Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 16 febbraio 2018, n. 3873

Con la pronuncia in oggetto, le Sezioni Unite, hanno risolto  la questione di diritto, vertente sulla proprieta’ della costruzione realizzata da uno dei comproprietari sul suolo comune, affermando i seguenti principi di diritto:
1) “La costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell’articolo 934 cod. civ., di proprieta’ comune agli altri comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprieta’ del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam”;
2) “Il consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, vale a precludergli l’esercizio dello ius tollendi”;
3) “Ove lo ius tollendi non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprieta’, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 16 febbraio 2018, n. 3873

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di Sez.

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez.

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2276-2013 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1781/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/08/2012.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. Luigi Giovanni Lombardo;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, p.q.r.;

Uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS) convenne, dinanzi al Tribunale di Belluno (Sezione distaccata di Pieve di Cadore), la societa’ (OMISSIS) s.r.l. Premettendo di essere comproprietario pro indiviso, con la societa’ convenuta, di un terreno sito in (OMISSIS), adiacente al fabbricato condominiale delle parti, chiese lo scioglimento della comunione delle unita’ immobiliari edificate dalla societa’ (OMISSIS) sul suolo comune (costituite da un corpo edilizio interrato composto da due piani sovrapposti e da altra costruzione a livello seminterrato adibita ad autorimessa e cantina), con conseguente attribuzione delle quote di spettanza di ciascuno e con determinazione degli eventuali conguagli.

La societa’ convenuta, costituendosi e resistendo alle domande attoree, chiese dichiararsi non luogo a provvedere sulla divisione dei locali seminterrati comuni destinati ad autorimessa, cantina ed accessori, stante l’intervenuto accordo fra le parti in ordine all’attribuzione dei beni; chiese, invece, l’attribuzione in proprieta’ esclusiva del corpo edilizio interrato, sul presupposto che lo stesso fosse di sua proprieta’ esclusiva; in subordine, nell’ipotesi di accoglimento anche parziale della domanda attorea, chiese la condanna del (OMISSIS) a corrispondere ad essa convenuta un indennizzo per l’indebito arricchimento.

L’adito Tribunale, con sentenza dell’8 aprile 2011, dichiaro’ che la societa’ (OMISSIS) s.r.l. era esclusiva proprietaria del corpo di fabbrica interrato edificato nel terreno comune; dichiaro’ che il (OMISSIS) e la (OMISSIS) erano proprietari esclusivi dei locali al piano seminterrato meglio descritti nella relazione del C.T.U., salva la comunione sull’area di manovra.

2. – Sul gravame proposto dal (OMISSIS), la Corte di Appello di Venezia ha confermato la pronuncia di primo grado.

Nel rilevare la carenza dei presupposti per poter ritenere “cosa comune” il corpo di fabbrica interrato edificato dalla societa’ convenuta (che costituisce l’immobile cui attiene la questione di diritto sottoposta a questa Corte), i giudici di appello hanno osservato che tale corpo di fabbrica: (a) risulta essenzialmente incorporato alla proprieta’ esclusiva della convenuta societa’ (OMISSIS) (che vi accede per mezzo di una scala interna dall’unita’ abitativa di sua proprieta’, situata al piano terra dell’edificio condominiale) ed e’ stato realizzato su progetto e con lavori eseguiti dallo stesso attore (OMISSIS) (socio e legale rappresentante dell’omonima impresa edile), ma pagati esclusivamente dalla (OMISSIS) sul presupposto che esso sarebbe stato di proprieta’ esclusiva di quest’ultima e non di proprieta’ comune; (b) non e’ incorporato ne’ e’ funzionalmente legato alla proprieta’ del (OMISSIS); (c) e’ privo di caratteristiche (quali un muro maestro o un tetto) tali da indurre a ritenerlo essenziale all’esistenza dei beni comuni; (d) infine, e’ stato progettato e realizzato in funzione esclusiva delle preesistenti unita’ immobiliari di proprieta’ della societa’ (OMISSIS).

Rilevando che, nella specie, vi sarebbe stato un valido accordo assunto ed osservato dalle parti, provato documentalmente, la Corte di Appello di Venezia, nell’escludere la comproprieta’ di quanto realizzato nel sottosuolo, ha richiamato il principio di diritto secondo cui alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari sul suolo comune non si applica la disciplina sull’accessione contenuta nell’articolo 934 cod. civ., ma quella in materia di comunione, con la conseguenza che la nuova costruzione diviene di proprieta’ comune ai condomini non costruttori solo se essa sia stata realizzata in conformita’ a detta disciplina, ossia nel rispetto delle norme che disciplinano l’uso della cosa comune; altrimenti essa, quando sia stata abusivamente realizzata, non diviene comune neppure per accessione.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di dodici motivi.

Ha resistito con controricorso la societa’ (OMISSIS).

4. – All’esito dell’udienza pubblica del 21 marzo 2017, la Seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 9316 dell’U aprile 2017, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto diacronico nella giurisprudenza di legittimita’ sulla questione di diritto, sottostante al secondo motivo di ricorso, vertente sulla proprieta’ della costruzione realizzata da uno dei comproprietari sul suolo comune.

In particolare, l’ordinanza interlocutoria ha sottolineato come, sulla questione, esistano due contrapposti orientamenti nella giurisprudenza della Corte:

– un primo orientamento, piu’ tralatizio, secondo cui, per il principio dell’accessione (articolo 934 cod. civ.), la costruzione su suolo comune e’ anch’essa comune, mano a mano che si innalza, salvo contrario accordo scritto ad substantiam (articolo 1350 cod. civ.); pertanto, per l’attribuzione in proprieta’ esclusiva, ai contitolari dell’area comune, dei singoli piani che compongono la costruzione, sono inidonei sia il corrispondente possesso esclusivo del piano, sia il relativo accordo verbale, sia il proporzionale diverso contributo alle spese (Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Sez. 1, 12/05/1973, n. 1297; Cass., Sez. 2, 11/07/1978, n. 3479; Cass., Sez. 2, 10/11/1980, n. 6034);

un secondo e piu’ recente orientamento – fatto proprio dai giudici di merito – secondo cui, invece, la disciplina sull’accessione, contenuta nell’articolo 934 cod. civ., si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui, mentre alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su terreno comune non si applica tale disciplina, ma quella in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprieta’ della nuova opera sorge a favore dei condomini non costruttori solo se essa sia realizzata in conformita’ a detta disciplina, ossia con il rispetto delle norme che dettano i limiti che ciascun comproprietario deve osservare nell’uso della cosa comune, mentre le opere abusivamente realizzate non possono considerarsi beni condominiali per accessione, ma vanno considerate appartenenti al comproprietario costruttore e rientranti nella sua esclusiva sfera giuridica (Cass., Sez. 2, 22/03/2001, n. 4120; Cassazione Sez. 2, 27/03/2007, n. 7523).

La Seconda Sezione ha evidenziato la necessita’ di rimeditare il piu’ recente orientamento, per la perplessita’ che desta la conclusione secondo cui l’edificazione sull’area comune da parte di uno solo dei comunisti, in violazione degli articoli 1102 e segg. cod. civ., determini l’assegnazione della proprieta’ esclusiva dell’opera e del suolo in favore del comproprietario costruttore, effetto giuridico – questo difficilmente inquadrabile in uno dei modi di acquisto stabiliti dall’articolo 922 cod. civ.; e prospetta l’esigenza di tracciare una linea interpretativa in grado di coniugare la disciplina dell’accessione e quella della comunione, facendo convivere l’espansione oggettiva della comproprieta’ in caso di inaedificatio ad opera di uno dei comunisti (salvo che non sia stato costituito, nei modi e nelle forme di legge, altro diritto reale a favore del comproprietario costruttore) con la facolta’ del comproprietario non costruttore di pretendere la demolizione della costruzione ove quest’ultima sia stata realizzata dall’altro comunista in violazione dei limiti posti dall’articolo 1102 cod. civ. al godimento della cosa comune.

5. – Il Primo Presidente ha disposto, ai sensi dell’articolo 374 cod. proc. civ., comma 2, che sulla questione la Corte pronunci a Sezioni Unite.

6. – Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex articolo 360 cod. proc. civ., n. 4), la violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., per avere la Corte di Appello erroneamente escluso che la sentenza di primo grado, nel dichiarare che la societa’ convenuta aveva acquistato a titolo originario la proprieta’ esclusiva del corpo di fabbrica interrato, fosse incorsa in nullita’ per extrapetizione. Secondo il ricorrente, la societa’ (OMISSIS) non avrebbe proposto alcuna domanda di accertamento dell’acquisto a titolo originario del corpo di fabbrica per cui e’ causa, avendo invece posto a fondamento della sua domanda di assegnazione del fabbricato in proprieta’ esclusiva la circostanza dell’assunzione per intero delle spese di costruzione con l’asserito consenso del (OMISSIS). Tale fatto, secondo il ricorrente, non potrebbe qualificarsi come “costitutivo” di un acquisto a titolo originario, ma (a tutto concedere) di un acquisto a titolo derivativo.

Unitamente a tale mezzo va esaminato, per la sua stretta connessione, il quinto motivo di ricorso, col quale si deduce (ex articolo 360 cod. proc. civ., n. 4) la violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto che la domanda riconvenzionale della societa’ (OMISSIS), relativa all’accertamento della proprieta’ esclusiva del fabbricato, fosse autodeterminata e per avere altresi’ ritenuto che la (OMISSIS) avesse fatto valere un titolo di acquisto della proprieta’ a titolo originario, piuttosto che un titolo di acquisto a titolo derivativo.

Le censure non sono fondate.

Va premesso, che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, alla quale il Collegio ritiene di dare continuita’, il diritto di proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento sono individuati solo in base al loro contenuto (ossia con riferimento al bene che ne costituisce l’oggetto), cosicche’ la causa petendi della domanda con la quale e’ chiesto l’accertamento di tali diritti si identifica con il diritto stesso (c.d. “diritti autodeterminati”) e non, come nel caso dei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.); titolo la cui deduzione, nel caso di diritti “autodeterminati”, e’ necessaria ai fini della prova del diritto, ma non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (Cass., Sez. 2, 16/05/2007, n. 11293; Cass., Sez. 2, 08/01/2015, n. 40). Pertanto, non ricorre alcuna violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ove il giudice accolga la domanda, accertando la sussistenza di un diritto c.d. “autodeterminato”, sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato dalla parte (Cass., Sez. 2, 21/11/2006, n. 24702; Cass., Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass., Sez. 2, 20/11/2007, n. 24141).

Alla stregua del richiamato principio di diritto, va esclusa la configurabilita’ del dedotto vizio di extrapetizione, non rilevando il titolo posto dalla societa’ convenuta a fondamento della pretesa declaratoria della proprieta’ esclusiva.

Va peraltro osservato che – nella specie – la societa’ convenuta non ha posto a fondamento del proprio asserito diritto di proprieta’ esclusiva scritture traslative della proprieta’ del suolo o costitutive di un diritto di superficie sul suolo comune o di una proprieta’ superficiaria dell’immobile (sul punto, cfr. Cassazione Sez. 2, 09/10/2017, n. 23547), ma ha dedotto – come fatti costitutivi del suo preteso diritto – mere situazioni fattuali, quali l’avvenuta assunzione dei costi di costruzione da parte della societa’ (OMISSIS) con il consenso del (OMISSIS), nonche’ la progettazione e costruzione delle opere “come aventi destinazione originaria, esclusiva, pertinenziale alle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva (OMISSIS)”.

In questo quadro, a prescindere dalla ricordata irrilevanza del titolo in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento di un diritto c.d. “autodeterminato”, risulta esente da vizi logici e giuridici la sentenza impugnata laddove essa ha escluso che la societa’ convenuta avesse chiesto l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprieta’ esclusiva della costruzione per cui e’ causa “a titolo derivativo”.

2. – Col secondo motivo, si deduce (ex articolo 360 cod. proc. civ., n. 3) la violazione e la falsa applicazione degli articoli 934, 840, 1102 e 1121 cod. civ., per avere la Corte di Appello ritenuto che l’assunzione dei costi delle opere da parte della societa’ (OMISSIS) avesse determinato in suo favore l’acquisto della proprieta’ dell’area ove insiste la costruzione, sottraendola all’altro comproprietario. Tale conclusione, a dire del ricorrente, darebbe luogo ad una sorta di espropriazione senza indennizzo nei confronti del comproprietario non costruttore e sarebbe, percio’, in patente contrasto con l’articolo 42 Cost..

Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe potuto escludere, nella specie, l’applicabilita’ del principio dell’accessione, tanto piu’ che i comproprietari del suolo non avevano concluso alcuna pattuizione che legittimasse l’appropriazione dell’area comune da parte della (OMISSIS), pattuizione che, trattandosi di beni immobili, avrebbe dovuto comunque rivestire la forma scritta ad substantiam. Dovrebbe dunque essere riconosciuto che le unita’ immobiliari realizzate nel sottosuolo sono di proprieta’ comune dei comproprietari del suolo in rapporto alle rispettive quote, salva la ripartizione tra di essi delle spese sostenute per la costruzione; in subordine, dovrebbe essere sollevata questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 934 cod. civ., come interpretato dalla giurisprudenza, per violazione dell’articolo 42 Cost..

Unitamente a tale motivo, va esaminato, in ragione della stretta connessione, il quarto mezzo di ricorso, col quale si deduce (ex articolo 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) la violazione dell’articolo 1350 cod. civ., nonche’ il difetto di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale dato rilievo ad asseriti accordi intervenuti tra le parti circa la proprieta’ delle unita’ immobiliari da costruire, omettendo di considerare che tali pretesi accordi – ove mai sussistenti sarebbero comunque nulli per mancanza della necessaria forma scritta, richiesta dalla legge ad substantiam in materia di costituzione, modificazione o trasferimento di diritti reali immobiliari. Si deduce ancora che i giudici di merito avrebbero omesso, nella motivazione della sentenza, di individuare l’atto scritto col quale le parti avrebbero legittimato il trasferimento della proprieta’ del suolo comune in favore della (OMISSIS) ovvero – eventualmente – costituito su di esso un diritto di superficie.

2.1. – Preliminarmente, va esaminata l’eccezione formulata dalla controricorrente societa’, con la quale si e’ dedotto che il (OMISSIS) avrebbe chiesto solo in appello l’accertamento dell’avvenuto acquisto per accessione, ai sensi dell’articolo 934 cod. civ., della proprieta’ della costruzione per cui e’ causa.

L’eccezione va rigettata, dovendo ritenersi che la richiesta di accertamento dell’avvenuto acquisto per accessione, da parte del (OMISSIS), della proprieta’ della costruzione de qua era implicita nella proposta domanda di scioglimento della comunione, costituendo il presupposto logico-giuridico di essa.

2.2. – Cio’ posto, prima di passare allo scrutinio dei motivi in esame, il Collegio ritiene di doversi brevemente soffermare sui caratteri essenziali dell’istituto dell’accessione.

Com’e’ noto, l’accessione costituisce espressione del carattere “assoluto” del diritto di proprieta’ (che l’articolo 832 cod. civ. definisce il “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), della pretesa del suo titolare – valevole erga omnes – di non essere disturbato nel suo godimento da qualsiasi terzo; dal che l’idea che il dominium su una determinata res non consente un concorrente dominio altrui su una cosa che sia divenuta parte della stessa res, si’ da perdere la propria autonomia.

L’istituto dell’accessione, quale modo di acquisto della proprieta’ “a titolo originario”, affonda le sue radici nel diritto romano, che pero’ non pervenne all’elaborazione di un concetto unitario di esso in grado di ricomprenderne le varie fattispecie (inaedificatio, satio, implantatio, adluvio, avulsio, etc.); si deve, invece, all’opera dei giuristi medievali (soprattutto dei glossatori) l’elaborazione dell’accessione come figura giuridica unitaria (nella quale furono inquadrate le varie fattispecie di tradizione romanistica), che – come tale – fu recepita nel codice napoleonico, per essere poi trasfusa nel primo codice civile dell’Italia unita.

Non e’ un caso se il codice civile del 1865, ancora ispirato al mito illuministico della completezza ed esaustivita’ della legge, forniva una definizione unitaria dell’accessione. L’articolo 443 di tale codice disponeva, infatti, che “La proprieta’ di una cosa, sia mobile che immobile, attribuisce diritto su quanto essa produce, o vi si unisce naturalmente o coll’arte: questo diritto si chiama diritto d’accessione”.

Il codificatore del 1942, a fronte delle critiche della dottrina, non ha inteso dare una definizione legislativa dell’accessione; esso, piuttosto, ha dettato una disciplina piu’ agile dell’istituto, espungendo dalle norme sull’accessione la materia dei frutti (disciplinata nel titolo I, dedicato ai “beni”, del libro della proprieta’) e adottando dell’accessione una nozione piu’ ristretta (come si evince dalla intitolazione della sezione II del capo III del titolo II dello stesso libro) – limitata alle piantagioni, costruzioni o altre opere fatte sopra il suolo (c.d. “accessione di mobile ad immobile” o “accessione verticale”) – che lascia fuori, quali figure autonome, tanto quelle tradizionalmente ricondotte alla “accessione di mobile a mobile” (unione e commistione, specificazione) quanto quelle ricondotte alla “accessione di immobile ad immobile” o “accessione orizzontale” (le varie figure dei c.d. incrementi fluviali).

Nonostante la frammentazione delle varie fattispecie tradizionalmente ricondotte all’accessione, la dottrina rinviene il carattere ad esse comune nel fatto che l’acquisto della proprieta’ e’ legato al solo fatto materiale ed obiettivo dell’incorporazione (c.d. “attrazione reale”), da intendersi come “unione stabile” di una cosa con un’altra, non rilevando se essa sia avvenuta per evento naturale o per opera dell’uomo. La proprieta’ si acquista ipso iure al momento dell’incorporazione; quest’ultima e’ un fatto giuridico in senso stretto, ossia un fatto che determina l’effetto giuridico dell’acquisto della proprieta’ a prescindere dalla volonta’ dell’uomo.

In questo senso, l’accessione costituisce un “meccanismo oggettivo” di acquisto della proprieta’: la volonta’ dell’uomo – ove pure vi sia – non assume rilievo giuridico ne’ influisce positivamente sull’acquisto della proprieta’ (cfr. Cass., sez. 2, 06/06/2006, 13215; Cass., Sez. 2, 15/05/2013, n. 11742; Cass., Sez. 1, 12/06/1987, n. 5135).

Fattore unificante delle varie figure di accessione e’ la regola per cui il proprietario della “cosa principale” diviene proprietario della “cosa accessoria” quando quest’ultima si congiunge stabilmente alla prima (“accessorium cedit principali”). Il diritto di proprieta’ sulla cosa principale esercita, percio’, una vis attractiva sulla proprieta’ della cosa accessoria. E mentre con riguardo all’accessione di mobile a mobile spetta al giudice accertare in concreto – tenendo conto dei criteri della funzione e del valore – quale sia la cosa principale e quale quella accessoria, nel caso dell’accessione c.d. verticale e’ la stessa legge (articolo 934 e segg. cod. civ.) ad individuare la “cosa principale” nel bene immobile (il suolo), sancendo la sua preminenza sulle cose mobili che vi sono incorporate, in ragione dell’importanza economico-sociale che ad esso si riconosce (anche se tale regola non manca delle sue eccezioni: come nel caso della c.d. “accessione invertita” di cui all’articolo 938 cod. civ., cui puo’ farsi ricorso ove vi sia stata occupazione parziale di un fondo altrui). Sicche’, quando riguarda un bene immobile, l’accessione si coniuga col principio per cui la proprieta’ immobiliare (c.d. “proprieta’ fondiaria”) si estende in linea verticale teoricamente all’infinito, sia nel sottosuolo che nello spazio sovrastante al suolo, fin dove l’uno e l’altro siano suscettibili di utilizzazione economica, ossia fin dove il proprietario del suolo abbia interesse ad escludere le attivita’ di terzi (articolo 840 cod. civ., comma 2).

L’articolo 934 cod. civ., che apre le disposizioni codicistiche dedicate all’accessione, detta la “regola generale” di tale modo di acquisto della proprieta’ – trasposizione dell’antico principio romanistico “quidquid inaedificatur solo cedit” (o “superficies solo cedit”) secondo cui “Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo e dalla legge”; e gli articoli che seguono tale disposizione – disciplinando specificamente il caso delle opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui (articolo 935 cod. civ.), quello delle opere fatte dal terzo con materiali propri (articolo 936 cod. civ.) e quello delle opere fatte dal terzo con materiali altrui (articolo 937 cod. civ.) – confermano la preminenza assegnata dal legislatore al bene immobile sul bene mobile (sia pure con i temperamenti di volta in volta previsti).

La regola dell’accessione, nella misura in cui consente la ricompattazione e la semplificazione delle situazioni di appartenenza punta a salvaguardare l’interesse generale al piu’ razionale sfruttamento economico del suolo, ma costituisce soprattutto – anche grazie al sistema della pubblicita’ immobiliare – presidio della certezza dei rapporti giuridici e della sicurezza della circolazione della proprieta’. Essa finisce per limitare lo stesso potere del proprietario del suolo di disporre del suo diritto, non potendo egli alienare il suolo e la costruzione l’uno separatamente dall’altro, salvo a costituire con atto redatto nelle forme di legge (articolo 1350 cod. civ.) e soggetto all’onere della trascrizione (articolo 2643 e segg. cod. civ.) – un diritto reale di superficie (sub specie di proprieta’ superficiaria) (articoli 952 e segg. cod. civ.).

2.3. – Orbene, premesso quanto sopra in ordine ai caratteri essenziali dell’accessione, occorre ritornare ora allo scrutinio del secondo e del quarto motivo di ricorso, con i quali – come si e’ veduto – viene sottoposta la questione circa la possibilita’ che l’accessione operi quando la proprieta’ del suolo sia comune a piu’ soggetti (c.d. comunione o comproprieta’) ed uno solo (o alcuni soltanto) di essi abbia edificato sul suolo comune; questione, questa, relativamente alla quale – come ha evidenziato l’ordinanza di rimessione – si fronteggiano due opposti indirizzi giurisprudenziali.

Secondo un primo indirizzo, piu’ risalente, il principio dell’accessione (articolo 934 cod. civ.) opererebbe anche nel caso di comunione, per cui la costruzione su suolo comune, pur se eseguita da uno solo dei comunisti, diverrebbe anch’essa comune, mano a mano che viene edificata, salvo contrario accordo scritto. La nuova costruzione diverrebbe, ai sensi dell’articolo 934 cod. civ., automaticamente di proprieta’ di tutti i contitolari del suolo comune, secondo le quote spettanti su detto suolo a ciascuno di essi, salvo il diritto del costruttore al rimborso pro quota delle spese sostenute (Cass., Sez. 2, 11/07/1978, n. 3479; Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Sez. 1, 23/02/1999, n. 1543).

Secondo l’opposto e piu’ recente orientamento, oggi prevalente, la fattispecie dell’accessione di cui all’articolo 934 cod. civ. si riferirebbe solo alle costruzioni od opere eseguite su terreno altrui, presupporrebbe cioe’ che il costruttore sia un “terzo” rispetto ai proprietari del suolo; e poiche’ il comproprietario costruttore non puo’ essere considerato “terzo” rispetto agli altri comunisti, la fattispecie della costruzione eseguita da uno dei comproprietari su suolo comune non potrebbe essere regolata dall’articolo 934 cod. civ., ma sarebbe invece regolata dalla disciplina in materia di comunione, che configurerebbe una deroga al principio dell’accessione. In particolare, secondo tale giurisprudenza, la nuova costruzione sarebbe di proprieta’ comune a tutti i comunisti se eseguita in conformita’ alle regole del condominio, cioe’ con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario all’uso delle cose comuni (articolo 1102 cod. civ.); apparterrebbe, invece, solo al comproprietario costruttore se eseguita in violazione della disciplina condominiale (costruzione “illegittima”) (Cassazione Sez. 2, 27/03/2007, n. 7523; Cass., Sez. 2, 18/04/1996, n. 3675; Cass., Sez. 2, 22/03/2001, n. 4120; Cass., Sez. 2, 24/01/2011, n. 1556).

2.4. – La Corte ritiene che il piu’ recente orientamento giurisprudenziale non possa essere condiviso per le seguenti ragioni.

2.4.1. – Innanzitutto, il Collegio non reputa fondato l’assunto posto a fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale in esame secondo cui presupposto indefettibile dell’accessione sarebbe la qualita’ di “terzo” del costruttore rispetto al proprietario del suolo; dal che discenderebbe – secondo tale opinione – che, nel caso in cui il suolo appartenga in comunione a piu’ soggetti, non potendo il comproprietario costruttore essere considerato “terzo” rispetto agli altri comunisti, l’accessione non potrebbe operare.

Va premesso che, secondo l’insegnamento consolidato di questa Corte regolatrice, in materia di accessione, e’ “terzo” colui che non sia legato al proprietario del suolo da un rapporto giuridico, di natura reale o personale, che lo legittimi a costruire sul fondo medesimo. Ove invece sussista un diritto reale o personale che assegni al terzo la facolta’ di edificare su suolo altrui viene meno la ragione di applicare la disciplina dell’accessione intesa come ipotesi di soluzione del conflitto tra contrapposti interessi, perche’ il conflitto risulta assoggettato ad una disciplina specifica (ad es.: gli articoli 1592 e 1593 cod. civ. in tema di miglioramenti e addizioni nel rapporto di locazione; gli articoli 983, 985 e 986 in tema di usufrutto; etc.) (cfr. Cass., Sez. 2, 05/02/1983, n. 970; Cass., Sez. 2, 14/12/1994, n. 10699). Si e’ ritenuto percio’ che, ove sussista una comunione del suolo ed uno solo dei comproprietari del suolo costruisca su di esso, non e’ applicabile l’articolo 936 cod. civ. (dettato per le “Opere fatte da un terzo”), non potendo il comproprietario costruttore essere qualificato “terzo” rispetto agli altri comproprietari del suolo (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 2, 14/01/2009, n. 743; Cass., Sez. 2, 14/12/1994, n. 10699; Cass., Sez. 2, 27/08/1986, n. 5242).

Cio’ premesso, va tuttavia osservato che un esame obiettivo del complesso della disciplina codicistica consente di ritenere, in accordo con autorevole dottrina, che l’operare dell’istituto dell’accessione non e’ affatto precluso dalla circostanza che, in presenza di una comunione del suolo, la costruzione sia realizzata da uno (o da alcuni) soltanto dei comproprietari.

Diversi argomenti conducono a tale conclusione.

In primo luogo, sul piano dell’interpretazione letterale della legge, va rilevato che l’articolo 934 cod. civ. – che detta la “regola generale” in materia di accessione – non contiene alcun riferimento soggettivo al costruttore. La norma enuncia il principio per cui “Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo” e prescinde del tutto da chi sia la persona del costruttore.

Si tratta di una nozione ampia di accessione che fa parte della tradizione giuridica dell’istituto nel nostro ordinamento e che si collega idealmente alla onnicomprensiva definizione di accessione contenuta nell’articolo 443 cod. civ. 1865, che includeva persino l’acquisto dei frutti prodotti dal fondo (cfr. articolo 444 cod. civ. abrogato); una nozione che non esclude l’accessione neppure nel caso di costruzioni realizzate dallo stesso proprietario del suolo.

Conferma di quanto detto si ricava dall’interpretazione sistematica del complesso delle norme relative all’accessione e, in particolare, dal fatto che le fattispecie di accessione relative al caso in cui il costruttore sia un “terzo” rispetto ai proprietari del suolo sono specificamente contemplate e regolate negli articoli 936 e 937 cod. civ. (disposizioni che disciplinano l’accessione rispettivamente nel caso in cui le opere siano state realizzate “da un terzo con materiali propri” ovvero “da un terzo con materiali altrui”).

Essendo le ipotesi in cui le opere siano state eseguite da un soggetto “terzo” rispetto al proprietario del suolo regolate dai richiamati articoli 936 e 937 cod. civ., va escluso che l’articolo 934 cod. civ. possa riferirsi alle medesime opere eseguite dal terzo.

Altra conferma del fatto che l’applicabilita’ dell’articolo 934 cod. civ. non e’ subordinata alla qualita’ di terzo del costruttore si desume, peraltro, dall’articolo 935 cod. civ., che disciplina l’accessione nel caso in cui l’opera sia stata edificata dal proprietario del suolo “con materiali altrui”; fattispecie – questa – nella quale l’accessione opera nonostante vi sia coincidenza tra costruttore e dominus soli.

Infine, ulteriore conferma del fatto che l’accessione non presuppone affatto l’alterita’ soggettiva tra proprietario del suolo e costruttore si ricava anche dalla giurisprudenza elaborata da questa Corte in tema di “comunione legale tra i coniugi”, laddove si e’ affermato che la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul suolo di proprieta’ esclusiva di uno solo di essi, appartiene a quest’ultimo in forza del principio di accessione e, pertanto, non entra a far parte della comunione legale (Cass., Sez. U, 27/01/1996, n. 651; Cassazione n. 20508/2010).

Si tratta di un principio che riconosce l’operare dell’accessione, ai sensi dell’articolo 934 cod. civ., in favore del coniuge proprietario esclusivo del suolo, nonostante che egli stesso sia l’autore della costruzione (sia pure unitamente all’altro coniuge), nonostante cioe’ che il costruttore non sia “terzo” rispetto al proprietario del suolo. Anche da tale principio giurisprudenziale si ricava, percio’, conferma della conclusione secondo cui l’accessione non presuppone che il costruttore dell’opera sia “terzo” rispetto alla proprieta’ del suolo.

E allora, a meno di voler ridurre l’articolo 934 cod. civ. ad una disposizione meramente enunciativa di una definizione giuridica (simile all’articolo 443 cod. civ. abrogato) priva di immediata efficacia precettiva (cio’ che, tuttavia, non sarebbe conforme ne’ alla lettera della legge ne’ all’intenzione del codificatore), deve concludersi che l’articolo 934 cod. civ. detta la “regola generale” dell’accessione, che costituisce norma immediatamente applicabile e destinata a regolare tutte quelle fattispecie in cui l’incorporazione di piantagioni o materiali al suolo non trovi specifica disciplina in diverse disposizioni di legge.

Tra tali fattispecie rientra certamente il caso in cui il suolo appartenga in comunione a piu’ soggetti ed uno (o alcuni) soltanto di essi abbia realizzato una costruzione sul suolo comune.

Non e’ inutile osservare in proposito che, nel caso di costruzione del singolo comunista sul suolo comune, l’accessione non perde la propria ragion d’essere giuridica: basti considerare che, proprio grazie all’accessione, l’alienazione del suolo comporta l’automatica alienazione di quanto su di esso incorporato, senza necessita’ di un separato atto di alienazione dei materiali ad esso stabilmente uniti e senza che – in mancanza di un tale atto – l’acquirente corra il rischio di vedersi disturbato nel godimento del fondo da alcuno dei suoi danti causa.

Puo’ ritenersi, dunque, che tanto l’interpretazione letterale quanto l’interpretazione sistematica delle norme codicistiche relative all’accessione depongono nel senso che la “regola generale” dell’accessione di cui all’articolo 934 cod. civ. prescinde dal riferimento soggettivo all’autore della costruzione e che non vi sono ragioni per escludere che essa – legata com’e’ al mero fatto dell’incorporazione dei materiali al suolo – operi anche nel caso di costruzione realizzata dal singolo comproprietario sul suolo comune.

2.4.2. – Il Collegio non condivide neanche l’altro assunto, posto a fondamento della giurisprudenza criticata, secondo cui, allorquando il suolo su cui sono eseguite le opere appartiene a piu’ soggetti, l’articolo 934 cod. civ. sarebbe derogato dalla disciplina della comunione.

E’ vero che la regola generale dell’accessione posta dall’articolo 934 cod. civ. vale – secondo quanto previsto dall’ultimo inciso della disposizione (“salvo che risulti diversamente (…) dalla legge”) – a condizione che non sia derogata da una norma di legge a carattere speciale (“lex specialis derogat legi generali”). Non e’ vero, tuttavia, che la disciplina giuridica della comunione integri una deroga all’istituto dell’accessione.

Non esiste, tra accessione e comunione, alcun rapporto tra genus ad speciem.

Invero, la disciplina giuridica della comunione (articolo 1100 e segg. cod. civ.) punta a regolare i rapporti tra comproprietari nell’uso e nel godimento della cosa comune (articolo 1102 cod. civ.), a fissare i limiti entro cui e’ consentito il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione del bene comune o sono permesse le innovazioni e la disposizione della cosa comune, con la garanzia delle ragioni delle minoranze (articoli 1108 e 1120 cod. civ.). Nessuna delle norme che regolano la comunione e’, tuttavia, atta ad incidere sui modi di acquisto della proprieta’ o a mutare l’assetto della proprieta’ comune, si’ da poter configurare una disciplina speciale, e quindi una deroga, rispetto al principio di accessione.

Peraltro, l’articolo 1102 cod. civ. – che costituisce la norma fondamentale in materia di comunione (applicabile anche alla materia del condominio degli edifici in virtu’ del richiamo contenuto nell’articolo 1139 cod. civ.) – consente a ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune “purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.

La medesima ratio e’ posta a fondamento degli articoli 1108 e 1120 cod. civ., che consentono le innovazioni deliberate dalle maggioranze ivi previste, ma sempre a condizione che si tratti di innovazioni che non pregiudichino l’uso e il godimento della cosa comune da parte di alcuno dei partecipanti.

Orbene, queste norme escludono in radice che il singolo comproprietario, senza il consenso degli altri comunisti, possa cambiare destinazione al suolo comune ed edificare su di esso con l’intento di appropriarsi del medesimo ed escludere gli altri comproprietari dal suo godimento.

L’esistenza di un pari diritto di ogni comunista sulla cosa comune, infatti, e’ incompatibile con l’assunto che uno solo di essi possa divenire proprietario esclusivo dell’opera e del suolo comune su cui essa insiste.

D’altra parte, il comproprietario che costruisce senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione realizza una alterazione della destinazione della cosa comune ed impedisce agli altri comunisti di fare uso di essa secondo il loro diritto; egli infrange la disciplina della comunione e commette un “atto illecito”, come “illegittima” e’ la costruzione realizzata sul suolo comune (Cassazione n. 1556/2011; Cass., Sez. 2, 21/05/2001, n. 6921).

Dunque, essendo la disciplina della comunione destinata a regolare i rapporti tra comproprietari nell’uso e nel godimento della cosa comune e non contenendo tale disciplina alcuna norma in grado di determinare l’attrazione della nuova opera nella sfera patrimoniale esclusiva del comunista costruttore, va ripudiata l’idea che la disciplina della comunione costituisca deroga a quella relativa ai modi di acquisto della proprieta’, si’ da escludere l’operare dell’accessione.

2.4.3. – Il Collegio non condivide neppure la conclusione secondo cui la costruzione edificata da uno solo dei comproprietari sul suolo comune diverrebbe di proprieta’ comune di tutti i comunisti solo se eseguita in conformita’ alle regole che disciplinano la comunione, cioe’ con il rispetto dei limiti posti al comproprietario nell’uso della cosa comune (articolo 1102 cod. civ.), mentre apparterrebbe in proprieta’ esclusiva al solo comproprietario costruttore se eseguita in violazione della detta disciplina (costruzione “illegittima”).

Innanzitutto, se venisse esclusa l’applicabilita’ del principio di accessione in materia di comunione, non sarebbe dato comprendere sulla base di quale diverso principio la costruzione edificata da uno solo dei comproprietari possa divenire comune agli altri comunisti ove sia eseguita in conformita’ alle regole che disciplinano la comunione; ma risulterebbe anche, a maggior ragione, incomprensibile come il comproprietario costruttore che, violando la disciplina della comunione, abbia edificato sul suolo comune possa divenire proprietario esclusivo della costruzione, cosi’ sottraendo agli altri comunisti la proprieta’ del suolo su cui insiste la costruzione (a tale conclusione sembra addivenire la giurisprudenza criticata nella misura in cui non prospetta una proprieta’ del suolo occupato dalla costruzione diversa dalla proprieta’ della costruzione stessa).

Il vero e’ che, nella sostanza, la giurisprudenza criticata, una volta esclusa l’applicabilita’ del principio di accessione in materia di comunione e ritenuta applicabile solo la disciplina di cui agli articoli 1100 e segg. cod. civ., e’ venuta a creare di fatto, per via pretoria, una nuova figura di “acquisto a titolo originario” della proprieta’, che non ha base legale.

Sul punto, va pero’ osservato che sia la Costituzione (articolo 42, secondo comma, a tenore del quale spetta alla legge determinare i modi di acquisto della proprieta’) che il codice civile (articolo 922, che, nell’elencare i vari modi di acquisto della proprieta’, conclude con la formula “e negli altri modi stabiliti dalla legge”) configurano una vera e propria “riserva di legge” in ordine ai modi di acquisto della proprieta’, in forza della quale la proprieta’ puo’ acquistarsi solo nei modi “legali”, solo nei modi che il legislatore ha inteso prevedere (non solo – ovviamente – in seno al codice civile, ma anche in altri campi del diritto: si pensi ai vari casi di appropriazione coattiva previsti dal diritto pubblico o dal diritto processuale in materia esecutiva), non potendosi ammettere modi di acquisto della proprieta’ (o di altri diritti reali) diversi da quelli che il legislatore abbia previsto e disciplinato.

E allora, ritenere, per via pretoria, che la violazione delle norme sulla comunione consenta al singolo comproprietario che costruisca sul suolo comune di acquistare la proprieta’ della costruzione e del suolo, in danno degli altri comunisti, costituirebbe una patente violazione della “riserva di legge” relativa ai modi di acquisto della proprieta’.

Per di piu’, va ricordato che la tutela della proprieta’ privata trova fondamento, oltre che nell’articolo 42 Cost., nello stesso codice del 1942. L’articolo 834 cod. civ., comma 1, quasi anticipando la previsione della futura Carta costituzionale, stabilisce “Nessuno puo’ essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprieta’, se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di giusta indennita’”; e l’articolo 1102 cod. civ., comma 2, espressamente preclude al singolo compartecipe di estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri compartecipi, salvo che “muti il titolo del suo possesso” (addivenendo all’acquisto per usucapione ove ricorrano i presupposti richiesti dall’articolo 1158 cod. civ.).

Percio’, ammettere che i comproprietari non costruttori possano perdere la proprieta’ della cosa comune per il semplice fatto della iniziativa di altro comproprietario, dando luogo ad una sorta di espropriazione della proprieta’ privata in assenza di un interesse generale e senza indennizzo, contrasta con i principi generali che reggono la materia e con la stessa Carta fondamentale (articolo 42 Cost.).

Si tratta, peraltro, di una soluzione contraria ad ogni logica e al comune senso di giustizia, perche’ finisce col premiare, piuttosto che sanzionare, il comproprietario che commette un abuso in danno degli altri comproprietari.

2.5. – In definitiva, alla luce di quanto sopra detto, il Collegio ritiene che la disciplina della comunione non configuri affatto una deroga legale al principio di accessione di cui all’articolo 934 cod. civ. e che quest’ultimo operi anche quando il suolo appartiene in comunione a piu’ soggetti ed uno solo (o alcuni soltanto) di essi abbia provveduto a realizzare una costruzione o altra opera.

Come si e’ detto, l’accessione costituisce un mero fatto giuridico, che opera per il solo fatto dell’incorporazione. L’acquisto della proprieta’ per accessione prescinde dalla volonta’ di alcuno e non e’ escluso dalla buona fede del costruttore; cosicche’, nel caso di comunione del suolo e di costruzione eseguita su di esso da uno o da alcuni soltanto dei comunisti, tutti i comproprietari del suolo (costruttori e non costruttori) acquistano la proprieta’ della costruzione, in rapporto alle rispettive quote, per il semplice fatto di essere comproprietari del suolo.

E’ ben vero che l’articolo 934 cod. civ. fa salve le deroghe alla regola dell’accessione previste dalla “legge” o dal “titolo”.

Tuttavia, nessuna delle deroghe all’operare dell’accessione previste dalla legge – quella relativa alle opere destinate all’esercizio della servitu’ eseguite dal proprietario del fondo dominante sul fondo servente (articolo 1069 cod. civ.); o quelle relative alle addizioni eseguite dall’enfiteuta (articolo 975 cod. civ., comma 3), dall’usufruttuario (articolo 986 cod. civ., comma 2), dal possessore (articolo 1150 cod. civ., comma 5) e dal locatore (articolo 1593 cod. civ.), laddove lo ius tollendi opera quasi sempre in deroga all’accessione, se non ne venga nocumento alla cosa – riguardano il caso della comunione del suolo.

Quanto al titolo negoziale idoneo ad escludere l’operare dell’accessione, esso – com’e’ noto – non puo’ essere costituito da un negozio unilaterale, essendo invece necessario un apposito contratto stipulato tra il proprietario del suolo e il costruttore dell’opera, che attribuisca a quest’ultimo il diritto di proprieta’ sulle opere realizzate (Cass., Sez. 3, 07/07/1980, n. 4337; Cass., Sez. 2, 21/02/2005, n. 3440).

Costituiscono titoli idonei a impedire l’operare dell’accessione, quelli costitutivi di diritti reali, fra i quali si colloca, oltre alla costituzione diretta di un diritto di superficie (articolo 952 e segg. cod. civ.), la c.d. concessione ad aedificandum, con la quale il proprietario del suolo rinuncia a fare propria la costruzione che sorgera’ su di esso. Trattandosi di contratti relativi a diritti reali immobiliari, essi, ai sensi dell’articolo 1350 cod. civ., devono rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. 1, 23/02/1999, n. 1543; Cass., Sez. 2, 11/11/1997, n. 11120; Cass., Sez. 2, 19/04/1994, n. 3714; Cass., Sez. 2, 27/10/1984, n. 5511); come anche per iscritto deve risultare la rinuncia del proprietario al diritto di accessione, che si traduce sostanzialmente nella costituzione di un diritto di superficie (Cass., Sez. 1, 15/12/1966, n. 2946).

Percio’, in mancanza di valido contrario titolo, qualunque costruzione edificata sul suolo comune – non solo da terzi (caso che ricadrebbe nelle fattispecie di cui agli articoli 936 e 937 cod. civ.), ma anche da uno o da alcuni soltanto dei comproprietari – diviene ipso iure, per il solo fatto dell’incorporazione e a prescindere dalla volonta’ manifestata dalle parti al di fuori delle forme prescritte dall’articolo 1350 cod. civ., di proprieta’ comune di tutti comproprietari del suolo in proporzione alle rispettive quote dominicali.

2.6. – Una volta stabilito che – in virtu’ dell’operare dell’accessione – la costruzione su suolo comune appartiene a tutti i comproprietari del medesimo in proporzione alle rispettive quote di proprieta’ (salva l’esistenza di contrario titolo, nei termini sopra richiamati), rimane da stabilire quale sia il “regime giuridico” che deve disciplinare i rapporti tra il comproprietario costruttore e gli altri comproprietari (divenuti ope legis comproprietari della costruzione).

L’articolo 934 cod. civ. nulla dispone circa la disciplina che deve regolare i rapporti tra costruttore e proprietario del suolo; e la giurisprudenza di questa Corte – come si e’ detto – e’ costante nell’escludere che la materia possa essere regolata dall’articolo 936 cod. civ., essendo questa una disposizione relativa alle “Opere fatte da un terzo” e non potendo il comproprietario essere qualificato “terzo” rispetto agli altri comproprietari del suolo (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 2, 14/01/2009, n. 743; Cass., Sez. 2, 14/12/1994, n. 10699).

Il Collegio ritiene che la disciplina giuridica che deve regolare i rapporti tra comproprietario costruttore e comproprietario non costruttore vada ricavata dalle norme che regolano la comunione: innanzitutto, dalle norme che regolano l’uso della cosa comune e le innovazioni.

Invero, la costruzione su suolo comune – in quanto innovazione deve essere deliberata secondo quanto previsto dall’articolo 1108 cod. civ. (per la comunione ordinaria) e dagli articoli 1120 e 1121 cod. civ. (per il condominio degli edifici), sempre col limite di non pregiudicare il godimento della cosa comune da parte di alcuno dei partecipanti.

Percio’, quando la costruzione e’ stata edificata senza la preventiva autorizzazione della maggioranza dei condomini ovvero quando essa pregiudichi comunque il godimento della cosa comune da parte di tutti i comproprietari, il comproprietario che ha patito pregiudizio dalla costruzione puo’ esercitare – nei confronti del comproprietario costruttore – le ordinarie azioni possessorie (cfr., in tema di azione di manutenzione, Cass., Sez. 2, 17/10/2006, n. 22227) e l’azione di rivendicazione (Cass., Sez. 2, 28/08/1990, n. 8884).

Il comproprietario leso puo’ anche esercitare lo ius tollendi e pretendere la demolizione dell’opera lesiva del suo diritto, ricorrendo alla tutela in forma specifica ex articolo 2933 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 2, 13/11/1997, n. 11227). La demolizione dell’opera puo’ essere anche decisa – al di fuori del caso di lesione del diritto del singolo comunista – dalla maggioranza dei comproprietari ai sensi dell’articolo 1108 cod. civ..

Il Collegio ritiene, tuttavia, che l’esercizio dello ius tollendi debba essere coniugato con il principio di “tolleranza”, col principio di “affidamento” e con quello di “buona fede” (in ordine a tali principi, ex plurimis, v. Cassazione Sez. Unite, 27/04/2017, n. 10413; Cass., Sez. U, 15/11/2007, n. 23726).

Si tratta, peraltro, di principi sottesi al disposto dell’articolo 936 cod. civ., comma 4, laddove esso stabilisce che “il proprietario non puo’ obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede”.

E’ vero che tale disposizione (relativa al caso del “terzo costruttore”) non e’ applicabile al diverso caso delle opere edificate dal comproprietario sul suolo comune; cio’ non vuol dire pero’ che in tale ipotesi non debba tenersi conto egualmente dei principi di tolleranza e di affidamento, nonche’ del principio di buona fede.

Trattasi di principi generali immanenti all’ordinamento giuridico, in quanto tali sottesi all’intera disciplina del codice civile, che devono sempre essere tenuti in conto dal giudice.

E’ necessario, allora, tener distinti il caso in cui il comproprietario costruttore abbia agito contro l’esplicito divieto del comproprietario o all’insaputa di questi dal diverso caso in cui egli abbia agito, se non col consenso, quanto meno a scienza e senza opposizioni dell’altro comproprietario.

Nel primo caso, ove vi sia stata violazione delle norme in tema di condominio, va riconosciuto lo ius tollendi al comproprietario non costruttore, il quale puo’ senz’altro agire per ottenere il ripristino dello status quo ante.

Nel secondo caso, invece, essendovi stato il consenso esplicito o anche meramente implicito del comproprietario non costruttore, va escluso – a tutela della buona fede e dell’affidamento del costruttore – che il primo possa pretendere la demolizione dell’opera.

Per la medesima ragione anche la mera tolleranza, ossia la mancata reazione da parte del comproprietario non costruttore all’abuso intrapreso dal comunista costruttore, protratta per un congruo periodo di tempo dal giorno in cui ha avuto notizia dei lavori, preclude l’esercizio dello ius tollendi, facendo sorgere l’affidamento del costruttore sul sopravvenuto consenso implicito del compartecipe alla comunione.

Il consenso alla costruzione dell’opera, manifestato da un comunista all’altro, puo’ essere dato con qualunque forma (anche verbalmente), non attenendo esso alla sfera dei diritti reali e non facendo venir meno l’operativita’ dell’accessione e, quindi, l’acquisto della proprieta’ della costruzione da parte di tutti i comunisti in rapporto alle rispettive quote dominicali; il suo rilievo giuridico non attiene all’acquisto della proprieta’ della costruzione, ma ai reciproci diritti e obblighi dei comproprietari, e ai loro rispettivi poteri, relativamente ad un’opera divenuta comunque comune.

Trattandosi di un consenso che non incide sulla proprieta’ della costruzione, esso puo’ essere dimostrato con ogni mezzo di prova.

Va aggiunto che, ove lo ius tollendi non venga (o non possa essere) esercitato, sorge, in favore del comproprietario costruttore, un diritto di credito nei confronti degli altri comunisti, divenuti per accessione comproprietari dell’opera; nasce cioe’ tra le parti un rapporto obbligatorio in forza del quale i comproprietari non costruttori sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprieta’, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera, secondo le norme che regolano la comunione e gli altri istituti di volta in volta applicabili (mandato, negotiorum gestio, arricchimento senza causa, etc.).

2.7. – Premesso quanto sopra, tornando all’esame della fattispecie concreta sottoposta al giudizio di questa Suprema Corte, va rilevato come le rationes decidendi della sentenza impugnata contrastino con i principi di diritto sopra esposti.

I giudici di merito hanno ritenuto che l’istituto dell’accessione di cui all’articolo 934 non potesse operare nel caso di costruzione edificata da uno solo dei comproprietari su suolo comune ed hanno ritenuto che la costruttrice societa’ (OMISSIS) fosse divenuta ab origine unica proprietaria della costruzione in virtu’ di accordi non bene individuati, ne’ in ordine al loro contenuto ne’ in ordine alla loro forma.

Cosi’ facendo, la Corte territoriale ha mostrato di non tener conto del principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice secondo cui i contratti traslativi della proprieta’ di beni immobili o costitutivi, modificativi o traslativi di diritti reali immobiliari su cosa altrui devono, ai sensi dell’articolo 1350 cod. civ., rivestire la forma scritta ad substantiam (Cass., Sez. 1, 23/02/1999, n. 1543; Cass., Sez. 2, 19/04/1994, n. 3714; Cass., Sez. 2, 27/10/1984, n. 5511; Cass., Sez. 2, 16/03/1984, n. 1811); sicche’ e’ nulla la promessa verbale del proprietario del suolo di trasferire ad altro la proprieta’ del manufatto su di esso edificato (cfr. Cass., Sez. 2, 26/11/1988, n. 6380); come, d’altra parte, la concessione ad aedificandum convenuta verbalmente, e quindi senza un atto scritto, non acquista efficacia reale, ma da’ vita ad un rapporto meramente obbligatorio, ossia ad un diritto personale nei confronti del concedente (Cass., Sez. 1, 17/12/1968, n. 4006; Cass., Sez. 2, 10/07/1985, n. 4111).

La Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, verificare se fosse stato stipulato tra le parti un contratto redatto in forma scritta avente ad oggetto il trasferimento della proprieta’ del suolo su cui insiste la costruzione realizzata dalla societa’ convenuta ovvero la costituzione di un diritto di superficie o di altro diritto reale in grado di separare la proprieta’ del suolo dalla proprieta’ della costruzione ovvero – ancora se il (OMISSIS) avesse posto in essere (sempre con la dovuta forma scritta richiesta dall’articolo 1350 cod. civ., n. 5) una rinunzia abdicativa alla propria quota di comproprieta’ (con conseguente accrescimento del diritto di proprieta’ della (OMISSIS)) ai sensi dell’articolo 1104 cod. civ., comma 1, (sul punto, cfr. Cass., Sez. 2, 25/02/2015, n. 3819; Cass., Sez. 2, 06/07/1968, n. 2316); e non avrebbe potuto dare improprio rilievo, ai fini del riconoscimento della proprieta’ della costruzione, al consenso manifestato “verbalmente” dal (OMISSIS) o al fatto che quest’ultimo si fosse reso esecutore materiale della costruzione su incarico della societa’ (OMISSIS) o alla circostanza che soltanto tale societa’ avesse sopportato i costi di costruzione (circostanze – queste – rilevanti ai fini della verifica della spettanza al (OMISSIS) dello ius tollendi, ma non in grado di incidere sull’acquisto della proprieta’ della costruzione).

Non rimane, pertanto, che cassare la sentenza impugnata in relazione al secondo e al quarto motivo di ricorso, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, che, ai sensi dell’articolo 384 cod. proc. civ., comma 2, si uniformera’ ai seguenti principi di diritto:

– “La costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell’articolo 934 cod. civ., di proprieta’ comune agli altri comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprieta’ del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam”;

– “Il consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, vale a precludergli l’esercizio dello ius tollendi”;

– “Ove lo ius tollendi non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprieta’, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera”.

3. – Gli altri motivi rimangono assorbiti.

4. – Il giudice di rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il quinto, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.