Quanto alla domanda di annullamento dei predetti atti, ai sensi dell’art. 428 c.c., è necessario accertare la sussistenza di una situazione di incapacità naturale del soggetto che lo pone in essere. A tal fine non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere. Non è, quindi, necessaria una malattia che annulli in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell’atto. Al contrario, le alterazioni che non attengono direttamente alle facoltà intellettuali o volitive del soggetto, ma soltanto alla sfera del carattere non assumono rilievo ai fini del giudizio sull’incapacità naturale, tutte le volte che esse non incidono sull’attitudine del soggetto di determinarsi in base ad atti di volontà cosciente (per esempio, non si ritiene annullabile il contratto stipulato da persona affetta da depressione cronica del tono psichico e dell’umore, quando tale condizione non la priva della capacita di curare con accortezza i propri interessi). Ai fini della prova dell’incapacità, la stessa non deve essere necessariamente riferita alla situazione esistente al momento in cui l’atto impugnato venne posto in essere, essendo possibile cogliere tale situazione da un quadro generale anteriore e posteriore al momento della redazione dell’atto, traendo da circostanze note, mediante prova logica, elementi probatori conseguenti.

Tribunale|Cosenza|Sezione 1|Civile|Sentenza|31 marzo 2020| n. 693

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI COSENZA

PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Cosenza, prima sezione civile, riunito in camera di consiglio e così composto:

Dott.ssa Rosangela Viteritti Presidente

Dott. Massimo Lento Giudice

Dott.ssa Anna Rombolà Giudice rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 4 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2015, pendente

TRA

Be.Ma., rappresentata e difesa dall’avv. Ma.Be. e dall’Abogado Mi.Be., in virtù di procura a margine dell’atto di citazione;

– attrice –

E

Be.Te., rappresentata e difesa dall’avv. Al.Mo., in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;

– convenuta –

Avente ad oggetto: nullità contratti e testamento per circonvenzione di incapace – annullamento contratti e testamento per incapacità ex art. 428 c.c..

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato Be.Ma. conveniva in giudizio Be.Te., chiedendo che:

1) venisse accertata la sussistenza del reato di circonvenzione di incapace di cui all’art. 643 c.p. a carico di Te.Br., in riferimento ai tre atti pubblici sottoscritti in data 02.02.2010 da Vi.Be.: a) Procura Generale alle liti a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. rep n. 4136, racc. n. 3018; b) Contratto di Compravendita del 02.02.2010 a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. di Cosenza rep. n. 4137 raccolta n. 3019; c) Testamento pubblico di Vi.Be. del 02.02.2010 a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. rep n. 34, registrato con verbale del 25.08.2011 a rogito dello stesso notaio, rep. n. 5610 racc. n. 4118 e che, per l’effetto, fosse dichiarata la nullità degli atti sopra indicati, con conseguente attribuzione in proprietà di tutti i beni all’attrice, quale unica erede legittima;

2) in subordine, previo accertamento e dichiarazione dell’incapacità naturale di intendere e volere di Vi.Be., ex art. 428 c.c., fossero annullati i tre atti pubblici sopra menzionati, con conseguente attribuzione della proprietà dei beni dell’attrice;

3) venisse accertata la sussistenza del reato di cui all’art. 643 c.p. a carico della convenuta per essersi appropriata, nel mese di agosto 2010, dei beni preziosi di Vi.Be., in subordine perché l’appropriazione era avvenuta approfittando dell’incapacità naturale, ex art. 428 c.c., della de cuius, con condanna della convenuta al risarcimento del danno, quantificato nella somma di Euro 300.000,00 o di quell’altra maggiore o minore ritenuta di giustizia, se necessario anche con valutazione equitativa del Giudice;

4) venisse dichiarato che Be.Te. era tenuta al rendiconto bancario effettuato presso l’Ub. di San Giovanni in Fiore, nonché presso la Ex Ba.Po., con condanna della stessa a restituire all’attrice le somme prive di giustificazione causale.

A fondamento della domanda l’attrice deduceva che da una serie di circostanze di fatto, desumibili dalle condizioni di salute e dall’esame delle cartelle cliniche relative ai ricoveri a cui la stessa era stata sottoposta dal mese di giugno 2008 fino al mese di agosto 2011, nonché da diversi episodi verificatisi nello stesso arco temporale, risultava che Be.Vi. fosse affetta da una degenerazione fisica e delle capacità di intendere e di volere e da una grave alterazione mentale che non le consentiva di avere consapevolezza degli atti che poneva in essere;

che, in tale contesto, nel pomeriggio del 2.2.2010 e nell’arco temporale di appena 90 minuti, sottoscriveva tre atti pubblici con i quali disponeva di tutti i propri beni in favore di Be.Te., senza neanche avere il tempo di valutarne l’effettiva portata; che, in particolare, contestualmente, nella propria abitazione ed a rogito del notaio Ma.Gi., sottoscriveva:

a) una procura generale, senza l’obbligo del rendiconto, a favore dell’avv. Te.Br., con cui la stessa poteva vendere tutti i beni mobili ed immobili di Vi.Be., accendere pegni ed ipoteche su tali beni, creare obbligazioni passive (debiti) a carico della mandante, disporre liberamente di conti bancari, della pensione, ecc.;

b) la compravendita della nuda proprietà della villa sita in Strongoli, avente un valore di circa Euro 5000.000,00, per il prezzo di Euro 100.000,00;

c) il testamento pubblico con cui nominava erede universale Be.Te.;

che erano ravvisabili gli estremi del reato di circonvenzione di persone incapaci, ex art. 643 c.p., a carico di Be.Te., per avere indotto Be.Vi. al compimento di atti per lei dannosi, abusando del suo stato d’infermità o di deficienza psichica; che la prova della condotta induttiva poteva esser tratta anche da elementi indiziari e prove logiche, desumibili dalla valutazione del complessivo contesto dei rapporti instauratosi tra il soggetto incapace e l’imputato e dagli accadimenti antecedenti, contestuali e posteriori al compimento degli atti pregiudizievoli; che, in particolare, lo stato di incapacità di intendere e volere di Vi.Be. e la conseguente circonvenzione da parte di Te.Br. risultava dalle 25 dichiarazioni rese dai testimoni in sede di sommarie informazioni nel corso del procedimento penale;

che la sentenza di proscioglimento emessa dal GUP presso il Tribunale di Cosenza, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., non aveva alcuna efficacia di giudicato nel presente giudizio civile, non essendo stata resa all’esito di un dibattimento; che anche la sentenza emessa dal Tribunale civile di Cosenza con cui era stato rigettato il ricorso per interdizione di Be.Vi. non aveva tenuto in debita considerazione la reale portata delle dichiarazioni rese dalla stessa interdicenda, nonché dagli altri informatori, mentre il giudizio di appello era stato dichiarato estinto dalla Corte di Appello di Catanzaro, essendo intervenuto il decesso dell’interessata;

che le stesse caratteristiche degli atti pubblici rendevano evidente che gli stessi fossero il frutto di una circonvenzione rilevante ai sensi dell’art. 643 c.p., trattandosi di atti pregiudizievoli per la de cuius; che, quanto alla compravendita della villa di Strongoli, non vi era alcuna prova del versamento dell’assegno circolare di Euro 20.000,00 sul c/c bancario di Vi.Be. e che, inoltre, i tentativi di vendita dell’immobile sia al Dr. Mo. che a Fe.Do., nell’autunno 2008 e nel 2009 erano incompatibili con l’asserito versamento in contanti di Euro 80.000,00 ai primi del 2006 per l’acquisto del medesimo immobile da parte di Be.Te.;

che, inoltre, nel mese di agosto 2010, Vi.Be. aveva consegnato tutti i suoi beni preziosi, di valore superiore ad Euro 500.000,00, a Te.Br., perché li custodisse, senza che ne fosse fatto alcun inventario o elenco; che anche rispetto a tale atto erano ravvisabili gli estremi del reato di circonvenzione ex art. 643 c.p., con conseguente nullità dell’atto di consegna dei beni preziosi a Te.Br. o in subordine, annullamento ex art. 428 cc, sicché la convenuta doveva essere condannata alla relativa restituzione.

Si costituiva in giudizio Be.Te. che eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità della domanda di accertamento della sussistenza del reato di circonvenzione di persone incapaci, ex art. 643 c.p., e di nullità degli atti, per violazione del principio processuale del “ne bis in idem”, essendosi svolti due procedimenti penali conclusi con sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.c. emessa dal GIP presso il Tribunale di Cosenza e con sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto emessa dal Tribunale di Cosenza;

nel merito, contestava la fondatezza della domanda attorea, rilevando che l’esito del procedimento intrapreso da Be.Ma. per l’interdizione della sorella Vi.Be., in forza di sentenza del Tribunale di Cosenza di rigetto del ricorso, assorbiva la domanda diretta ad accertare l’incapacità naturale di quest’ultima, trattandosi di pronuncia divenuta definitiva a seguito della declaratoria di inammissibilità dell’appello dichiarata dalla Corte d’Appello di Catanzaro;

che i procedimenti penali avevano escluso la configurazione delle ipotesi criminose sulla base della pienezza delle facoltà intellettive e volitive della dottoressa Be.; che erano inammissibili le domande di annullamento degli atti, in quanto l’art. 428 c.c. legittimava all’azione di annullamento degli atti ritenuti compiuti da soggetto incapace, oltreché il soggetto medesimo, l’erede dello stesso, qualità che non era posseduta dall’attrice;

che le risultanze documentali costituite dalle dichiarazioni rese da Vi.Be. in sede di interrogatorio, in data 10.11.2010, nel procedimento per interdizione, nonché dalle deposizioni rese dai testi escussi nel medesimo procedimento civile ed in quello penale, dal parere pro veritate medico-legale sulle condizioni della de cuius Be.Vi. e dalle allegate cartelle cliniche, comprovavano la pienezza delle capacità intellettive e volitive della dott.ssa Be.;

che la rottura dei rapporti fra le due sorelle e la mancata frequentazione della casa di Be.Vi. da parte dell’attrice risalivano al 2005 e si erano protratte fino alla morte della stessa, tanto che la dottoressa Be. era stata assistita da persone di servizio; che, in tale contesto, si ponevano gli atti di disposizione contestati, che erano stati compiuti da Be.Vi. coscientemente e in assenza di qualsiasi condizionamento da parte di Be.Te.;

che, anche rispetto alla compravendita della casa al mare, la scelta della forma giuridica della vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto aveva consentito alla Be. di continuare ad utilizzare la villa con la compagnia più gradita senza sopportare i pesanti oneri economici di ristrutturazione e manutenzione; che anche il prezzo convenuto era congruo, tenuto conto che nel 1995 per la piena proprietà i coniugi Be. – Al. avevano corrisposto la inferiore somma di 120 milioni di Lire.

Concludeva chiedendo il rigetto della domanda proposta dall’attrice.

Espletati gli incombenti di rito e concessi i termini di cui agli artt. 183, VI comma c.p.c., la causa veniva istruita mediante prova testimoniale.

All’udienza del 25.11.2019, sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

L’attrice ha proposto domanda diretta a conseguire la declaratoria di nullità dei tre atti pubblici sottoscritti in data 02.02.2010 da Vi.Be.:

a) Procura Generale alle liti a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. (rep n. 4136, racc. n. 3018);

b) Contratto di Compravendita del 02.02.2010 a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. di Cosenza (rep. n. 4137 raccolta n. 3019);

c) Testamento pubblico di Vi.Be. del 02.02.2010 a rogito del notaio Dr.ssa Ma.Gi. (rep n. 34), registrato con verbale del 25.08.2011 a rogito dello stesso notaio, (rep. n. 5610 racc. n. 4118),

ritenendo ravvisabili gli estremi del reato di circonvenzione di incapace di cui all’art. 643 c.p. a carico di Te.Br., con conseguente attribuzione in proprietà di tutti i beni all’attrice, quale unica erede legittima di Be.Vi. o che, in subordine, domanda di annullamento dei predetti atti, ai sensi dell’art. 428 c.c., per incapacità naturale di intendere e volere di Vi.Be. che aveva posto in essere le suindicate disposizioni, senza comprenderne la reale portata ed il significato giuridico.

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità delle domande, sul presupposto della preclusione costituita dal giudicato penale costituito dalla sentenza di proscioglimento n. 115/12, emessa dal Gup presso il Tribunale di Cosenza in data 12.4.2012, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., che ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Be.Te. in ordine al reato di cui all’art. 643 c.p. per insussistenza del fatto.

In merito, si osserva che gli art. 652 e 654 c.p.p. attribuiscono efficacia preclusiva o vincolante nel giudizio civile o amministrativo esclusivamente alla sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito del dibattimento e non anche a quella di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 425 c.p.p.

Come precisato dalla Suprema Corte, le sentenze istruttorie di proscioglimento (così come i decreti di archiviazione) non rivestono autorità di cosa giudicata nel giudizio civile (o amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato promosso dal danneggiato, trattandosi di provvedimenti per i quali non si verifica la condizione della pronunzia a seguito di dibattimento e che non possono considerarsi irrevocabili (cfr. Cass. pen., Sentenza n. 22540 del 20/10/2006; n. 16768 del 21/07/2006).

Gli artt. 651 e 652 c.p.p., avendo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile, non sono suscettibili di applicazione analogica. Ne consegue che il giudice civile deve interamente ed autonomamente rivalutare, nel rispetto del contraddittorio, il fatto in contestazione, sebbene possa tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, ripercorrendo lo stesso “iter” argomentativo del decidente (cfr. Cass. civ., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17316 del 03/07/2018).

Ciò posto, nel caso di specie, il Giudice civile è chiamato a valutare la sussistenza degli estremi della circonvenzione di incapaci, al fine di statuire sulla domanda diretta ad accertare la nullità dei tre atti pubblici per incapacità di Be.Vi. che li ha sottoscritti.

A tal fine, preme ribadire che, ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci, sono necessarie le seguenti condizioni:

a) l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest’ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l’assenza o la diminuzione della capacità critica;

b) l’induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso;

c) l’abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l’agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a sé o ad altri un profitto;

d) l’oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti (cfr. Cass. pen., Sez. 2 -, Sentenza n. 19834 dell’1.3.2019).

In particolare, lo stato di infermità o di deficienza psichica della persona, pur non dovendo necessariamente consistere in una vera e propria malattia mentale, deve comunque provocare una incisiva menomazione delle facoltà intellettive e volitive, tale da rendere possibile la suggestione del minorato da parte di altri, in quanto l’incapacità del soggetto passivo costituisce un presupposto del reato della cui sussistenza, pertanto, vi deve essere l’assoluta certezza

(cfr. Cass. pen., Sentenza n. 5791 del 09/11/2016; cfr. anche Cass. pen. Sentenza n. 21464 del 20/03/2019, secondo cui “costituisce “deficienza psichica” la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, di intensità tale da agevolare la suggestionabilità della vittima e ridurne i poteri di difesa contro le altrui insidie. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la sussistenza di tale condizione in un caso nel quale risultava accertato un decadimento cognitivo della persona offesa che ne indeboliva la capacità di determinazione in ordine alla cura degli interessi patrimoniali).

Inoltre, il concetto di induzione postula una attività positiva diretta a determinare, convincere ovvero influire sulla volontà altrui, in modo da condurre la vittima a compiere un determinato atto giuridico, e rappresenta un elemento ben distinto dal mezzo usato per il raggiungimento del fine (cfr. Cass. pen. Sentenza n. 8454 del 21/01/2019).

Orbene, gli elementi istruttori posti a fondamento delle sentenze emesse dal Gup presso il Tribunale di Cosenza (sentenza n. 115/12 del 12.4.2012), dal Tribunale civile di Cosenza nel procedimento per interdizione (sentenza n. 1205/11 del 21.7.2011 di rigetto del ricorso) e dal Tribunale di Cosenza – I sezione penale (sentenza n. 2134/13 del 2-27.12.2013 di assoluzione di Be.Te. dal reato di cui all’art. 646 c.p. per insussistenza del fatto), costituiti dalle dichiarazioni rese dalla stessa Be.Vi. e da quelle rese da persone informate sui fatti, possono essere valutate da questo collegio, unitamente alle risultanze documentali allegate dalle parti ed alle deposizioni dei testimoni escussi nel presente giudizio, al fine di formare il proprio convincimento.

Va, peraltro, osservato che tutti i provvedimenti giurisdizionali richiamati sono divenuti definitivi, atteso che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3797/13 del 12.12.2012, ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dal PM presso il Tribunale di Cosenza e dal PG presso la Corte di Appello di Catanzaro avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP, che la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 28.6.2012, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, essendo intervenuto il decesso dell’interdicenda e che la sentenza n. 2134/13 del Tribunale di Cosenza – I sezione penale del 2-27.12.2013 è divenuta irrevocabile il 3.3.2014.

Quanto alle dichiarazioni di Be.Vi., secondo quanto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, “Le dichiarazioni rese dalla vittima del reato affetta da deficit psichico non sono di per sè inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione, ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto” (cfr. Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 21977 del 28/04/2017).

Le risposte rese da Be.Vi. in sede di audizione dinanzi al Giudice civile nel procedimento di interdizione, in data 10.11.2012, sono state ritenute coerenti e logiche sia dal Tribunale civile che ha rigettato il ricorso per interdizione sia dal Gup che ha pronunciato sentenza di proscioglimento.

In particolare, nella sentenza n. 1205/11 del 21.7.2011, il Tribunale di Cosenza ha evidenziato che l’interdicenda, nel corso del suo esame, “ha dato prova di essere perfettamente orientata nel tempo e nello spazio, pienamente lucida e di sapere adeguatamente argomentare dal proprio punto di vista la ferma opposizione alla misura richiesta”.

In riferimento alle condizioni fisiche ed all’esistenza di patologie atte ad incidere sulle capacità cognitive di Be.Vi., la sentenza suindicata ha motivato nei seguenti termini:

“In atti non è documentata alcuna patologia atta ad incidere sulle capacità di discernimento del soggetto, posto che tutta la documentazione medica – peraltro prodotta dalla stessa interdicenda – riguarda patologie a base esclusivamente organica tutte concernenti apparati che non interferiscono in alcun modo con un pregresso di grave patologia oncologica (trattasi di persona sottoposta ad intervento di resezione di gran parte dello stomaco per la presenza di un carcinoma) che sconta quindi una situazione fisica nel complesso gravemente compromessa.

D’altra parte la stessa diagnosi di ingresso in ospedale (diabete mellito scompensato, epatopatia cirrotica, stato anarcosarcotico, anemia ipocronica normocodicistica in pregressa neoplasia gastrica) in occasione del ricovero del luglio 2008 cui si fa riferimento in ricorso non concerne in alcun modo patologie incidenti sulle facoltà mentali.

Quanto alla diagnosi posta dal medico di famiglia dott. Bu.Ol. che nell’agosto 2010 avrebbe riscontrato “mancanza dialogica e stato cognitivo confuso” essa non è stata suffragata da idonea produzione documentale né ha ricevuto conferma dall’istruttoria svolta”.

Al fascicolo della convenuta è allegato, poi, un parere medico-legale pro veritate sulle condizioni cliniche di Be.Vi. redatto dal dott. Ar.Fo., sulla base della disamina delle cartelle cliniche relative ai ricoveri della de cuius nel periodo temporale Luglio-Agosto 2011 all’Ospedale di Crotone ed a quello di San Giovanni in Fiore, in cui si ritiene che “le affezioni patologiche segnalate nulla riguardavano la sfera psichica a proposito di una qualsivoglia patologia primaria riguardante tale apparato”.

Si evidenzia, altresì, che anche i medici che avevano esaminato la paziente, avessero verificato lo stato psichico riportandolo, testualmente, come “psiche e sensorio normale”, nonché, quanto all’obiettività del sistema nervoso, “paziente vigile, orientata nel tempo e nello spazio, non segno di focolaio in atto”.

Rispetto alla diagnosi di “Delirium in soggetto con demenza” espressa dal reparto geriatrico dell’ospedale di Crotone in data 20.7.2011, il dott. Fonti ne reputa l’erroneità, ritenendo che tale stato fosse riconducibile alla momentanea influenza negativa dello scompenso glicemico, conformemente anche alla valutazione espressa dai sanitari dell’Ospedale di San Giovanni in Fiore nelle date successive del 21.7.2011 e del 25.7.2011 che, sulla scorta delle indicazioni fornite dallo psichiatra, hanno escluso l’ipotesi di una patologia collegata alla demenza, ravvisando esclusivamente uno scompenso diabetico.

Il dott. Fonti ha, quindi, concluso che “Be.Vi., ad esclusione del peculiare momentaneo scompenso diabetico legato alla specifica patologia e nell’arco temporale del 13-14,7.2011 quando potè manifestarsi disforica o agitata, fu sempre capace di intendere e di volere, non avendo alcuna deficienza psichica, e la cui manifestazione logorroica di fronte a terzi non rappresentò altro che un proprio modo di manifestarsi quale tipologia psicocostituzionale facente parte di un quadro di stato, come modo di essere della persona (Fornari) non certamente inficiante la capacità di intendere e di volere e quindi la capacità di agire e la capacità di autogestirsi”.

Anche il Gup presso il Tribunale di Cosenza nella sentenza di proscioglimento n. 115/12 del 12.4.2012 ha evidenziato che le risposte date da Be.Vi. in sede di esame dinanzi al Giudice civile fornissero “riscontro diretto” delle condizioni psichiche della stessa, escludendo l’ipotesi di uno stato di deficienza psichica ed in tal modo pervenendo ad escludere gli estremi del reato di circonvenzione di persona incapace a carico di Be.Te., con conseguente proscioglimento di quest’ultima.

Le dichiarazioni rese da Be.Vi. in sede di esame del 10.11.2012 dinanzi al Tribunale di Cosenza sono supportate da riscontri desumibili dalle dichiarazioni rese dagli informatori assunti sia nel procedimento penale sia in quello civile per interdizione e dai testimoni escussi nel presente giudizio.

In riferimento a questi ultimi, si osserva che i testi Lo.Fr. e Mi.An. hanno confermato che Be.Vi. provvedesse personalmente alla cura della sua persona ed al soddisfacimento delle sue esigenze personali. La prima, inoltre, ha precisato di avere svolto l’attività di segretaria presso lo studio della dott.ssa Be. dal 1998 e, dal 2001 in poi, di collaboratrice domestica, recandosi ogni lunedì per fare le pulizie all’interno dell’abitazione, seguendo le direttive da lei impartite, nonché portandole alcuni prodotti alimentari che provvedeva a togliere dalle buste ed a sistemare nel frigorifero. Il teste in questione ha aggiunto, altresì, di avere accompagnato varie volte Be.Vi. sia presso il negozio di abbigliamento “Mi.” sia in farmacia o presso lo studio del commercialista Pe., precisando che a volte aveva anche convocato la sarta per commissionare la confezione di abiti.

Inoltre, il teste Lo.Gi. ha riferito di avere incontrato Be.Vi. all’inizio del 2011 nei pressi della Ba.Po. – agenzia di San Giovanni in Fiore, posta sotto il proprio studio dentistico, precisando che, in quell’occasione, la stessa gli avesse manifestato la volontà di sottoporsi ad eventuali interventi odontoiatrici perché voleva impiantare una protesi fissa.

Questi, inoltre, ha aggiunto di essere passato, nel febbraio 2010, dinanzi allo studio della dott.ssa Be., di essere entrato a salutarla e di avere notato che la stessa era intenta a prescrivere dei farmaci ad un paziente, riferendo di avere scambiato alcune parole con lei che gli aveva anche regalato un libro sulla malattia oncologica.

Anche i testi Lo.Fr. e Mi.An. hanno confermato lo svolgimento dell’attività professionale da parte della dottoressa che ha continuato a ricevere pazienti fino al gennaio 2011, visitandoli nel suo studio. La Loria ha aggiunto di avere accompagnato, a volte, i pazienti della dottoressa Be. all’hotel Di. in quanto si trattava di pazienti provenienti da fuori.

Simili dichiarazioni dimostrano, quindi, che Be.Vi. provvedesse in modo autonomo alla cura della propria persona ed alla gestione dei propri interessi anche economici, in piena consapevolezza e con capacità di discernimento.

D’altra parte, a seguito della notificazione del ricorso per interdizione, Be.Vi. ha autonomamente deciso di resistere allo stesso, munendosi di una difesa tecnica, in tal modo dimostrando di avere piena capacità di provvedere alla tutela dei propri interessi.

Ulteriori elementi, al riguardo, possono trarsi dalle seguenti circostanze.

La convenuta ha dimostrato che Be.Vi. abbia risolto transattivamente una controversia insorta con il dott. Mo., conduttore di un appartamento sito nel fabbricato di proprietà della dottoressa. Al riguardo l’avv. As.Gi. ha confermato di avere assistito il dott. Mo. in occasione di un incontro svoltosi presso l’abitazione di Vi.Be. ai fini della definizione di una controversia tra le parti. Il teste ha riferito: “Preciso che in quell’occasione la dottoressa Be. ha cercato e rinvenuto documentazione relativa a pagamenti per consumi di energia elettrica, riscaldamenti e tasse sui rifiuti relativi all’immobile oggetto di locazione in favore del dott. Mo., trattandosi di definire la ripartizione delle predette spese tra le parti. La dottoressa Be., nell’occasione, ha partecipato alla discussione e abbiamo insieme raggiunto un accordo sulla ripartizione delle spese … la controversia è stata definita transattivamente all’esito delle verifiche svolte nell’incontro di cui ho parlato. Fu concesso un termine per il rilascio dell’immobile locato che poi è stato effettivamente rilasciato”.

In tal modo può trovare spiegazione anche l’episodio confermato dai testi Mo.Ma. e Mi.Ma. relativamente al distacco della corrente elettrica dello studio dentistico da parte di Be.Vi., nel gennaio 2010, che non appare, quindi, indice di un’incapacità di intendere e di volere della dottoressa, quanto una vicenda che si inquadra nell’ambito di contrasti relativi al rapporto di locazione in corso tra le parti.

Inoltre, dalle dichiarazioni rese dai testi escussi è emerso anche che Be.Vi. abbia soggiornato qualche giorni all’Hotel Di. nel gennaio 2010, a causa di un guasto alla caldaia della propria abitazione. Lo.Fr. ha riferito di avere accompagnato la Be. all’Hotel Di. ove si è fermata qualche giorno perché i riscaldamenti dell’abitazione non funzionavano e Mi.An. ha dichiarato di essere andata a trovarla lì, aggiungendo che la dott.ssa Be. era lucida e ragionava perfettamente e che quest’ultima aveva chiesto al marito consiglio su come far riparare la caldaia e l’indicazione di un nome di qualche tecnico.

Anche il dipendente della struttura alberghiera, La.Pi., ha riferito che “Vi.Be. negli anni compresi tra il 2008 ed il 2011 ha diverse volte chiesto la consegna di pasti a domicilio; inoltre nel gennaio 2010 ed in altri periodi del 2010 la stessa ha soggiornato presso l’hotel Di.. In queste circostanze mi è capitato di incontrarla nella mia qualità di metre-responsabile del ristorante, nonché di parlare con lei che mi ordinava direttamente i pasti (spesso i gamberi che prediligeva). Nell’occasione in cui ha soggiornato nel 2010 non ho notato alcuna ferita o lesione sulla persona della dottoressa Vi.Be.. A volte mangiava in camera, altre volte si recava nella sala ristorante, più spesso in camera”.

Non ha trovato riscontro, quindi, l’allegazione attorea circa la caduta di Be.Vi. sul forno elettrico acceso che le avrebbe procurato diverse ustioni.

Con specifico riferimento alla stipulazione del contratto di compravendita della villa in Strongoli, va rilevato che appaiono condivisibili le valutazioni contenute nella sentenza n. 1205/11 del 21.7.2011 del Tribunale di Cosenza che si riportano di seguito:

“Per quanto riguarda la stipulazione dell’atto di compravendita con il quale l’interdicenda ha ceduto la nuda proprietà di una propria villa al mare, deve in primo luogo rilevarsi che i ricorrenti non forniscono alcun elemento dal quale poter dedurre che il prezzo indicato nel contratto (Euro 100.000,00) sia inadeguato rispetto all’effettivo valore del bene, revocando in dubbio piuttosto che lo stesso sia stato effettivamente corrisposto e ciò in ragione del mancato riscontro del pagamento dell’importo di Euro 80.000,00 che nell’atto si assume essere stato corrisposto prima della stipulazione.

Rispetto a tale circostanza l’interdicenda ha riferito che in realtà tale somma rappresentava l’importo di un prestito ricevuto in passato dall’avv. Br. che ella aveva in tal guisa ritenuto di restituire. Ebbene queste affermazioni appaiono, a giudizio del Collegio, particolarmente significative della piena capacità della Be. di autodeterminarsi: ed in vero delle due una o la Be. aveva effettivamente un debito di Euro 80.000,00 con l’avv. Br. e allora nulla quaestio, posto che rientrava ovviamente nelle sue facoltà decidere di estinguere il debito mediante compensazione parziale del prezzo di compravendita, oppure quel debito non è mai esistito ed allora quelle dichiarazioni sono sintomatiche di una cosciente volontà di dissimulare la realtà al fine di salvaguardare l’efficacia di un atto evidentemente fortemente voluto dalla stipulante.

Non va infatti dimenticato che la non proficuità di un affare non è in sé prova della incapacità di un soggetto che lo stipula, ma lo diventa solo in presenza di una mancata consapevolezza dello stesso di rinunciare ad un vantaggio. Peraltro la Be. nel corso del proprio esame ha compiutamente ed adeguatamente argomentato la propria scelta di vendere la nuda proprietà dell’immobile, evidenziando che così ha potuto beneficiare dei lavori di ristrutturazione effettuati dalla nuda proprietaria, senza accollarsi i relativi oneri.

Ancora va sottolineato che l’interdicenda ha espresso nel corso del proprio esame una aperta ostilità nei confronti dei propri congiunti dichiarando espressamene che gli stessi hanno delle mire sul suo patrimonio, onde può ragionevolmente ritenersi che tanto la stipulazione della compravendita, che il rilascio della procura mirino proprio ad evitare ogni interferenza e ingerenza dei parenti sulla gestione dei propri affari escludendoli altresì consapevolmente dal godimento dei propri beni”.

Va, poi, ribadito che la stipulazione del contratto di compravendita, così come quella della procura e del testamento pubblico, è avvenuta, in data 2.2.2010, tramite il notaio Ma.Gi. e che quest’ultima, sentita come testimone anche nel presente giudizio, ha riferito:

“la dottoressa Be. era cliente mia e prima ancora di mio padre, anche egli notaio, da diversi anni e ha frequentato spesso lo studio notarile sia per chiedere consulenze sia per la stipulazione di atti pubblici. In occasione della stipula degli atti nell’anno 2010, oggetto del capitolo di prova, ho accertato, come richiesto dalla legge notarile, che la dottoressa Be. fosse nel possesso delle sue piene facoltà mentali e che manifestasse una volontà consapevole.

Confermo che gli atti pubblici del 2010 sono stati rogati presso l’abitazione della dottoressa Be. su sua espressa richiesta. Lì mi sono recata insieme ai testimoni. Tale circostanza si evince anche dagli atti stipulati in quella giornata. Sono stata accolta con l’abituale cortesia con cui la dottoressa Be. era solita rapportarsi…. Gli atti sono stati predisposti da me personalmente nei giorni precedenti l’incontro, alfine di riportare con esattezza tutti i dati e compiere le indagini ipotecarie e catastali. In sede di stipula, si è data lettura degli atti, alla presenza dei testi e gli stessi sono stati sottoscritti”.

Anche i testimoni Lo.Fr. e Mi.An. hanno riferito che la dottoressa Be. abbia trascorso i mesi di giungo e luglio 2010 presso la casa al mare di Strongoli, nella quale erano stati attuati interventi di manutenzione da parte dell’avv. Br. che l’aveva acquistata, come loro riferito dalla stessa Be.Vi..

Gli elementi, di natura documentale e orale, sopra descritti ed argomentati consentono di escludere che sia ravvisabile una menomazione delle facoltà intellettive e volitive di Be.Vi., nell’arco temporale antecedente e contestuale la stipulazione dei tre atti pubblici in contestazione, tale da far ritenere che la stessa non si sia autonomamente determinata al compimento di tali disposizioni patrimoniali e che sia stata suggestionata ed indotta da Be.Te..

Va, quindi, escluso che siano ravvisabili gli estremi del reato di circonvenzione di persona incapace, ai sensi dell’art. 643 c.p., e la conseguente nullità degli atti di disposizione posti in essere da Be.Vi. in data 2.2.2010

Quanto alla domanda di annullamento dei predetti atti, ai sensi dell’art. 428 c.c., è necessario accertare la sussistenza di una situazione di incapacità naturale del soggetto che lo pone in essere.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, a tal fine non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere. Non è, quindi, necessaria una malattia che annulli in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell’atto (cfr. Cass. Civ., n. 17977 dell’1.9.2011; n. 515 del 15.01.2004).

Al contrario, le alterazioni che non attengono direttamente alle facoltà intellettuali o volitive del soggetto, ma soltanto alla sfera del carattere non assumono rilievo ai fini del giudizio sull’incapacità naturale, tutte le volte che esse non incidono sull’attitudine del soggetto di determinarsi in base ad atti di volontà cosciente (per esempio, non si ritiene annullabile il contratto stipulato da persona affetta da depressione cronica del tono psichico e dell’umore, quando tale condizione non la priva della capacita di curare con accortezza i propri interessi).

Ai fini della prova dell’incapacità, la stessa non deve essere necessariamente riferita alla situazione esistente al momento in cui l’atto impugnato venne posto in essere, essendo possibile cogliere tale situazione da un quadro generale anteriore e posteriore al momento della redazione dell’atto, traendo da circostanze note, mediante prova logica, elementi probatori conseguenti (cfr. Cass. Civ., n. 2212 del 16.3.1990).

Con specifico rifermento al testamento, poi, si osserva che la capacità di disporre per testamento trova autonoma e tassativa disciplina nell’art. 591 c.c., che la esclude in radice – oltre che per i minori di età – nei soli “interdetti per infermità di mente”, richiedendo per i “non interdetti” la prova della loro incapacità di intendere e di volere (per qualsiasi causa, anche transitoria) nel momento in cui fecero il testamento (cfr. Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 4856 del 29/07/1981).

Al riguardo, va ribadito che l’attestazione del notaio, contenuta nel verbale di ricevimento del testamento pubblico, circa lo stato di sanità mentale del testatore, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso, poiché, ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (cfr. Cass. Civ., Sez. 2 -, Sentenza n. 2702 del 30/01/2019).

Orbene, le argomentazioni sopra espresse, fondate sulla valutazione degli elementi istruttori desumibili dalle sentenze emesse all’esito del giudizio civile per interdizione e del procedimento penale per il reato di cui all’art. 643 c.p. a carico di Be.Te., nonché sulle risultanze documentali ed orali acquisite nel presente giudizio, consentono di escludere che Be.Vi., al momento del compimento degli atti di disposizione rogati in data 2.2.2010, non fosse capace di comprendere la portata degli stessi e non si sia determinata autonomamente alla relativa stipulazione.

Le circostanze sopra descritte non sono superate dalle dichiarazioni rese dai testimoni indicati dall’attrice.

Al riguardo, si osserva che Sp.Ca. (figlia dell’attrice) si è limitata a riferire circa un episodio verificatosi nel mese di agosto 2009, ma la stessa ha ammesso di vivere a Firenze e di recarsi solo saltuariamente a San Giovanni in Fiore per le vacanze estive.

Consegue che il teste in questione non ha evidenziato circostanze indicative di uno stato psichico di Be.Vi. in un arco temporale significativo, tali da comprovare che la stessa non avesse piena consapevolezza degli atti che poneva in essere.

Quanto, poi, all’episodio relativo alla mancanza di corrente elettrica nell’agosto 2010 ed all’intervento di Salvatore Iaquinta per il relativo ripristino, lo stesso può valere esclusivamente a dare contezza dello stato di relativa incuria in cui si trovava l’abitazione che, tuttavia, come evidenziato anche nella sentenza del Tribunale di Cosenza, dipendeva più dalla mancanza di forza fisica di Be.Vi. e dal suo rifiuto ad avere la presenza di un aiuto fisso in casa, tanto che le pulizie domestiche venivano svolte da Lo.Fr. una volta la settimana e, saltuariamente, da altre signore.

Quanto al teste Sp.Gi. (figlio dell’attrice), anch’egli si è limitato a riferire circostanze, peraltro apprese de relato da altre persone (vicini di casa di Be.Vi. e la madre) relative a lanci di spazzatura dalla finestra da parte di Be.Vi. ed al rifiuto di visite e telefonate da parte dei parenti.

Simili circostanze, tuttavia, denotano una conflittualità dei rapporti familiari tra la de cuius, la sorella Be.Ma. ed i nipoti che è stata ammessa dalla stessa Be.Vi. in sede di esame del 10.11.2010, la quale ha testualmente dichiarato “Dopo la morte di mio marito i rapporti tra me, mia sorella ed i miei nipoti si sono progressivamente deteriorati; in particolare, nel 2005 c ‘era stato uno screzio con mio nipote Gi. che pretendeva di venire a vivere a casa mia innalzando un muro per preservare la sua riservatezza. Quando mi sono rifiutata di fare effettuare tale modifica lui se l’è presa; ma l’episodio poi l’ho facilmente rimosso. il avuto poi una lite con mia sorella nel 2009 perché lei insisteva nel volere che disponessi in favore del figlio Gi., arrivò ad aggredirmi fisicamente e a minacciarmi di morte; ovviamente non credo che mi volesse davvero uccidere ma questo episodio ha definitivamente alterato i nostri rapporti”.

Consegue che il deterioramento dei rapporti familiari appare riconducibile più a contrasti insorti in ragione di pretese interferenze dei parenti sulla gestione dei beni di Be.Vi., che non a condizionamenti da parte di terzi e, in particolare, di Be.Te. diretti ad approfittare di una condizione psicologica di debolezza e di menomate facoltà intellettive e volitive da parte di Be.Vi. che, al contrario, è apparsa dotata di consapevolezza ed indipendenza di azione e di giudizio.

In conclusione, non risulta comprovato lo stato di incapacità di Be.Vi. all’atto della stipulazione della procura generale, del contratto di compravendita e del testamento pubblico, in data 2.2.2010, costituente il presupposto imprescindibile della spiegata domanda di annullamento, atteso che le patologie fisiche da cui la stessa era affetta non si accompagnavano ad alcun deficit delle sue capacità intellettive e volitive e che il compimento di tali atti è apparso rispondente ad una precisa scelta diretta ad escludere i parenti dal godimento dei propri beni.

Alla stregua delle argomentazioni esposte, non può trovare accoglimento la domanda di annullamento della procura generale, del contratto di compravendita e del testamento pubblico, ai sensi dell’art. 428 c.c. e dell’art. 591 c.c., dovendosi, peraltro, ribadire, in accordo con il consolidato orientamento giurisprudenziale, che la prova dell’incapacità, pur potendo essere fornita in base ad indizi e presunzioni, deve essere rigorosa e precisa (cfr. Cass. n. 4677 del 26.2.2009).

Per quanto concerne la domanda diretta ad accertare la sussistenza del reato di cui all’art. 643 c.p.c. a carico della convenuta per essersi appropriata nel mese di agosto 2010 dei beni preziosi di Be.Vi., va osservato che si tratta di domanda inammissibile in quanto coperta dal giudicato formatosi sulla pronuncia di assoluzione di Be.Te. dal reato di cui all’art. 646 c.p. per insussistenza del fatto, contenuta nella sentenza n. 2134/13 del 2-27.12.2013 del Tribunale di Cosenza, divenuta irrevocabile il 3.3.2014.

In particolare, il capo di imputazione relativo al procedimento in esame afferisce proprio alla contestata appropriazione di vari gioielli ed oggetti preziosi e delle chiavi dell’abitazione sita in San Giovanni in Fiore n. 279 della defunta Be.Vi., da parte di Be.Te..

Il procedimento penale si è svolto nelle forme ordinarie, mediante svolgimento del dibattimento ed istruttoria documentale ed orale, ha visto la costituzione di parte civile di Be.Ma. e si è concluso con sentenza di assoluzione dell’imputata, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., per insussistenza del fatto.

Nel corpo della motivazione, il Giudice penale ha escluso gli estremi del reato, ritenendo che “in forza della procura generale e per espressa volontà della de cuius all’avvocato Te.Br. erano stati affidati temporaneamente i gioielli in attesa dell’apertura del testamento che l’avrebbe poi nominata erede universale del patrimonio della dottoressa Be.”.

Sussistono, quindi, tutti presupposti previsti dall’art. 652 c.p.p. affinché operi l’efficacia preclusiva del giudicato penale nel presente giudizio civile, trattandosi di sentenza di assoluzione con formula piena, emessa all’esito del dibattimento, nel quale Be.Ma. – odierna attrice si è costituita parte civile. Infine, la domanda diretta ad ordinare a Br. Tersa l’esecuzione del rendiconto bancario e la condanna della stessa alla restituzione, in favore dell’attrice, delle somme prive di giustificazione causale va rigettata, atteso che l’unica erede di Be.Vi. è proprio l’odierna convenuta, sicché l’attrice non ha alcuna legittimazione a conseguire la restituzione di somme esistenti sui conti correnti della de cuius.

In conclusione, tutte le domande proposte da Be.Ma. nei confronti di Be.Te. devono essere rigettate.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in applicazione dei parametri minimi stabiliti dal D.M. Giustizia n. 55 del 10.3.2014 (scaglione di valore tra Euro 260.000,00 ed Euro 520.000,00) tenuto conto dello svolgimento del giudizio e della natura della controversia.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:

1) rigetta tutte le domande proposte da Be.Ma. nei confronti di Be.Te.;

2) condanna l’attrice alla rifusione, in favore della convenuta, delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 10,694,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali in misura del 15%, cpa ed iva come per legge.

Così deciso in Cosenza il 30 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.