vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo vada risolto tenendo conto del carattere imperativo della relativa disciplina normativa, seppur mediata da convenzioni tra il Comune e il concessionario: con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione cagiona la nullita’ della clausola ex articolo 1418 c.c. e la sostituzione mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (articolo 1339 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2). La ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa poggia innanzitutto sulla distinzione delle convenzioni per la cessione del diritto di superficie – quale quella oggetto della vicenda in esame rispetto alle convenzioni per la cessione del diritto di proprieta’ piena, non essendo previsto nel primo caso dalla L. n. 865 del 1971, articolo 35, comma 8, quale contenuto necessario delle convenzioni, il regime di inalienabilita’, invece in origine contemplato dal successivo comma 15 per la cessione del diritto di proprieta’. Il vincolo inerente la determinazione del prezzo discende, per contro, in tutti i casi direttamente dalla legge. Ulteriore distinzione e’ stata messa in evidenza tra le convenzioni L. n. 865 del 1971, ex articolo 35 e quelle L. n. 10 del 1977, ex articoli 7 e 8, quale si assume essere, nella specie, la convenzione di seguito stipulata dagli attuali controricorrenti nel 2009 con il Comune di Trieste. Solo per queste ultime il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non e’ obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione – tipo approvata dalla regione, ai sensi dell’articolo 7, legge n. 10/1977, essendo destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione soltanto il costruttore titolare della concessione.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 4 dicembre 2017, n. 28949

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18606/2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

e

sul ricorso 18606/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), e elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti incidentali –

sul ricorso 18606/2013 proposto da:

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 373/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 17/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS), e (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) propone ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 373/2013, depositata il 17/04/2013. Resistono con controricorso (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali propongono altresi’ ricorso incidentale in unico motivo.

La Corte d’Appello di Trieste, rigettando l’impugnazione avanzata da (OMISSIS) contro la pronuncia di primo grado, non definitiva, resa il 10/02/2012 dal Tribunale di Trieste, ha confermato l’accoglimento della domanda formulata da (OMISSIS) ed (OMISSIS) con citazione del 30/09/2009, con cui si era chiesto di accertare che il prezzo di Euro 155.000,00 da loro versato al (OMISSIS) per effetto della compravendita di un alloggio in via (OMISSIS), stipulata il 10/12/2004 – costruito su area gravata da diritto di superficie concesso dal Comune di Trieste all’impresa costruttrice del complesso immobiliare, nell’ambito di programma di edilizia economico popolare L. n. 865 del 1971, ex articolo 35 – fosse eccedente rispetto a quello stabilito nelle apposite convenzioni, con conseguenti nullita’ della relativa clausola e condanna del venditore alla restituzione dell’indebito, da quantificare nel prosieguo del giudizio. La Corte d’Appello ha ribadito, pertanto, la nullita’ della clausola di determinazione del prezzo di vendita dell’immobile soltanto perche’ difforme dalle prescrizioni dettate dal Comune, e richiamato l’operativita’ dell’articolo 1339 c.c..

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

I. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia la nullita’ dell’impugnata sentenza per violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., avendo essa omesso di pronunciare sul motivo di appello che censurava la decisione del Tribunale per aver dichiarato la nullita’ della clausola contrattuale di determinazione del prezzo di vendita in relazione all’articolo 1418 c.c., comma 1, (c.d. nullita’ virtuale), cosi’ accogliendo la domanda dei compratori sulla base di una diversa causa petendi, avendo costoro dedotto l’esistenza di una nullita’ testuale.

1.1. Il primo motivo del ricorso principale e’ del tutto infondato. La Corte d’Appello di Trieste, uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto affetta da nullita’ parziale, e quindi sostituita di diritto, ex articolo 1419 c.c., comma 2 e articolo 1339 c.c., la clausola negoziale del contratto di compravendita inter partes del 10/12/2004, giacche’ contenente un prezzo di alienazione dell’alloggio difforme da quello massimo vincolato stabilito sulla base della Convenzione di cessione di area in diritto di superficie del 06/02/1980, intervenuta tra il Comune di Trieste e la Cooperativa (OMISSIS) (si vedano Cass. Sez. 2, 03/01/2017, n. 21; Cass. Sez. U, 16/09/2015, n. 18135). Questa stessa Corte ha anche ormai chiarito come, alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla nullita’ contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale, il giudice di merito abbia il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti “ex actis”, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullita’ del contratto stesso. La rilevazione delle nullita’ negoziali e’ percio’ per il giudice sempre obbligatoria e sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, e cosi’ pure la loro “dichiarazione”, ove vi sia stata in tal senso un’espressa domanda della parte. Ancor piu’ chiaramente, il giudice innanzi al quale sia stata proposta una domanda di nullita’ contrattuale, deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima pure diversa da quella allegata dall’istante, essendo tale domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicche’ e’ individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio (Cass. Sez. U, 12/12/2014, n. 26242; Cass. Sez. U, 04/09/2012, n. 14828). Non e’, dunque, viziata da ultrapetizione la decisione del giudice che, in caso di domanda di accertamento della nullita’ di una clausola contrattuale che si assuma testuale, abbia dichiarato la nullita’ del contratto per contrarieta’ a norme imperative, pur in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullita’ virtuale”), essendo tale decisione giustificata dall’obbligo di rilevare comunque anche di ufficio ogni possibile causa di nullita’.

2. Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) deduce la nullita’ dell’impugnata sentenza per violazione degli articoli 345 e 112 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello di Trieste ha dichiarato di non poter esaminare, perche’ del tutto nuovo e non dedotto in primo grado, il tema della contrarieta’ a correttezza e buona fede del comportamento di (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali nel 2007 avevano appreso che il Comune di Trieste, modificando le proprie precedenti determinazioni, avrebbe consentito dal 2008 lo svincolo dell’appartamento con il pagamento di una somma pari ad Euro 1.401,13. Ora il ricorrente specifica nel suo secondo motivo che tale questione era stata gia’ introdotta nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, trattandosi comunque di mera difesa, proponibile anche in appello.

2.1. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato. Allorche’, come nel caso in esame, sia proposta domanda di accertamento della nullita’ parziale di una clausola contrattuale di determinazione del corrispettivo e di ripetizione dell’indebito in relazione alla relativa prestazione, la deduzione della contrarieta’ a buona fede della condotta del solvens, finalizzata a negare la ripetibilita’ della somma, costituisce comunque un fatto nuovo, la cui allegazione e’ sottoposta alle preclusioni indicate dall’articolo 183 c.p.c., le quali comunque impediscono, dopo la chiusura della fase di trattazione, che siano proposte nuove domande o eccezioni o dedotte a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi. Ne consegue che, non trattandosi di mera argomentazione a contestazione dei fatti costitutivi dell’avversa domanda, il “fatto” della contrarieta’ a correttezza e buona fede del comportamento di (OMISSIS) ed (OMISSIS), fondandosi su elementi propri, autonomi e distinti da quelli gia’ oggetto del dibattito processuale, non poteva essere comunque dedotto in primo grado dal convenuto (OMISSIS) soltanto con la comparsa conclusionale, ne’, quindi, poteva essere utilmente sottoposto al giudice d’appello.

3. Il terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, articolo 35, dell’articolo 12 della Convenzione PEEP, della L. n. 448 del 1998, articolo 31, commi 45 ss. e dell’articolo 1418 c.c., comma 1, sostenendo che gli interessi protetti da tali norme non hanno carattere inderogabile e che la rivendita a prezzo di mercato non contrasti con i sottesi interessi di natura pubblicistica.

Il quarto motivo del ricorso principale deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., comma 1, dell’articolo 1419 c.c., comma 2, dell’articolo 1339 c.c., della L. n. 865 del 1971, articoli 35, comma 4 e ss. e degli articoli 12, 15 e 16 della Convenzione PEEP, evidenziando come tali norme, e la medesima Convenzione del 06/02/1980, ricolleghino alla loro inosservanza una conseguenza diversa dalla nullita’ dell’atto.

Il quinto del ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., comma 1, dell’articolo 1339 c.c., della L. n. 865 del 1971, articolo 35, comma 4 e ss. e degli articoli 12, 15 e 16 della Convenzione del 06/02/1980, evidenziando come (OMISSIS) ed (OMISSIS) nell’anno 2009 avessero stipulato una nuova convenzione con il Comune di Trieste, sostitutiva di quella originariamente conclusa ai sensi della L. n. 865 del 1971, articolo 35 con conseguente venir meno ex tunc dei vincoli posti alla cessione dell’immobile in ordine alla determinazione del prezzo.

Il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. per abuso del diritto e contrasto con gli obblighi di buona fede ravvisabili nel comportamento di (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali hanno tratto notevole vantaggio dalla conclusione della successiva Convenzione ai sensi della L. n. 10 del 1977, articolo 8 ed hanno poi agito per la nullita’ del contratto stipulato con il ricorrente.

3.1. Il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di (OMISSIS) vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano infondati, alla stregua dell’orientamento interpretativo di questa Corte gia’ richiamato a proposito del primo motivo (Cass. Sez. 2, 03/01/2017, n. 21; Cass. Sez. U, 16/09/2015, n. 18135). Questo orientamento ha chiarito come il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo vada risolto tenendo conto del carattere imperativo della relativa disciplina normativa, seppur mediata da convenzioni tra il Comune e il concessionario: con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di cessione cagiona la nullita’ della clausola ex articolo 1418 c.c. e la sostituzione mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (articolo 1339 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2). La ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa poggia innanzitutto sulla distinzione delle convenzioni per la cessione del diritto di superficie – quale quella oggetto della vicenda in esame rispetto alle convenzioni per la cessione del diritto di proprieta’ piena, non essendo previsto nel primo caso dalla L. n. 865 del 1971, articolo 35, comma 8, quale contenuto necessario delle convenzioni, il regime di inalienabilita’, invece in origine contemplato dal successivo comma 15 per la cessione del diritto di proprieta’. Il vincolo inerente la determinazione del prezzo discende, per contro, in tutti i casi direttamente dalla legge. Ulteriore distinzione e’ stata messa in evidenza tra le convenzioni L. n. 865 del 1971, ex articolo 35 e quelle L. n. 10 del 1977, ex articoli 7 e 8, quale si assume essere, nella specie, la convenzione di seguito stipulata dagli attuali controricorrenti nel 2009 con il Comune di Trieste. Solo per queste ultime il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non e’ obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione – tipo approvata dalla regione, ai sensi dell’articolo 7, legge n. 10/1977, essendo destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione soltanto il costruttore titolare della concessione.

Per gli immobili di edilizia convenzionata ex L. n. 10 del 1977 appare chiara, infatti, l’individuazione, in chi abbia ottenuto la concessione edilizia a contributo ridotto, del destinatario degli obblighi assunti di contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indicati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di sua validita’. Si sono poi ritenute dirimenti, nell’interpretazione della disciplina in esame, le disposizioni contenute nel Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106. Queste disposizioni hanno aggiunto alla L. n. 448 del 1998, articolo 31, comma 49 sia il comma 49-bis, secondo il quale “I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unita’ abitative e loro pertinenze nonche’ del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, articolo 35 per la cessione del diritto di proprieta’, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unita’ in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del presente articolo (…)”; sia il comma 49-ter, per il quale “Le disposizioni di cui al comma 49-bis si applicano anche alle convenzioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 18”, ovvero alle convenzioni per il rilascio della concessione edilizia a contributo ridotto di cui gia’ alla L. n. 10 del 1977, articoli 7 e 8 con la conseguenza che pure per detti alloggi l’efficacia del vincolo di prezzo non dovrebbe, allora, ritenersi limitata al primo atto di trasferimento, ma andrebbe estesa a tutti i successivi passaggi di proprieta’ dell’immobile fino a quando non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex articolo 31, comma 49 bis. Il sistema legislativo cosi’ ricostruito comporta, in definitiva, che il vincolo del prezzo viene eliminato soltanto per effetto di apposita convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), seguendo, altrimenti, il bene nei successivi passaggi di proprieta’, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita. Non puo’, allora, rilevare in alcun modo sulla compravendita conclusa tra l’alienante (OMISSIS) e gli acquirenti (OMISSIS) ed (OMISSIS) il 10/12/2004 la successiva dedotta convenzione che questi ultimi hanno poi stipulato nel 2009 con il Comune di Trieste, in quanto al momento del primo contratto era certamente ancora sussistente il vincolo del prezzo. Ne’ la disciplina normativa richiamata consente al venditore di sanare retroattivamente il trasferimento dell’immobile, liberando ex post il bene dal vincolo del prezzo massimo di cessione attraverso la stipula di apposita convenzione con il Comune, in maniera da sottrarsi alla pretesa dell’acquirente di ripetizione del prezzo pagato in eccedenza (tanto piu’ nel caso in esame, trattandosi di vendita avvenuta ben prima del citato Decreto Legge n. 70 del 2011). E’ invece l’acquirente che puo’ procedere alla rimozione del vincolo di prezzo dell’immobile, semmai proprio approfittando dell’importo eccedente ricevuto in restituzione dal suo dante causa, per poi rivenderlo al valore di mercato. Ne’ e’ ravvisabile alcun abuso del diritto nel fatto che gli acquirenti (OMISSIS) ed (OMISSIS) abbiano agito nei confronti di (OMISSIS) per ripetere l’eccedenza di prezzo, e, come si assume dal ricorrente, separatamente pagato il corrispettivo per rimuovere il vincolo e rivendere l’immobile a prezzo di mercato, in quanto tale condotta ha perseguito un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, e non ha causato alcuna sproporzione o ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale.

4. L’unico motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS) ed (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione, nonche’ l’omessa o carente motivazione, in relazione agli articoli 91 e 92 c.p.c. ed al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, per aver la Corte d’Appello di Trieste liquidato in favore degli appellati le spese processuali del giudizio di gravame nell’importo complessivo di Euro 2.500,00, oltre accessori, e cio’ a fronte di un valore dichiarato della causa pari ad Euro 67.348,61 ed ad una nota spese che indicava una richiesta di compenso di Euro 2.500,00 per la fase di studio, di Euro 1.500,00 per la fase introduttiva e di Euro 3.000,00 per la fase decisoria.

Il ricorso incidentale e’ fondato.

La Corte di Trieste, nel decidere sulla liquidazione delle spese del grado di appello, non si e’ attenuta al principio, piu’ volte ribadito da questa Corte, secondo cui il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non puo’ limitarsi ad una globale determinazione dei compensi dell’avvocato (nella specie, sulla base dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, applicabile “ratione temporis”) in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione del diverso valore della controversia stimato, oppure dell’eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimita’, l’accertamento della conformita’ della liquidazione ai limiti, massimo e minimo, delle tariffe operanti, neppure potendo presumersi, in difetto di specifica indicazione, che la somma determinata sia stata calcolata in base ai valori medi. Nella specie, la liquidazione globalmente operata dalla Corte d’Appello in favore delle parti vittoriose risulta anche inferiore ai minimi stabiliti sulla base del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012 per le singole voci di compenso, come specificate nella nota del 15 gennaio 2013, e manca del tutto la motivazione di tale riduzione. Ritenuta la fondatezza del vizio in iudicando denunciato nel ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata, rimettendo al giudice di rinvio le indispensabili indagini di fatto sugli atti di causa che conducano ad una corretta liquidazione delle spese processuali del giudizio di appello, in considerazione dei richiamati principi. Al giudice di rinvio va altresi’ rimessa la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

Conseguono il rigetto del ricorso principale di (OMISSIS), l’accoglimento del ricorso incidentale di (OMISSIS) ed (OMISSIS) e la cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulle spese di lite del giudizio d’appello, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, che decidera’ sul punto uniformandosi ai richiamati principi.

Sussistono altresi’ le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale (OMISSIS), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale di (OMISSIS), accoglie il ricorso incidentale di (OMISSIS) ed (OMISSIS), cassa la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulle spese di lite del giudizio di appello, e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale (OMISSIS), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.