in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, l’art. 3, comma 3, della l. n. 154 del 1992 e successivamente l’art. 117, comma 2, del D.Lgs. n. 385 del 1993, abilitano la Banca d’Italia, su conforme delibera del C.I.C.R. a stabilire che “particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, “in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto”, va inteso nel senso che l’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel “contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il “contratto figlio”.  Va dunque ritenuto che l’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità – a meno che non sia già prevista e disciplinata nel contratto di conto corrente, stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera C.I.C.R. del 4 marzo 2003, in applicazione dell’art. 117, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993.

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Corte d’Appello|Torino|Sezione 1|Civile|Sentenza|10 giugno 2022| n. 639

Data udienza 13 maggio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI TORINO

Sez. Prima Civile

Riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

Dott. Emanuela Germano Cortese Presidente

Dott. Tiziana Maccarrone Consigliere

Dott. Roberta Bonaudi Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 701/2020 R.G. promossa in grado d’appello con citazione notificata il 10.06.2020 da:

(…) S.P.A. (C.F. (…)), rappresentata e difesa dall’Avv. (…) del Foro di Roma (cod. fisc. (…)) in virtù di procura generale alle liti per atto notaio (…) Bologna rep. 115840 del 29 ottobre 2010 ed elettivamente domiciliata in Torino, via (…) (avv. (…) – si dichiarano i seguenti recapiti: p.e.c. (…) da considerarsi domicilio digitale a cui effettuare in via esclusiva ogni notificazione ai sensi di legge – fax (…)).

– APPELLANTE –

contro

(…) S.R.L. (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)) e (…) S.R.L. (C.F. (…)) tutti rappresentati, come da procura in calce al presente atto, dal Prof. Avv. (…), del foro di Livorno, con studio principale in Via (…) Brescia, tel. (…).

Si elegge domicilio presso lo studio dell’Avv. (…) in Brescia – 25122 – Via (…). Si dichiara espressamente, ai fini e per gli effetti degli artt. 133, 134 e 136 c. 3 CPC, di volere ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo di PEC avv. (…)-APPELLATO/A –

(…) S.R.L. con socio unico quale avente causa e cessionaria di (…) S.P.A. a mezzo del procuratore alle liti (…) spa (C.F. (…)) rappresentata e difesa dall’Avv.to (…), del Foro di Torino PEC (…), fax (…), e presso il cui studio, in Torino (…), è elettivamente domiciliata, in forza di procura generale alle liti 18.1.2017 Notaio dott. (…) di Verona rep. n. 73450 e racc. 22382

– APPELLATO/A –

OGGETTO: contratti bancari

CONCLUSIONI DELLE PARTI (…) SPA

“Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, contrariis reiectis, previo ogni più opportuno accertamento o declaratoria, anche incidentale, con riferimento alla sentenza n. n. 729/2020 depositata dal Tribunale di Torino in data 12 febbraio 2020 nella causa R.G. n. 30055/2016:

– in via principale, dichiarare nullo o comunque riformare, anche per difetto d’interesse in capo agli opponenti in primo grado, il capo che ha accertato e dichiarato che il reale saldo del conto corrente oggetto di causa al 12.3.2014 è di Euro 92.232,54 a credito del correntista”;

– in via principale concorrente, previa ammissione di CTU che effettui un ricalcolo del conto conservando l’anatocismo dal 1.07.2000 e tutti i tassi convenzionali applicati dalla Banca dal 1/12/1993 al 15/06/2005 in quanto inferiori all’extrafido pattuito sin dall’origine del rapporto, riformarla e, per l’effetto, respingere le domande avversarie in quanto infondate in fatto e diritto, così confermando integralmente il decreto opposto o, in subordine, condannare le parti appellate, in via tra loro solidale, a pagare alla (…) S.p.a. la somma minore che sarà determinata all’esito dell’istruttoria di causa;

– in ipotesi di riforma della statuizione in punto di spese di lite, condannare l’avvocato (…) a rimborsare a (…) S.p.a. l’importo di Euro 31.612,70 corrispostogli in data 25.02.2020 o la diversa somma costituita dalla differenza tra quanto versato in forza della sentenza e quanto accertato come dovuto a titolo di spese legali all’esito del giudizio d’appello;

– Con vittoria di spese e compenso di entrambi i gradi di giudizio”.

(…) SRL + altri IN VIA PRELIMINARE:

1. Dichiarare inammissibile l’appello proposto da (…) ai sensi del combinato disposto degli artt. 342, 348 bis e 348 ter c.p.c., per tutti i motivi ex ante rappresentati;

2. Dichiarare l’acquiescenza ex art. 329 c.p.c. dell’appellante alle parti della sentenza non impugnate con conseguente rinuncia ex art. 346 c.p.c. alle domande, eccezioni ed istanze avversarie respinte dal Tribunale di Torino e non riproposte ex adverso, per le ragioni e nei limiti indicati in narrativa.

NEL MERITO:

3. Rigettare nel merito l’appello principale in quanto infondato in fatto ed in diritto e, per l’effetto, confermare la sentenza di I grado nei limiti dei motivi di gravame proposti ex adverso.

IN OGNI CASO:

Con vittoria di spese, competenze e onorari di entrambi i giudizi, da attribuirsi al sottoscritto difensore, il quale dichiara di averne fatto anticipo ex art. 93 c.p.c., oltre al rimborso all’appellante delle spese di ctp, ctu e mediazione (…) S.r.l. Voglia l’Ill.mo Corte d’Appello di Torino dato atto che (…) s.p.a. ha notificato l’atto di appello a (…) s.r.l. unicamente quale contraddittore del primo grado, ma non ha assunto conclusioni nei suoi confronti;

dichiarato di non accettare il contraddittorio nei confronti della società (…) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig.ra (…), corrente in Biella, P.Iva (…), e dei sig.ri (…), C.F. (…), (…), C.F. (…), e della società (…) SRL, in persona del legale rappresentante sig. (…), sedente in Biella, P.Iva 0196178002; Accogliersi per quanto di ragione l’appello di (…) s.p.a. nei confronti della sentenza n. 729/2020 il Tribunale di Torino;

Nel caso in cui gli appellati assumano conclusioni nei confronti di (…) s.r.l., accogliersi le conclusioni svolte da (…) s.r.l. in primo grado respinta ogni contraria istanza, domanda, eccezione e deduzione, anche istruttoria:

dato atto che, in ogni caso, trattandosi di cessione pro soluto di credito pecuniario ovvero della parte attiva del credito, non sono comprese nella cessione eventuali obbligazioni restitutorie che dovessero sorgere all’esito della causa che resteranno in capo alla cedente (…) s.p.a.; Nel merito: respingere, per quanto di ragione, le avversarie domande in quanto infondate in fatto e in diritto e, in ogni caso, per la denegata ipotesi di accertamento di un qualche credito restitutorio a favore di parte attrice in opposizione dichiarare tenuta in via esclusiva (…) s.p.a. a far fronte a eventuali obbligazioni restitutorie che dovessero sorgere all’esito della causa. Accertata l’avvenuta cessione del credito di cui al presente giudizio a favore della (…) S.r.l. con socio unico con sede legale in Milano Viale (…) capitale sociale di euro 10.000,00 interamente versato, codice fiscale e iscrizione al registro delle imprese di Milano (…), condannare la società (…) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig.ra (…), corrente in Biella, P.Iva (…), il Sig. (…), C.F. (…), la sig.ra (…), C.F. (…), e la società (…) SRL, in persona del legale rappresentante sig. (…), sedente in Biella, P.Iva (…), a pagare alla (…) s.r.l. la somma minore o maggiore che sarà determinata in corso di causa.

In ogni caso: con il favore delle spese di lite, oltre il rimborso forfettario 15%, C.P.A. e I.V.A. come per legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 9.11.2016 (…) s.r.l., (…), (…) e (…) s.r.l. proponevano opposizione avverso decreto n. 9504/2016 emesso dal Tribunale di Torino con il quale, su ricorso di (…) spa, veniva ingiunto il pagamento della somma di euro 197.748,35 quale saldo debitorio del conto corrente n. 2163834/55 di cui la società era titolare e i signori (…), (…) e (…) s.r.l. erano fideiussori. Unitamente al ricorso monitorio erano stati prodotti il contratto di apertura di conto corrente n. 2163834/55 stipulato dalla (…) s.r.l. in data 1.12.1993, il contratto di aumento della linea di credito in conto corrente del 16.06.2005, gli estratti conto analitici e scalari dall’apertura del conto corrente alla chiusura del 12.3.2014 (data in cui il saldo banca a debito del correntista risultava essere pari a euro 195.054,24), il contratto di fideiussione del 16.06.2005 stipulato da (…), (…) e (…) s.r.l., la lettera di recesso dall’affidamento e dal conto corrente ricevuta dalla correntista il 28.11.2013 e la lettera di escussione della garanzia inviata in data 21.11.2013 ai fideiussori.

Gli opponenti deducevano l’illegittima applicazione da parte della banca di interessi usurari, interessi ultra-legali, anatocismo, commissioni e oneri non pattuiti e non dovuti. Chiedevano di revocare il decreto ingiuntivo previo accertamento dell’insussistenza del credito della Banca azionato monitoriamente e di rideterminare il “dare ed avere” tra le parti in relazione ad entrambi i rapporti dedotti in narrativa, senza anatocismo, con esclusione del conteggio trimestrale degli interessi e del tasso ultralegale ed usurario, della commissione di massimo scoperto, della commissione messa a disposizione fondi, delle spese, della valuta, delle condizioni e come in narrativa e come per legge.

2. Si costituiva (…) spa chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e il rigetto delle domande attoree.

In corso di causa interveniva (…) s.r.l., rappresentata da (…) s.p.a., in qualità di cessionaria del credito di (…) s.p.a. in forza di contratto di cessione dei crediti ai sensi degli artt. 4 e 7.1 L n. 130/1999 concluso il 14.07.2017, dando atto che l’intervento non comportava estromissione della cedente (…) s.p.a. e che nella cessione, limitata al credito e non all’intero rapporto, non erano comprese eventuali obbligazioni restitutorie che fossero sorte all’esito della causa.

3. Previo espletamento di CTU contabile, con sentenza n. 729/2020 pubblicata il 12.02.2020 (notificata in data 27.04.2020) il Tribunale di Torino: – revocava il decreto ingiuntivo opposto n.9504/2016 emesso dal Tribunale di Torino in data 22-23.9.2016; – accertava e dichiarava che (…) s.p.a. non era creditrice della somma di euro 197.748,35 oltre interessi, nei confronti degli opponenti; -accertava e dichiarava che il reale saldo del conto corrente oggetto di causa al 12.03.2014, così come rielaborato dalla relazione di C.T.U. e a seguito di espunzione degli addebiti illegittimamente applicati illustrati in motivazione, era pari a euro 92.232,54 a credito del correntista (anziché euro 195.054,24 a debito); – condannava la convenuta opposta (…) s.p.a. a rifondere agli attori opponenti le spese processuali, che liquidava in euro 25.001,55 – di cui euro 21.387,00 per compensi, euro 3.208,05 per rimborso forfettario spese, euro 406,50 per esposti – oltre CPA e IVA se dovuta, con distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore dell’Avv. (…), antistatario; – poneva definitivamente a carico integrale di parte convenuta opposta le spese della C.T.U., liquidate con separato provvedimento.

Il Tribunale osservava preliminarmente che l’intervento di (…) s.r.l. non comportava l’estromissione di (…) s.p.a., poiché la cessione era limitata al solo credito e non al rapporto bancario nel suo complesso, sicché qualora fossero sorte in corso di causa eventuali obbligazioni restitutorie, le stesse non sarebbero state comprese nella cessione, rimanendo pertanto in capo a (…) s.p.a.

Quanto al credito oggetto del ricorso monitorio, lo stesso era risultato inesistente alla luce delle risultanze della CTU, che aveva confermato la sussistenza dei profili di criticità eccepiti dagli opponenti nello svolgimento dei rapporti bancari in oggetto; tali risultanze erano condivise dal Tribunale perché rispondenti ai criteri e ai quesiti conferiti, essendo infondate le doglianze sollevate sul punto da (…) spa.

4. Con atto di citazione notificato via Pec in data 10.06.2020 (tempestivo in considerazione della sospensione straordinaria dei termini processuali dal 9 marzo all’11 maggio 2020 compresi di cui alla normativa emergenziale per la prevenzione della diffusione del Covid-19) proponeva appello (…) spa censurando la sentenza nella parte in cui aveva accertato un saldo a credito a favore del correntista in difetto di domanda; nella parte in cui aveva erroneamente applicato gli interessi sostitutivi per il periodo dal 1°.12.1993 al 15.06.2005; nella parte in cui aveva ritenuto l’illegittima capitalizzazione anche per il periodo successivo al 1°.07.2000 e nella parte in cui aveva liquidato le spese di lite violando i parametri di cui alle tariffe professionali vigenti. In data 19.11.2020 si costituivano (…) srl, (…), (…), (…) srl eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 342 e 348 bis c.p.c. nonché l’acquiescenza di controparte alle parti della sentenza non impugnate; chiedevano il rigetto nel merito dei motivi di appello. In data 14.12.2020 si costituiva (…) srl a mezzo del suo procuratore alle liti (…) spa la quale dava atto che l’appello di (…) spa le era stato notificato unicamente quale contraddittore in primo grado e senza formulazione di domande nei suoi confronti; dichiarava di non accettare il contraddittorio su eventuali domande proposte nei suoi confronti dagli appellati; aderiva all’appello di (…) spa e richiamava, in via cautelativa, le conclusioni rassegnate in primo grado.

La prima udienza di comparizione del 15.12.2020 si svolgeva mediante trattazione scritta in ossequio alla normativa emergenziale per la prevenzione della diffusione del Covid-19 e con ordinanza 16.12.2020 la Corte, ritenuto che non fossero ravvisabili gli estremi per la pronuncia di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 25 gennaio 2022 ore 10,00 della quale con successivo provvedimento veniva disposta la trattazione scritta; con ordinanza 25.01.2022 la Corte assumeva la causa a decisione assegnando alle parti termine sino al 25 marzo 2022 per il deposito delle comparse conclusionali e successivo termine di 20 giorni per il deposito delle memorie di replica.

IN DIRITTO

Eccezione inammissibilità appello ex art. 342 c.p.c.

Gli appellati hanno eccepito l’inammissibilità dell’atto di appello perché non redatto secondo le prescrizioni del novellato art. 342 c.p.c. laddove parte appellante avrebbe ribadito le argomentazioni già esposte in primo grado senza contrapporre alla sentenza alcuna argomentazione giuridica specifica. L’eccezione appare infondata.

Il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata; sia pure con un grado di specificità ben più accentuato rispetto al passato, imponendo la norma novellata un ben preciso ed articolato onere processuale, compendiabile nella necessità che l’atto di gravame, per sottrarsi alla sanzione di inammissibilità ora specificamente prevista, offra una ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice (vedi Cassazione sez. 2 ord. n. 23781 del 28.10.2020: Ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.)

L’atto di appello individua chiaramente i punti censurati della sentenza di primo grado, le ragioni del dissenso alle argomentazioni del giudice e la soluzione proposta, sicché si presenta ammissibile.

I Motivo.

Accertamento del saldo a credito di un conto corrente estinto con passaggio a sofferenza dell’esposizione debitoria in mancanza di riconvenzionale e comunque di domanda ripetitoria: violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e difetto d’interesse ad agire del correntista opponente.

1. Il Tribunale, dopo aver condiviso le conclusioni della CTU dalle quali emergeva che il saldo del conto corrente affidato oggetto di causa doveva ritenersi a credito del correntista e non a debito come allegato nel ricorso monitorio, concludeva che La domanda degli opponenti di accertamento dell’illegittimità degli addebiti sopra indicati è fondata; e in accoglimento della domanda di rideterminazione del dare-avere tra le parti, viene accertato il reale saldo di conto corrente nella misura emersa dalla C.T.U. pari ad un saldo a credito del correntista di Euro 92.232,54 (anziché il saldo banca a debito di Euro 195.054,24) alla data del 12.3.2014. Respingeva sul punto la contestazione svolta negli atti conclusivi da parte convenuta opposta, rilevando che gli opponenti avevano fin dall’atto di citazione domandato di “rideterminare il dare ed avere” tra le parti in relazione ad entrambi i rapporti dedotti in narrativa, senza anatocismo, con esclusione del conteggio trimestrale degli interessi e del tasso ultralegale ed usurario, della commissione di massimo scoperto, della commissione messa a disposizione fondi, delle spese, della valuta, delle condizioni economiche come in narrativa e come per legge; pertanto la domanda di esclusione degli addebiti indebiti e di rideterminazione del dare-avere tra le parti a seguito della rielaborazione del conto, riguarda non solo l’azzeramento del debito oggetto di decreto ingiuntivo ma anche l’accertamento del saldo a credito del correntista.

2. (…) spa censura tale statuizione osservando: (i) che la richiesta di rideterminazione del “dare/avere” tra le parti era domanda esclusivamente mirata all’accertamento dell’insussistenza del credito azionato dalla Banca con il ricorso per decreto ingiuntivo opposto e non alla formulazione di domanda di ripetizione per la cui proposizione gli opponenti avrebbero dovuto formulare espressa domanda riconvenzionale, consentendo così alla Banca di eccepire la prescrizione; (ii) che il Tribunale quindi aveva pronunciato ultra petita, in difetto di domanda riconvenzionale di ripetizione da parte degli opponenti; (iii) che peraltro, a fronte di un conto corrente chiuso con passaggio a sofferenza, l’accertamento di un saldo a credito non sarebbe sorretto da alcun interesse ad agire degli opponenti che non fosse ripetitorio, difettando tuttavia la relativa domanda.

3. Il motivo è infondato.

Il Tribunale non ha pronunciato ultra petita, atteso che ha soltanto accolto la domanda di accertamento del corretto saldo dare/avere tra le parti (espressamente formulata) e si è astenuto dal condannare la Banca alla ripetizione delle rimesse indebite in difetto di domanda.

Né può negarsi interesse della correntista a tale accertamento, pur -allo stato-scisso dalla relativa domanda di condanna alla ripetizione; è vero che, in presenza di un contratto bancario chiuso prima dell’introduzione del giudizio, la correntista non può aspirare alla esclusione, per il futuro, di annotazione illegittime perché fondate su clausole contrattuali nulle, ma sicuramente ha interesse a che il saldo del suo rapporto bancario – chiuso dalla Banca con un presunto saldo negativo – sia rielaborato con espunzione delle rimesse indebite sia al fine di negare che quel saldo negativo preteso dalla Banca sia effettivamente dovuto, sia per accertare eventualmente che lo stesso è positivo in vista e in funzione di una domanda di ripetizione che ben può essere anche svolta con separato giudizio.

La mancata proposizione tempestiva dell’eccezione di prescrizione poi è conseguente a scelta processuale della Banca che avrebbe potuto sollevarla anche a fronte della domanda di mero accertamento della nullità di clausole contrattuali e del corretto saldo del conto corrente, non essendo la sua ammissibilità collegata alla proposizione della domanda di ripetizione.

II Motivo. Erronea applicazione dei tassi sostitutivi dal 1.12.1993 al 15.06.2005: violazione dell’art. 162 TUB, erronea valutazione in merito all’esistenza di affidamenti in forma scritta, violazione e falsa interpretazione degli artt. 117 TUB e 2725 c.c.

1. In relazione alla doglianza degli opponenti sull’applicazione illegittima di interessi ultralegali in difetto di pattuizione, il Tribunale rilevava: – che il contratto di apertura di conto corrente dell’1.12.1993 non indicava il tasso annuo di interesse debitore “intra fido”, pattuito soltanto nel contratto 16.06.2005, sicché correttamente il CTU per il periodo dal 1.12.1993 al 15.6.2005 -per le esposizioni assunte dal conto corrente entro l’ammontare del fido- aveva rideterminato gli interessi utilizzando i tassi sostitutivi previsti dall’art. 117 comma 7 TUB in applicazione del comma 4 dell’art. 117;

– che l’esistenza del fido può essere provata dal correntista non solo per il tramite del documento contrattuale, ma anche per il tramite di prove indirette quali estratti conto e riassunti scalari, che implicano in modo univoco il riconoscimento da parte della banca dell’avvenuta concessione del fido; non sussiste infatti preclusione sul piano della validità ai sensi dell’art. 117 comma 3 TUB, in quanto la nullità del contratto bancario amorfo è nullità unilaterale, che può essere fatta valere solo dal cliente sicché se il cliente preferisce chiedere l’esecuzione del contratto bancario o in ogni caso non ne eccepisce la nullità, il Giudice non può rilevarla d’ufficio;

– che nel caso in esame era stata la stessa banca nel ricorso monitorio ad affermare che una linea di credito era già stata concessa in data 19.04.1996, come da contratto di aumento dell’importo di tale linea di credito;

– che pertanto era infondata la tesi della Banca secondo cui, in luogo del tasso BOT ex art. 117 comma 7 TUB, si doveva applicare il tasso debitore pattuito nel contratto di conto corrente in caso di utilizzo “extra fido”: (i) il tasso di interesse pattuito nel contratto scritto è esclusivamente il “tasso di interesse debitore: 13%”, mentre in nessuna parte del contratto si evinceva la pattuizione di un tasso applicabile sulle somme utilizzate nei limiti del fido concesso; (ii) con l’apertura di credito la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro e il cliente ha la possibilità di utilizzare la somma messa a disposizione in uno o più atti e di eseguire versamenti a ripristino della disponibilità, senza che la banca abbia il potere di esigere il pagamento, fino alla scadenza del fido o a revoca, mentre tali caratteristiche non sono riscontrabili nello scoperto di conto e di mora o nell’extra fido.

2. La Banca appellante censura tale ragionamento osservando: 2.1. che il tasso debitorio pattuito nel contratto 1.12.1993 era applicabile quantomeno fino al 19.04.1996 (data in cui asseritamente sarebbe stato concluso il primo affidamento), atteso che alla data di accensione del contratto di conto corrente non era ancora vigente l’art. 117 Tub (entrato in vigore il 1°.01.1994) sicché la pattuizione contrattuale degli interessi ultralegali doveva rispondere solo alle previsioni di cui all’art. 1284 c.c., rispettate appunto dalla indicazione in contratto di un tasso ultralegale degli interessi passivi;

2.2. che la Banca in primo grado non aveva mai riconosciuto la pattuizione scritta di un contratto di affidamento del 1996 ma solo l’esistenza di un fido concesso in via di fatto i cui tassi erano già previsti in via generale dal contratto di conto corrente;

2.3. che il Tribunale ha in ogni caso confuso il profilo del rilievo della nullità con quello probatorio: gli opponenti avevano eccepito il difetto di forma scritta degli affidamenti, così determinando l’impossibilità di provane l’esistenza se non tramite la produzione del contratto scritto in mancanza del quale deve ritenersi insussistente qualsivoglia affidamento anteriore a quello documentato, con conseguente applicazione del tasso extrafido previsto in contratto 1.12.1993.

3. Il motivo è infondato.

Assume sostanzialmente l’appellante che in difetto di produzione (da parte degli attori in opposizione) del contratto scritto di apertura di credito del 19.04.1996, il conto corrente doveva ritenersi non affidato, con conseguente applicazione del tasso di interesse del 13% pattuito nel contratto di apertura di conto corrente del 1°.12.1993 per l’extrafido; che, comunque, prima del 19.04.1996 doveva applicarsi l’interessi del 13% pattuito in ossequio di quanto disposto dall’art. 1284 c.c.

3.1. Quest’ultima affermazione risulta corretta, ma anche seguita dal CTU che per le esposizioni assunte dal conto corrente oltre l’ammontare del fido (o in difetto di fido) ha applicato dal 1°.12.1993 al 15.06.2005 (data di stipulazione per iscritto dell’affidamento) il tasso di interesse contrattuale o quello applicato dalla Banca se inferiore.

3.2. Il primo assunto non è invece condivisibile.

Il contratto di conto corrente aperto il 1°.12.1993 prevedeva soltanto il tasso di interesse debitore del 13% senza alcuna ulteriore specificazione; all’art. 6 delle Norme Generali il contratto disciplinava alcuni aspetti di carattere generale per le “aperture di credito che la Banca (…) spa ritenesse eventualmente di concedere al Correntista”, senza peraltro prevedere per esse

alcuna condizione economica (tasso di interesse passivo intrafido). Il primo contratto scritto di apertura di credito prodotto dalle parti risulta quello del 16.06.2005 che prevede il tasso di interesse ultralegale sia per l’intrafido sia per l’extrafido.

È principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, l’art. 3, comma 3, della l. n. 154 del 1992 e successivamente l’art. 117, comma 2, del D.Lgs. n. 385 del 1993, abilitano la Banca d’Italia, su conforme delibera del C.I.C.R. a stabilire che “particolari contratti” possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, “in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto”, va inteso nel senso che l’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel “contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il “contratto figlio” (Cassazione sez. 1 sentenza n. 27836 del 22.11.2017 nella quale la S.C. confermando la sentenza di appello, respingeva il ricorso della banca che, sulla base della sola menzione di condizioni quadro contenute nel contratto di conto corrente, senza previsione di regole relative alla parte economica, chiedeva di considerare valido il contratto di apertura di credito, concluso per “facta concludenti”). Va dunque ritenuto che l’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità – a meno che non sia già prevista e disciplinata nel contratto di conto corrente, stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera C.I.C.R. del 4 marzo 2003, in applicazione dell’art. 117, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993 – (Cassazione sez. 1 ord. n. 926 del 13.01.2022).

Ciò, tuttavia, non comporta l’accoglimento della tesi dell’appellante: la Banca stessa ha ammesso l’esistenza di una linea di credito già concessa in data 19.04.1996 (punto 2 del ricorso monitorio: in data 16.06.2005 la Banca dichiarava di accettare una richiesta di aumento della linea di credito già concessa in data 19.04.1996, alla società debitrice sino alla concorrenza di euro 200.000,00) e l’esistenza di un contratto di apertura di credito anteriore a quella del 16.06.2005 emerge dalla lettera di quest’ultimo: dichiariamo di accettare la linea di credito, di seguito descritta, concessaci ad aumento dell’importo della linea di credito di euro 180.760,00 già concessaci in data 19.04.1996.

La Banca appellante non può pertanto ora negare che esistesse un contratto di affidamento stipulato il 19.04.1996 per la somma di euro 180.760,00 e applicare agli sconfinamenti il tasso di interesse del 13% pattuito per il caso di difetto di fido o di extrafido.

Atteso che la Banca ha assunto nel presente giudizio la posizione di attrice (in via monitoria), su di lei incombeva l’onere di dimostrare la legittimità dell’applicazione di interessi ultralegali e quindi l’esistenza di una pattuizione scritta sul punto; la dimostrazione si è invece fermata alla produzione del contratto di apertura del conto corrente (che non prevedeva il tasso ultralegale intrafido) e del contratto di affidamento del 16.06.2005, difettando la dimostrazione della pattuizione scritta degli interessi ultralegali per l’affidamento sicuramente concesso il 19.04.1996 per l’importo di euro 180.760,00.

La statuizione sul punto del Tribunale merita pertanto conferma.

III Motivo. Violazione dell’art. 25 D.Lgs. n. 342/99 e dell’art. 7 Delibera CICR 9.02.2000 in ordine alla ritenuta illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi per il periodo successivo al 01.07.2000

1. In ordine alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, il Tribunale rilevava che il contratto di apertura di conto corrente era anteriore alla delibera CICR 9.2.2000, sicché dalla sua accensione fino al 30.6.2000 era certa la non spettanza della capitalizzazione trimestrale (o annuale) degli interessi a favore della banca, stante il divieto posto dall’art. 1283 c.c. come interpretato dall’ormai stabile giurisprudenza (Cass. S.U. 2.12.2010 n. 24418). Per il periodo successivo, era infondata la tesi della banca secondo la quale per i conti in essere la modifica non sarebbe peggiorativa e non sarebbe quindi necessaria una nuova pattuizione, essendo sufficiente l’adeguamento della clausola originaria alla delibera CICR 9.2.2000 tramite avviso in Gazzetta Ufficiale e comunicazione negli estratti: infatti, rispetto a un rapporto bancario in cui al cliente non possono essere addebitati interessi su interessi, l’introduzione del meccanismo di capitalizzazione, sia pure su base di pari periodicità, ma con disparità nei tassi creditori e debitori, rappresenta un peggioramento delle condizioni contrattuali ed esige quindi la specifica approvazione per iscritto come previsto in via generale dall’art. 6 delibera CICR 9.2.2000 per i nuovi contratti (Cass. civ. 21.10.2019 n.26779). Avendo constatato che la pari periodicità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi non era stata pattuita neppure con il contratto 16.06.2005, correttamente il C.T.U. aveva effettuato la rielaborazione senza operare alcuna capitalizzazione.

2. L’appellante assume che il Tribunale abbia mal interpretato la normativa:

2.1. il passaggio da una capitalizzazione trimestrale dei soli interessi passivi (condizione applicata) a una capitalizzazione trimestrale reciproca non è peggiorativa per il cliente, sicché sarebbe sufficiente l’adeguamento mediante pubblicazione in G.U.;

2.2. la tesi seguita dal primo giudice non considera la possibilità che il conto operi su basi attive sicché indubbiamente le nuove condizioni sono favorevoli, dovendosi quindi il peggioramento valutare caso per caso, senza che nel presente giudizio gli opponenti avessero dedotto specificamente qualcosa sul punto.

2.3. L’appellante lamenta poi che il Tribunale non ha considerato l’accettazione espressa nell’anatocismo nell’affidamento scritto del 16.06.2005.

3. Il motivo è infondato.

3.1. Quanto all’interpretazione della normativa, si ricorda che a seguito del mutamento di indirizzo giurisprudenziale inaugurato con la nota sentenza della Suprema Corte n. 2374/1999 – in base al quale le clausole dei contratti bancari che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente devono reputarsi nulle, in quanto basate su un uso negoziale e non normativo, come richiesto dall’art 1283 cod. civ. – il legislatore emanò il D.Lgs. n. 432/1999 che all’art. 25, secondo comma, prevedeva che il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni bancarie in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori; il successivo terzo comma stabiliva inoltre che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore delia delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità ed i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente.

In ottemperanza al disposto del secondo comma dell’art. 25, cit., il CICR emanò la circolare 9 febbraio 2000 la quale – dopo avere stabilito le condizioni alle quali gli interessi a debito della clientela possono a loro volta produrre interessi ed avere precisato, all’art. 6, ultimo alinea, che le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto – all’art. 7, rubricato Disposizioni transitorie, prevedeva che 1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio. 2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000. 3. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela.

L’art. 7 della delibera citata stabiliva quindi, per la validità delle nuove condizioni contrattuali in materia di anatocismo, oneri diversi a seconda che le stesse comportassero o meno, per il cliente, un peggioramento rispetto a quelle applicate in precedenza, e ciò sul presupposto che le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera mantenessero validità ed efficacia sino a tale data. Il confronto avveniva quindi tra clausole vecchie e clausole nuove, entrambe valide ed efficaci pro tempore.

La Corte costituzionale con la sentenza 17 ottobre 2000, n. 425, dichiarò fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, terzo comma, del D.Lgs. n. 329/1999 la quale, quindi, è stata annullata con effetto ex tunc. Per effetto della sentenza della Consulta, le clausole che prevedono la capitalizzazione degli interessi contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000 devono considerarsi, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale citato, invariabilmente nulle.

Le nuove condizioni, frutto dell’adeguamento previsto dall’art. 7 della delibera, sono quindi sempre peggiorative rispetto a quelle precedenti in quanto, anteriormente all’entrata in vigore della delibera stessa, l’anatocismo era sempre vietato, e devono quindi essere approvate dalla clientela (vedi Cassazione sez. 1 sentenza n. 9140 del 19.05.2020: In ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del D.Lgs. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera.)

3.2. Neppure può affermarsi che tale pattuizione sia contenuta nel contratto di apertura di credito del 16.06.2005; in tale contratto la correntista dichiarava di approvare specificamente, ai sensi dell’art. 6 della delibera CICR 9.02.2000, la previsione di cui alle “Condizioni economiche sopra riportate, relative alla periodicità di capitalizzazione degli interessi” che tuttavia riguardava soltanto gli interessi passivi, sicché – mancando la disciplina degli interessi attivi e della loro periodicità – non può affermarsi che con tale contratto sia stata pattuita la pari periodicità di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi.

IV Motivo. Eccessivo importo delle spese di lite liquidate e violazione dei parametri ministeriali

1. In punto spese di lite, il Tribunale applicava il principio della soccombenza e, quanto ai criteri di liquidazione così motivava:

le stesse vengono quantificate ai sensi del D.M. 10.3.2014 n. 55, nei seguenti importi: per fase di studio Euro3.375, per fase introduttiva Euro2.227, per fase istruttoria Euro9.915, per fase decisionale Euro 5.870, per complessivi Euro 21.387 per compensi; oltre al 15% rimborso forfettario spese e al rimborso degli esposti per Euro 406,5. Con distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore dell’Avv. (…), antistatario.

2. L’appellante lamenta che il Tribunale abbia liquidato i valori medi (a fronte di causa non particolarmente complessa) applicando uno scaglione di valore superiore a quello del credito ingiunto (euro 197.748,35), senza che potesse essere corretto il riferimento al valore della causa indicato nella nota di iscrizione dagli opponenti (che presumibilmente era quello della fideiussione); applicando i criteri corretti, le spese sarebbero state di euro 13.430,00 e non 21.387,00.

3. Il motivo è infondato.

La domanda monitoria era di valore pari a euro 197.748,35 oltre interessi di mora e spese, a cui doveva peraltro aggiungersi l’oggetto della domanda di accertamento del corretto saldo di conto corrente, accertamento che in sede di perizia di parte aveva registrato un importo di euro 174.926,51 per usura oggettiva e soggettiva e per anatocismo e indicato euro 222.865,11 di addebiti complessivi illegittimi per interessi passivi addebitati, CMS e spese che erano oggetto di contestazione.

Pertanto, al di là della poco comprensibile indicazione del valore della causa contenuto nell’atto di citazione in opposizione (Si dichiara ai sensi della legge 23 dicembre 1999, n. 488 e successive modificazioni (D.L. 11 marzo 2002, n. 19) che il valore della presente causa è pari ad Euro. 327.012,51 e che pertanto a titolo di contributo unificato è dovuto l’importo di Euro 607,00), il valore della causa rientrava nello scaglione tra 260.000 e 520.000, sicché la liquidazione delle spese di lite del Tribunale risulta corretta, neppure potendosi affermare che, in ragione della pluralità delle doglianze degli opponenti e della risalenza del contratto di conto corrente (1993) la causa fosse di minima complessità.

Spese

Le spese di lite sono poste a carico di parte appellante in base al principio di soccombenza.

Tenuto conto delle tariffe vigenti, del valore della controversia (euro 197.748,35 -saldo a debito azionato dalla Banca- + euro 92.232,54 -saldo a credito accertato-), della media complessità delle questioni sottoposte alla Corte e dell’attività svolta dalle parti (senza svolgimento di attività istruttoria), le stesse si liquidano in euro 13.560,00 di cui 4.180,00 per la fase di studio, euro 2.430,00 per la fase introduttiva ed euro 6.950,00 per la fase decisoria, oltre spese generali al 15%, CPA e IVA di legge, da distrarsi in favore dell’avv. (…) che si è dichiarato procuratore antistatario. (…) srl (cessionaria del credito azionato da (…) spa in via monitoria) si è costituita rilevando che non vi erano domande formulate dall’appellante nei suoi confronti e associandosi alle doglianze dell’appellante; conseguentemente, le spese tra tale parte e l’appellante sono interamente compensate.

Sussistono altresì i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/02 perché la parte appellante sia dichiarata tenuta al versamento di ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari all’importo dovuto per lo stesso titolo e la stessa impugnazione.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando nella causa civile DI APPELLO iscritta al n. 701/20 R.G. promossa da (…) spa nei confronti di (…) srl, Nascè Daniela, (…), (…) srl, nonché nei confronti di (…) srl a mezzo del suo procuratore alle liti (…) spa, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione reiette, così decide:

1) Respinge l’appello proposto da (…) spa avverso la sentenza n. 729/2020 pubblicata il 12.02.2020 del Tribunale di Torino;

2) Condanna parte appellante al rimborso delle spese di lite in favore degli appellati (…) srl, (…), (…) e (…) srl che liquida in complessivi euro 13.560,00 oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA di legge, con distrazione in favore dell’avv. (…), antistatario;

3) Dichiara integralmente compensate le spese di lite del grado tra (…) spa e (…) srl;

4) dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/02 perché la parte appellante sia dichiarata tenuta al versamento di ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari all’importo dovuto per lo stesso titolo e la stessa impugnazione.

Così deciso nella Camera di Consiglio della I Sezione Civile in data 13 maggio 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.