è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem.

Corte d’Appello Cagliari, civile Sentenza 10 gennaio 2019, n. 8

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DI SASSARI

composta dai magistrati

dott. Maria Teresa Spanu – Presidente

dott. Cristina Fois – Consigliere

dott. Ilaria Macchi – Giudice Ausiliare relatore

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 403/2012 R.G.

Tra

(…) ((…): (…)), (…) ((…): (…)) rappresentati e difesi dall’Avv. Sa.Pi. e dall’Avv. Ma.Mu. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Sa.Pi. in Alghero Via (…) come da procura speciale in data 27.5.2002 a margine dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado

Appellanti

e

(…) ((…): (…)), rappresentata e difesa dall’Avv. El.Lo. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Alghero Via (…) giusta delega a margine dell’atto di costituzione di nuovo procuratore

Appellata

e

(…) ((…))

Appellato contumace

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Sassari Sezione Distaccata di Alghero con sentenza n. 115/2011 del 17.5.2011 depositata il 17.5.2011 rigettava la domanda proposta da (…) e (…).

(…) e (…) deducevano:

(I) di essere comproprietari dell’appartamento posto al piano terra dell’immobile in A. Via (…) con annesso cortiletto;

(II) i convenuti (…) e (…) avevano sopraelevato l’immobile, già sopraelevato al primo piano da parte della sorella (…), senza osservare i punti fissi del preesistente edificio sito al piano terra;

(III) infatti avevano costruito un vano finestrato aggettante sul cortiletto di loro esclusiva proprietà, modificando in tal modo l’aspetto del fabbricato e occupando lo spazio aereo sovrastante il cortiletto;

(IV) avevano apposto un condizionatore d’aria esterno, invadendo ancora una volta lo spazio aereo predetto, nonché un autoclave e un serbatoio d’acqua nel cortiletto. Pertanto concludevano per la rimozione delle opere effettuate in violazione dello spazio aereo e di quelle occupanti il cortiletto di loro proprietà.

(…) e (…) si costituivano in giudizio sostenendo che:

(I) al momento in cui il comune dante causa (…), padre di (…), (…) e (…), aveva ceduto l’area ai convenuti era stato già costruito il primo piano dell’immobile e che lo stesso presentava la veranda aggettante sul cortiletto occupando il relativo spazio aereo; l’edificazione del piano secondo era stata effettuata dalla sorella (…) alla fine dell’anno 1981 e terminata nei primi mesi dell’anno 1982;

(II) l’approvvigionamento idrico dell’immobile era sempre avvenuto attraverso il serbatoio e l’autoclave presenti nel citato cortiletto.

Eccepivano quindi di aver orami usucapito il diritto di mantenere la costruzione in aggetto sul cortile, la servitù di utilizzazione dell’autoclave e della cisterna per l’approvvigionamento di acqua potabile al loro appartamento e la relativa servitù di passaggio perché sia la costruzione della verandina e sia l’utilizzo dei suddetti manufatti presenti nel cortile erano avvenuti dall’anno 1976 e la fine dell’anno 1981.

Quindi concludevano per il rigetto della domanda.

Il tribunale riteneva che:

(I) allorquando i convenuti avevano acquisito l’area edificabile da (…), i proprietari del primo piano avevano già edificato la veranda aggettante sul cortiletto di proprietà degli attori, con la conseguenza che la superficie edificabile ceduta dal comune dante causa ai convenuti comprendeva anche la superficie della veranda aggettante sul detto cortiletto;

(II) la circostanza che l’edificazione del primo piano fosse già stata portata a termine al momento dell’acquisto dell’area edificabile da parte dei convenuti emergeva con chiarezza dalle allegazioni dei convenuti stessi, allegazioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta, che erano da ritenersi pacifiche in assenza di esplicita e puntuale contestazione da parte degli attori;

(III) nel caso specifico sussistevano gli estremi per l’applicazione della fattispecie prevista all’art. 1159 c.c., avendo i convenuti acquistato in buona fede tutta la superficie già edificata, compresa la superficie della veranda aggettante di cui era causa, con atto pubblico regolarmente trascritto, come risultava dalle produzioni documentali effettuate anche da parte attrice, per cui non era necessario che decorresse un ventennio per l’acquisizione del diritto a mantenere la costruzione ma era sufficiente il decorso del decennio con l’effetto acquisitivo del diritto al patrimonio dei convenuti;

(IV) per quanto atteneva alla servitù di veduta esercitabile da detta porzione di fabbricato, gli attori non allegavano elementi oggettivi puntuali e chiari sulle modalità ritenute lesive del proprio diritto di proprietà ed in particolare non offrivano alcun elemento di prova da cui ricavare che effettivamente i convenuti esercitavano una servitù;

(V) quanto alla domanda diretta a negare l’esistenza di una servitù sul cortiletto di proprietà di parte attrice relativa alla apposizione del serbatoio e dell’autoclave, era pacifico nel giudizio che il primo piano era servito per la fornitura di acqua potabile dal serbatoio e dall’autoclave apposte nel cortile di proprietà degli attori a decorrere per lo meno dal 1979, così configurandosi una destinazione del padre di famiglia, attesa la appartenenza del bene immobile a un comune dante causa, che aveva ceduto l’area edificabile sul primo piano già edificato e servito dalla conduttura idrica il cui serbatoio e l’autoclave si trovavano ubicati nel cortiletto di proprietà degli attori.

Il tribunale, attesa la soluzione giurisprudenziale adottata, compensava interamente tra le parti le spese di lite.

Avverso siffatta sentenza (…) e (…) hanno proposto impugnazione deducendo:

(I) il vizio di motivazione laddove il tribunale basava la propria decisione sul principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. nella sua attuale formulazione, mentre l’applicazione di tale norma era stata prevista per i nuovi processi instaurati dopo il 4.7.2009, per cui il presente giudizio era retto dalla precedente versione dell’art. 115 c.p.c.;

(II) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1159 c.c. laddove il Tribunale riteneva erroneamente applicabile la fattispecie dell’usucapione abbreviata, mancando nei convenuti la buona fede nell’acquisto di una superficie maggiore di quella indicata nell’atto di acquisto;

(III) l’erronea valutazione dell’evidenza probatoria in ordine all’esistenza delle lamentate servitù, laddove il tribunale rilevava che gli attori non avevano offerto prova dell’esercizio di tali servitù, senza tenere in debito conto che i convenuti vantavano nella memoria di costituzione l’esistenza della servitù di veduta e della servitù di presa d’acqua e di utilizzazione di autoclave, con conseguente servitù di passaggio nel cortile per la manutenzione delle suddette opere;

(IV) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1031 c.c. laddove il tribunale riteneva costituita la servitù di presa d’acqua e le altre servitù conseguenti per destinazione del padre di famiglia, in quanto il padre (…), nella sua qualità di usufruttuario, non aveva potuto dare alcun valido consenso né all’edificazione dei piani rialzati oltre la superficie di copertura del piano terra né alla possibilità di accedere per l’approvvigionamento idrico alla cisterna presente nel cortile;

(V) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., non avendo il tribunale preso in considerazione che (…), in sede di sanatoria del proprio immobile, aveva reso al Comune di Alghero la dichiarazione di aver iniziato i lavori di edificazione nel luglio 1982 e di averli ultimati nel novembre 1982, per cui non poteva considerarsi trascorso il periodo di tempo di venti anni necessario all’acquisto dei diritti sui beni di cui è causa per usucapione ordinaria.

Parte appellata ha chiesto la reiezione dell’appello, contestando gli assunti dell’appellante circa l’interpretazione dell’art. 115 c.p.c. e la mancanza di presupposti dell’usucapione decennale, e riproponendo ex art. 346 c.p.c. l’eccezione di usucapione ventennale rimasta assorbita nella decisione del tribunale.

All’udienza del 22 dicembre 2017, la Corte ha trattenuto la causa in decisione assegnando alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di appello e le questioni proposte vanno trattate nel loro ordine logico ed esaminate unitamente laddove necessario.

a) Sulla errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1159 c.c. : gli appellanti (…) hanno lamentato che il tribunale erroneamente fondava la sua decisione sul principio di non contestazione nella sua attuale formulazione, applicabile ai nuovi processi instaurati dopo la data del 4 luglio 2009. Inoltre, anche nella attuale formulazione tale principio è applicabile “si alia permittunt”, mentre i fatti allegati dalla (…) erano smentiti dalle risultanze istruttorie e in particolare dalle informazioni e documenti acquisiti presso la Pubblica Amministrazione.

Comunque, non poteva configurarsi la fattispecie dell’usucapione abbreviata di cui all’art. 1159 c.c., perché erroneamente il tribunale riteneva i convenuti acquirenti in buona fede di una superficie maggiore di quella indicata nell’atto di loro acquisto, ove era stata indicata la superficie di mq. 134,61.

Orbene, riguardo alla prima doglianza si rileva che la sentenza impugnata applicava il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.c. relativamente alla circostanza che l’edificazione del primo piano era stata già portata a termine al momento della vendita e dell’acquisto dell’area edificabile da parte dei convenuti.

Nella comparsa di costituzione della (…) del 3.10.2002 si deduceva al punto C) che: “detti signori ( (…) e il di lei coniuge), nel gennaio 1978, edificarono ( con il consenso di fu (…)) il primo piano dell’immobile in parola costruendo la propria abitazione; in tale circostanza realizzarono anche una veranda, costituita da una pensilina coperta aggettante sullo spazio aereo del cortile”.

Ed al seguente punto D) che: “furono quindi gli stessi proprietari del primo piano (Signori (…) ed il di lei coniuge con il consenso del fu (…)) che nel gennaio del 978 edificarono una veranda aggettante (posta tra il piano terra e il primo piano) sulla proiezione dello spazio aereo del cortile; in tale circostanza costruirono anche (nel realizzare il solaio del primo piano), un’altra pensilina (posta tra i secondo piano e il piano primo) a copertura della loro veranda”.

Gli attori (…), a loro volta, nella memoria ex art. 183 del 12.4.2003 immediatamente successiva alla costituzione dei conventi, si limitavano a dedurre che i (…) erano diventati proprietari del lastrico solare solamente nel 12.7.1982, in forza dell’atto pubblico del 12.7.1982 di vendita del lastrico solare da parte di (…) a favore dei suddetti (…) e (…) e che i lavori di edificazione dell’appartamento posto al secondo piano dell’edificio erano stati iniziati dopo tale data dai medesimi (…) e (…).

Dall’esame del contenuto degli atti di causa sopra indicati, si deduce che i (…) non contestavano specificamente la circostanza dedotta dai convenuti; inoltre, in mancanza di alcun cenno a tale circostanza e il solo riferimento alla data di completamento dell’immobile, rende la difesa assertiva dei (…) non incompatibile con le dette circostanze.

Sulla scorta della giurisprudenza formatasi nel periodo, il tribunale riteneva correttamente provata la circostanza che l’edificazione del primo piano, comprensiva anche della verandina aggettante sul cortiletto, era avvenuta prima dell’acquisto da parte dei (…) del lastrico solare con diritto alla sopraelevazione per atto pubblico. Tale circostanza, tra l’altro, veniva anche confermata dalla prova per testi. Infatti il teste (…) riferiva che: “Preciso che nel 1978 costruirono il primo piano di Via (…) i signori (…) e (…).”.

Alcuna violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c. ratione temporis applicabile è dunque ravvisabile.

Per quanto attiene all’applicazione della fattispecie prevista dall’art. 1159 c.c., giova ricordare che l’applicazione della norma postula l’identità tra l’immobile posseduto e quello acquistato a non domino in buona fede, corrispondenza che va accertata in base ad una distinta valutazione del titolo di acquisto e del possesso, rimanendo preclusa la possibilità di integrare le risultanze dell’uno con quelle dell’altro (C. Cass. 10873/2018, cfm.: C. Cass. 866/2000), a ciò consegue che non è titolo idoneo, ai sensi dell’art. 1159 c.c., quello relativo ad immobile in tutto o in parte ( e per quella parte) diverso dall’immobile oggetto del possesso decennale.

Dall’esame del materiale probatorio si rileva che nell’atto pubblico di compravendita del 12.7.1982 (tra (…) e la figlia (…)), veniva indicato come oggetto il lastrico solare di mq. 134,61 ” meglio rappresentato graficamente, nella planimetria che firmata dalle parti e da me, allego a questo atto, sotto la lettera (…)”, tuttavia non veniva allegata alcuna rappresentazione grafica dello stato attuale dei luoghi da cui poter identificare la costruzione aggettante in modo da rendere possibile la comparazione tra il bene in concreto posseduto da (…), rispetto a quello oggetto dell’atto pubblico di vendita del 12.7.1982.

Tale comparazione non può essere operata neppure ricavando la consistenza degli immobili in questione dagli altri atti presenti nel giudizio, in quanto nell’atto pubblico di compravendita del 16.11.1979, con il quale (…) vendeva la nuda proprietà della casa e del cortile al figlio (…) con riserva di usufrutto a suo favore, non era stata specificata la metratura della costruzione facendo menzione solo della consistenza generale del mappale: ” risulta anche censito a N.C.U. alla partita 2.711 F. (…), Mappale (…) di mq. 237″; nella scrittura privata del 13.11.1978 sottoscritta da (…) e dall’altra figlia (…) era stato identificato: “il lastrico oggetto di vendita ha una superficie di metro quadri centoquarantotto, circa, ed in sede di atto notarile verrà meglio individuato con i suoi confini e rappresentazione planimetrica”, con ciò indicando una metratura diversa ancorché superiore.

Pertanto (…) e (…), sui quali gravava l’onere della prova in quanto soggetti che avevano invocato l’acquisto del diritto per usucapione, non fornivano al giudicante gli elementi necessari per verificare la sussistenza degli elementi posti a fondamento della fattispecie di cui all’art. 1159 c.c., non risultando alcuna prova della circostanza che nella planimetria allegata all’atto pubblico di vendita del 12.7.1982 si era fatto riferimento al lastrico solare comprensivo della superficie della veranda aggettante.

Di conseguenza, non poteva ritenersi maturato il diritto degli appellati a mantenere la costruzione in aggetto sul cortiletto di proprietà dei (…) per intervenuta usucapione decennale ex art. 1159 c.c..

La fondatezza di tale censura non comporta però la riforma della sentenza di primo grado, posto che risulta comunque fondata l’eccezione di usucapione ventennale riproposta dagli appellati. Invero, il diritto dei (…) di mantenere la verandina in aggetto e la cisterna e l’autoclave nel cortile trovava fondamento nel possesso protrattosi per oltre vent’anni della relativa servitù.

Al riguardo il teste (…) sul capo F) della memoria 184 c.p.c. del 13.9.04 di (…) e (…), ove si chiedeva: “Vero che terminata l’opera relativa alla costruzione del primo piano i Signori (…) e (…) edificarono, (dipartendosi dal lastrico solare relativo al solaio del primo piano e dai fili fissi posti in essere fin dal 1978) il proprio appartamento, posto al piano 3, i cui lavori si conclusero tra la fine del 1981 e l’aprile del 1982”, riferiva: “Si è vero che i sig.ri (…) e (…) costruirono il secondo piano. Ricordo che già nel 1981 vi abitavano”, circostanza tra l’altro confermata dalla fattura n. (…) del 30.4.1982 dell’impresa edile (…), riferita al pagamento di Lire 6.120.000 per “Lavori di sopraelevazione di un appartamento sito in A. Via (…) ang. Via (…)”.

Sempre in riferimento alla suddetta memoria, sui capi G): ” Vero che nel 1978 era altresì presente, nel cortile ora di titolarità degli attori, un vano (in cemento) adibito a cisterna dello stabile condominiale atto ad alimentare ( con la tubatura servizi idrici ed opere accessorie) i tre livelli dell’immobile in parola compreso quindi l’allora lastrico solare sovrastante il primo piano” e H): ” Vero che tutti i proprietari dell’immobile in parola, compresi gli odierni convenuti, avevano la possibilità, fin dal 1978, ( e come hanno tutt’ora), di entrare nel cortile dello stabile e compiere quanto necessario per gli incombenti idrici”, il teste (…) riferiva per ambedue i capitoli: “E’ vero quanto mi si chiede”.

Per quanto atteneva alla costruzione del serbatoio idrico e dell’autoclave per la fornitura di acqua ai piani superiori, il teste (…) riferiva: “E’ vero che nel cortile c’era questa cisterna che era stata posta da mio padre ed è vero che detta cisterna, man mano che uno dei fratelli costruiva, veniva allacciata agli appartamenti. (A.D.R.) Preciso che l’immobile di via (…) originariamente era composto di un solo piano terra che era di mio padre e dove abitava la famiglia (…). Successivamente mia sorella (…) edificò il piano primo e mia sorella (…) il secondo”.

Dagli esiti dell’istruttoria emerge che al momento della proposizione della causa (13.6.2002) era trascorso un lasso di tempo superiore al termine di venti anni previsto dall’art. 1158 c.c., ciò in quanto risultava provato in giudizio che i (…) avevano costruito la verandina aggettante a far data dal 1981, e dalla medesima data avevano fatto uso della cisterna e dell’autoclave per l’approvvigionamento idrico al loro appartamento, tenendo un comportamento possessorio continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all’inerzia del titolare.

Di conseguenza, la domanda di (…) e (…) posta nel primo grado di giudizio doveva comunque essere rigettata, in forza dell’acquisto da parte dei (…) per intervenuta usucapione ventennale del diritto di mantenere la veranda del loro appartamento aggettante sul fondo dei (…) e del relativo diritto di veduta, e delle servitù di presa d’acqua e di utilizzo dell’autoclave e di passaggio attraverso il cortiletto per provvedere alla manutenzione delle opere.

b) Sulla sanatoria chiesta dagli appellati sul bene oggetto di causa e sull’efficacia della dichiarazione resa dalla (…) in sede di sanatoria riguardo all’acquisto dei diritti sui beni per cui è causa per avvenuta usucapione: gli appellanti (…) hanno lamentato che la sopraelevazione in questione era stata effettuata in violazione delle norme edilizie vigenti nel Comune di Alghero tanto che i convenuti avevano depositato la pratica di sanatoria, inoltre la (…) aveva dichiarato, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che la sopraelevazione per cui è causa era stata iniziata nel luglio 1982 e terminata nel novembre dello stesso anno. Secondo quanto sostenuto dagli appellanti, ciò impediva il verificarsi dell’acquisto dei diritti rivendicati dai (…) per usucapione ventennale, perché il termine decorso dalla data sopra indicata (novembre 1982) all’avvenuta notifica dell’atto di citazione (avvenuta il 13.6.2002) risultava minore del termine di venti anni richiesto dall’art. 1158 c.c.

Al riguardo, giova ricordare che è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso “ad usucapionem” (C. Cass. 1395/2017 e C. Cass. Sez. 2, n. 3979 del 18/02/2013).

Inoltre, in riferimento al valore della dichiarazione rilasciata dalla (…) in sede di sanatoria si ritiene che l’efficacia probatoria di tale dichiarazione, ove si dichiara che i lavori di costruzione sarebbero stati ultimati nel novembre 1982, sia limitata alla provenienza del documento dal suo sottoscrittore ma non anche alla veridicità del suo contenuto intrinseco, ciò in quanto non esclude che la violazione delle distanze legali possa risalire ad anni precedenti alla ultimazione di dette opere (C. Cass. 9648/2016).

In un caso per certi versi analogo a quello in esame, la Suprema Corte si è espressa nei seguenti termini:

“va rilevato che correttamente la Corte di merito ha escluso la valenza confessoria della dichiarazione di notorietà 21.8.1980, rilasciata da (…), allegata all’istanza di sanatoria relativa alla sopraelevazione in questione, da cui risulterebbe che la stessa sarebbe stata realizzata “dal mese di marzo 1977 al mese di giugno 1977”.

Come correttamente affermato dal giudice di appello, tale attestazione, in quanto ispirata da un intento contrattuale (finalizzata al condono edilizio), sarebbe priva dello “animus confitendi” e sarebbe in contrasto con le prove testimoniali ed altri elementi probatori (accertamento operato dal tecnico comunale (…); dichiarazione resa dagli appellanti (…) e (…) con l’atto di donazione per Notaro An. del 13.1.81, in forza della quale la sopraelevazione sarebbe stata realizzata nell’anno 1976).

Va aggiunto che per accertare l’epoca di realizzazione di un immobile, la dichiarazione di notorietà, resa dalla parte ed allegata alla concessione edilizia in sanatoria ha valore meramente indiziario, liberamente valutabile dal giudice di merito ai fini della formazione del suo convincimento (Cass. n. 27129/2006) e , comunque, la efficacia probatoria di tale dichiarazione è limitata alla provenienza del documento dal suo sottoscrittore, ma non anche alla veridicità del suo contenuto intrinseco. Non sono, quindi, ravvisabili le violazioni di legge lamentate, posto che detta dichiarazione, come già detto, era liberamente valutabile dal giudice di merito ed, anzi, va rammentato che le SS.UU. della S.C. hanno negato qualsiasi efficacia probatoria, in sede giudiziale, alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà concernente fatti, stati o qualità personali dedotti a sostegno della domanda (Cass., sez. un., 14ottobre 1998, n. 10153), considerato che, secondo il nuovo art. 111 Cost. “ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità” e che tali condizioni di parità sarebbero gravemente compromesse ove si ritenesse consentito ad una parte, mediante una dichiarazione unilaterale, precostituirsi una prova da utilizzare in giudizio (Cass. n. 10981/2002; n. 1849/2006; n. 14590/2007)” ( C.Cass. 19095/2014).

In considerazione dei principi di diritto sopra richiamati, le circostanze evidenziate dagli appellanti non avevano impedito il perfezionarsi della fattispecie dell’acquisto dei diritti per usucapione ordinaria, di conseguenza l’appello deve essere rigettato anche se per motivazioni in parte differenti da quelle adottate in prime cure.

c)Sulle spese di lite: attesa la sostanziale soccombenza di (…) e (…), i medesimi devono essere condannati in solido alla rifusione in favore degli appellati delle spese processuali del presente grado, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda ed eccezione:

A) Respinge l’appello proposto da (…) e (…) avverso la sentenza del Tribunale di Sassari n. 115/2011;

B) Condanna in solido (…) e (…) alla rifusione a favore di (…) delle spese del presente grado, che liquida in Euro 6.615,00 per compensi, oltre a quanto dovuto per legge.

Così deciso in Sassari il 13 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.