quello dell’amministratore di condominio è un ufficio di diritto privato, assimilabile a un rapporto gestorio con rappresentanza assunto su incarico collettivo, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condòmini mandanti, delle disposizioni sul mandato (per quanto, beninteso, non previsto dall’art. 1129 cod. civ. e – di rimando a esso – dall’art. 1130 cod. civ.) e, in particolare, di quelle che impongono al mandatario di eseguire l’incarico ricevuto con la diligenza del buon padre di famiglia; di comunicare senza ritardo l’esecuzione dello stesso e, alla scadenza del rapporto (ovvero alla revoca dell’incarico o all’atto dell’accertamento dell’impossibilità di eseguirlo), di rendere il conto del suo operato e di restituire tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (nonché gli vietano di eccedere i limiti di quest’ultimo – pena la responsabilità personale per l’atto esorbitante compiuto – e di discostarsi dalle istruzioni ricevute, salvo il caso di circostanze non note e preventivamente riferibili che facciano presumere l’approvazione della diversa scelta: cfr. artt. 1710 – 1713 cod. civ.
Per una più completa ricerca di giurisprudenza in materia di condominio, si consiglia invece la Raccolta di massime delle principali sentenze della Cassazione che è consultabile on line oppure scaricabile in formato pdf
Per ulteriori approfondimenti in materia condominiale si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
La responsabilità parziaria e/o solidale per le obbligazioni condominiali
Lastrico solare ad uso esclusivo regime giuridico e responsabilità
L’impugnazione delle delibere condominiali ex art 1137 cc
L’amministratore di condominio: prorogatio imperii
La revoca dell’amministratore di condominio
La responsabilità (civile) dell’amministratore di condominio.
Tribunale Roma Sezione 5 Civile Sentenza 30 aprile 2019 n. 9011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
– SEZIONE V CIVILE –
in composizione monocratica, nella persona del
dott. PAOLO D’AVINO – Giudice
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 36626 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2013, vertente
tra
(…) (cod. fisc. (…)), residente in R., e ivi elett.te dom.to, in Via (?), presso lo studio degli avv.ti Gi.Ti. e Fr.Co., che lo rappresentano e difendono, anche disgiuntamente fra loro, giusta procura speciale a margine dell’atto di citazione,
Attore
e
CONDOMINIO N. DI VIA T. N. 15, R. (cod. fisc. (…)), in persona dell’ammin.ce pro tempore, (…), elett.te dom.to in Roma, Viale (?), presso lo studio dell’avv.to Gi.Ap., che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata in Cancelleria il 21.10.2013,
Convenuto e attore in riconvenzionale
OGGETTO: rimborso anticipazioni sostenute dal cessato amministratore condominiale e riconvenzionale per danni contrattuali da infedele svolgimento del mandato gestorio
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, per mezzo del servizio postale, il 17/21.5.2013 (…) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, il Condominio nell’edificio di Via (?), già da lui amministrato dal 1998 fino al mese di maggio 2011, per sentirlo condannare al pagamento della complessiva somma di Euro 7.269,52, oltre interessi legali, per anticipazioni in favore di ACEA riferibili all’utenza n. (…), intestata a “Condominio (…)” (già (…) S.p.a., impresa costruttrice di tutto il complesso immobiliare) presso Studio Tiraboschi e corrispondente all’attuale somministratario Condominio di Via (?).
Ritualmente evocato in giudizio, il Condominio convenuto, costituitosi con comparsa di risposta depositata in Cancelleria il 21.10.2013 (udienza di prima comparizione fissata dall’Ufficio – ex art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ. – per il successivo 11.11.2013), ha non soltanto contestato il preteso credito (per assoluto difetto di prova dello stesso), ma ha, altresì, imputato al cessato amministratore molteplici atti gestori infedeli o, almeno, irregolari (consistiti nella corresponsione di somme a terzi e a sé medesimo senza autorizzazione preventiva né ratifica successiva da parte dell’assemblea né, comunque, una valida causale effettivamente riferibile al comparente), chiedendo, perciò, oltre al rigetto della domanda (o, comunque, alla limitazione al minor complessivo importo di Euro 4.326,01, senza aggravio di interessi e spese legali), la condanna riconvenzionale dell’attore al risarcimento dei danni contrattuali per complessivi Euro 182.550,68 (o nella misura, comunque diversa, ritenuta di giustizia), oltre interessi legali.
In esito allo scambio delle memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., la causa, senza particolare istruttoria, viene in decisione alla scadenza degli assegnati termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda dell’attore è risultata del tutto inammissibile e infondata, mentre quella riconvenzionale deve essere in parte accolta.
par.1. E invero, da un lato, il Tiraboschi pretende di aver, “per mero errore” e sebbene già non fosse più amministratore del condominio convenuto, pagato cinque fatture ACEA (n. (…) del 20.3.2012; n. (…) del 17.5.2012; n. (…) del 18.7.2012; n. (…) del 11.9.2012 e n. (…) del 16.11.2012) ancora domiciliate presso il proprio studio professionale e riferibili indubbiamente all’utenza n. (…), senza, tuttavia, produrre altro che copie fotostatiche (non anche gli originali) delle suddette fatture e di ricevute di versamento su conto corrente postale con timbri della banca asseritamente trattaria (non anche le corrispondenti contabili di addebito su un proprio contro corrente).
Per contro, il condominio ha comprovato i propri pagamenti di almeno tre di quelle fatture (che, in effetti, anche secondo il prospetto ACEA versato in atti, risultano saldate nelle date indicate dal convenuto e non piuttosto in quelle indicate dall’attore).
par.2. Dall’altro, invece, il convenuto ha tempestivamente formulato domanda riconvenzionale di responsabilità contrattuale per molteplici, individuati atti gestori infedeli o, almeno irregolari, consistiti nella esecuzione di pagamenti a terzi con denaro condominiale o in prelievi non trascurabili dello stesso nel proprio interesse, senza autorizzazione preventiva né ratifica successiva da parte dell’assemblea né, comunque, una valida causale effettivamente imputabile a obblighi o utilità dell'”ente” allora amministrato dall’odierno attore.
In particolare, sono stati contestati:
a) i pagamenti delle (…) S.r.l. e (…) S.r.l., per complessivi Euro 52.800,00, recanti la causale “assistenza elaborazione dati e contabilità condominiale ordinaria e straordinaria comprese spese”;
b) il consuntivo della gestione straordinaria fondo cassa – esercizio 2003 per la spesa di Euro 29.206,89 (relativa a quattro fatture dello stesso attore e a sei fatture del fratello avvocato) eccedente l’importo deliberato al riguardo e limitato a soli Euro 25.000,00;
c) le spese di Euro 3.120,00 per “gestione straordinaria giudizio S. S.r.l.” e di Euro 3.744,00 per “gestione causa Fendi”;
d) il maggior esborso di Euro 23.702,79 (rispetto al preventivo approvato) del consuntivo straordinario impianti per l’esercizio 2002;
e) il prelievo di complessivi Euro 69.977,50, di cui a quattro assegni circolari intestati a (…), impiegato a copertura di posizioni debitorie di altri condominii (condominio di Via (?); condominio di Viale (?); condominio di Via (?) e condominio di Via (?)).
L’attore si è difeso, al riguardo, sostanzialmente eccependo la prescrizione delle avverse pretese e invocando, comunque, contro i rilievi e le assunzioni censorie dell’assemblea del 6.12.2011 (successiva all’avvicendamento nella carica), asserite risultanze a lui favorevoli della contabilità condominiale precedentemente approvata.
In particolare, con la seconda memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., il Tiraboschi ha prodotto il verbale dell’assemblea del 19.5.2011 (che, fra l’altro, ha deliberato la sua sostituzione), a tenore del quale i rendiconti consuntivi delle gestioni condominiali per l’esercizio 2009 e per l’esercizio 2010 sono stati approvati all’unanimità dei presenti (venticinque teste, per complessivi 687,64 millesimi), evidenziando crediti dell’amministratore, per “anticipi a fine gestione”, dell’ammontare, nel primo caso, di Euro 76.052,80 e, nel secondo, addirittura di Euro 133.153,31.
par.3. Orbene, anzitutto, il pregresso giudizio fra le stesse parti n. 66982/2012 (definito sfavorevolmente per il Tiraboschi, con ordinanza ex art. 186-quater cod. proc. civ. di condanna del medesimo a versare al Condominio già da lui gestito un consistente incasso per oneri condominiali indebitamente trattenuti) costituisce una vera e propria preclusione per le ulteriori pretese dell’odierno attore nei confronti del predetto Condominio – anche in questa sede convenuto – in relazione al cessato mandato ad amministrare, mentre le risultanze della consulenza contabile d’ufficio disposta e acquisita in quel menzionato giudizio (e versata ritualmente agli atti del presente) costituiscono un limite di “mero accertamento” positivo (con riguardo non soltanto al petitum, ma anche ai singoli fatti costitutivi) delle pretese riconvenzionali del Condominio medesimo (che, quindi, da un lato ed entro quei limiti, non può più vedersele respingere, sull’eccezione che non siano provate o dovute – non avendo l’altra parte invocato uno speculare giudicato a lei favorevole per esclusione di quanto non già attribuito in quella sede -; dall’altro, non può più chiedere alla controparte, per la gestione dalla stessa svolta, altre somme o a diverso titolo – oltre a quelle già accertate -).
par.4. Secondariamente, in linea di principio, è senz’altro noto (cfr. Cass. Sez. Un., 8 aprile 2008, n. 9148) che quello dell’amministratore di condominio è un ufficio di diritto privato, assimilabile a un rapporto gestorio con rappresentanza assunto su incarico collettivo, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condòmini mandanti, delle disposizioni sul mandato (per quanto, beninteso, non previsto dall’art. 1129 cod. civ. e – di rimando a esso – dall’art. 1130 cod. civ.) e, in particolare, di quelle che impongono al mandatario di eseguire l’incarico ricevuto con la diligenza del buon padre di famiglia; di comunicare senza ritardo l’esecuzione dello stesso e, alla scadenza del rapporto (ovvero alla revoca dell’incarico o all’atto dell’accertamento dell’impossibilità di eseguirlo), di rendere il conto del suo operato e di restituire tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (nonché gli vietano di eccedere i limiti di quest’ultimo – pena la responsabilità personale per l’atto esorbitante compiuto – e di discostarsi dalle istruzioni ricevute, salvo il caso di circostanze non note e preventivamente riferibili che facciano presumere l’approvazione della diversa scelta: cfr. artt. 1710 – 1713 cod. civ.).
In particolare, “l’obbligo di rendiconto è legittimamente adempiuto quando chi vi sia tenuto fornisca la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto delle somme incassate e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione e al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione” (cfr. Cass., 14 novembre 2012, n. 19991).
In ogni caso, comunque, “in tema di mandato oneroso, l’obbligo di rendiconto gravante sul mandatario consiste nell’informare il mandante di “ciò che è accaduto” e, cioè, nella comunicazione di fatti storici che hanno prodotto entrate e uscite di denaro per effetto dell’attività svolta, al fine di ricostruire i rapporti di dare e avere, con la relativa documentazione di spesa, e non comprende anche l’obbligo di spiegare “ciò che sarebbe dovuto accadere”, essendo onere del mandante, una volta che l’informazione doverosa sia stata resa, non solo di specificare le partite che intende mettere in discussione, ma anche di dimostrare la fondatezza degli specifici motivi di critica della qualità dell’adempimento, con esclusione di generiche doglianze concernenti le modalità di presentazione del conto ovvero il disordine dei documenti giustificativi” (cfr. Cass., 10 dicembre 2009, n. 25904).
Il rendimento del conto, sotto forma di “bilancio consuntivo condominiale” (la cui essenza risiede – come si suol dire – nel rapporto tra il valore contenuto nell’estratto del conto corrente alla chiusura di ciascun esercizio e il valore dei crediti/debiti derivanti dai conguagli contabili), funge, contemporaneamente, da atto riepilogativo della situazione finanziaria del condominio (dal punto di vista del funzionamento di quest’ultimo, in quanto “organismo superpersonale”) e da elemento (non già di un negozio di mero accertamento, con la sua funzione di rendere certe delle situazioni – anche effettuali – obiettivamente incerte, ma) di un vero e proprio “negozio con funzione ricognitiva della situazione preesistente, cioè dell’esecuzione del mandato, e costitutiva di un’attuale obbligazione diretta a definire un regolamento d’interessi” collegato con il preesistente rapporto gestorio (dal punto di vista, invece, di quest’ultimo: cfr. Cass., 22 agosto 1985, n. 4480).
Sotto il primo aspetto, cioè, la deliberazione assembleare di approvazione (al pari di ogni altra deliberazione dell’organo collegiale) ha un valore non già direttamente negoziale (costitutivo, modificativo o estintivo, cioè, di rapporti giuridici), ma, “semplicemente”, ricognitivo e conformativo (di presupposto delle ulteriori azioni volte all’incasso dei conseguenti oneri contributivi a carico dei singoli condòmini), mentre, sotto il secondo aspetto, costituisce approvazione del rendiconto, reso dal mandatario amministratore, del proprio operato gestorio.
Da un lato, pertanto, la deliberazione può soltanto essere impugnata dai condòmini non consenzienti (per ragioni non già di merito, ma solo di legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 cod. civ., poiché non è consentito al singolo condòmino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera: cfr. Cass., 4 marzo 2011, n. 5254) o successivamente corretta, sostituita o revocata dall’assemblea (sia in virtù del principio di libera rivedibilità anche del bilancio regolarmente approvato – non ostandovi alcun divieto di legge: cfr. Cass. 6 dicembre 2011, n. 26243; anzi, “i criteri di semplicità e snellezza che presidiano alle vicende dell’amministrazione condominiale” consentendo, “senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, finanche la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell’approvazione dei rendiconti”: cfr. Cass., 31 marzo 2017, n. 8521 – sia in adempimento dell’obbligo di avere una contabilità corretta e veritiera – rispondente appieno alla funzione informativa voluta dalla legge così sugli aspetti quantitativi come su quelli qualitativi del patrimonio -), fatti, comunque, salvi – come sempre – i diritti nelle more acquisiti dai terzi.
Il regime delle deliberazioni condominiali deve considerarsi, invero, dettato, per identità di ratio legis, dall’art. 2377 cod. civ. (cfr. Cass., 1 novembre 2017, n. 18359), in quanto applicabile (cioè, o in quanto non diversamente disposto “in subiecta materia” o in quanto non altrimenti impossibile, “de iure” o “de facto”).
Deve, pertanto, escludersi, in linea generale, che il condominio (come la società) sia legittimato attivamente a domandare l’annullamento giudiziale di deliberazioni assunte dalla propria assemblea: i rimedi “impugnatori” competono ai singoli componenti della collettività, mentre quest’ultima, attraverso il proprio “organo rappresentativo”, non può che essere legittimata passivo nel relativo giudizio, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell’impugnazione (e sarebbe, perciò, inammissibile attribuirle la legittimazione a insorgere giudizialmente contro la sua propria volontà) e perché essa non ha un proprio interesse rispetto a una determinata deliberazione.
Dall’altro lato, l’approvazione del rendiconto, che il mandatario amministratore è tenuto a rendere ai sensi degli artt. 1130, n. 10, e 1713 cod. civ., pur senza ricorrere necessariamente alla procedura prevista dall’art. 267 cod. proc. civ., si riferisce a tutto l’operato dello stesso per l’esercizio in questione (ovvero per il singolo periodo di prestazione in cui quell’operato può frazionarsi), come previsto dall’incarico, e comporta (salvo il caso che, all’atto dell’approvazione, il mandante – meglio, l’assemblea dei mandanti – abbia formulato espresse riserve per quei diritti non attinenti alle partite contabili enucleate nel conto) che il conseguente regolamento negoziale “acquisti valore ed effetto di esclusiva disciplina definitoria di tutti i rapporti derivanti dall’esecuzione del mandato” (cfr. Cass., 27 aprile 1982, n. 2634).
Residuano, comunque, naturalmente, sia uno “strumento correttivo generale”, poiché l’approvazione può sempre essere impugnata, “in considerazione del suo contenuto negoziale, per eventuali vizi del consenso” (cfr. Cass., 5 giugno 1985, n. 3356: “con riguardo all’obbligo di rendiconto, gravante … in genere sul mandatario nei confronti del mandante, il dovere di formare il conto in modo tale da consentire il riscontro della corrispondenza al vero delle singole poste e dell’entità delle stesse è stabilito a tutela degli interessi dei … destinatari e, pertanto, può trovare deroga, vertendosi in materia di diritti disponibili, tanto in un accordo preventivo con gli aventi diritto al conto, che ne autorizzi la redazione incompleta, quanto in un successivo atto con il quale essi approvino l’operato dell’obbligato, ferma restando la possibilità d’impugnare questa approvazione, in considerazione del suo contenuto negoziale, per eventuali vizi del consenso”) sia uno “strumento correttivo speciale” e, cioè, secondo il principio che si ricava dal disposto dell’art. 266 cod. proc. civ., il potere di revisione del conto (reso da chi vi era obbligato), esercitabile (dalla controparte che lo ha approvato) soltanto in caso di errore materiale, omissione o duplicazione di partite, falsità.
Sicché e nei limiti consentiti, il Condominio che lamenti un malaccorto o, addirittura, infedele impiego del proprio denaro da parte dell’amministratore che lo abbia gestito è onerato della prova (da fornirsi attraverso tanto la contabilità – se regolarmente tenuta e approvata – e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa quanto i movimenti del conto corrente) che l’esercizio in contestazione si è in realtà chiuso, non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa, o puntualmente riportati nel bilancio successivo come partite in entrata (e poi, a un certo punto, “dispersi”, senza un corrispondente, effettiva partita in uscita) oppure sin dall’inizio fraudolentemente occultati, mentre il cessato amministratore, per converso, è onerato, in quanto contrattualmente debitore, verso il Condominio, della propria prestazione (anche professionale) di mandatario, della prova della corretta amministrazione e, perciò, in particolare, dell’effettivo e accorto impiego di tutte le somme riscosse per pagare le spese di volta in volta preventivate o imposte dall’urgenza (previa puntuale registrazione di ogni singolo incasso – con la relativa provenienza – e di ogni singolo esborso – in corrispondenza di adeguata documentazione giustificativa -).
par.5. Sennonché, in primo luogo, non essendo – in alcun caso – decorso il termine decennale di prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale, è stato espressamente contestato dal Condominio che le spese oggi dallo stesso impugnate siano mai state sottoposte all’approvazione (in via di preventiva autorizzazione o, almeno, di successiva ratifica) dell’assemblea, né il Tiraboschi ha, per contro, concludentemente replicato con la precisa indicazione (e, all’occorrenza, dimostrazione) o di relative evidenze contabili a lui favorevoli o, al più, di relative causali che, sia pure in difetto di tali evidenze, ne consentissero (anche soltanto in via retrospettiva, bensì, ma pur sempre in modo inoppugnabile) il conteggio nell’interesse effettivo della compagine condominiale (a titolo solutorio di obbligazioni gravanti su quest’ultima o di utilità dalla stessa conseguite).
par.5.1. In secondo luogo, le risultanze de quibus non possono affatto essere contrastate sulla scorta di un mero elaborato peritale di parte, che, com’è noto, “costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico”, assolutamente “priva di autonomo valore probatorio” (cfr. Cass. Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass., 6 agosto 2015, n. 16552; Cass. ord., 24 agosto 2017, n. 20347).
par.5.2. Degli importi specificamente richiesti in riconvenzionale, pertanto, tenuto conto anche dell’assemblea del 6.12.2011, possono essere attribuiti al Condominio già amministrato dal Tiraboschi soltanto quelli che figurano riscontrati nelle conclusioni della consulenza contabile dell’esperto ing. T.M. svolta nel menzionato, pregresso giudizio n. 66982/2012 e, cioè, Euro 28.881,65, in relazione alla voce “Fondo cassa 2003 per spese non approvate e non inerenti”; Euro 12.600,00, in relazione alla voce “(…) S.r.l. e (…) S.r.l. per spese non approvate”, ed Euro 69.977,50, in relazione alla voce “Pagamenti ITALGAS non inerenti” (in ragione di complessivi Euro 111.459,15), oltre, naturalmente, agli interessi legali a decorrere dalla chiusura dei conti (avvenuta, per allegazione dello stesso Condominio, il 27.7.2011, data del passaggio delle consegne).
par.6. Spese processuali, infine, liquidate in dispositivo, come da soccombenza principale.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da (…), con atto di citazione notificato, per mezzo del servizio postale, il 17/21.5.2013, contro il Condominio nell’edificio di Via (?), in persona dell’amministratore pro tempore, convenuto costituito e attore in riconvenzionale, così decide:
a) Dichiara inammissibile e, comunque, rigetta la domanda proposta dall’attore (…);
b) Accoglie parzialmente la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto e, per l’effetto, condanna l’attore (…) a pagare al Condominio di Via T. n. 15 la somma di Euro 111.459,15, oltre, naturalmente, agli interessi legali a decorrere dal 27.7.2011, data del passaggio delle consegne;
c) Condanna, infine, l’attore (…) a rimborsare integralmente al convenuto Condominio le spese del presente giudizio, che liquida, d’ufficio, in complessivi Euro 10.000,00 per competenze professionali, oltre oneri fiscali e previdenziali di legge.
Così deciso in Roma il 26 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2019.