deve allora rammentarsi quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza in tema di actio negatoria servitutis, e cioè che la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, con la parte che agisce che non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà – neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte – essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido di proprietà. Al convenuto incombe, invece, l’onere di provare l’esistenza del diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore incombe comunque in capo a colui che agisce l’onere di dimostrare la sussistenza di situazione antigiuridica lesiva del suo diritto di proprietà.

Corte d’Appello Palermo, Sezione 3 civile Sentenza 10 gennaio 2019, n. 56

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Palermo – Sezione Terza Civile – riunita in camera di consiglio e composta dai sigg.ri magistrati:

Dott. Michele Perriera – Presidente

Dott. Gioacchino Mitra – Consigliere

Dott. Giuseppe De Gregorio – Consigliere

dei quali il terzo relatore ed estensore, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 445/2014 del R.G. di questa Corte di Appello, vertente in questo grado

tra

(…), (…), (…), rappresentati e difesi dall’avv. SA.FR.

Appellanti (attori in riassunzione)

contro

(…), rappresentato e difeso dall’avv. MU.GI.

Appellato

(…), rappresentato e difeso dall’avv. DA.GI.

Appellato – appellante incidentale

Oggetto: Servitù

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione del 07 marzo 2014, (…), (…), (…) ha convenuto in riassunzione (…), (…), all’esito della ordinanza n. 27504/2013 della Suprema Corte di Cassazione. Gli appellanti in riassunzione hanno sinteticamente riepilogato la lunga vicenda processuale, afferente azione “negatoria servitutis”, iniziata in primo grado nel dicembre del 2000 dal (…), proseguita in sede di Appello e ivi definita con pronuncia di improcedibilità del gravame resa in data 11/4/2012; detta statuizione, basata su irregolare costituzione degli appellanti, è stata poi cassata dalla Suprema Corte, con ordinanza n. 27504/2013, che ha rimesso le parti dinanzi ad altra Sezione della Corte d’appello, per procedere a nuovo vaglio del gravame proposto da (…), (…) e (…), avverso la sentenza n. 490/2007 resa dal Tribunale di Trapani.

Instaurato regolarmente il contraddittorio, gli appellati in riassunzione si sono costituiti, col (…) che ha contestato il gravame, e (…) che ha riproposto le doglianze già formulate nei confronti della sentenza di primo grado, pure aderendo al gravame degli altri appellanti.

Quindi, all’udienza del 24/9/2018, mutato il relatore, le parti tutte hanno concluso riportandosi ai rispettivi atti, e la causa è stata posta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli atti difensivi conclusionali.

Così compendiati i principali fatti di causa, con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure (…), proponendo actio negatoria servitutis (art. 949 c.c.), con pretesa risarcitoria, addusse: di essere proprietario, per acquisto da (…) in data 14/7/1999, di un fondo sito in (…), C.da M., con annessi caseggiati, e confinante “a est, con case terrane di (…), sopra le quali si trovano una casa di (…) ed un’altra di (…) (nuda proprietaria) e (…) e (…) (usufrutttuari)”; che detto fondo era a lui pervenuto libero da qualsiasi servitù passiva, per come precisato nell’atto di compravendita; che i proprietari delle case soprastanti quella di (…) “scaricavano le acque provenienti dalle loro case in un sottostante frustolo di terreno agricolo a fondo naturale della stessa (…) dove si disperdevano per imbibizione”, poi modificato e con le acque che finivano nel di lui terreno. Lamentava infatti la realizzazione di opere abusive da parte di (…), con la trasformazione del frustolo di terreno già indicato, in veranda ammattonata, con scarico delle acque nel terreno del (…), così come analogamente avevano fatto i proprietari delle unità immobiliari sovrastanti, che pure avevano modificato il tetto di copertura a confine dell’immobile del (…), trasformandolo in veranda, consentendo una veduta prima non praticata. Perciò aveva chiesto accertarsi l’illiceità delle opere e la condanna delle controparti alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi.

Nel contraddittorio con tutte le parti, e all’esito dell’istruzione espletata (con prove orali e consulenza tecnica), il Tribunale, preso atto dell’accordo intervenuto tra il (…) e (…) (con rinuncia del primo alle domande), e conseguente cessazione della materia del contendere, statuendo sulle pretese verso gli altri convenuti (che, ad eccezione di (…), rimasto contumace, avevano contestato le avverse pretese) ha accolto la domanda attorea, accertando l’insussistenza di qualsivoglia servitù, e disponendo la rimozione di tubazioni per lo scolo, e della veranda, con condanna ad eseguire opere atte ad eliminare gli effetti delle violazioni.

Col gravame, (…), (…) e (…), hanno contestato sotto ogni profilo la sentenza impugnata, chiedendo il rigetto delle pretese del (…); e anche (…) ha impugnato la statuizione di prime cure, in via incidentale, per sentire rigettare le domande del (…).

Tutti tali appellanti, in particolare, hanno evidenziato (in ciò racchiudendosi, sinteticamente, i motivi del gravame), che le opere contestate da (…) erano (a eccezione di alcuni dettagli privi di pregio, come la copertura parziale del tetto di copertura secondo l’attore trasformato in veranda con affaccio) presenti sui luoghi da diversi decenni (epoca di costruzione dell’immobile, 1946), e quantomeno da periodo atto a fare usucapire la servitù.

Definita, come detto, la controversia con (…), le questioni riproposte dagli appellanti attengono la servitù di veduta, secondo (…) esercitata dopo esecuzione di talune opere edili (realizzazione di una cucina fissa in muratura con alloggiamenti di lavastoviglie, lavatrice e bombola, e la soprelevazione del parapetto) nel tetto della costruzione confinante la sua proprietà; e la servitù di scolo, con le acque proveniente dai locali vicini defluenti nel suo terreno.

L’appellato, in definitiva, ha invocato la tutela reale in relazione ai descritti comportamenti materiali, che legittimerebbero l’accoglimento dell’actio negatoria ex art. 949 c.c.: deve allora rammentarsi quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza in tema di actio negatoria servitutis, e cioè che la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, con la parte che agisce che non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà – neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte – essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido di proprietà.

Al convenuto incombe, invece, l’onere di provare l’esistenza del diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore (così Cass. n. 10149/2004); incombe comunque in capo a colui che agisce l’onere di dimostrare la sussistenza di situazione antigiuridica lesiva del suo diritto di proprietà.

Va pure evidenziato che la parte convenuta può utilmente contrastare l’azione di carattere reale esercitata nei suoi confronti anche solo sollevando l’eccezione riconvenzionale di usucapione, senza che sia necessario formulare apposita domanda riconvenzionale (così Cassazione civile sez. VI 29/11/2013 n. 26884).

Ciò posto, diversamente da quanto statuito con la sentenza impugnata, le domande del (…) risultano infondate, dal momento che i diversi interventi oggetto delle doglianze si riferiscono a piccole modifiche di opere esistenti da diverso tempo (tanto da doversi ritenere fondata l’eccezione riconvenzionale proposta dai convenuti poi appellanti: cfr. in particolare pag. 6 del primo atto di citazione in appello), che non risultano avere danneggiato la proprietà di parte attrice, né ha inciso negativamente sul normale godimento dei fondi.

In altri termini, alla luce dell’istruttoria espletata in prime cure, con i diversi testi escussi ((…), (…), addotti dal (…), ed (…), indicato dai (…)), e soprattutto di quanto emerso con la consulenza tecnica espletata nel corso del primo giudizio (con apporto di due esperti che hanno distintamente esaminato i luoghi e la documentazione, fotografica e anche urbanistica di riferimento), le doglianze degli appellanti meritano accoglimento.

Dalla disamina delle risultanze istruttorie, emerge che il teste (…), genero dell’attore (…) ed escusso all’udienza del 11 aprile 2005, ha descritto lo stato dei luoghi per quanto constatato nell’anno 2000; ha riferito dell’esistenza di una veranda con tettoia fissa e cucina in muratura con i relativi impianti, e ancora ha narrato di una grondaia che scendeva lungo il muro e deviava verso il terreno (…), dove l’acqua defluiva; ha poi precisato che nell’estate successiva, del 2001. ha potuto constatare che il tubo che fuoriusciva dal terreno del Murano era stato segato, che non defluiva più acqua e che la deviazione sulla sommità non vi era più; detto teste, infine, non ha saputo riferire sull’epoca di realizzazione delle opere riguardanti la terrazza, non frequentando i luoghi prima del 2000. Il secondo teste addotto dall’attore (…), G.S., ha: riferito di conoscere i luoghi per aver effettuato dei lavori nell’interesse del (…), e quindi di esservisi recato sia nell’estate del 2000 che in quella del 2001; confermato la presenza della tettoia, che si constatava anche dalla strada; dato conto della presenza di un tubo di scarico che dalla terrazza scendeva esteriormente.

La descrizione della tubazione fatta dal teste G. è stata poi da costui riferita all’estate del 2000, e dunque deve – per non voler ritenere contrastanti le deposizioni – inquadrarsi temporalmente in periodo antecedente a quello di cui ha riferito l’altro teste.

Tale compendio probatorio quindi non offre elementi significativi, soprattutto alla luce di quanto riferito dal B., in ordine alla presenza di tubazioni con scolo di acque, non più esistente al momento della decisione di primo grado: su tale aspetto va ricordato che con (…) (originaria convenuta) è intercorso, nelle more del giudizio di primo grado, accordo transattivo per la rimozione delle tubazioni.

Continuando la disamina delle risultanze istruttorie, all’udienza del 3 ottobre 2005 venne escusso il terzo teste, E.C., che ha narrato di vicende risalenti nel tempo, e cioè ai primi anni ’80; in particolare il teste ha riconosciuto nelle fotografie versate in atti il complesso immobiliare per cui è causa, ha fatto riferimento alla presenza sin dagli anni 80 del “tetto” inteso come piano di calpestìo o lastrico solare.

Ora, proprio dalle due relazioni di ctu, espletate in prime cure, emerge che nell’immobile L.-P.L. insiste da sempre il parapetto di altezza pari a circa 90 cm., che attornia la terrazza preesistente: quello che (…) ha definito tetto è in effetti il lastrico di copertura del piano terra dell’edificio attiguo a quello attoreo, e non “tetto” come da costui definito, dato questo che si rinviene in tutta la documentazione descrittiva dei luoghi, risalente anche al ventennio antecedente l’acquisto da parte del (…).

E ciò si evince pure esaminando la documentazione prodotta da questi, cioè l’atto di donazione del 24 gennaio 1974, dove vengono individuati gli immobili che poi, per effetto di passaggi successivi, sono pervenuti alle parti del presente giudizio. Nella seconda relazione di CTU, a firma Ruggirello, viene poi precisata la circostanza della “complanarità” tra il parapetto della casa dei L. con l’edificio del (…), e che l’innalzamento del parapetto (di pochi centimetri) non ha comportato alcuna variazione della veduta che già da prima era concretamente esercitabile, risultando perciò infondate le doglianze dell’originario attore.

Per quanto attiene la servitù di scolo, ovvero gli scarichi e in particolare quello proveniente dal terrazzo L.-P., il medesimo CTU ha riscontrato che il gomito precedentemente collocato era stato interrotto e chiuso con della malta (cfr. in particolare pag. 15 elaborato scritto, coerente e lineare, logicamente sviluppato e pienamente esaustivo rispetto ai quesiti proposti), dunque escludendo il persistente scolo lamentato dal (…); quello pure indicato in citazione, proveniente dall’immobile (…) come detto è stato eliminato in ragione dell’accordo intercorso con quest’ultima: di guisa che anche sotto tale aspetto le doglianze dell’originario attore sono risultate infondate.

Conclusivamente, dovendosi rivedere la ricostruzione operata dal primo giudice in punto di illiceità delle opere eseguite, la statuizione di prime cure va conclusivamente riformata, e di conseguenza, il gravame originariamente proposto da (…), (…), (…) nonché da (…), va accolto, con rigetto delle pretese di (…).

Infine, quanto alle spese di lite: la statuizione del Tribunale sul punto va parimenti riformata, non avendo fatto applicazione del principio della soccombenza, stante il rigetto delle pretese attoree. E pure quelle delle fasi successive (appello e giudizio di legittimità) debbono sì tenere conto della soccombenza dell’appellato (secondo le indicazioni desumibili dalla sentenza di rinvio), e comunque del valore della causa, ma anche delle modifiche apportate dalle parti in corso di causa, nonché della sostanziale ripetizione delle questioni nei diversi giudizi di merito, e perciò possono compensarsi per 1/3 (e integralmente per il primo appello, stante l’esito in rito), e sono così liquidate nell’intero:

giudizio di primo grado: Euro 4.000,00 per compensi e spese;

giudizio di legittimità: Euro 800,00 per la fase di studio, Euro 1.000,00 per la fase introduttiva ed Euro 1.300,00 per la fase decisionale.

giudizio di appello (secondo): Euro 240,00 per esborsi, Euro 800,00 per la fase di studio, Euro 900,00 per la fase introduttiva ed Euro 1.000,00 per la fase decisionale;

Al pagamento del totale di Euro 10.040,00 (da diminuire di 1/3 per la parziale compensazione) oltre c.p.a. e i.v.a. come per legge e spese forfettarie ex D.M. n. 37 del 2018 (applicabile in relazione alla data di spedizione a sentenza), va condannato conclusivamente (…), in favore di tutti e quattro gli appellanti (il quantum risultante da ripartire nella misura di un terzo per (…), di due terzi per gli altri tre). Le spese delle due CTU espletate in prime cure (necessarie per la verifica sia della pretesa attorea, ma anche della eccezione riconvenzionale, e della irrilevanza delle modifiche comunque poste in essere) vanno poste a carico di tutte le parti, in solido.

DISPOSITIVO

P.Q.M.

La Corte di Appello di Palermo, Sezione III civile, ogni diversa e contraria istanza, domanda ed eccezione disattese, decidendo in sede di rinvio della Suprema Corte di Cassazione nel contraddittorio delle parti, così provvede:

in accoglimento dell’appello proposto da (…), (…), (…), nonché dell’appello incidentale di (…), avverso la sentenza n. 490/2007 dei 29/10 – 06/11/2007 del Tribunale di Trapani, e in riforma di detta sentenza: rigetta le domande tutte proposte da (…) nei confronti di (…), (…), (…), (…);

condanna (…) al pagamento di 2/3 delle spese di lite (compensando il restante terzo) di primo grado, in favore di (…), (…), (…), (…), liquidate in Euro 4.000,00 per compensi e spese, oltre rimborso forfetario, IVA e CP come per legge; pone le spese delle due CTU a carico di tutte le parti, in solido;

conferma nel resto l’impugnata sentenza.

Condanna (…), di 2/3 delle spese di lite (compensando il restante terzo) di appello e di legittimità, in favore di (…), (…), (…), (…), liquidate in Euro 6.040,00 per compensi e spese, oltre rimborso forfetario, IVA e CP come per legge.

Così deciso in Palermo il 19 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.