stato passivo proposta da (OMISSIS), ponendo la restante meta’ di quelle sostenute da (OMISSIS) a carico della prima, rimasta evidentemente soccombente rispetto alla riconvenzionale spiccata dalla seconda.

7. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.