L’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della societa’ fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purche’ sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 14 giugno 2018, n. 27441

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTEMBRE Antonio – Presidente

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/03/2016 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. IRENE SCORDAMAGLIA;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PICARDI ANTONIETTA che ha concluso per il rigetto del ricorso (OMISSIS) e inammisssibilita’ del ricorso (OMISSIS);

L’AVV.TO (OMISSIS) CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO; L’AVV.TO (OMISSIS) CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza della Corte di appello dell’Aquila del 14 marzo 2016, pronunciata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), imputati l’uno da amministratore di diritto, l’altro da amministratore di fatto, della (OMISSIS) S.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Vasto in data 10 luglio 2008 – dei delitti, commessi in concorso tra loro, di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, di realizzazione di operazioni dolose atte a cagionare il fallimento e di truffa aggravata, la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vasto in data 15 aprile 2014, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al delitto di truffa perche’ estinto per prescrizione e, per l’effetto, ha rideterminato la pena inflitta agli imputati medesimi nella misura di giustizia, con conferma nel resto.

2. Con atto a firma dell’Avvocato (OMISSIS) ricorre (OMISSIS) e denuncia:

2.1. – il vizio di motivazione da mancata o illogica valutazione delle prove, posto che le evidenze probatorie deponevano univocamente per la sua estraneita’ all’effettiva gestione della societa’ fallita, rimasta nelle mani del dominus (OMISSIS), con la conseguenza che i dati valorizzati dalla Corte territoriale – la sottoscrizione di alcuni assegni per conto della (OMISSIS) S.r.l. – non solo non erano dotati della forza esplicativa necessaria per sostenere la condanna per il concorso con l’amministratore di fatto nel delitto di bancarotta patrimoniale – perche’ non dimostravano che egli avesse voluto fornire un contributo consapevole e volontario alle condotte depauperatorie del patrimonio sociale riferibili al (OMISSIS) -, ma neppure potevano dirsi sufficienti a suffragare l’assunto d’accusa circa la sua compartecipazione 1121 delitto di bancarotta fraudolenta documentale mediante sottrazione e distrazione delle scritture contabili: e cio’, soprattutto, per il peculiare rilievo da assegnare nella fattispecie de qua al dolo specifico, che esige la puntuale dimostrazione della finalizzazione della condotta – in questo caso posta in essere da un soggetto estraneo alla effettiva gestione della societa’ – alla perpetrazione di un danno ai creditori;

2.2. – il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 216 L. Fall., e il vizio di motivazione, sul rilievo che dalla ricostruzione processuale della vicenda emergeva unicamente che egli si fosse reso inottemperante agli obblighi connessi alla carica di amministratore della societa’, non anche che egli si fosse prestato a fungere da paravento per consentire ad altri di spogliare il patrimonio aziendale e di far scomparire strumentalmente le scritture contabili: donde non essendo stata raggiunta la prova in ordine alla direzione della volonta’ delle sue condotte a perseguire un intendo di frode in danno dei creditori, il fatto contestatogli avrebbe dovuto essere qualificato nei termini della bancarotta semplice;

2.3. – il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 114 c.p., e il vizio di motivazione, quella posta dalla Corte territoriale a corredo del diniego della circostanza del contributo di minima importanza rivelandosi del tutto insufficiente al cospetto dei risultati della prova, attestativi di un ruolo del tutto marginale dispiegato da esso ricorrente nella gestione dell’impresa e della sua strumentalizzazione quale “pedina” piegata dal (OMISSIS) al perseguimento delle sue mire illecite;

2.4. – il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, in relazione all’utilizzazione dell’elemento della gravita’ dei fatti per giustificare, in spregio al principio del ne bis in idem, plurimi effetti – la determinazione della pena oltre il minimo edittale, il diniego delle circostanze attenuanti generiche e l’applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, – tutti a lui sfavorevoli;

2.5. – il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 63 c.p., comma 4, con riguardo all’erroneo calcolo dell’aumento di pena conseguente al concorso delle circostanze aggravanti, ritenute ad effetto speciale, di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1 e comma 2, n. 1;

2.6. – il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p., e il vizio di motivazione, per essere quella posta a sostegno della statuizione di diniego delle circostanze attenuanti generiche del tutto apparente.

3. (OMISSIS) ricorre con il ministero del proprio difensore, Avv. (OMISSIS), deducendo:

3.1. – il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 192 e 533 c.p.p., e il vizio di motivazione da travisamento della prova, posto che il giudice del gravame aveva escluso la tesi alternativa prospettata dalla difesa – che egli cioe’ fosse un mero dipendente della societa’ pur se addetto allo svolgimento di mansioni direttive dell’area commerciale – sulla base dell’esiguo rilievo che non vi era prova che egli avesse percepito una retribuzione stipendiale;

3.2. – Il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 2639 c.c., quanto agli elementi sintomatici della gestione di fatto della societa’ poi fallita;

3.3. – Il vizio di motivazione in riferimento all’argomentazione spesa dal giudice censurato per giustificare la sua compartecipazione nelle ipotesi di reato rubricate, essendo stati all’uopo valorizzati meri “spezzoni” di condotte privi di una collocazione organica nell’economia della ricostruzione della vicenda;

3.4. – il vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, rilevandosi preterizione degli elementi direttivi che devono guidare la discrezionalita’ giudiziale nella determinazione del quantum di pena e nella concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi di entrambi gli imputati sono inammissibili: o perche’ manifestamente infondati; o per essere stati denunciati vizi che esorbitano dal novero di quelli consentiti nel giudizio di legittimita’; ovvero perche’ aspecifici, giacche’ sviluppati senza il necessario confronto con le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.

1. Giova in limine evidenziare che molte delle censure – segnatamente quelle di cui al primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e di cui al primo e al terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) – si risolvono, per lo piu’, nella sollecitazione rivolta alla Corte di legittimita’ a prodursi in uno sforzo rivalutativo degli elementi di prova posti a sostegno delle singole statuizioni di condanna che, tuttavia, gli e’ istituzionalmente estraneo.

Infatti, la verifica che la Corte di cassazione e’ abilitata a compiere sulla correttezza della motivazione non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, ne’ con la possibilita’ di formulare un giudizio, diverso da quello espresso dai giudici di merito, sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilita’ delle fonti di prova, dovendo il controllo in parola essere, invece, limitato alla congruita’ e coerenza delle valutazioni compiute: sicche’ esse si sottraggono al sindacato di legittimita’ una volta accertato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico ovvero di un esame incompleto o impreciso (Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999 – dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331; Sez. 1, n. 4491 del 03/07/1996, Schiani, Rv. 205643). Nondimeno, poiche’ il controllo di logicita’ deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non e’ possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, l’allegazione nel ricorso per cassazione di una serie di dati conoscitivi estrinseci al provvedimento stesso – salvo il caso del travisamento della prova, purche’ dedotto nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso (canone, questo, a cui la difesa del (OMISSIS) non si e’ certo attenuta) – tradisce la funzione stessa del giudizio di legittimita’ che, in quanto deputato alla verifica della corretta applicazione delle norme penali sostanziali e processuali e della logicita’ della motivazione nei limiti della completezza e della plausibilita’, deve necessariamente prescindere dalla considerazione di emergenze che fuoriescono dal raggio del tessuto argomentativo della sentenza impugnata.

2. Vale, peraltro, ribadire sul piano metodologico – ed allo scopo di ulteriormente confutare i rilievi prospettati dai ricorrenti nei motivi dianzi indicati -, per un verso, che, secondo il pluriennale insegnamento impartito da questa cattedra nomofilattica, le doglianze relative alla violazione dell’articolo 192 c.p.p. – riguardanti il presunto mancato rispetto delle regole di valutazione della prova – non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, Pecorelli e altro, Rv. 271294), posto che la specificita’ dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilita’ per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata sino a ricomprendere la violazione delle regole processuali concernenti la motivazione – tra queste anche quella di cui all’articolo 533 c.p.p. -, essendo la deducibilita’ di tale inosservanza ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza (Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998 – dep. 26/01/1999, Condello e altri, Rv. 212248); per altro verso, che costituisce jus receptum il principio di diritto secondo il quale la regola di giudizio compendiata nella formula “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimita’ esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicita’ manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso e altri, Rv. 270108; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600), con la conseguenza che occorre prendere atto – e in questa sede ribadire – che il parametro di valutazione indicato nell’articolo 533 c.p.p., che richiede che la condanna sia pronunciata se e’ fugato ogni “dubbio ragionevole”, opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimita’: solo innanzi alla giurisdizione di merito tale parametro puo’ essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove; diversamente in sede di legittimita’ tale regola rileva solo nella misura in la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicita’ del tessuto motivazionale.

3. Donde, in sede di legittimita’, la violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio indicato dall’articolo 533 c.p.p., e’ invocabile solo quando precipiti in una severa illogicita’ del percorso argomentativo, che, tuttavia, non e’ riscontrabile nel caso scrutinato. Infatti, l’estraneita’ alla concreta gestione della societa’ fallita professata dall’ (OMISSIS), il quale ha invocato il suo ruolo di mera facciata, e’ stata efficacemente smentita dal giudice censurato con l’evidenziare come gli assegni privi di provvista, utilizzati per fare incetta di merci da disperdere nei rivoli delle vendite in nero, furono sottoscritti anche da questi, nella sua qualita’ di amministratore di diritto, e che le trattative dirette a tale illecito accaparramento furono condotte anche da lui; mentre il ruolo di amministratore di fatto svolto dal (OMISSIS) – contestato, peraltro, nel secondo motivo del ricorso a firma dell’Avvocato (OMISSIS), in maniera del tutto generica, con il solo astratto riferimento ai criteri sintomatici desumibili dai connotati di “continuita’ e significativita’” di cui all’articolo 2639 c.c. – e’ stato scolpito con il puntuale riferimento alle evidenze probatorie in forza delle quali questi aveva continuato a firmare assegni e a gestire le trattative per conto della societa’ anche dopo la dismissione della carica di amministratore; aveva movimentato i conti correnti della fallita in quanto titolare di una delega ad operarvi; era il soggetto che, agli occhi dei dipendenti e dei terzi – clienti e fornitori -, era dotato di poteri direttivi, esercitati in maniera autonoma, corrispondenti a quelli del titolare dell’impresa. Poiche’, dunque, l’apparato giustificativo del convincimento maturato dalla Corte di merito si appalesa non solo completo ma del tutto plausibile, le doglianze che si dirigono su di esso non colgono in alcun modo nel segno.

4. Alla stregua delle considerazioni sin qui evidenziate, peraltro, devono essere dichiarate inammissibili, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, e in ragione della loro assoluta genericita’ – perche’ prive di ogni specifico riferimento al testo del provvedimento impugnato, nella parte in cui il vizio denunciato si sarebbe manifestato -, le deduzioni sviluppate dalla difesa del (OMISSIS) nel terzo motivo di ricorso, posto che, al di la’ dell’astratto richiamo a “spezzoni di prova”, indebitamente valorizzate dalla Corte territoriale, le stesse risultano del tutto disarticolate rispetto al tenore della motivazione censurata, la quale ha, invece, reso ragione, in maniera tutt’altro che apodittica, della sinergia operativa posta in essere dagli imputati – l’uno da amministratore di diritto e l’altro da amministratore di fatto – per snaturare la “(OMISSIS)” S.r.l. della sua finalita’ di organismo predisposto per il conseguimento di un lecito profitto, piegandola a strumento delle loro mire illecite, esplicantesi nella massimizzazione delle loro personali utilita’ e nell’azzeramento delle pretese creditorie. Tanto e’ sufficiente alla luce degli ampi richiami al fatto compiuti dal Collegio di appello – per fornire contezza della realizzazione concorsuale dei reati ascritti agli imputati.

5. Manifestamente infondate sono, invece, le censure mosse alla sentenza impugnata dall’ (OMISSIS) – nel primo motivo del ricorso a firma dell’Avvocato (OMISSIS) – in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto contestatole di bancarotta fraudolenta documentale. E’, infatti, noto l’orientamento di questa Corte che, in tema di responsabilita’ dell’amministratore di diritto, ancorche’ solo prestanome’, per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale, ha affermato che: ” L’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale, atteso il suo diretto e personale obbligo di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, diversamente da quanto avviene in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, dal momento che l’accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi, attinenti alla distrazione di singoli beni costituenti il patrimonio sociale, nutriti dall’amministratore di fatto (Sez. 5 n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv. 247251)” e che:” L’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della societa’ fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purche’ sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi e altro, Rv. 271754; Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, Demajo, Rv. 257950).

Deve, al riguardo, riconoscersi che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei ricordati principi di diritto quando, con motivazione sintetica ma non per questo affetta da vizi logici, ha rilevato come non potendosi ritenere che l’ (OMISSIS) fosse del tutto estraneo alla concreta gestione della societa’, avendo sottoscritto assegni per conto della stessa ed avendo in prima persona condotto trattative con i fornitori, per cio’ stesso non si potesse neppure dire inconsapevole del piano orchestrato per portare al collasso la societa’ frodandone i creditori: strategia della quale era parte integrante “la sottrazione delle scritture…finalizzata, per quanto possibile, a coprire tale illecita attivita’”.

6. Diversamente da quanto opinato dalla difesa dell’ (OMISSIS) – nel secondo motivo del suo ricorso – la sentenza impugnata ha spiegato le ragioni per le quali si dovesse ritenere che anche il detto imputato fosse a parte dei disegni perpetrati in frode ai creditori della “(OMISSIS)” S.r.l., tanto essendo desumibile dalla circostanza che questa, ormai in stato di insolvenza – dal momento che i beni acquistati vennero pagati da entrambi gli imputati con assegni post-datati e tratti su conti correnti poi chiusi -, fosse utilizzata come un mero schermo per coprire l’incetta di merci, destinate ad essere distratte, producente un grave indebitamento.

La linea argomentativa cosi’ sviluppata appare idonea a confortare l’affermata sussistenza del dolo anche per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nel mentre le doglianze del ricorrente sul punto appaiono quanto mai generiche e per nulla correlate all’effettivo contenuto delle giustificazioni offerte dalla Corte territoriale. Ne’ colgono nel segno le censure sollevate in punto di diritto con il ricorso, dovendosi ricordare che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e’ reato di pericolo (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8/02/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307), nel senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrita’ dei mezzi di garanzia, l’articolo 216 L.F. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non e’ elemento costitutivo della fattispecie tipizzata e che, invero, rileva esclusivamente ai fini della configurabilita’ dell’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1 -, bensi’ anche il pericolo conseguente alla mera possibilita’ che questo si verifichi. Pertanto, sul versante dell’elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilita’ della bancarotta patrimoniale e’ quello generico, integrato dalla volonta’ di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilita’ del pericolo che tale operazione puo’ determinare per gli interessi dei creditori. In altri termini e’ sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attivita’ distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o che la finalita’ di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232).

7. Inammissibile per genericita’ e’, pure, il motivo, prospettato sempre nell’interesse di (OMISSIS), relativo alla mancata concessione in favore di questi della circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, avendo la Corte territoriale ampiamente e logicamente dato conto – con argomentazioni con le quali il ricorrente non si confronta – che il fatto di essersi prestato a realizzare (firmando assegni e conducendo le trattative) condotte idonee a determinare una gravissima esposizione debitoria della societa’ (per oltre due milioni di Euro), omettendo, tra l’altro, di adempiere agli obblighi propri dell’amministratore della societa’, non e’ logicamente compatibile con un contributo, che, lungi dalla comparazione tra le condotte dei compartecipi finalizzata a stabilire quale tra i correi abbia in misura maggiore o minore contribuito alla realizzazione dei reati, sia caratterizzato – come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte – da un’efficacia causale cosi’ lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Barbato, Rv. 266461; Sez. 1, n. 26031 del 09/05/2013, Di Domenico, Rv. 256035; Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, Rv. 229201).

8. Manifestamente infondati, sono, infine, tutti i rilievi censori che si appuntano sul trattamento sanzionatorio.

Privi di pregio sono quelli articolati nell’interesse di (OMISSIS) con il quarto e il quinto motivo, posto che e’ indiscusso principio di diritto quello secondo il quale, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo’ tenere conto di uno stesso elemento (nella specie: la gravita’ della condotta) che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte sotto differenti profili per distinti fini senza che cio’ comporti lesione del principio del “ne bis in idem”. (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi e altri, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013 – dep. 13/01/2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425; Sez. 2, n. 45206 del 09/11/2007, Grasso, Rv. 238511) e che e’ incongruo il riferimento alla regola di cui all’articolo 63 c.p., comma 4, atteso che delle due circostanze aggravanti previste dall’articolo 219 L.F. soltanto quella di cui al comma 1 e’ ad effetto speciale, prevedendo un aumento di pena fino alla meta’.

Non colgono parimenti nel segno le doglianze sviluppate rispettivamente con il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) e con il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), ove si rammenti che “la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita’, purche’ non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato” (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Si e’ anche affermato che “ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ essere sufficiente in tal senso” (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163). Come gli stessi difensori evidenziano, la Corte di appello risulta aver posto l’accento sulla rilevata gravita’, sicche’, in assenza di elementi positivamente valutabili ictu oculi emergenti, il percorso argomentativo adottato dal giudice distrettuale si rivela ineccepibile, soprattutto ove raffrontato con le generiche deduzioni spiegate, in parte qua, nelle impugnative.

9. Si impone, dunque, la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi cui consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese di procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.