In materia di efficacia della cessione dei crediti maturandi/futuri allorché il credito ceduto sia identificato nel titolo e nel contenuto la cessione prevale sul pignoramento (e sul fallimento), purché sia stata notificata o accettata dal debitore ceduto prima del pignoramento stesso; diversamente da quanto accade per i crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi soggettivi e oggettivi. Solo con riguardo a questi ultimi la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza.

Corte d’Appello|Milano|Sezione 4|Civile|Sentenza|19 gennaio 2020| n. 108

Data udienza 11 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione quarta civile nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Maria Luisa Padova Presidente rel.

dr. Vinicia Licia Serena Calendino Consigliere

dr. Alessandro Bondi’ Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 5759/2017 promossa in grado d’appello

DA

KO. – SOCIETÀ COOPERATIVA PER AZIONI (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avv., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. LA.ST. (…) VIA (…) 35129 PADOVA; ZA.AL. (…) VIA (…) 30171 MESTRE-VENEZIA;

APPELLANTE

CONTRO

IN. S.p.A. ABBREVIABILE IN IF. (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIA SAN VITTORE 40 20123 MILANO presso lo studio dell’avv. FU.AL., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. TA. – SOCIETÀ COOPERATIVA (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIA (…) 12051 ALBA presso lo studio dell’avv. CO.MA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. CA.RO. (…) VIA (…) 20154 MILANO;

APPELLATO

Avente ad oggetto: Appalto sulle seguenti conclusioni.

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato In. S.p.A. (in seguito, per brevità denominata anche If.), in qualità di cessionaria di crediti, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano Co. Società Cooperativa per Azioni (debitrice ceduta) per ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento della somma di Euro 1.759.498,61 oltre interessi, maturata da Ta. Soc. Coop. in L.C.A. (cedente) a titolo di saldo del corrispettivo di due contratti di appalto intercorsi tra la (sub)committente Co. e l’appaltatrice Ta..

A fondamento della domanda parte attrice esponeva che la convenuta Co. aveva stipulato originariamente due contratti di appalto: uno con la committente Re. S.p.A. per l’esecuzione dei lavori di costruzione delle opere sostitutive per la soppressione del passaggio a livello posto al km. 95+708 della linea Alessandria – Piacenza; l’altro con il Gr. per la realizzazione, nel comprensorio Ge., di un impianto fotovoltaico.

Parte attrice deduceva altresì che Co., successivamente all’acquisizione degli appalti di cui sopra, aveva a sua volta assegnato l’esecuzione materiale dei lavori oggetto dei predetti contratti alla propria consorziata Ta. Soc. Coop., la quale ultima dava esecuzione agli stessi e in relazione ai medesimi emetteva fatture a carico di Co. per complessivi Euro 1.759.498,61; che i suddetti crediti venivano quindi ceduti da Ta. Soc. Coop. ad essa attrice If. Spa; che Co. Scpa, in qualità di debitrice ceduta, era rimasta inadempiente agli obblighi di pagamento.

Concludeva pertanto nel merito chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “condannare Co. Consorzio Veneto Cooperativo Soc. Coop. P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare ad If. S.p.A. l’importo di Euro 1.759.498,61 ovvero il diverso importo, maggiore o minore, che dovesse risultare dovuto, anche a seguito di espletando, istruttoria, oltre interessi di mora ex D.lgs 231/2002 dalla scadenza al saldo effettivo”.

Si costituiva in giudizio la società Co. Scpa contestando la pretesa attorea.

In via pregiudiziale svolgeva istanza di chiamata in causa di Ta. Soc. Coop (cedente) ritenendola la sola legittimata a pretendere il pagamento del corrispettivo degli appalti di cui in premessa. Nel merito, in via preliminare, chiedeva dunque che venisse accertato il difetto di legittimazione attiva in capo a If. ex art. 2914 c.c., art. 1264 c.c. nonché ex art. 5 L. 52/1991, previa dichiarazione della titolarità del suesposto credito in capo a Ta. soc. coop. in l. c.a. Sempre nel merito, in via subordinata, in caso di accertamento del credito azionato, sollevava eccezione di compensazione tra tale credito e i maggiori crediti vantati dalla stessa Co. nei confronti della consorziata Ta.. Infine chiedeva la condanna nei confronti di If. S.p.A. all’integrale rifusione di spese e compensi di lite.

Autorizzata la chiamata in causa di Ta. Soc. Coop., quest’ultima si costituiva ritualmente in giudizio rassegnando le seguenti conclusioni: ” – respingere tutte le domande avversarie giacché infondate in fatto e in diritto. In ogni caso con il favore delle spese”.

Con la seconda memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. la difesa di Co. Scpa evidenziava che la propria assistita aveva mutato denominazione sociale in Ko. Scpa.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 5558/2017 pubblicata il 17.05.2017 accoglieva la domanda attorea con conseguente condanna di parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 1.759.498,61, maggiorata degli interessi ex D.lgs n. 231/2002 dalla scadenza delle singole fatture sino al saldo effettivo; respingeva l’eccezione di compensazione sollevata da parte convenuta per difetto di prova.

Per l’effetto il primo giudice condannava altresì Co. Scpa alla rifusione, in favore di parte attrice e della terza chiamata, delle spese processuali che liquidava in complessivi Euro 27.000,00 oltre cpa, spese generali e iva se dovuta, in favore di Ifìtalia S.p.a. ed in complessivi 12.000,00 oltre a cpa, spese generali e iva se dovuta, in favore di Ta. s.c. in l.c.a.

Avverso tale sentenza ha interposto appello la società Ko. Scpa (già Co.), deducendo i seguenti motivi di gravame:

1. erroneità della sentenza nella parte in cui non ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo a If. S.p.A. essendo state le cessioni in discussione notificate e accettate con atti privi di data certa anteriore alla messa in liquidazione coatta amministrativa della cedente Ta. Soc. Coop. (risalente al 28.05.2013), le medesime cessioni dovevano ritenersi inopponibili alla procedura ex art. 2914 n. 2 c.c.

2. erroneità della sentenza nella parte in cui, pur ritenendo opponibile l’eccezione di compensazione, ha respinto l’eccezione per difetto di prova, fondandosi su un’inesatta valutazione delle allegazioni e produzioni di parte;

3. erroneità, contraddittorietà e falsa applicazione di legge della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione avente ad oggetto il controcredito risarcitorio concernente i finanziamenti effettuati da Co. in favore di Ta.;

4. erroneità, contraddittorietà e falsa applicazione di legge della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione sul controcredito di natura risarcitoria;

5. erroneità, contraddittorietà e falsa applicazione di legge della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione inerente ai corrispettivi e rimborsi per servizi consortili;

6. erroneità, violazione e falsa applicazione di legge sul capo della sentenza di condanna al pagamento di interessi moratori;

7. erroneità della sentenza nella parte in cui ha condannato Co. al pagamento delle spese di lite;

8. Infine parte appellante ha proposto istanza di deferimento di giuramento decisorio de scentia al Commissario Liquidatore di Ta. avente ad oggetto la circostanza della ricezione dei bonifici.

Si è costituita la società cessionaria If. S.p.A. chiedendo il rigetto dell’interposto gravame e la conferma integrale della sentenza di primo grado. In caso di accoglimento anche parziale dell’appello principale, If. S.p.A. ha proposto appello incidentale condizionato deducendo: erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che If. non avesse comunicato la cessione prima dell’accettazione. Pertanto, chiede la riforma della sentenza di primo grado con riferimento all’affermazione secondo cui Co. potrebbe validamente eccepire la compensazione con controcrediti sorti verso la cedente dopo la comunicazione delle cessioni.

Si è costituita altresì la società cedente Ta. in l. c.a. chiedendo il rigetto dell’appello interposto da Ko. (già Co.) e per l’effetto la conferma della sentenza n. 5558/2017 emessa in data 17.05.2017 dal Tribunale di Milano limitatamente ai capi in cui ha rigettato l’eccezione di compensazione e liquidato le spese di giudizio; accogliere per i restanti capi l’appello interposto. All’udienza del 06.06.2019 If., previamente autorizzata, ha depositato la comunicazione del Concordato Preventivo di Ko. Soc. Coop. avvenuta a mezzo pec il 03.03.2019.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame l’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo a If. S.p.A. essendo state le cessioni in discussione notificate e accettate con atti privi di data certa anteriore alla messa in liquidazione coatta amministrativa della cedente Ta. Soc. Coop.

Va premesso che è documentalmente provato – ed in ogni caso si tratta di circostanza non contestata – che Ta. è stata ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto n. 273/13 del 28.05.2013, pubblicato sul registro delle imprese in data 14.06.2013. (v. doc. 1 – fascicolo primo grado convenuta).

Sostiene l’appellante che le cessioni oggetto di causa devono ritenersi inopponibili alla procedura ai sensi dell’art. 2914 n. 2 c.c. e, per tale motivo, la cessionaria non sarebbe legittimata a pretendere il pagamento da parte del debitore ceduto – Consorzio Co..

Afferma in sentenza il Tribunale che “le lettere di accettazione con riserva comportano che il creditore finale della somma oggetto di causa deve senz’altro identificarsi nella In./Fa. S.p.a. (IF.) (cessionaria)” e ciò alla stregua delle stesse affermazioni sul punto rese negli atti difensivi della terza chiamata (creditrice cedente) la quale stessa ha dato atto del proprio difetto di legittimazione, a seguito dell’intervenuta cessione dei crediti.

Tale conclusione, alla luce delle risultanze documentali, non può che essere condivisa da codesto Collegio.

La natura consensuale del contratto di cessione del credito comporta l’immediato trasferimento del credito dal patrimonio del cedente a quello del cessionario per effetto dell’accordo; tuttavia l’efficacia e legittimazione del cessionario a pretendere la prestazione dal debitore presuppongono la notifica a quest’ultimo della cessione o l’ accettazione della stessa da parte del debitore ceduto1. Invero, la notifica o l’accettazione di cui all’art. 1264 c.c. da parte del debitore ha come unico fine quello di stabilire se il pagamento al creditore cedente abbia o meno efficacia liberatoria anche verso il cessionario, non incidendo in alcun modo sulla titolarità del credito e sul negozio di cessione. La previsione normativa in esame rappresenta, nella sostanza, una forma di tutela per il debitore ceduto che paga e che deve essere posto in grado di sapere – nel momento dell’adempimento – a chi deve effettuare il pagamento per conseguirne gli effetti liberatori.

Risulta dagli atti di causa che la debitrice ceduta Co. (oggi Ko.) ricevette da If., società cessionaria, comunicazione dell’avvenuta cessione del credito in data 18.05.2010 e quindi, ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione era opponibile alla debitrice ceduta, tenuta per l’effetto ad adempiere a mani del nuovo creditore – (essendo stata in tal modo la debitrice ceduta messa nelle condizioni di poter identificare il soggetto al quale effettuare il pagamento del proprio debito con effetto liberatorio (v. doc. 9 e ss. fascicolo primo grado Co.).

Sia che avvenga ad opera del cedente (come nella prassi viene previsto dal contratto di factoring), sia che avvenga ad opera del cessionario factor, la “notifica” è svincolata da ogni formalità, essendo sufficiente qualsiasi mezzo idoneo a porre il debitore in grado di conoscere la mutata titolarità del rapporto obbligatorio.

Ai fini della validità ed efficacia della cessione oggetto del presente giudizio, il cessionario – in conformità all’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte3 – ha assolto all’onere di fornire la prova dell’avvenuta cessione (v. doc. n. 9 e ss. fascicolo 1° grado parte attrice). Vale la pena rammentare che la cedente Ta. mai ha contestato Resistenza e la validità della cessione nel rapporto diretto con la propria cessionaria.

Peraltro la prova della conoscenza, da parte della debitrice ceduta, dell’avvenuta cessione è desumibile anche dalle lettere di accettazione della cessione inviate da quest’ultima alla società cessionaria If.. Come si evince dalla documentazione versata in atti, Co. ha accettato le cessioni con lettere raccomandate a/r anticipate a mezzo fax in data 24.04.2012 – 5.10.2012 – 19.10.2012 (v. lettere di accettazione n. 1, 2, 3 depositati in ottemperanza a quanto disposto dal giudice di primo grado all’udienza del 26.11.2015, nonché doc. 17 e 20 fascicolo primo grado parte attrice).

Dunque, ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione è perfettamente valida ed efficace tra cedente e cessionario ed altresì ne è stata data comunicazione al debitore ceduto e quest’ultimo l’ha anche espressamente accettata.

Di conseguenza la società cessionaria If. è pienamente legittimata a pretendere la prestazione dalla debitrice ceduta Co. – anche tenuto conto del fatto che è circostanza non contestata che Ta. è stata ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto n. 273/13 del 28.05.2013, pubblicato sul registro delle imprese in data 14.06.2013. (v. doc. 1 – fascicolo primo grado convenuta). Dunque le cessioni sono certamente opponibili alla procedura cui la cedente è stata ammessa.

È inconferente, a tal fine, l’affermazione di Co. contenuta in comparsa di costituzione e risposta secondo cui “le accettazioni delle cessioni di Co. difettano all’evidenza di data certa ex art. 2704 c.c. … se ne disconosce ad ogni effetto la conformità all’originale ex art. 2719 c.c.”.

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che l’art. 1264 c.c. – che è norma generale in tema di atti di disposizione del credito e che governa l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto – richiede si la comunicazione/notificazione della cessione al debitore (o l’accettazione da parte di quest’ultimo), ma non assegna nessun parametro temporale vincolato per tali adempimenti, né li sottopone all’onere della data certa o ad altri oneri di carattere formale.

Ne consegue pertanto che – ove si contesti la data risultante nei documenti suddetti – grava sulla parte (nella specie, la debitrice ceduta) che appunto contesta la data di provare che la cessione è intervenuta in un momento diverso rispetto alle citate risultanze documentali, bastando a tal fine la prova contraria e non occorrendo il ricorso alla querela di falso.

Nel caso di specie la debitrice ceduta nè ha fornito idonea prova contraria né comunque ha proposto querela di falso. Nei propri atti difensivi Co. non ha smentito la ricezione della comunicazione della cessione, inviata in data 18.05.2010 dalla cessionaria alla debitrice ceduta, né l’invio da parte sua alla cessionaria delle (peraltro superflue, per quanto osservato) relative accettazioni – documenti questi ultimi la cui esistenza e contenuto non solo non sono contraddette dalla debitrice ceduta, ma anzi dalla stessa sono invocati per sostenere proprio il difetto di legittimazione di If. alla pretesa creditoria di cui si discute.

Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione della cessionaria, come sollevata dalla debitrice ceduta.

Quest’ultima peraltro non ha formulato alcuna domanda attinente alla fonte negoziale del credito (inesistenza, nullità, annullabilità del negozio – concernente l’esistenza e/o la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto) che sarebbe sempre opponibile al cessionario factor, né un’eccezione riguardante l’esatto adempimento del negozio di cessione, ma si è limitata a contestare la certezza della data ai fini dell’inopponibilità della cessione alla procedura concorsuale ex art. 2914 n. 2 c.c., facendo propria un’eccezione che non le appartiene in quanto inerente in via esclusiva alla posizione della creditrice cedente.

Osserva il Collegio che parte appellante non è legittimata ad ottenere un accertamento giudiziale avente ad oggetto l’inopponibilità della cessione dei crediti alla procedura di l. c.a. ex art. 2914 n. 2 c.c. poiché nei suoi confronti la cessione oggetto del giudizio è perfettamente efficace – essendo state rispettate le prescrizioni di cui all’art. 1264 c.c. e peraltro il tenore stesso delle difese della cedente evidenzia come, in ogni caso, la cessione è intervenuta prima della messa in l.c.a. della cedente Ta.. Il cessionario è pertanto pienamente legittimato a pretendere la prestazione dal debitore Co. e l’eventuale pagamento del debito di quest’ultimo a Ta. in l. c.a. non avrebbe comunque efficacia liberatoria poiché la titolarità dei crediti oggetto della cessione non è più riconducibile alla sfera giuridica della cedente, essendosi verificato l’effetto traslativo del credito in capo alla cessionaria.

Né ad una diversa conclusione può indurre il richiamo al disposto di cui all’art. 5 della L. 52/1991 (disciplina della cessione dei crediti d’impresa) in quanto norma finalizzata esclusivamente alla tutela del creditore cedente. Tale norma riguarda i rapporti diretti tra cedente – ammesso ad una delle procedure previste dal regio decreto n. 267/1942 – e debitore ceduto ovvero terzo cessionario, a tutela del primo per disciplinare la sorte dei pagamenti effettuati al cedente dal debitore ceduto ovvero dal cessionario. A prescindere dunque dal rilievo che il solo soggetto legittimato (in quanto interessato) ad opporre la citata disciplina è la cedente Ta. in l.c.a., la fattispecie oggetto di causa appare del tutto estranea all’ambito di applicazione della disposizione in esame.

L’appellante ha sostenuto altresì che nella fattispecie si trattava di un credito futuro, non ancora sorto al momento della cessione, posto che l’effetto traslativo della cessione stessa si sarebbe potuto produrre solo una volta che i singoli crediti sarebbero venuti ad esistenza. Precisa in proposito il Consorzio che i crediti di Ta. Soc. Coop. verso Co. sarebbero sorti non già in virtù dell’emissione della corrispondente fattura da parte della prima, nè per effetto della mera esecuzione dei lavori, bensì solo a seguito dell’avvenuto pagamento del prezzo dell’appalto in favore di Co. da parte delle committenti (v. doc. 20 fascicolo 1°grado parte convenuta – Co.). Ciò, a norma del Regolamento Consortile, secondo le cui disposizioni il credito delle consorziate nei confronti del Consorzio (avente ad oggetto il corrispettivo dei lavori ad esse affidati dal Consorzio stesso e dalle medesime eseguiti) sarebbero stati esigibili solo nel successivo momento della percezione del corrispettivo da parte del Consorzio.

L’art. 2, punto 2.2. del “Regolamento disciplinante il pagamento dei corrispettivi sui lavori ed i rapporti finanziari tra Co. e Società” dispone che: “il pagamento dei lavori eseguiti vengono effettuati da Co. alle società esecutrici al momento del versamento dei corrispettivi da parte del Committente con la valuta riconosciuta da Co.””.

Assume dunque l’appellante che alla data del 28.05.2013 di messa in l. c.a. di Ta. Soc. Coop. nessuno dei crediti di cui alle fatture cedute azionate da If. era ancora sorto poiché i relativi importi sono stati tutti incassati dal Consorzio solo in data successiva alla messa in liquidazione coatta amministrativa di Ta. (cfr. doc. 21, 22 e 23 – fascicolo primo grado convenuta – Co.). Trattandosi dunque di crediti venuti ad esistenza successivamente all’apertura della procedura concorsuale, nessun effetto traslativo si sarebbe potuto produrre in capo a If., con conseguente difetto di legittimazione attiva in capo a quest’ultima.

L’appellante insiste pertanto affinché le cessioni oggetto del presente giudizio vengano qualificate come crediti futuri, come tali ad effetti meramente obbligatori e non immediatamente traslativi, inefficaci nei confronti della procedura concorsuale.

La questione proposta impone un preliminare chiarimento del quadro normativo di riferimento (avente ad oggetto la differenza tra crediti futuri e crediti eventuali).

In materia di efficacia della cessione dei crediti maturandi/futuri allorché il credito ceduto sia identificato nel titolo e nel contenuto la cessione prevale sul pignoramento (e sul fallimento), purché sia stata notificata o accettata dal debitore ceduto prima del pignoramento stesso; diversamente da quanto accade per i crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi soggettivi e oggettivi. Solo con riguardo a questi ultimi la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza.

Tanto premesso sulla questione di diritto, si deve osservare che nella fattispecie, dopo il generico contratto di factoring, furono sottoscritte dalle parti specifiche cessioni che indicavano il debitore ceduto (Co.) e il contratto in relazione al quale sarebbero sorti i crediti futuri (v. doc. 9 – 10 e ss. fascicolo primo grado – parte attrice).

Tali crediti, specificamente richiamati sia nelle comunicazioni di cessione sia nelle relative accettazioni (v. doc. 10 e 17 fascicolo primo grado parte attrice), sono dunque identificati non solo soggettivamente ma anche oggettivamente.

In tale contesto dunque l’effetto c.d. reale di trasferimento del credito al cessionario si verifica, senza necessità di ulteriore attività esecutiva, nel momento in cui il credito viene ad esistenza in dipendenza dell’inequivoca volontà contrattuale manifestata – in attuazione del contratto di cessione dei crediti di impresa – con lo specifico contratto di cessione già notificato al debitore ceduto, con cui Ta. ha ceduto a If. “tutti i crediti” che le sarebbero rivenuti nei confronti di Co. in relazione agli appalti di cui è causa.

Assume l’appellante che i crediti per il corrispettivo dovuto dalla stazione appaltante insorgevano /diventavano esigibili, alla stregua del regolamento consortile, solo a seguito dell’avvenuto incasso da parte del Consorzio Co. dei pagamenti effettuati a quest’ultima dalle committenti (v. doc. 20 fascicolo primo grado Co.).

Osserva il Collegio che la citata previsione contenuta nel Regolamento consortile non è altro che una previsione che si limita a condizionare semplicemente la efficacia operativa di una situazione già perfetta nella sua struttura giuridica e dunque la sola esigibilità del credito nascente da quest’ultima.

Ne consegue che il trasferimento della titolarità del credito dal cedente al cessionario si è attuato nel momento stesso in cui i fatti costitutivi del credito si sono verificati poiché le cessioni oggetto del presente giudizio si erano già perfezionate in un momento antecedente la messa in liquidazione coatta amministrativa della cedente Ta..

D’altro canto, come espressamente dichiarato da Co. in atto di appello (v. p. 10 atto di appello) e come emerge dai documenti prodotti dalla stessa appellante (v. doc. 21-22-23), gli importi delle fatture azionate da If. sono stati tutti incassati dal Consorzio e pertanto non solo i crediti erano in essere al momento in cui la cessione è intervenuta, ma quest’ultima si colloca in data antecedente la messa in l. c.a. di Ta. e, al momento della pronuncia di primo grado, sicuramente i crediti erano divenuti anche esigibili.

Per tutte le ragioni esposte il primo motivo di appello non può trovare accoglimento.

Con il secondo motivo di gravame l’appellante deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui, pur ritenendo ammissibile l’eccezione di compensazione, ha tuttavia respinto la domanda per difetto di prova del controcredito, fondandosi su un’inesatta valutazione delle allegazioni e produzioni di parte. Afferma il Tribunale in sentenza che “il tenore ampio e omnicomprensivo delle accettazioni con riserva – effettuate dalla Co. s.c.p.a. con le lettere del 24.04.2012, del 05.10.2012, del 19.10.2012 – rende ammissibile l’eccezione di compensazione con riferimento al credito per “anticipazioni”, a quello per servizi e prestazioni consortili nonché a quello per danno da inadempimento contrattuale allegati dalla difesa della debitrice ceduta”.

La facoltà di opporre in compensazione i crediti (presenti e futuri) nascenti dal rapporto complessivo fra Co. e le consorziate è fisiologica al rapporto consortile intercorrente tra le parti poiché espressamente previsto dal Regolamento che, al punto 1-F, dispone: “È sempre fatto salvo il diritto del Co. di compensare gli eventuali crediti delle società con il proprio credito evidenziatosi nel complessivo rapporto intrattenuto con le società”.

Pertanto l’accettazione (da parte del debitore ceduto) della cessione, con espressa riserva dell’eccezione di compensazione per ragioni creditorie verso il cedente, rende pienamente e illimitatamente opponibile tale compensazione anche al cessionario.

Per ragione di connessione logica l’asserita inesatta valutazione da parte del primo giudice delle allegazioni e produzioni documentali poste a fondamento dei presunti controcrediti vantati da Co. viene esaminata congiuntamente all’esame dei successivi motivi di appello.

Con il terzo motivo di gravame l’appellante deduce “erroneità, contraddittorietà, violazione e falsa applicazione di legge della sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione inerente il credito risarcitorio”.

Il primo controcredito opposto in compensazione dalla debitrice ceduta, pari a Euro 1.887.794,39, riguarda gli anticipi erogati da quest’ultima in favore di Ta..

Il primo giudice ha respinto l’eccezione di compensazione opposta dalla convenuta ritenendo carente la prova sul punto. Si legge in sentenza che “il mero trasferimento patrimoniale è di per sé insufficiente a dimostrare la certezza, liquidità e, soprattutto, esigibilità del credito restitutorio eccepito in compensazione dal debitore ceduto… la causale dei bonifici eseguiti da Co. s.c.p.a. in favore di Ta. s.c. genericamente indicata negli ordini di bonifico come “finanziamento”, non è stata in alcun modo provata dalla convenuta… infatti quest’ultima non ha prodotto alcuna documentazione (contratto di finanziamento, delibere consortili, scambio di corrispondenza, ecc.) attestante che la complessiva somma di Euro 1.887.794,39 era riferita ad erogazioni del Consorzio in favore della cooperativa associata inerente ai due appalti in esame (commissionati da Re. S.p.A. e da Gr.)”.

Assume l’appellante che le somme erogate dal Consorzio non devono essere qualificate quali anticipi contrattuali disciplinati dall’art. 2 del Regolamento Consortile, ma devono essere ricondotte alla fattispecie codicistica ovvero alla normativa del contratto di mutuo o, in alternativa, alla disposizione contrattuale di cui all’art. 5 del Regolamento avente ad oggetto l’assistenza finanziaria.

L’art. 2.1 del Regolamento prevede che: “su richiesta della Società interessata il Co. può concedere interamente o parzialmente l’anticipazione erogata dall’ente appaltante dietro prestazione di fideiussione bancaria, assicurativa o di altra idonea garanzia. Su specifica delibera del consiglio di Amministrazione del Co. l’anticipazione contrattuale può essere messa a disposizione della società richiedente senza rilascio di garanzia, fermo restando il limite fissato all’ultimo comma del punto 5 del presente regolamento”.

Il citato articolo 5 dispone che: “l’intervento di Co. per pagamenti e assistenza finanziaria è regolato da quanto previsto ai punti precedenti e conseguentemente ad esso si uniformeranno i programmi di sviluppo delle società aderenti e le iniziative commerciali di acquisizione e assegnazione lavori da parte del Co.”.

Dalla lettura coordinata delle disposizioni in esame si evince chiaramente che l’assistenza finanziaria da parte di Co. in favore delle consociate, di cui all’art. 5 del Regolamento Consortile, è sottoposta

alla medesima procedura di concessione alla quale sono subordinate le altre modalità di finanziamento disciplinate dal medesimo Regolamento, tra cui gli anticipi contrattuali previsti dall’art. 2 del Regolamento stesso.

Una diversa interpretazione del disposto dell’art. 5 sarebbe contraria al suo tenore letterale.

È irrilevante dunque la riconducibilità o la sussunzione della fattispecie in esame ad una previsione contrattuale piuttosto che ad un’altra, posto che le diverse disposizioni prevedono in ogni caso la medesima procedura di concessione delle erogazioni – comunque qualificate.

Ciò chiarito, l’odierna appellante non ha documentalmente provato le operazioni prodromiche alla concessione finanziaria: non ha fornito prova né di una richiesta di anticipo finanziario da parte della consorziata Ta. in relazione agli appalti cui ineriscono le fatture oggetto di cessione, né di una idonea garanzia, alla quale era espressamente subordinata l’erogazione degli anticipi contrattuali ex art. 2 o l’assistenza finanziaria ex art. 5 del sopracitato Regolamento.

Dal tenore letterale delle disposizioni in esame si evince che l’anticipazione contrattuale poteva essere disposta, in assenza di idonea garanzia, solo a seguito di specifica delibera del Consiglio di Amministrazione del Co..

Come correttamente evidenziato dal primo giudice, l’omessa produzione delle delibere consortili relative alla causale dell’erogazione effettuata impedisce di accertare se si sia trattato effettivamente di un anticipo inerente ai due appalti, se vi fosse un obbligo restitutorio e, in caso positivo, quale fosse il termine di esigibilità del credito restitutorio da parte del Consorzio.

Peraltro, nella specie, nemmeno può condividersi l’assunto dell’appellante circa la natura di mutuo delle somme erogate dalla stessa poiché, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 1, tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della pretesa restituzione.

L’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto possa tramutarsi in eccezione sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova.

La datio di una somma in denaro non vale dunque di per sé a fondare la richiesta di restituzione allorquando – come nella specie – il convenuto contesti la sussistenza di un’obbligazione di restituzione.

Atteso che una somma di denaro può essere consegnata per varie cause, la contestazione da parte del convenuto impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa; onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo di restituzione.

Il Consorzio Co., in qualità di preteso mutuante, era pertanto onerato della prova oltre che dell’avvenuta consegna del denaro, anche dell’obbligo di restituzione in capo alla consorziata Ta. in virtù dello specifico titolo per il quale era avvenuto il versamento a quest’ultima da parte sua.

Nel caso in esame tale onere probatorio non è stato assolto.

Una diversa conclusione per la quale si ritenesse invece provato il contratto di mutuo sulla base della mera consegna di somme di denaro esigibili in restituzione, nonostante la contestazione di controparte, determinerebbe un’illegittima applicazione dei principi in tema di onere probatorio.

In grado di appello Co. produce un documento nuovo (doc. 5 fascicolo appellante) nel quale – secondo parte attrice – troverebbe conferma l’assunta natura di anticipazione contrattuale e finanziamento delle somme da esso erogate alla consorziata. Evidenzia l’appellante come in esso è espressamente confermata dalla stessa Ta. tale circostanza, con dichiarazione confessoria del 06.03.2012 indirizzata allo stesso Consorzio Co. – dichiarazione che quest’ultimo asserisce di non avere ricevuto direttamente da controparte, ma attraverso una società terza – RI.

Rileva anzitutto il Collegio che il documento in questione deve essere dichiarato inammissibile in quanto nuovo, poiché la parte che lo produce in causa non fornisce idonea prova attestante il momento in cui essa ne è venuta a conoscenza – documento che peraltro reca una data assai risalente rispetto all’inizio stesso del presente contenzioso giudiziario. Co. si limita genericamente ad affermare che “questa missiva è stata conosciuta da Co. Scpa solo successivamente alla pronuncia di primo grado” (v. atto di appello p. 15).

Per poter valutare l’effettiva impossibilità di produzione del documento ex art. 345 c.p.c. è necessario che la parte – che intenda beneficiare del deposito tardivo del documento nuovo – fornisca idonea prova delle circostanze temporali e fattuali dalle quali è scaturita la conoscenza dello stesso documento. Tale onere non è stato assolto, così che non è consentito tenere conto del documento.

Ne consegue pertanto l’infondatezza dei motivi di gravame sin qui esaminati.

Con il quarto motivo di gravame l’appellante si duole della “erroneità, contraddittorietà, violazione e falsa applicazione di legge della sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione sul controcredito di natura risarcitoria”.

Assume l’appellante che il controcredito di natura risarcitoria, pari a Euro 3.356.458,23, le è dovuto per danni imputabili a Ta. a seguito della non corretta esecuzione delle opere alla medesima subappaltate dal Consorzio stesso.

La doglianza è destituita di fondamento.

Le allegazioni di Co. sono astratte e generiche, prive di concreti e specifici agganci con una realtà fattuale non adeguatamente dimostrata e prima ancora rappresentata.

Osserva il Collegio che i documenti prodotti da Co. sono di per sé insufficienti e non consentono di individuare con la necessaria chiarezza e puntualità l’effettività, la tipologia e l’entità del danno di cui essa pretende il ristoro.

Parte appellante si è limitata a produrre comunicazioni di revoca dei lavori (doc. 86 e ss. fascicolo primo grado Co.) e fatture emesse da parte della Committente Rf. (aventi ad oggetto il recupero dei costi per la messa in sicurezza del cantiere).

Le fatture non risultano quietanzate e peraltro attestano una somma differente rispetto a quella dichiarata dal Consorzio a titolo di risarcimento. Per altro verso di per sé tali documenti non consentono comunque di ricondurre a Ta. un’eventuale responsabilità per danni da interventi posti in essere dalla medesima.

In particolare le fatture emesse dalla società terza CO.G.EU. nei confronti di Co., recanti come descrizione/oggetto: “ripristino opere già contabilizzate e non accettate dal direttori lavori” non permettono di conoscere la reale portata dell’intervento richiesto alla società terza nè di individuare la precisa ed esatta identificazione dell’oggetto della prestazione (v. Doc. 31 e ss. – fascicolo primo grado Co.), oltre alla riconducibilità dell’eventuale danno all’operato di Ta..

Né, in ipotesi, la prova del danno può ragionevolmente desumersi dal mancato pagamento, da parte delle committenti, del corrispettivo per le opere appaltate a Co., dato che, come dichiarato dalla stessa appellante, quest’ultima ha ricevuto il corrispettivo delle opere eseguite da Ta. (v. atto di appello p. 10, nonché doc. 21-22-23 fascicolo primo grado – parte convenuta).

D’altro canto neppure è possibile supplire alla carenza probatoria con una valutazione equitativa da parte del Collegio posto che tale valutazione presuppone quantomeno la sussistenza della prova del danno nella sua effettività e l’indicazione – da parte della pretesa danneggiata – di un criterio attendibile per la sua liquidazione. Nessuno di tali parametri è stato messo a disposizione del giudice per fondare una motivata decisione.

L’appellante si duole altresì della violazione dell’art. 115 c.p.c. posto che le controparti ed in particolare Ta. non avrebbero contestato i fatti costitutivi dedotti da Co. a fondamento della pretesa compensazione.

Tale assunto è smentito dagli atti difensivi di parte. Risulta da questi ultimi che sia parte attrice in prime cure che la terza chiamata hanno espressamente contestato l’esistenza di tutti i controcrediti opposti in compensazione dalla debitrice ceduta Co. (v. p. 3-3 – comparsa di costituzione e risposta di Ta. e memoria n. 1 ex art. 183 co. 6 c.p.c. p. 3 di If.).

Con il quinto motivo di gravame l’appellante deduce “erroneità, contraddittorietà e falsa applicazione di legge della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di compensazione inerente i corrispettivi e rimborsi per servizi consortili” riguardanti il controcredito di Euro 1.618.156,29.

La doglianza è infondata.

Rileva il Collegio che la documentazione prodotta dall’appellante non è sufficiente ai fini del corretto assolvimento dell’onere probatorio gravante su di essa.

Il prospetto delle spese contrattuali, le spese di gara (v. doc. 14 fascicolo primo grado Co.) e le fatture prodotte da Co., essendo atti di formazione unilaterale, non possono costituire di per se soli un valido elemento di prova delle prestazioni asseritamente eseguite in favore della consorziata.

Le polizze assicurative (tra cui appendici di proroga e aggiornamento di somma assicurata) prodotte da Co. non consentono di ritenere provata né la stipula di contratti assicurativi in favore di Ta. per gli appalti di cui in premessa, né il pagamento dei relativi premi da parte di Co.. (v. doc. 13 ss. fascicolo primo grado di parte convenuta Co.).

In particolare, l’appendice per la variazione contratto della polizza n. 05401207323 prodotta non permette di individuare né l’oggetto assicurato né la riconducibilità di tale polizza/appendice ai lavori eseguiti dalla consorziata Ta.. (v. doc. 14)

L’appendice di proroga e aggiornamento somma assicurata n. W58784/05 non indica nella parte denominata perfezionamento l’importo assicurato e il relativo incasso e, peraltro, ha come oggetto il contratto di appalto n. 36/2007 con data di stipula del 03.10.2007 non riconducibile ai contratti di appalto oggetto del presente giudizio (emerge dalle risultanze documentali che il contratto stipulato con Rf., avente ad oggetto i lavori affidati a Ta., risale al 30.04.2009 – doc. 24 prodotto da If.).

Tra la confusionaria e contraddittoria documentazione prodotta da Co. si rinvengono anche alcuni documenti relativi a contratti assicurativi non sottoscritti dal contraente/assicurato né indicanti l’oggetto assi curato.

Conseguentemente, stante la frammentaria e spesso incomprensibile documentazione resa da parte appellante, non può dirsi raggiunta la prova documentale in merito all’effettiva entità dei servizi e delle prestazioni pretesamente erogate in favore di Ta..

Non è possibile ritenere la documentazione prodotta riferibile a lavori affidati a Ta. piuttosto che ad altri subappaltatori; ai cantieri per cui è causa o ad altri.

Per tale ragione anche il motivo di appello in esame appare privo di fondamento.

Con il sesto motivo di gravame l’appellante si duole della “erroneità, violazione e falsa applicazione di legge sul capo della sentenza di condanna al pagamento di interessi moratori”.

Per Co. l’errore nel quale è incorso il primo giudice consegue all’applicazione delle disposizioni normative ex D.lgs. n. 231/2002 poiché le somme azionate da If. avrebbero ad oggetto corrispettivi dovuti a Ta. per rapporti consortili e non per transazioni commerciali.

Il motivo di appello non può essere accolto.

L’interesse di mora ex D.lgs n. 231/02 si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, per tale intendendosi “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazioni di servizi contro il pagamento di un prezzo”.

Osserva il Collegio che la tipologia di credito azionato in giudizio da If. ha carattere commerciale poiché è il corrispettivo conseguente all’esecuzione di lavori oggetto di contratti di appalto e la natura commerciale del credito azionato non può essere modificata dal diverso rapporto consortile intercorrente tra Co. e Ta. – idoneo unicamente a regolare i rapporti interni al consorzio ed ai soggetti che vi partecipano.

Nelle rassegnate conclusioni definitive l’appellante deferisce giuramento decisorio de scentia al Commissario Liquidatore di Ta..

Prima ancora di valutare l’effettiva portata decisoria (e dunque definitoria) del deferito giuramento, l’istanza è inammissibile posto che i capitoli sui quali la parte deduce il giuramento decisorio – asseritamente allegati all’atto di citazione – risultano non essere mai stati prodotti in giudizio.

Il settimo motivo di appello e l’appello incidentale condizionato restano assorbiti in conseguenza del rigetto dei precedenti motivi di gravame.

All’integrale rigetto del gravame consegue la condanna dell’appellante a rimborsare alle altre parti le spese del grado. Esse sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della causa e della natura delle questioni trattate, alla stregua dei parametri fissati dal D.M. 55/14.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Ko. – Società Cooperativa per Azioni (già Co. Scpa) contro In. S.p.a. avverso sentenza n. 5558/2017, emessa dal Tribunale di Milano in data 17.05.2017, in contraddittorio fra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

– rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata n. 5558/2017, emessa dal Tribunale di Milano in data 17.05.2017.

– Condanna Ko. – Società Cooperativa per Azioni (già Co. Scpa) in Concordato Preventivo a rifondere a In. S.p.a. le spese del presente grado del giudizio liquidate in Euro 20.000,00 per compenso professionale oltre rimborso spese forfettario e accessori di legge.

– Condanna Ko. – Società Cooperativa per Azioni (già Co. Scpa) in Concordato Preventivo a rifondere a Ta. Soc. Coop. in Liquidazione Coatta Amministrativa le spese del presente grado di giudizio liquidate in Euro 11.000.00 per compenso professionale oltre rimborso spese forfettario e accessori di legge.

– Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002 come modificato dall’art. 1 comma 17 L. n. 228/2012.

Così deciso in Milano l’11 settembre 2019.

Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.