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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 5 agosto 2013, n. 18609
Va solo soggiunto – ad ovvia salvaguardia del diritto di difesa del convenuto – che la diversa regola di imputazione, piu’ favorevole all’attore danneggiato in quanto comportante anche un’inversione dell’onere probatorio in suo favore (com’e’ per gli articoli 2050 e 2051 c.c.), in tanto puo’ essere posta a fondamento dell’affermazione della responsabilita’ del convenuto stesso in quanto non gli si ascriva la mancata prova di fatti che egli non sarebbe stato tenuto a provare in base al criterio di imputazione ordinario della responsabilita’ originariamente invocato dall’attore (articolo 2043 c.c.).
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:
La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle stra
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente
Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27699/2007 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. (OMISSIS) in persona dell’ing. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 3950/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/09/2006, R.G.N. 2088/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2013 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- L'(OMISSIS), mentre potava un albero nel giardino di un terzo (tal (OMISSIS)) che gliene aveva dato incarico, il sessantatreenne (OMISSIS) mori’ per folgorazione a seguito del contatto accidentale del malleolo, mentre si trovava a cavalcioni su un ramo, con un cavo in rame dell’elettrodotto dell'(OMISSIS), che correva ad otto metri dal suolo.
Nell’ottobre del 1999 la moglie ed i due figli del defunto convennero in giudizio l'(OMISSIS) s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, che indicarono in oltre euro 600.000. Ne predicarono la responsabilita’ per non aver evitato, provvedendo preventivamente al taglio, che i rami si trovassero ad una distanza dal cavo inferiore a quella prevista dalla legge.
(OMISSIS) s.p.a., succeduta alla convenuta, resistette ed il tribunale di Roma rigetto’ la domanda con sentenza del 6.5.2002 sui rilievi che l’evento era dipeso da imprudenza della stessa vittima e che la distanza dei rami dai cavi aerei e’ imposta dalla legge per assicurare il corretto esercizio del servizio e non anche per evitare danni a chi possa salire sui rami stessi.
2.- La decisione e’ stata riformata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 3950/06 del 19.9.2006, l’ha accolta nei limiti di circa euro 62.000 per la moglie (OMISSIS) e di circa euro 47.000 per ciascuno dei figli (OMISSIS) e (OMISSIS).
3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione (OMISSIS) s.r.l., quale procuratrice di (OMISSIS) s.p.a., affidandosi ad un unico motivo illustrato anche da memoria, cui gli intimati resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente censura la sentenza – deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. – per avere la Corte d’appello, in un contesto nel quale gli attori avevano in primo grado fondato la propria domanda sull’articolo 2043 c.c., e solo in appello avevano addotto la responsabilita’ dell'(OMISSIS) ex articolo 2050 c.c., per esercizio di attivita’ pericolosa, affermato testualmente che “la condotta colposa attribuita all'(OMISSIS) va inquadrata nell’ipotesi di responsabilita’ aquiliana disciplinata dall’articolo 2050 c.c., come correttamente sostenuto dagli appellanti e correttamente ritenuto dalla giurisprudenza e non gia’ in quella piu’ generica dell’articolo 2043 c.c.”.
Afferma che la giurisprudenza di legittimita’ ha costantemente statuito che la responsabilita’ per l’esercizio di attivita’ pericolose implica l’accertamento di presupposti di fatto diversi, quantomeno parzialmente, da quelli propri della responsabilita’ per fatto illecito prevista dalla norma generale dell’articolo 2043 c.c., onde la domanda che ha per oggetto l’accertamento del primo tipo di responsabilita’ deve essere considerata diversa e nuova rispetto a quella che ha per oggetto la responsabilita’ ordinaria per fatto illecito (Cass., nn. 8095/2006, 24799/2005, 14905/2002, 2483/1998, 6418/1998); e che, dunque, qualora il danneggiato faccia valere l’un tipo di responsabilita’, il giudice non puo’ ravvisare d’ufficio l’altro (Cass., nn. 12088/1998 e 11356/2002).
2.- La censura e’ infondata.
Benche’ tutte le sentenze appena citate siano state puntualmente richiamate dal ricorrente, delle ultime due non e’ tuttavia riportata la parte finale della medesima massima ufficiale tratta dai rispettivi dieta, che del principio spiega la ragione, al contempo segnandone il limite applicativo: vale a dire la “necessita’ di nuove indagini di fatto”.
Quando quell’esigenza non si pone, per essere stato ogni possibile aspetto della pretesa risarcitoria gia’ valutato dal giudice di primo grado e per non essere, dunque, il riferimento dell’appellante (o quello officioso del giudice) ad un diverso criterio di imputazione della responsabilita’ fondato sull’allegazione (o sulla considerazione) di circostanze diverse, allora vale il piu’ esaurientemente massimato principio secondo il quale “quando l’attore abbia invocato in primo grado la responsabilita’ del convenuto ai sensi dell’articolo 2043 c.c., il divieto di introdurre domande nuove (la cui violazione e’ rilevabile d’ufficio da parte del giudice) non gli consente di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi degli articoli 2050 (esercizio di attivita’ pericolose) o 2051 (responsabilita’ per cose in custodia) c.c., a meno che l’attore non abbia sin dall’atto introduttivo del giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detti articoli” (Cass., n. 4591/2008, cui adde, ex coeteris, Cass., nn. 23741/2011 e 18520/2009, citata in memoria dalla ricorrente, benche’ a sostegno della tesi opposta).
Va solo soggiunto – ad ovvia salvaguardia del diritto di difesa del convenuto – che la diversa regola di imputazione, piu’ favorevole all’attore danneggiato in quanto comportante anche un’inversione dell’onere probatorio in suo favore (com’e’ per gli articoli 2050 e 2051 c.c.), in tanto puo’ essere posta a fondamento dell’affermazione della responsabilita’ del convenuto stesso in quanto non gli si ascriva la mancata prova di fatti che egli non sarebbe stato tenuto a provare in base al criterio di imputazione ordinario della responsabilita’ originariamente invocato dall’attore (articolo 2043 c.c.).
Nel caso di specie la Corte d’appello – al di la’ del formale riferimento, nella parte iniziale della motivazione della sentenza (pagine 4 e 5), alla prova liberatoria che ex articolo 2050 c.c., avrebbe dovuto offrire e non aveva offerto l'(OMISSIS) – ne ha in realta’ affermato la responsabilita’ sulla base di un diverso apprezzamento delle stesse circostanze (e disposizioni normative) gia’ tutte vagliate dal giudice di primo grado. E cioe’:
– la distanza del ramo dal cavo elettrico inferiore ai cm 70 prescritti dal Decreto del Presidente della Repubblica 21 giugno 1962, n. 1062, come modificato con D.M.L.P. 21 marzo 1988, (non contestata perizia di parte, comunicazione e fotografie provenienti dai carabinieri di Cave, sommarie informazioni assunte in loco);
– l’assoluta assenza di riscontri in ordine alle circostanze indicate dall'(OMISSIS) relative all’uso da parte della vittima di un’asta di ferro ad uncino per avvicinare a se’ le punte dei rami ed all’intervento effettuato pochi mesi prima, essendo all’opposto risultato che l'(OMISSIS) non effettuava interventi da anni e che soltanto dopo il decesso del (OMISSIS) si era affrettato, “senza alcuna previa comunicazione e nel corso delle indagini di polizia giudiziaria, a provvedere al taglio dei rami all’interno della proprieta’ (OMISSIS)” (pagine 5 e 6 della sentenza);
– la funzione del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 1062 del 1968, secondo il Tribunale privo degli scopi protettivi per i terzi invece riconosciuti dalla Corte d’appello (pag. 7 della sentenza).
Tutto era stato dunque considerato ed allegato gia’ in primo grado. Ne’ la responsabilita’ dell'(OMISSIS) e’ stata fondata sul difetto di prova liberatoria, essendo stata invece affermata sulla base delle positive risultanze in atti.
Il ricorso va dunque respinto.
3.- Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente alle spese, che liquida in euro 3.200,00, di cui 3.000,00, per compensi, oltre agli accessori di legge.