la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore, sicche’ il provvedimento emesso dagli organi fallimentari dopo la chiusura del fallimento e’ giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere e ogni interessato puo’ farne valere l’inesistenza senza limiti di tempo, sia in via di eccezione, che con azione di accertamento, in quest’ultimo caso convenendo in giudizio, non gli autori dell’atto, ma i soggetti nella cui sfera giuridica esso ha prodotto i suoi effetti.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 31 luglio 2018, n. 20225

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10775-2014 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

e contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SOC.COOP.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 170/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 05/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. CAPASSO Lucio, che ha richiesto in via prioritaria la rimessione della causa alla pubblica udienza, ed, in via subordinata, il rigetto del ricorso.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. La Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 170 del 5/2/2014 ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), anche quali eredi di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo del 18 aprile 2006 che aveva accolto la domanda proposta da (OMISSIS) S.p.a. nei confronti degli istituti di credito convenuti, volta alla condanna alla corresponsione della somma corrispondente all’importo del credito definitivamente accertato nei confronti delle societa’ di fatto, in precedenza fallite e di cui gli appellanti erano soci e loro aventi causa.

In punto di fatto, la societa’ attrice aveva dedotto che il Tribunale di Venezia con decreto del 19/4/1984 aveva dichiarato la chiusura del fallimento delle societa’ di fatto (OMISSIS) e (OMISSIS) delle quali erano soci (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), per l’integrale avvenuto pagamento dei creditori ammessi, e contestualmente aveva disposto che il curatore depositasse i titoli di stato residuati, del valore nominale di Lire 50.000.000 presso il (OMISSIS), poi incorporato dal (OMISSIS), su di un libretto nominativamente intestato ai soci di fatto falliti, ma vincolato in favore della creditrice (OMISSIS) essendo in corso il giudizio di accertamento dei crediti, con espressa previsione che solo al passaggio in giudicato delle sentenze di accertamento dei crediti sub iudice, sarebbe avvenuto lo svincolo in favore della societa’ creditrice e la restituzione del residuo ai falliti.

Intervenuto il giudicato sulla sentenza favorevole alla societa’ attrice, ed in conformita’ degli importi indicati in citazione, tuttavia era risultata vana ogni richiesta di svincolo da parte della banca.

Si costituiva il (OMISSIS) S.p.A. che in via preliminare chiedeva la chiamata in causa di (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS), e di (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), adducendo di essere stata sempre disponibile allo svincolo ma che vi era stato il dissenso degli intestatari dei libretti di deposito, che contestavano la legittimazione dell’attrice al pagamento.

Si costituivano in giudizio i terzi chiamati che in via preliminare eccepivano la prescrizione del credito vantato dall’attrice, che aveva agito in giudizio ad oltre dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva accertato il suo credito, deducendo in via subordinata che era dovuta una somma inferiore rispetto a quella richiesta.

Interveniva anche il (OMISSIS) S.c.a.r.l., quale successore a titolo particolare del (OMISSIS), essendo divenuta cessionaria dello sportello bancario ove erano in deposito i titoli di Stato.

A fronte della sentenza di prime cure che aveva accolto la domanda attorea, ed in risposta ai motivi di appello degli intestatari del libretto di deposito, la Corte distrettuale osservava che una volta tornati in bonis i soci falliti avevano accettato l’esistenza del vincolo sui titoli in deposito, non contestando ne’ la sua originaria apposizione ne’ agendo in seguito per la rimozione.

La specifica funzione di gare – che il deposito aveva assunto non era stata contestata dagli appellanti che nel corso degli anni si erano limitati a compiere dei semplici atti di gestione, a conferma dell’implicito riconoscimento dell’esistenza del vincolo.

La disposizione del giudice delegato che aveva chiarito che l’incasso dei titoli da parte della societa’ creditrice era condizionato al passaggio in giudicato della sentenza ad essa favorevole, attribuendo il residuo agli ex soci falliti, denotava in maniera condivisibile che al curatore era stato affidato l’incarico di concludere un contratto a favore di terzi, “sospensivamente condizionato ovvero con obbligazione soggettivamente alternativa”, nel quale deponente e stipulante e’ il potenziale debitore, promittente e’ l’istituto di credito e terzo beneficiario il possibile creditore (OMISSIS)

Quest’ultima aveva quindi acquistato un autonomo diritto nei confronti della banca, sicche’ solo la banca, quale unica debitrice in base al contratto, avrebbe potuto eccepire la prescrizione del diritto alla restituzione delle somme nei limiti di quanto accertato.

A favore di tale ricostruzione militavano i precedenti di legittimita’ che avevano riconosciuto paternita’ all’istituto del deposito in garanzia, che rinviene il suo fondamento normativo nella previsione codicistica di cui all’articolo 1773 c.c.

In presenza di un quadro normativo non del tutto delineato, apparivano giustificate la non immediata consegna delle somme alla societa’ attrice, nonche’ la chiamata in causa degli intestatari del libretto, i quali avevano manifestato il loro dissenso, eccependo (in maniera erronea) la prescrizione del diritto della societa’ attrice.

Ne derivava che sia l’introduzione della causa che la successiva chiamata dei terzi erano l’effetto di un comportamento oppositivo ingiustificato degli ex soci falliti che correttamente erano stati quindi condannati al rimborso delle spese di lite in favore dell’attrice.

Doveva quindi ribadirsi che dal contratto era scaturito un autonomo diritto di credito in favore dell’attrice che poteva essere altrettanto autonomamente azionato, senza la necessita’ di evocare in giudizio anche i debitori.

Infine, era del tutto priva di fondamento l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da (OMISSIS), atteso che la societa’ attrice non aveva formulato alcuna domanda nei suoi confronti, ed essendo carente in ogni caso la prova dei fatti giustificativi dell’eccezione.

Al rigetto dell’appello, la sentenza impugnata faceva poi conseguire la condanna degli appellanti al rimborso delle spese in favore dell’appellata.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di due motivi.

Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa fase.

2. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1321, 1411 e 1773 c.c. laddove ha ritenuto che la fattispecie andasse ricondotta ad un’ipotesi di contratto di deposito in garanzia a favore del terzo, con il riconoscimento di un autonomo diritto di credito alla restituzione delle somme depositate, in misura corrisponde’te all’importo del credito accertato, diritto da far valere esclusivamente nei confronti della banca.

Si sostiene che il contratto di deposito era stato concluso dal curatore del fallimento solo per dare attuazione all’ordine impartito dal giudice delegato nel decreto di chiusura del fallimento, con la conseguenza che mancherebbe nel contratto l’elemento fondamentale dell’accordo dei contraenti, mancando la volonta’ di una delle parti.

L’attivita’ del curatore esula quindi da quella di amministrazione del patrimonio fallimentare, essendosi gia’ addivenuti alla chiusura del fallimento con la produzione degli effetti di cui alla L. Fall., articolo 120.

Ne consegue che non e’ configurabile la stessa esistenza di un contratto di deposito in garanzia, in quanto i precedenti invocati dalla sentenza gravata attengono ad una diversa ipotesi in cui un consenso era stato validamente espresso.

A cio’ aggiungasi che era carente l’interesse dello stipulante alla conclusione del contratto, nella specie i debitori ex soci falliti, i quali nutrivano il solo obiettivo di rientrare nella disponibilita’ dei titoli di stato oggetto del deposito.

2.1 Il motivo e’ infondato.

Alla luce delle argomentazioni spese nel motivo, risulta evidente che i ricorrenti non contestano gli effetti in punto di legittimazione alla restituzione delle somme in favore della societa’ attrice e di insussistenza della prescrizione, laddove si aderisca alla conclusione dell’esistenza di un contratto di deposito in garanzia a favore del terzo, dovendo il terzo individuarsi nella societa’ attrice ed il promittente nella banca, rilevando a tal fine il compimento di atti interruttivi indirizzati dalla creditrice esclusivamente nei confronti della seconda.

Trattasi di conclusione che appare confortata dalla stessa giurisprudenza di questa Corte che in tempi non recenti (Cass. n. 2041/1968) ha avuto modo di ribadire che nel caso in cui un debitore, nell’interesse del proprio creditore (terzo rispetto al deposito) e col consenso di questo, effettui il deposito della cosa dovuta, per garantirne la conservazione durante la pendenza di un termine o di una condizione, al cui verificarsi il depositario deve restituirla o consegnarla al terzo, se a lui spettante, e – configurabile il cosi’ detto contratto di – deposito in garanzia- (altrimenti definito -sequestro convenzionale -, o negozio indiretto o negozio fiduciario, oppure misto), che trova la sua disciplina nel deposito anche nell’interesse di un terzo, di cui all’articolo 1773 c.c., derivando poi le conseguenze in punto di titolarita’ del diritto e di disciplina della prescrizione dalla stessa configurazione del contratto a favore di terzo (per una vicenda analoga si veda anche Cass. n. 21608/2013, citata anche dai giudici di appello, che ha appunto previsto che in caso di deposito fiduciario in garanzia, il diritto alla restituzione del depositante non puo’ essere riconosciuto in presenza di un diniego motivato del terzo titolare del credito garantito).

La censura dei ricorrenti mira piuttosto a confutare a monte la stessa esistenza di un valido contratto di deposito, assumendo che in realta’ mancherebbero gli elementi essenziali del contratto e precisamente lo stesso consenso, in quanto il curatore avrebbe concluso il contratto de quo, quale mero esecutore della volonta’ del giudice delegato, ed a seguito di un decreto di chiusura del fallimento, per effetto del quale avrebbe perso il potere di amministrare il patrimonio fallimentare.

La doglianza e’, pero’, priva di fondamento.

Effettivamente, questa Corte ha affermato anche di recente che (cfr. Cass. n. 25135/2015) la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore, sicche’ il provvedimento emesso dagli organi fallimentari dopo la chiusura del fallimento e’ giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere e ogni interessato puo’ farne valere l’inesistenza senza limiti di tempo, sia in via di eccezione, che con azione di accertamento, in quest’ultimo caso convenendo in giudizio, non gli autori dell’atto, ma i soggetti nella cui sfera giuridica esso ha prodotto i suoi effetti.

Sembrerebbe deporre quindi a favore della tesi dei ricorrenti anche quanto affermato da Cass. n. 5476/1986, la cui massima recita che “va considerato giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere (ed e’ percio’ insuscettibile di passare in giudicato) il provvedimento del tribunale fallimentare che, all’atto della chiusura del fallimento, disponga il deposito di somme a garanzia di futuri crediti di imposta, in quanto la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore tornato in bonis”.

Tuttavia la lettura della sentenza per esteso denota che la ratio della decisione si fonda sul carattere futuro dei crediti a garanzia dei quali era stato disposto il deposito, laddove invece non era contestata la legittimita’ del deposito a garanzia, pero’, di crediti tributari gia’ maturati alla data della chiusura del fallimento, ponendosi quindi come discrimen in punto di validita’ la circostanza della esistenza o meno (e non anche della certezza, che era invece dubbia alla data della chiusura del fallimento nel caso qui in esame) del credito garantito alla data di chiusura della procedura concorsuale.

Ritiene invece la Corte, ed in disparte evidenti lacune della formulazione del ricorso che incidono sulla ricorrenza del requisito di specificita’ ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo parte ricorrente riprodotto con precisione il contenuto del provvedimento con il quale il giudice delegato, disponendo la chiusura della procedura, aveva autorizzato il curatore alla conclusione del contratto di deposito, che debba viceversa ritenersi che la conclusione del contratto sia stata validamente compiuta da parte del curatore, avendo posto in essere un’attivita’ riconducibile a quella di amministrazione del patrimonio fallimentare, sia pure in vista della necessita’ di concludere la procedura concorsuale.

A tal fine giova richiamare in primo luogo la L. Fall., articolo 113 nella formulazione all’epoca vigente, che nel disciplinare le ipotesi di riparti parziali, prevedeva che in alcune ipotesi dovessero essere trattenute e depositate, nei modi stabiliti dal giudice delegato, determinate somme, emergendo quindi come il contratto di deposito de quo abbia un sostegno di diritto positivo nella stessa legge fallimentare.

Ancora lo stesso L. Fall., articolo 117, sempre nella formulazione applicabile ratione temporis, all’atto dell’approvazione del riparto finale, prevede appunto che alla chiusura del fallimento sia previsto il deposito, sempre nei modi stabiliti dal giudice delegato, delle somme accantonate ai sensi dell’articolo 113, n. 3 aggiungendo che analoga facolta’ di deposito operi anche per il caso di cui allo stesso articolo 117, comma 3.

Orbene, gli stessi ricorrenti riconoscono che il decreto di chiusura abbia la finalita’ di impartire al curatore tutte le disposizioni esecutive volte ad attuare gli effetti della chiusura, e tra queste appare evidente che debbano farsi rientrare anche le eventuali previsioni in tema di deposito in favore dei creditori, risultando quindi la successiva attivita’ negoziale posta in essere dal curatore per dare attuazione alle disposizioni in tal modo dettate, legittimata ancora dalle esigenze della procedura concorsuale, apparendo la chiusura del fallimento subordinata alla loro previa attuazione.

Potrebbe pero’ obiettarsi che il credito vantato dalla societa’ attrice non rientrasse tra quelli per i quali era previsto l’accantonamento, il che non avrebbe impedito comunque la chiusura del fallimento anche in assenza del deposito in suo favore (cfr. in tal senso Cass. n. 4259/1998, secondo cui la chiusura del fallimento L. Fall., ex articolo 118. dev’essere disposta senza la previsione di accantonamenti diversi da quelli previsti dall’articolo 117 in relazione alla L. Fall., articolo 113, n. 3, con la conseguenza che il creditore non ammesso al passivo del fallimento che ha proposto opposizione allo stato passivo pendente al momento della chiusura della procedura non ha diritto ad accantonamenti in sede di ripartizione finale dell’attivo; conf. Cass. n. 5304/2009; Cass. n. 18550/2014), tuttavia non puo’ prescindersi dalla collocazione temporale della vicenda, e precisamente dal fatto che la chiusura del fallimento risale al 1984 e cioe’ ad un’epoca in cui la soluzione ora ribadita in punto di accantonamenti, era ben lungi dall’apparire consolidata, sussistendo un contrasto in giurisprudenza.

Va altresi’ evidenziato che, sebbene tale modalita’ di accantonamento non possa reputarsi obbligatoria, la stessa giurisprudenza di questa Corte non ha pero’ escluso che (cfr. Cass. n. 9901/2004) il creditore non ammesso al passivo (pur non avendo diritto ad un accantonamento specifico, ne’ essendo consentita, per il carattere tassativo delle sue previsioni, un’applicazione della L. Fall., articolo 113 che, in analogia, estenda la previsione di accantonamento ai crediti non ammessi) possa giovarsi dell’accantonamento generico e di quegli altri che il giudice delegato puo’ disporre prudenzialmente proprio, ed anche, in relazione all’esito favorevole del giudizio di opposizione allo stato passivo che egli valuti in tal senso sulla base di elementi di probabilita’, reputando quindi quindi non preclusa al giudice la possibilita’ di disporre accantonamenti in vista dell’esito dei giudizi di accertamenti dei crediti non ammessi al passivo.

Ne consegue che laddove il giudice delegato abbia deciso di avvalersi, come nel caso di specie, di tale ulteriore possibilita’ di accantonamento, deve parimenti reputarsi consentita la possibilita’ di deposito secondo le forme disposte dal giudice delegato.

Deve quindi ritenersi che, riaffermata la possibilita’ di subordinare la chiusura del fallimento all’adozione di appositi accantonamenti, mediante modalita’ di deposito predisposte dal giudice delegato, che per legge e’ tenuto ad attuare il curatore, evidentemente avvalendosi, ove in tal senso disposto dal giudice delegato, degli strumenti contrattuali ritenuti piu’ idonei, come nel caso in esame il deposito in garanzia, e, considerata la possibilita’ di disporre discrezionalmente accantonamenti anche per ipotesi nelle quali la legge non lo preveda in maniera obbligatoria, resta evidentemente esclusa la sussistenza del vizio denunciato in ricorso.

In tal senso puo’ altresi’ osservarsi che, anche laddove si reputi che le disposizioni del giudice delegato quanto al deposito per cui e’ causa, esulino dalle ipotesi di accantonamento obbligatorio, l’eventuale difformita’ del provvedimento di chiusura, di cui alla L. Fall., articolo 119, dal contenuto imposto dalla legge avrebbe dovuto esser denunciata dagli stessi ricorrenti mediante gli strumenti di contestazione del decreto, con la conseguenza che l’omessa attivazione degli strumenti di controllo di tale provvedimento, impedisce in questa sede di poter contestare la validita’ del contratto concluso dal curatore in adempimento delle indicazioni, per lui vincolanti, fornite dal giudice delegato, e destinate ad operare proprio in vista della chiusura della procedura concorsuale, precedendo logicamente la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti sul patrimonio dei soggetti falliti tornati in bonis.

Questi ultimi sono pertanto tenuti a rispettare, ove non abbiano contestato nelle forme di legge i provvedimenti adottati dal giudice delegato, l’attivita’ contrattuale posta in essere dal curatore, restando quindi vincolati all’efficacia del contratto di deposito.

Ne’ rileva la valutazione dell’interesse degli odierni ricorrenti all’epoca di conclusione dei contratti, dovendosi invece avere riguardo a quelle che erano le valutazioni di convenienza e di opportunita’ della procedura, che in tal senso aveva ritenuto opportuno cautelare la societa’ attrice con il deposito acceso presso l’allora (OMISSIS).

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia invece la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui la sentenza d’appello ha posto le spese di lite a carico dei ricorrenti.

Si adduce che una volta ricondotta la vicenda ad un’ipotesi di contratto a favore di terzo, la domanda attorea non poteva che individuare la banca come legittimata passiva, la cui resistenza si palesava come immotivata.

Per l’effetto, in assenza della prova di un diniego opposto dai ricorrenti al pagamento di quanto spettante alla societa’ attrice, non appare corretta l’affermazione secondo cui vi sarebbe stata un’opposizione dei soci ex falliti alla liquidazione del dovuto. Anche tale motivo deve essere disatteso.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la mancata adesione della banca convenuta alle richieste dell’attrice fosse pienamente giustificata, alla luce della condotta tenuta dai ricorrenti, i quali, come confermato anche dal tenore delle difese spese in giudizio, avevano addotto l’esistenza di impedimenti giuridici al soddisfacimento del diritto della societa’ creditrice.

Ed, invero, anche a voler sorvolare sul difetto di specificita’ del motivo nella parte in cui, in violazione della prescrizione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, omette di riportare con precisione il contenuto della missiva inoltrata da (OMISSIS) alla societa’ attrice prima dell’introduzione della lite, e’ la stessa invocazione dell’istituto della prescrizione della pretesa creditoria a dare contezza di un atteggiamento oppositivo dei ricorrenti alla domanda attorea, che ha indotto la sentenza appellata, con motivazione logica e coerente, a reputare che la chiamata in causa dei ricorrenti fosse stata necessitata dall’esigenza di evitare di andare incontro ad eventuali responsabilita’ in caso di liquidazione dei titoli in deposito, palesandosi l’opportunita’ che l’accertamento della fondatezza della domanda attorea avvenisse con la partecipazione anche dei depositanti.

Trattasi ad avviso della Corte di una corretta applicazione del principio di causalita’ che, proprio in relazione alle ipotesi di chiamata in causa di terzi, prevede che (cfr. ex multis Cass. n. 7431/2012) il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.

In correlazione a tali affermazioni, ed in applicazione del principio di causalita’ (cfr. Cass. n. 23552/2011) dalle stesse ricavabili, e’ dato altresi’ rilevare la correttezza della soluzione del caso di specie, in quanto, per l’ipotesi di chiamata in causa imposta dall’atteggiamento del terzo chiamato che ponga ostacoli infondati all’accoglimento della domanda attorea, sebbene le richieste dell’attore siano indirizzate solo nei confronti del convenuto, in caso di infondatezza delle ragioni di opposizione del terzo chiamato, e’ questo a doversi fare carico non solo delle spese del chiamante, sua diretta controparte processuale, ma anche dell’attore, che ha dovuto introdurre il giudizio o prolungare la sua durata proprio in ragione del comportamento del terzo chiamato.

Ne’ infine deve trascurarsi che, relativamente al giudizio di appello, essendo stato rigettato il gravame proposto dai soli ricorrenti, non avendo le altre parti inteso contestare la correttezza della soluzione del Tribunale, la condanna dei (OMISSIS) al rimborso delle spese di lite in favore della societa’ attrice costituisce una evidente e piana applicazione del principio della soccombenza.

4. Nulla a disporre quanto alle spese del presente giudizio atteso che gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.

5. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta ricorso;

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.