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Ciò, del resto, in piena conformità alla previsione di cui all’art. 1122 c.c. secondo la quale i proprietari individuali, allorquando eseguono interventi nelle loro unità immobiliari, devono avere cura di non recare danno alle cose comuni e, specificamente, al decoro architettonico dell’edificio: e se è vero che tale specificazione è stata introdotta soltanto con la novella n. 220 del 2012, tuttavia va ricordato che, ancora prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità aveva già puntualizzato che il concetto di danno cui la suddetta norma fa riferimento non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell’intrinseca natura della cosa comune, ma anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico.
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Corte d’Appello Napoli, Sezione 2 civile Sentenza 7 giugno 2018, n. 2753
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
SECONDA SEZIONE CIVILE
in persona dei magistrati:
dott. Giovanni de Crecchio – presidente rel.
dott.ssa Rosaria Papa – consigliere
dott.ssa Efisia Gaviano – consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile, in grado d’appello, N.R.G. 5132/2011, promossa da:
(…) (CF: (…)), procuratore di se medesima;
APPELLANTE
contro
CONDOMINIO (…) sito in C. (CF: (…)), rappresentato e difeso dall’avv. An.Co.;
APPELLATO
avverso la sentenza n. 2586/11 depositata il 9 novembre 2011, pronunciata dal tribunale di Nola.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Avverso la sentenza n. 2586/11 depositata il 9 novembre 2011, con la quale il tribunale di Nola aveva dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla delibera condominiale del 20 maggio 2008, rigettato la sua domanda di nullità della delibera condominiale del 9 dicembre 2008, compensato un terzo delle spese di lite e posto i residui due terzi a suo carico, ha proposto appello (…) deducendo a sostegno tre motivi.
2. Il condominio (…) si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto dell’appello.
3. E’ stato acquisito il fascicolo del giudizio di primo grado e non è stata svolta attività istruttoria.
4. L’appello è tempestivo: premesso che la sentenza impugnata non è stata notificata e ch’è quindi applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. nella formulazione antecedente alla modifica apportata dall’art. 46, comma 17, della L. n. 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009, testo antecedente applicabile ratione temporis alla presente impugnazione posto che il giudizio di primo grado è stato introdotto con due ricorsi depositati rispettivamente il 12 giugno 2008 ed il 9 gennaio 2009, va osservato che l’appello risulta notificato in data 20 dicembre 2011 a fronte di una sentenza pubblicata, come detto, il 9 novembre di quel medesimo anno.
5. L’appello è altresì ammissibile perché proposto, contrariamente alla valutazione espressa dal condominio appellato, in modo rispettoso delle prescrizioni di cui all’art. 342 c.p.c. nel testo vigente prima della novella del 2012 ed applicabile ratione temporis in considerazione della già indicata data di notificazione dell’atto di gravame: l’appellante ha sufficientemente specificato i motivi della sua impugnazione e, in particolare, ha osservato il principio secondo il quale nell’atto d’appello alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice a fondamento della sua decisione, senza peraltro che sia sufficiente l’individuazione delle statuizioni concretamente impugnate dovendo l’appellante, anche qualora la sentenza di primo grado sia impugnata nella sua interezza, esporre con sufficiente grado di specificità le ragioni sulle quali si fonda il gravame (ex plurimis: Cass. 15 aprile 1998 n. 3805; Cass. 26 giugno 1998 n. 6335).
E questa specificità di ragioni risulta ben esplicitata come si avrà modo di comprendere appena si passerà alla trattazione dei motivi di critica avverso la sentenza impugnata; d’altronde, l’appellato ha avuto modo di difendersi compiutamente come emerge dalla sua comparsa di costituzione nella quale affronta criticamente, punto su punto, le diverse questioni agitate dalla controparte.
6. Con il primo motivo, l’appellante eccepisce il difetto di costituzione del condominio: nei due giudizi, poi riuniti, aventi ad oggetto l’impugnativa di due distinte deliberazioni assembleari assunte dal condominio rispettivamente il 20 maggio ed il 9 dicembre 2008, l’amministratore dell’ente di gestione si era costituito senza avere preventivamente richiesto ed ottenuto l’autorizzazione dell’assemblea; né nel corso del giudizio, l’assemblea aveva ratificato l’operato del suo organo esecutivo.
E l’autorizzazione o almeno la ratifica sarebbero indispensabili per la regolare costituzione in giudizio del condominio, contrariamente alla valutazione fatta dal primo giudice, alla luce del principio di diritto affermato dalla S.U. della Suprema Corte nella sua sentenza n. 18331/2010.
6.1. La critica non merita di essere condivisa.
In tema di condominio negli edifici, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. 20 marzo 2017 n. 7095; Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451). In particolare, in tale ultima sentenza è chiarito che a questa conclusione non è di ostacolo il principio, enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 6 agosto 2010, n. 18331), secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 cod. civ., commi 2 e 3, può bensì costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione. L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quei giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’art. 1131 cod. civ., commi 2 e 3. Ma non è questo il caso di specie, posto che eseguire le deliberazioni dell’assemblea e difendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell’amministratore.
7. Con il secondo motivo, l’appellante si duole che il giudice di primo grado abbia dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla Delib. del 20 maggio 2008 in quanto 1) l’ordine del giorno non mette a conoscenza la comparente della discussione sulla definizione della tipologia d’infissi da adottare né nella convocazione per il 20.08.08. (dovrebbe trattarsi di un errore materiale in cui l’appellante è incorsa perché la prima assemblea è come detto del 20.05.08) né in quella per il 9.12.08 con una palese violazione dell’obbligo di preventiva informazione (in corsivo è riportato il testo dell’atto d’appello).
7.1. Anche questo motivo va disatteso.
Il giudice di primo grado ha ritenuto cessata la materia del contendere riguardo alla Delib. del 20 maggio 2008 perché sostituita con altra, quella del 9 dicembre 2008, adottata dall’assemblea in conformità della legge così da fare venire meno la specifica situazione di contrasto fra le parti; in particolare, ha chiarito che il vizio da cui era affetta la prima delibera e che la rendeva annullabile, come eccepito dall’attrice, per il mancato rispetto del termine di convocazione, era stato rimosso con la seconda convocazione tant’è che l’attrice non l’aveva più denunciato nell’atto d’impugnazione della successiva deliberazione del 9 dicembre 2008: e poiché il deliberato condominiale assunto in quest’ultima assemblea era identico a quello preso all’esito dell’assemblea del 20 maggio 2008, l’unica deliberazione da valutare rimaneva la seconda, quella appunto del 9 dicembre 2008.
D’altronde, l’identità delle due deliberazioni appare indiscutibile: i punti 2 dei due ordini del giorno così come trascritti nei verbali delle due assemblee sono identici – questione inerente la sostituzione degli infissi metallici esterni (persiane) proposta d alcuni condomini. Premesso che al piano rialzato le sostituzioni già sono state operate con iniziativa diretta del sig. (…) con una seconda fase d’intervento, l’assemblea dovrà esprimersi sulla legittimità delle sostituzioni già effettuate, in relazione a quanto riportato nel verbale d’assemblea del 11/01/2008 in cui furono definiti i termini per futuri interventi sugli infissi e provvedimenti azioni utili a salvaguardare il decoro generale a valle di interventi già arbitrariamente posti in opera – così come le deliberazioni in quelle due sedute adottate atteso che nel verbale del 9 dicembre 2008 si legge che l’assemblea all’unanimità si riporta così come trascritta la Delib. del 20 maggio 2008 nella sua interezza.
Ancora: anche i due avvisi di convocazione, prodotti anche dall’appellante, indicano testualmente, al punto 2 di ciascuno di essi, il medesimo argomento (ch’è poi il testo riportato in corsivo immediatamente sopra).
Non si comprende, quindi, come potrebbe permanere l’interesse della (…) ad ottenere una pronuncia in ordine all’invalidità della prima delle due suddette deliberazioni posto che la seconda, sanato il vizio del difetto di convocazione dal quale la seconda era affetta, ha integralmente sostituito la precedente; a maggiore ragione, poi, se si considera che il tribunale ha correttamente tenuto presente quale sarebbe stata la sorte della prima deliberazione se non fosse sopravvenuta la sanatoria e l’ha valutata in relazione alla regolamentazione del carico delle spese processuali (compensate per un terzo proprio per l’invalidità virtuale della prima deliberazione).
Né l’eventualità che l’assemblea abbia deliberato nella due assemblee andando oltre l’argomento dell’ordine del giorno rileva ai fini dell’accoglimento del motivo espressamente volto, come detto, contro quella parte della sentenza con la quale il tribunale ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla Delib. del 20 maggio 2008: avendo il condominio sostituito alla prima una seconda deliberazione previa nuova tempestiva convocazione di tutti i condomini, anche l’eventuale discrasia tra ordine del giorno e deliberazione in concreto adottata riguarderebbe tutt’al più ormai soltanto la seconda deliberazione, l’unica efficace secondo la volontà espressa dai componenti la compagine condominiale.
8. Con il terzo motivo, l’appellante si duole che il tribunale non abbia ritenuto nulla la deliberazione emessa in carenza o eccesso di potere: l’assemblea non avrebbe potuto infatti deliberare, con efficacia vincolante per i singoli condomini non espressamente consenzienti, intervenuti o opere riguardanti o coinvolgenti beni o porzioni di proprietà individuale, come è da considerarsi la decisione circa la tipologia degli infissi dei singoli appartamenti; l’appellante rileva al riguardo che l’assemblea, con la sua deliberazione, avrebbe voluto favorire quel condomino che per primo aveva provveduto alla sostituzione degli infissi originari in tal modo abusando del proprio potere che dovrebbe invece essere sempre esercitato in funzione della tutela degli interessi della collettività condominiale.
8.1. Il motivo è privo di pregio.
E’ utile chiarire il contenuto della deliberazione impugnata.
S’impone al riguardo l’esame del verbale dell’assemblea del 20 maggio 2008 perché la Delib. del 9 dicembre 2008, nel confermare la precedente, rinvia espressamente ed integralmente ad essa.
Nel verbale si legge, con riferimento al punto 2 dell’ordine del giorno relativo alla questione inerente la sostituzione degli infissi metallici esterni (persiane) proposta da alcuni condomini, che i condomini presenti, dopo avere preso atto delle lamentele della condomina (…) circa il comportamento del condomino (…), che aveva proceduto a sostituire gli infissi di sua proprietà senza alcuna autorizzazione assembleare e senza preoccuparsi di garantire il decoro architettonico del fabbricato condominiale, e dell’intendimento della medesima di rivolgersi all’autorità giudiziaria ai fine di tutelare i diritti propri e del condominio, dichiaravano che gli infissi esterni dovessero rispettare il disegno e le colorazioni di quelli esistenti, con tipologia assimilabile a quella già posta in opera dal condomino (…) (diverso quindi dal condomino (…) contro il quale erano state indirizzate le lamentele della condomina (…)) nel rispetto dello statuto vigente del condominio; si legge altresì che il condomino (…) chiedeva allora di potere essere autorizzato a completare la sostituzione degli infissi anche sulla facciata sud e che l’assemblea si esprimeva favorevolmente.
Il contenuto del verbale rende evidente che: a) il condominio non ha imposto alcuna sostituzione dell’esistente ai proprietari delle singole unità immobiliari; b) l’assemblea, proprio perché si stavano completando i lavori di ristrutturazione del fabbricato ed alcuni condomini avevano di loro iniziativa già iniziato la sostituzione delle persiane originarie con altre, per evitare sgradevoli difformità anche potenzialmente pregiudizievoli dell’aspetto estetico dell’insieme, ha ricordato che i nuovi eventuali infissi avrebbero dovuto comunque rispettare il disegno e le colorazioni di quelli esistenti ed avere anche una tipologia assimilabile a quella già posta in opera dal condomino (…), il tutto comunque nel pieno rispetto dello statuto condominiale; c) l’assemblea, nel disporre ciò, non ha inteso affatto favorire un condomino ai danni dell’intera collettività condominiale o soltanto di alcuni condomini – tanto che si è preoccupata di evidenziare la necessità che fossero rispettati da tutti il disegno e le colorazioni delle persiane esistenti e che soltanto la tipologia fosse almeno assimilabile (quindi, neppure identica ma solo assimilabile) a quella degli infissi del (…) ritenuta evidentemente compatibile anche alla luce della varietà dei materiali oggi disponibili rispetto al passato – ma ha avuto l’unica, comprensibile e condivisibile finalità di evitare che, dopo che ciascuno aveva tanto speso per ripristinare condizioni decorose dell’intero fabbricato condominiale, l’intervento di alcuni su parti esterne delle loro rispettive proprietà individuali, potesse vanificare almeno in parte il risultato prefissatosi e di preservare, in tal modo, l’aspetto estetico ed il decoro complessivo dell’insieme.
Ciò, del resto, in piena conformità alla previsione di cui all’art. 1122 c.c. secondo la quale i proprietari individuali, allorquando eseguono interventi nelle loro unità immobiliari, devono avere cura di non recare danno alle cose comuni e, specificamente, al decoro architettonico dell’edificio: e se è vero che tale specificazione è stata introdotta soltanto con la novella n. 220 del 2012, tuttavia va ricordato che, ancora prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità aveva già puntualizzato che il concetto di danno cui la suddetta norma fa riferimento non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell’intrinseca natura della cosa comune, ma anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (Cass. 27 aprile 1989 n. 1947).
Nessuna carenza e nessun eccesso di potere, quindi, ravvisabile quest’ultimo, com’è noto, quando la causa della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo di essere, causa che il giudice ben potrebbe valutare in quanto anche in tal caso non controlla l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma stabilisce soltanto se la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’assemblea.
Va ricordato, infine, che anche il regolamento del condominio (…), depositato proprio dall’appellante, tutela il decoro e l’aspetto estetico del fabbricato laddove (art. 6 lettera i) vieta ai condomini tutti di apporre tende da sole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea che impartirà precise disposizioni agli interessati in ordine al materiale, colore e tutto quanto altro di pertinenza, così come vieta anche (art. 7 lettera b del Capo III riservato ai diritti e doveri per le parti di loro esclusiva proprietà) di apportare modifiche o alterazioni ai parapetti e ringhiere dei balconi e terrazzi e tutto quanto altro concorre a formare l’architettura dell’intero edificio.
9. Alla stregua delle considerazioni che precedono l’appello va rigettato.
10. Le spese del grado sono a carico dell’appellante soccombente; la relativa liquidazione viene eseguita in dispositivo alla luce dei parametri di cui al regolamento emanato con il D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (manca la fase istruttoria).
P.Q.M.
La Corte d’appello di Napoli, seconda sezione civile, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, sull’appello proposto da (…) avverso la sentenza del tribunale di Nola n. 2586/11 depositata il 9 novembre 2011, così definitivamente provvede:
1 – rigetta l’appello;
2 – condanna (…) a pagare al Condominio (…), in persona del suo amministratore pro tempore, le spese del grado che si liquidano in Euro 3.500 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge da attribuire all’avv. An.Co. anticipataria.
Così deciso in Napoli il 30 maggio 2018.
Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2018.