Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. – ricorrendone i presupposti – nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento.
Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria
Corte d’Appello Milano, Sezione 4 civile Sentenza 23 febbraio 2018, n. 1017
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
SEZIONE QUARTA CIVILE
composta dai magistrati
Dott.ssa Maria Luisa Padova – Presidente
Dott. Giuseppe Blumetti – Consigliere
Dott.ssa Marisa G. Nardo – Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta la numero di ruolo sopra riportato promossa in grado d’Appello
DA
(…) (C.F. (…)), rappresentata e difesa dall’Avv. Al.Ma. (C.F. (…)), presso il cui studio in Milano, Via (…), è elettivamente domiciliata;
appellante
CONTRO
FALLIMENTO (…) (C.F. (…)), nonché del SOCIO (…) (C.F. (…)) – in persona del Curatore del Fallimento – rappresentato e difeso dall’Avv. Fr.Ma. (C.F. (…)), presso il cui studio in Besana Brianza (MB), Via (…), è elettivamente domiciliato;
(…) (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’Avv. Si.Pa. (C.F. (…)) e dall’Avv. Fa.Ve. (C.F. (…)) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Milano, Via (…);
appellati
OGGETTO: Azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione (…) conveniva in giudizio, avanti il Tribunale di Milano, (…) e (…), esponendo: di aver subito nel 2005 un infortunio sul lavoro mentre era alle dipendenze di (…) S.a.s. di (…), di cui era socio accomandatario il convenuto (…), ritenuto penalmente responsabile, insieme ad altri, con sentenza n. 1016/2009 del Tribunale di Monza, Sezione Distaccata di Desio; di aver agito per il risarcimento dei danni davanti al Giudice del Lavoro di Monza con ricorso depositato il 31.5.2012; di aver ottenuto nei confronti di (…) S.a.s. di (…) in data 23.03.2013 il decreto ingiuntivo n. 311, divenuto definitivo per mancata opposizione, per l’importo di Euro. 22.755,21, dovuto a titolo di retribuzioni e trattamento di fine rapporto non pagati.
L’attore raccontava, poi, che: a seguito di separazione consensuale intervenuta tra (…) e la moglie (…), omologata in data 6.12.2012, con atto pubblico del 18.12.2012 il primo aveva ceduto alla seconda, a titolo gratuito, l’immobile adibito a casa coniugale di sua esclusiva proprietà; che il (…) non era proprietario di altri beni immobili oltre a quello ceduto e l’atto di cessione era avvenuto in pregiudizio del credito di esso attore. Ciò premesso, il (…) domandava la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 c.c., nei suoi confronti dell’atto di cessione dell’immobile e, per quanto di rilievo, degli accordi di cui al verbale di separazione coniugale.
Si costituiva in giudizio (…) la quale, ritenendo la carenza dei presupposti per l’azione revocatoria, domandava la reiezione delle domande ex a deverso formulate in quanto infondate e non provate.
Autorizzato l’attore a rinnovare la notifica dell’atto di citazione al (…), costui non si costituiva e veniva dichiarato contumace.
In data 14.5.2015, a seguito del fallimento dichiarato dal Tribunale di Monza con sentenza n. 25/2015, pubblicata il 30.1.2015, di (…) S.a.s. di (…) e del socio illimitatamente responsabile (…), interveniva volontariamente il Fallimento, in persona del Curatore, con comparsa di costituzione ex art. 299 c.p.c. e di intervento ex art. 66 L.F. e 2901 c.c., facendo proprie tutte le domande, istanze, eccezioni e conclusioni rassegnate da parte attrice.
Concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle difese conclusive, la causa veniva trattenuta in decisione.
Con sentenza n. 1573/2016, il Tribunale di Monza, in composizione monocratica, dichiarava l’inefficacia dell’atto di cessione del 18.12.2012, nonché degli accordi di separazione relativi al bene ceduto; dichiarava, inoltre, l’improcedibilità della domanda proposta dall’attore per effetto dell’intervento del fallimento del debitore e condannava i convenuti, in via solidale fra loro, al pagamento delle spese di lite.
Contro tale sentenza ha proposto appello (…) per i motivi di cui infra, concludendo affinché, in accoglimento dell’impugnazione proposta, siano rigettate le domande ex adverso formulate nei suoi confronti.
Si è costituito il (…), concludendo affinché sia dichiarato inammissibile l’appello ai sensi degli artt. 342 e 348 bis c.p.c. ed, in subordine, sia rigettato il gravame medesimo.
Si è costituito altresì il Fallimento, concludendo affinché sia respinto l’appello ex adverso proposto in quanto infondato, con conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 26.10.2017 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, come indicato in epigrafe, e la Corte, previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle difese conclusive, ha trattenuto la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., proposta dal (…), è infondata. L’atto d’appello, infatti, richiama in modo specifico i punti della sentenza che si ritengono errati, chiarendo le ragioni per cui non si condivide la motivazione del primo Giudice ed indicando quale, ad avviso dell’appellante, fosse la decisione da assumere. Peraltro, la Suprema Corte ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che: “L’art. 342 c.p.c. … non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.” (Cass. Ord. n. 21336/2017). E nel caso di specie è, comunque, evidente che l’appellante lamenta l’errore del Giudice di primo grado per aver ritenuto sussistente il credito, presupposto della domanda revocatoria, e l’eventus damni, nonostante la presenza di altre possibili fonti di soddisfazione del credito medesimo.
Venendo all’esame della sentenza impugnata, si rileva che il Giudice di primo grado, rilevato che l’intervento del Fallimento non comportava alcun mutamento né del petitum né della causa petendi, ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti per la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 c.c., dell’atto dispositivo. In particolare, per quanto ancora di interesse in questa sede, il Giudice impugnato ha ritenuto sussistente il rapporto di credito a favore del (…) e contro il (…) poiché lo stesso risultava accertato da un decreto ingiuntivo definitivamente esecutivo, nonché da una sentenza penale passata in giudicato che, in relazione al sinistro accorso all’attore, aveva accertato la responsabilità, fra gli altri, della società e del socio accomandatario (…).
Il Giudice di Monza ha, poi, ritenuto la sussistenza dell’eventus damni poiché l’immobile oggetto del trasferimento rappresentava l’unico bene di valore presente nel patrimonio del (…) e su cui i creditori potevano soddisfarsi, con la conseguenza che l’atto dispositivo rendeva più difficile ed incerto per il creditore la soddisfazione del proprio credito.
Con il primo motivo d’appello la (…) contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente un valido rapporto di credito tra il (…) ed il (…). Sul punto, sostiene l’appellante che nessun credito sussiste, in quanto:
– la sentenza del Giudice del Lavoro n. 685/2015 non ha condannato il (…) al risarcimento del danno né al pagamento di alcuna somma a favore del (…);
– quest’ultimo, nelle more del giudizio, probabilmente aveva già ottenuto soddisfazione del proprio credito dall'(…), (…), condannata a manlevare il proprio assicurato per quanto tenuto a risarcire al (…); per quanto riguarda al credito di cui al decreto ingiuntivo, il (…) probabilmente era stato soddisfatto dal Fondo di Garanzia Inps; in ogni caso, a garanzia di tale ultimo credito, l’allora attore in revocatoria risultava avere iscritto ipoteca giudiziale su un terreno di proprietà della società fallita sul quale, pertanto, si sarebbe potuto soddisfare per la parte residua.
Con il secondo motivo di gravame l’appellante contesta la sentenza in punto eventus damni sostenendo l’errore del Giudice di Monza per aver considerato l’immobile ceduto alla moglie come unico bene presente nel patrimonio del (…), senza tenere conto della garanzia patrimoniale rappresentata dal terreno di (…) del valore di circa Euro 200.000,00 (e stimato prudenzialmente dal Fallimento (…) S.a.s. in Euro 189.655,74).
Entrambi i motivi proposti sono infondati.
Quanto al primo motivo, la Corte osserva che l’art. 2901 c.c. consente al creditore, anche nel caso il credito sia soggetto a condizione e termine, di ottenere che sia dichiarata nei suoi confronti l’inefficacia degli atti di disposizione del patrimonio nel caso siano ravvisabili i presupposti indicati ai punti 1) e 2) della norma stessa. La Giurisprudenza ha chiarito che:
“L’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore” (Cass. n. 5619/2016).
Nel caso di specie il credito del (…) nei confronti del (…) è accertato:
a) Sulla base del decreto ingiuntivo definitivamente esecutivo (v. doc. n. 16 – fascicolo di primo grado (…)) emesso nei confronti di (…) S.a.s. di (…), di cui il (…) stesso era socio accomandatario e, pertanto, illimitatamente responsabile per le obbligazioni della società;
b) dalla sentenza penale passata in giudicato (v. doc. nn. 5 e 6 – fascicolo di primo grado (…)), che ha riconosciuto la responsabilità, fra gli altri, del (…) per l’infortunio accorso al (…) nel 2005, pur non avendo condannato detto responsabile al risarcimento dei danni patiti dall’infortunato.
Su questo secondo punto si osserva che è irrilevante, sotto il profilo della legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria, la mancata quantificazione del credito risarcitorio poiché, sulla base della normativa e della giurisprudenza sopra riportata, anche il portatore di un credito non ancora scaduto e non ancora esigibile, oltre che di un credito contestato o non quantificato, può agire per l’inefficacia dell’atto dispositivo non essendo necessario l’accertamento della sussistenza effettiva del credito secondo gli ordinari requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, ben potendo tale accertamento arrestarsi ad una soglia più bassa, fino a comprendere anche il credito litigioso.
E’, perciò, irrilevante la circostanza che con la sentenza n. 685/2015 del Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Monza non sia stato condannato anche il (…) al risarcimento del danno atteso che l’obbligazione risarcitoria del (…) era sorta già con la sentenza di condanna penale, se non, addirittura, in conseguenza dell’evento dannoso incorso al (…). Peraltro la responsabilità risarcitoria del (…) e della società di cui era accomandatario è stata ritenuta anche dal Giudice del Lavoro che, tuttavia, si è correttamente astenuto dalla condanna stante la sussistenza della competenza funzionale del Tribunale Fallimentare, a seguito dell’intervenuto fallimento della (…) S.a.s. di (…) e del socio (…) (v. doc. 2 – fascicolo di primo grado Fallimento).
Quanto all’asserita possibilità di un avvenuto soddisfacimento del credito di (…), si osserva che nessuna prova sussiste di ciò. Quanto alle possibili garanzie ottenute dal (…) su beni di terzi, si osserva che queste non incidono sul diritto di credito vantato nei confronti del (…) – che non si estingue se non a seguito dell’integrale soddisfazione dello stesso – e sulla legittimazione ad agire per l’inefficacia dell’atto dispositivo.
Con riferimento al secondo motivo d’appello, il Giudice di primo grado, in merito alla sussistenza dell’eventus damni” e con riferimento alla garanzia rappresentata dalla proprietà di un terreno in capo alla società (…), poi dichiarata fallita, nonché alla presenza di altri condebitori solidali in grado di soddisfare il credito del (…), ha affermato che
“Infine non fondata si ritiene l’eccezione di parte convenuta secondo la quale nell’ambito di un ‘obbligazione solidale, ai fini della valutazione della capienza patrimoniale e della conseguente eventuale lesione della garanzia creditoria sia possibile considerare la garanzia patrimoniale fornita dagli altri coobbligati, valutando se siano in grado di fornire la sufficiente garanzia ex art. 2740 c.c.. Infatti la prospettiva da considerare al fine della re vocatoria di un atto dispositivo è qualla di una menomazione del patrimonio del disponente”
Il Giudice ha richiamato, in proposito l’orientamento giurisprudenziale consolidato, coerente con l’istituto della solidarietà passiva, così come definito dalla Giurisprudenza della Suprema Corte, aggiungendo “Sotto tal profilo va riguardata anche la questione inerente la titolarità in capo alla società poi fallita di un terreno”.
Il Giudice, a proposito di tale cespite immobiliare, ha anche osservato che:
“tra l’altro seppur da un punto di vista quantitativo esso sia stimato dalla perizia di parte (invero risalente al 2009) in Euro 283.500,00, da un punto di vista qualitativo non risulta idoneo ad assicurare un’adeguata garanzia patrimoniale, trattandosi di un terreno non agricolo né edificabile, la cui destinazione è quella di area per spazi pubblici, che di fatto assume un effettivo valore pari al teorico indennizzo di esproprio l’esistenza della cui procedura neppur risulta dimostrata”.
La (…) insiste sulle difese già proposte in primo grado e basate sul valore della garanzia patrimoniale che sarebbe rappresentata dal terreno di (…) e che sarebbe idonea a vanificare il pregiudizio alle ragioni creditorie conseguente all’atto dispositivo.
Le argomentazioni dell’appellante sono prive di spessore. Le garanzie invocate dall’appellante, infatti, riguardano posizioni di soggetti coobbligati e di terzi che, in ogni caso, esulano dal rapporto di credito che intercorre tra il (…) ed il (…) ed al quale bisogna fare esclusivo riferimento per riscontrare la sussistenza dei presupposti della revocatoria ex art. 2901 c.c. Sul punto si riporta nuovamente l’orientamento della Suprema Corte, già richiamato nella sentenza impugnata e che si condivide, ribadito anche più recentemente e secondo cui:
“Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è facoltà del creditore promuovere l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. – ricorrendone i presupposti – nei suoi confronti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento” (Cassazione n. 8315/2017).
Dall’applicazione del suddetto principio deriva l’infondatezza anche del secondo motivo di gravame proposto, atteso che il bene immobile (terreno) cui si riferisce parte appellante era di proprietà di (…) S.a.s., poi dichiarata fallita, responsabile in solido con il (…) per il risarcimento dei danni vantato dal (…) ma della cui consistenza patrimoniale non può tenersi conto per la valutazione del pregiudizio conseguente all’atto dispositivo. Del tutto irrilevante, pertanto, è la circostanza di una eventuale capienza del patrimonio immobiliare della coobligata (…), peraltro attualmente dichiarata fallita.
In conclusione, l’appello va rigettato e l’appellante va condannato al pagamento delle spese del grado sostenute dal Fallimento, che si liquidano in dispositivo sulla base del valore della lite, delle questioni trattate e delle tariffe professionali vigenti.
Le spese di questo grado sostenute da (…) devono essere compensate tra le parti attesa la mancanza di interesse di questo appellato a partecipare a questo giudizio, che ormai riguardava esclusivamente il Fallimento, subentrato pacificamente ex art. 66 L.F.; punto su cui non vi era alcun contrasto tra le parti e che non è stato messo in discussione in questa sede.
Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. 1573/2016 emessa dal Giudice monocratico presso il Tribunale di Monza, così dispone:
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
condanna l’appellante a rifondere al Fallimento (…) s.a.s. di (…) e del socio accomandatario (…) le spese processuali del grado che liquida in Euro 9.515,00 per compensi, oltre spese generali ed oneri di legge;
compensa tra le altre parti le spese di lite;
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.
Così deciso in Milano il 31 gennaio 2018.
Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2018.