si deve escludere che l’opzione per l’ammortamento alla francese comporti per sé stessa l’applicazione di interessi anatocistici, perché gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale, e che il tasso effettivo sia indeterminato o rimesso all’arbitrio del mutuante. Infatti, anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato e non vi è alcuna applicazione di interessi su interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.

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Tribunale|Roma|Sezione 17|Civile|Sentenza|17 gennaio 2020| n. 1125

Data udienza 9 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE XVII CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA

Il Tribunale, in composizione collegiale, composto dai seguenti magistrati:

dr. Claudia PEDRELLI – Presidente

dr. Fausto BASILE – Giudice

dr. Tommaso MARTUCCI – Giudice relatore

SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 40938/2016 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza del 10/10/2019 e promosso da:

PA.SI. nata (…), residente in Roma, via (…), (C.F. (…)), in qualità di erede legittima di Pa.Fr., nato (…), deceduto in Padova il 26/12/2014, registro degli atti di morte del comune di Padova al n. 2194, parte 2, serie B, vol.5, rappresentata e difesa dall’avv. Ma.Gi., (C.F. (…)), in virtù di procura rilasciata in calce all’atto di citazione, elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, via (…)

ATTRICE

contro

DE. S.p.A. con sede in Milano, p.zza (…), iscritta al Registro delle Imprese di Milano al numero di iscrizione e C.F. (…), in persona del procuratore speciale dott. Do.Ma., munito di poteri di natura sostanziale e processuale in forza di procura del 22/2/2016 per atto notar Cl.Ga. di Milano (registrato presso la Agenzia delle Entrate Ufficio di Milano 2 in data 24/02/2016 al n. 8984 Serie 1T), rappresentata e difesa dall’avv. En.De., (C.F. (…)) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, via (…), in forza di procura in calce alla comparsa di risposta

CONVENUTA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 19/5/2016 Si.Pa. conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale la S.p.A. De., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla ripetizione delle somme indebitamente percepite in esecuzione del rapporto di mutuo inter partes a titolo di interessi, spese e commissioni indebitamente applicati, previa declaratoria di nullità del contratto ai sensi dell’art. 1815 c.c. e della legge n. 287/1990, o, in subordine, previa sostituzione, ai sensi dell’art. 117 D.Lgs. n. 385/1993, delle clausole di determinazione degli interessi in quanto nulle, vinte le spese di lite. L’attrice esponeva che il suo dante causa Fr.Pa., cui era succeduta mortis causa il 26/12/2014, aveva stipulato in data 21/7/1998 con la S.p.A. De. il contratto di mutuo n. 8316, a rogito del notaio in Roma dott. Perna Roberto, rep. 108506, rac. 2492, per la somma di Lire 60.000.000, da restituirsi mediante il pagamento di n. 84 rate mensili a far tempo dal 10/8/1998 e fino al 10/07/2005, con la pattuizione del tasso d’interesse pari a 0,625% mensile, corrispondente al 7,50% annuo, degli interessi di mora pari al tasso d’interesse contrattuale maggiorato di 5 punti percentuali, pari al 12,50%, da capitalizzarsi mensilmente dal giorno dell’inadempienza al giorno dell’effettivo pagamento, con concessione di ipoteca per la complessiva somma di Lire 75.000.000, senza l’indicazione dell’I.S.C./T.A.E.G. e con la previsione della penale per l’ipotesi di estinzione anticipata del contratto. Tanto premesso, la Pa. deduceva la nullità parziale del contratto per effetto della pattuizione di tassi d’interesse superiori alla soglia d’usura di cui alla legge n. 108/96 e per violazione della legge n. 287/1990, rappresentando che, a causa dell’applicazione del piano di ammortamento alla francese, peraltro non indicato in contratto, il tasso d’interesse applicato era stato maggiore di quello pattuito.

Con comparsa del 20/7/2016 si costituiva la S.p.A. De., in persona del legale rappresentante pro tempore, eccependo preliminarmente la prescrizione delle avverse pretese creditorie, trattandosi di rapporto venuto a scadenza nel 2005, di cui peraltro chiedeva il rigetto, deducendo che le condizioni economiche del mutuo inter partes erano state pattuite nel rispetto della legge n. 108/1996, rappresentando che il tasso di interesse moratorio non è compreso nel TEG ai fini della verifica del superamento del tasso soglia antiusura e che, in ogni caso, quand’anche si ritenesse sottoposto all’applicazione della legge n. 108/1996, il tasso soglia antiusura dovrebbe essere determinato autonomamente, con la maggiorazione del 2,1% del TEG, come previsto dalle istruzioni della Banca d’Italia.

Esperiti gli incombenti preliminari, all’udienza del 14/03/2017 la banca, preso atto delle avverse deduzioni circa la proposizione della domanda di mediazione in data 5/5/2014, rinunciava all’eccezione di prescrizione, quindi, intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, co. VI, c.p.c., mutato il giudice istruttore e disposta l’iscrizione del presente fascicolo nel R.G. sella Sezione Specializzata in materia di Impresa dell’adito Tribunale, il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 10/10/2019, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

Con particolare riferimento alla causa petendi, Si.Pa. chiede la condanna della S.p.A. De. alla ripetizione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi, spese e commissioni in esecuzione del contratto di mutuo di cui in citazione, previo accertamento della nullità parziale ex art. 1815 c.c. del contratto relativamente alle clausole concernenti i tassi di interesse in quanto usurari e per violazione della legge n. 287/1990. Le domande sono infondate.

Risulta dagli atti che Fr.Pa., cui è succeduta mortis causa il 26/12/2014 l’odierna attrice, stipulava in data 21/7/1998 con la S.p.A. De. il contratto di mutuo n. 8316, a rogito del notaio Ro.Pe., rep. (…), rac. 2492, per la somma di Lire 60.000.000, da restituirsi mediante il pagamento di n. 84 rate mensili a far tempo dal 10/8/1998 e fino al 10/07/2005, con la pattuizione del tasso d’interesse pari a 0,625% mensile, corrispondente al 7,50% annuo, del tasso d’interesse moratorio pari al tasso d’interesse contrattuale maggiorato del 5%, pari al 12,50%, con concessione di ipoteca per la complessiva somma di Lire 75.000.000 e con piano di ammortamento alla francese.

Orbene, in relazione al rapporto di mutuo in oggetto, gli attori eccepiscono la nullità dei tassi di interesse pattuiti per violazione della disciplina antiusura.

La doglianza è priva di pregio.

Le questioni giuridiche rilevanti nel caso di specie attengono all’applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso d’interesse moratorio ed al criterio di determinazione del TEG. Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 394/2000, conv. con L. n. 24/2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).

Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l’uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione e il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.

Si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti: il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l’applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, co. II, c.c. e 644, co. I, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della Banca d’Italia per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108/1996 esige la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura”; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26/4/2016 e Trib. Milano 28/4/2016); la diversa funzione degli interessi moratori – peraltro eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12/11/2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori. Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall’ambito di operatività della L. 108/1996, valorizzando il D.L. 132/2014, convertito con L. 162/2014, che all’art. 17, co. I, ha novellato l’art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. 231/2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso-soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231/2002, quindi superiore al tasso-soglia (Trib. Cremona 9/1/2015; Trib. Vibo Valentia 22/7/2015; Trib. Treviso 12/11/2015; Trib. Monza 3/3/2016; Trib. Varese 26/4/2016; Trib. Milano 28/4/2016).

Prevale, tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza l’orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d’usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29/2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermazione del “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole … non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate). Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:

a) la L. 28.2.2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. 108/1996, testualmente disciplina gli “interessi. promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al d.l. 394/2000);

b) l’art. 644 c.p. statuisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza distinzioni tra tipologie di interessi;

c) i rischi dell’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;

d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora).

L’adito giudicante condivide l’ultimo degli orientamenti sopra citati e i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell’usurarietà degli interessi moratori postula l’analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.

Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della legge n. 108/1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di disporre della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, che non contiene alcuna affermazione nel senso della necessità di cumulare il tasso moratorio al tasso corrispettivo, avendo invece semplicemente affermato che sono soggetti al tasso soglia anche gli interessi moratori; in tal senso si è espressa la più recente e maggioritaria giurisprudenza di merito.

In particolare, non è corretta la tesi secondo cui l’interesse di mora vada sommato a quello convenzionale e tale somma vada confrontata con il tasso soglia antiusura previsto per gli interessi convenzionali dalla legge n. 108 del 1996. Infatti, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi corrispettivi, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi corrispettivi si applicano sul capitale a scadere, costituendo appunto il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (art. 1815 cod. civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod. civ.).

La clausola contenuta nel contratto di mutuo che prevede nell’ipotesi di ritardato pagamento, l’applicazione del tasso moratorio sull’intero importo delle rate scadute non comporta affatto una sommatoria di tassi, in quanto la base di calcolo, alla quale si applica il solo interesse moratorio, rimane cristallizzata nell’importo della singola rata.

Tale previsione è conforme all’art. 120 D.Lgs. n. 385/1993, come modificato dal D. L.vo 349/99, e dalla Delibera del CICR del 9/2/2000, il cui art. 3 così dispone: “Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”. L’applicazione degli interessi moratori sull’importo delle rate scadute non solo non può essere reputata illegittima (in quanto conforme all’art. 3 della delibera del CICR del 9/2/2000), ma nemmeno può influire sulla determinazione del tasso effettivo, essendo anatocismo ed usura fenomeni distinti ed autonomamente disciplinati. Al riguardo è sufficiente osservare che i tassi medi che sono oggetto di rilevazione non comprendono interessi anatocistici e che sussiste una ovvia esigenza di uniformità fra dato in valutazione e parametro di riferimento. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l’interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest’ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto. Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del “tasso effettivo di mora (T.E.MO.)”, posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito. Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall’altro è incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi” (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20/1/2015).

Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d’interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d’interesse non si sommano, in quanto succedono l’uno all’altro; in particolare, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3/6/2015).

Non è in contrasto con tali principi la recente ordinanza della Suprema Corte n. 23192/2017, di cui si riporta il contenuto motivazionale: “Considerato che:1. l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e ai sensi dell’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore; 2. il ricorso è manifestamente infondato; come ha già avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della l. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)”.

Ebbene, tale pronuncia, oltre a ribadire il principio ormai consolidatosi in dottrina e in giurisprudenza, secondo cui gli interessi di mora sono soggetti alla disciplina antiusura, censura il ragionamento sotteso alla pronuncia del Tribunale nella parte in cui era stata apoditticamente esclusa l’usurarietà degli interessi per il solo fatto della non applicabilità della sommatoria dei relativi tassi, dovendosi ritenere che la Suprema Corte abbia evidenziato la necessità di verificare in concreto la usurarietà dei tassi d’interesse, ma ciò non implica che debba farsi luogo alla loro sommatoria ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia.

Corrobora l’orientamento sopra espresso il punto 4) dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura, secondo cui i TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.

Venendo al caso di specie, i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio, se correttamente analizzati con esclusione della loro sommatoria, sono stati legittimamente pattuiti nel rispetto del tasso soglia antiusura.

Con particolare riferimento al tasso moratorio, viene in rilievo la differente funzione assolta rispetto agli interessi corrispettivi da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del beneficiario del credito di godere della somma capitale concessa in prestito, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfettaria del danno causato al concedente dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del beneficiario.

Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c.1 c.c., pertanto, pur non potendosi sottrarre gli interessi di mora alla disciplina sull’usura, si ritiene che il tasso moratorio non debba essere confrontato con il tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi.

Ed invero, le rilevazioni operate dalla Banca d’Italia, sulla scorta delle quali il Ministero dell’Economia determina trimestralmente, mediante appositi decreti, i tassi effettivi globali medi posti alla base di calcolo del “tasso soglia”, non includono gli interessi di mora, che riguardano operazioni con andamento anomalo, in quanto non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito dell’inadempimento da parte del cliente. Sarebbe pertanto iniquo, oltre che scientificamente inattendibile, un confronto di due dati disomogenei, ove il primo sia calcolato computando le voci di costo secondo una metodologia che esclude gli interessi di mora e il secondo sia calcolato computando voci di costo diverse, che includono degli interessi moratori. La rilevazione dei tassi usurari richiede necessariamente l’utilizzazione di dati tra loro oggettivamente comparabili, sicché se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non che essere viziato (cfr. Cass. civ. n. 22270 del 3/11/2016).

Anche volendo ricostruire in via interpretativa un tasso soglia per gli interessi moratori, tale tasso dovrà necessariamente essere superiore al tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi in ragione della cennata differenza funzionale intercorrente tra le due tipologie di interessi.

Il parametro oggettivo disponibile per la ricostruzione in via interpretativa di un tasso soglia degli interessi moratori è dato dai risultati di un’indagine statistica effettuata dalla Banca d’Italia, che rilevò come mediamente il tasso degli interessi moratori convenzionalmente pattuito fosse maggiorato di 2,1 punti percentuali rispetto al tasso medio degli interessi corrispettivi. Tale maggiorazione è menzionata anche nei decreti ministeriali (almeno a decorrere dal secondo trimestre dell’anno 2003), laddove è testualmente previsto che “i tassi effettivi globali … non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento” e che “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.

Dunque, ai fini del verificarsi dell’usura il tasso di mora dovrà essere raffrontato con un tasso soglia determinato attraverso la maggiorazione del TEGM del 2,1%, aumentato poi della metà (a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 8, co. V, lett. d) D.L. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, con la legge n. 106/2011, il tasso soglia antiusura per gli interessi di mora è determinato maggiorando il TEGM del 2,1%, aumentato poi del 25% e di ulteriori quattro punti percentuali) (cfr. Cass. civ. n. 26286 del 17/10/2019).

Il Tribunale non ignora la recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 27442 del 30/10/2018), che, dopo aver affermato il principio di diritto secondo cui anche agli interessi moratori si applica la disciplina sull’usura di cui all’art. 2 della legge n. 108/1996, ha ritenuto – sia pure incidentalmente – illegittima, in assenza di una qualsiasi norma di legge, la determinazione di un tasso di “mora-soglia” ottenuto incrementando il tasso soglia antiusura. L’adito giudice non condivide tale conclusione, che appare in contrasto con le direttive delineate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale, intervenendo ex professo sulla questione della verifica dell’usura in presenza della pattuizione di commissioni di massimo scoperto, ha affermato la necessità di utilizzare nel raffronto dati omogenei e, a tal fine, ha fatto ricorso ai criteri di calcolo indicati dalla Banca d’Italia e richiamati negli stessi decreti ministeriali, ratificandone la legittimità (Cass. civ. sez. un. n. 16303 del 20/6/2018).

La Suprema Corte a sezioni unite, con la citata sentenza, di fronte all’alternativa se ritenere illegittimi e, quindi, disapplicare i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM anteriori all’entrata in vigore dell’art. 2-bis del D.L. n. 185/2008, oppure interpretarli conformemente alla legge, alla luce dei consolidati principi di conservazione degli atti giuridici, ha ritenuto corretto il criterio – indicato dalla Banca di Italia e richiamato negli stessi decreti ministeriali – che rileva separatamente l’entità della commissione di massimo scoperto sulla base di un specifico tassosoglia.

Seguendo il medesimo iter logico motivazionale sviluppato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, mutatis mutandis, in relazione alla verifica dell’usurarietà degli interessi moratori il criterio correttivo indicato dalla Banca d’Italia e fatto proprio dai decreti ministeriali (almeno a far tempo dal secondo trimestre del 2003) risulta conforme alla norma di legge primaria, la quale impone di soddisfare le esigenze di omogeneità e simmetria. A ritenere diversamente (ovvero negando rilevanza giuridica al citato criterio correttivo) i decreti ministeriali sarebbero illegittimi (perché imporrebbero il confronto tra dati eterogenei) e, quindi, dovrebbero essere disapplicati con conseguente venir meno di qualunque parametro idoneo a misurare la c.d. usura oggettiva. La maggiorazione proposta dalla Banca d’Italia è, dunque, pienamente legittima, poiché, oltre ad essere prevista dai decreti ministeriali, consente di rendere omogeneo il parametro di riferimento (il tasso soglia) al dato in verifica (gli interessi moratori), conformemente alla voluntas legis (cfr. Trib. Roma n. 22880 del 28/11/2018).

Le ulteriori doglianze attoree sulle commissioni e le spese applicate dalla banca sono generiche ed in quanto tali infondate, così come appare del tutto generica l’addotta violazione della legge n. 287/1990, non configurabile peraltro nella fattispecie. Sono parimenti infondate le censure relative al piano di ammortamento.

La contestazione concerne in sostanza il sistema di ammortamento alla francese. Come noto, si tratta di un sistema graduale di rimborso del capitale finanziato in cui le rate da pagare alla fine di ciascun anno sono calcolate in modo che esse rimangano costanti nel tempo (per tutta la durata del prestito). Le rate comprendono, quindi, una quota di capitale ed una quota di interessi, le quali, combinandosi insieme, mantengono costante la rata periodica per l’intera durata del rapporto.

Ciò è possibile in quanto la quota capitale è bassa all’inizio dell’ammortamento per poi aumentare progressivamente man mano che il prestito viene rimborsato. Viceversa (e da qui la costanza della rata) la quota interessi parte da un livello molto alto per poi scendere gradualmente nel corso del piano di ammortamento, perché gli interessi sono calcolati su un debito residuo inizialmente alto e poi sempre più basso in virtù del rimborso progressivo del capitale che avviene ad ogni rata pagata.

La caratteristica del cd. piano di ammortamento alla francese non è, quindi, quella di operare un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto quella della diversa costruzione delle rate costanti, in cui la quota di interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale.

Gli interessi convenzionali sono, quindi, calcolati sulla quota capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata, senza capitalizzare in tutto o in parte gli interessi corrisposti nelle rate precedenti. Né si può sostenere che si sia in presenza di un interesse composto per il solo fatto che il metodo di ammortamento alla francese determina inizialmente un maggior onere di interessi rispetto al piano di ammortamento all’italiana, che, invece, si fonda su rate a capitale costante. Il piano di ammortamento alla francese, conformemente all’art. 1194 c.c., prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione ad interessi rispetto quella al capitale.

In conclusione, ogni rata determina il pagamento unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata si riferisce (importo che viene integralmente corrisposto con la rata), mentre la parte rimanente della quota serve ad abbattere il capitale.

Orbene, conformemente alla giurisprudenza prevalente, condivisa dall’adito Tribunale, “si deve escludere che l’opzione per l’ammortamento alla francese comporti per sé stessa l’applicazione di interessi anatocistici, perché gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale, e che il tasso effettivo sia indeterminato o rimesso all’arbitrio del mutuante. Infatti, anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato e non vi è alcuna applicazione di interessi su interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti” (cfr. Tribunale di Roma, sez. IX, ord. 20/4.2015).

Ed ancora, rileva la giurisprudenza prevalente, con riferimento al piano di ammortamento c.d. alla francese, che tale sistema matematico di formazione delle rate risulta in verità predisposto in modo che in relazione a ciascuna rata la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull’intero importo mutuato, bensì di volta in volta con riferimento alla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, escludendosi in tal modo che, nelle pieghe della scomposizione in rate dell’importo da restituire, gli interessi di fatto vadano determinati almeno in parte su se stessi, producendo l’effetto anatocistico contestato” (cfr. Trib. Milano, 29/1/2015).

Ne consegue il rigetto delle domande di nullità del contratto e di quelle consequenziali di ripetizione di indebito e di risarcimento del danno.

Quanto alla pretesa risarcitoria, la domanda è sfornita di idonea allegazione e prova della natura e dell’entità del danno asseritamente subito e da risarcire.

Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005).

In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. sez. un. n. 26972/2008).

Nella specie difettano la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta e del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo di seguono la soccombenza, atteso che, per costante giurisprudenza, il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, ex art. 74, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002, non vale ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte, risultata vittoriosa (cfr. Cass. civ. n. 8388 del 31/03/2017).

P.Q.M.

visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, Sezione Specializzata in materia di Impresa, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione notificato in data 19/5/2016 da Si.Pa. avverso la S.p.A. De., in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:

RIGETTA le domande proposte da Si.Pa. avverso la S.p.A. De.;

CONDANNA Si.Pa. al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che liquida in Euro 4.500,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma il 9 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.