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In tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprieta’ esclusiva (come nella specie), che pur risulti inserito nella struttura del complesso immobiliare, non puo’ di per se’ ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che tale bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, puo’ essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero ove sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale, di natura contrattuale, o l’atto costitutivo del condominio e, quindi, il primo atto di trasferimento di un’unita’ immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto) che consideri espressamente detto manufatto di proprieta’ comune, cosi’ convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate.
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Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 12 settembre 2018, n. 22155
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14579-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO DI (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2351/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2351/2016 del 27 dicembre 2016, che aveva accolto l’appello del Condominio di (OMISSIS), contro l’ordinanza ex articolo 702 ter c.c. resa il 28 novembre 2011 dal Tribunale di Palermo. Resiste con controricorso il Condominio di (OMISSIS).
(OMISSIS), proprietaria di unita’ immobiliare posta al piano terra dell’edificio condominiale di (OMISSIS), nonche’ dell’annesso giardino, sul presupposto che il muretto e la sovrastante ringhiera di recinzione del giardino, a differenza del cancello carrabile, fossero di proprieta’ comune, aveva domandato al Tribunale di Palermo di accertare la condominialita’ di tali beni e di porre a carico di tutti i condomini i necessari lavori di riparazione, con condanna del Condominio convenuto ad eseguire le opere. Le domande dell’attrice vennero accolte dal Tribunale di Palermo, che dichiaro’ la natura condominiale del muro di cinta. Sull’impugnazione del Condominio di (OMISSIS), la Corte d’Appello di Palermo ha invece affermato che il muretto perimetrale in questione costituisse oggetto di proprieta’ esclusiva della condomina (OMISSIS), avendo funzione di recinzione del giardino rientrante nella porzione privata della stessa, e risultando dal titolo di acquisto dell’unita’ immobiliare che uno dei confini fosse delimitato dal (OMISSIS). Neppure il regolamento di condominio indicava il muretto tra le parti comuni. Aggiunse la Corte di Palermo che il muretto in questione non dimostrasse alcun collegamento funzionale con l’edificio comune, avendo per le sue ridotte dimensioni la sola utilita’ di delimitare il giardino dal viale. Del pari, i giudici di secondo grado negarono il rilievo architettonico del muretto per il decoro del fabbricato, cosi’ superando la considerazione del CTU secondo cui il muretto nel disegno della societa’ costruttrice “nasceva come organico all’intero progetto”. La sentenza impugnata escluse percio’ che il Condominio dovesse concorrere alle spese di riparazione di tale muretto.
Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 1123, 1137 e 1102 c.c., il travisamento dei fatti e l’eccesso di potere, dovendo operare per la recinzione posta sul confine perimetrale la presunzione di condominialita’, in quanto l’edificio e’ stato costruito nel senso che il muretto per cui e’ causa costituisce un elemento decorativo e delimitativo della struttura del complesso e non un corpo aggiunto a tutela della proprieta’ (OMISSIS).
Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia sotto un ulteriore profilo la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 1123, 1137 e 1102 c.c., il travisamento dei fatti, l’eccesso di potere e l’errata motivazione, avendo la Corte di Palermo considerato che il cancello carrabile interrompe la continuita’ del muretto perimetrale senza autorizzazione di apposita delibera condominiale. Avverte la ricorrente che la presenza di tale cancello non vale a determinare la proprieta’ esclusiva anche del muretto di recinzione perimetrale. Vengono poi richiamate le risultanze del contratto di acquisto della proprieta’ esclusiva (OMISSIS) del 24 ottobre 1963, come del regolamento di condominio, nei quali non si fa alcuna indicazione del muretto perimetrale. Si evidenziano quindi sette circostanze sul finire della seconda censura a critica dell’impugnata sentenza.
Nel terzo motivo di ricorso (OMISSIS) allega la violazione e falsa applicazione degli articoli 91, 112 e 359 c.p.c., l’eccesso di potere e la decisione ultra petitum, avendo la Corte di Palermo rideterminato le spese del primo grado “passando” da Euro 900,00 ad Euro 1.700,00, oltre a condannare l’appellante alle spese di secondo grado, con liquidazione ritenuta eccessiva.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione. Essi presentano profili di inammissibilita’ e sono comunque privi di fondamento.
La rubrica di tali motivi allega la violazione degli articoli 1117, 1123, 1137 e 1102 c.c., ma il contenuto delle censure non espone un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalle richiamate prescrizioni legislative, quanto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, imputabile alla valutazione delle risultanze di causa che la Corte d’Appello di Palermo ha operato nell’esercizio dell’apprezzamento di fatto tipicamente inerente al giudice di merito, e la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo attraverso il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio al quale i motivi in esame non fanno pero’ alcuno specifico richiamo. Peraltro, il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, attribuisce rilievo soltanto all’omesso esame di un fatto decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) che sia stato oggetto di discussione tra le parti, mentre la ricorrente si limita a lamentare l’omesso o l’erroneo esame di elementi istruttori con riguardo a “fatti”, cioe’ a dati materiali, episodi fenomenici che sono stati comunque presi in considerazione dalla Corte d’Appello, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Il secondo motivo, in particolare, contiene riferimenti a documenti (il contratto del 24 ottobre 1963, il regolamento condominiale) ed a circostanze (epoca, dimensioni ed allocazione relative al cancello carrabile) senza rispettare la previsione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non vengono indicati i relativi “dati”, testuali o extratestuali, che ne dimostrerebbero l’esistenza, ne’ il “come” e il “quando” tali documenti e circostanze siano stati oggetto di discussione processuale nei pregressi gradi di merito.
La Corte d’Appello di Palermo ha affermato che il muretto perimetrale oggetto di causa appartiene in proprieta’ esclusiva alla condomina (OMISSIS), perche’ tale bene svolge funzione di recinzione del giardino compreso nella porzione privata della stessa e di delimitazione dal viale, senza avere, per le sue ridotte dimensioni, alcun collegamento utilistico con l’edificio comune.
La sentenza impugnata ha cosi’ deciso la questione di diritto in modo conforme all’interpretazione giurisprudenziale consolidata in materia.
In tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprieta’ esclusiva (come nella specie), che pur risulti inserito nella struttura del complesso immobiliare, non puo’ di per se’ ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che tale bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, puo’ essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero ove sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale, di natura contrattuale, o l’atto costitutivo del condominio e, quindi, il primo atto di trasferimento di un’unita’ immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto) che consideri espressamente detto manufatto di proprieta’ comune, cosi’ convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate (Cass. Sez. 2, 19/01/1985, n. 145; Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198; Cass. Sez. 2, 03/06/2015, n. 11444).
In tal senso, la Corte d’Appello di Palermo ha spiegato come il muretto di recinzione del giardino (OMISSIS), per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, la quale forma oggetto di un autonomo diritto di proprieta’, ed ha cosi’ rilevato – in base ad apprezzamento di fatto che rientra fra le prerogative dei giudici di merito ed e’ sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – che si tratta di bene non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, il che fa venir meno il presupposto per l’operativita’ della presunzione ex articolo 1117 c.c. Per quanto detto, si rivelano anche evidentemente privi di decisivita’ i riferimenti che la ricorrente opera al regolamento condominiale, del quale rimane ignota la natura contrattuale (ne’ valendo altrimenti il regolamento di condominio quale titolo di proprieta’: Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012), come al titolo di acquisto (OMISSIS) del 24 ottobre 1963, del quale non si specifica se esso costituisse l’atto costitutivo del condominio, ovvero il primo atto di trasferimento di un’unita’ immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.
Il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile per genericita’ quanto alla assunta “liquidazione eccessiva del grado di appello”, in quanto la ricorrente non specifica gli errori commessi dalla Corte d’Appello, non precisa le voci della tabella dei compensi che si ritengono violate, ne’ individua quale fosse l’effettivo valore della causa, al fine di dimostrare che la liquidazione compiuta abbia ecceduto i limiti della tariffa corrispondente a detto valore.
Lo stesso terzo motivo e’ poi da rigettare anche nel suo altro profilo, ove la ricorrente lamenta che la Corte di Palermo abbia condannato l’appellata a rifondere le spese di primo grado, che il Tribunale aveva liquidato in Euro 900,00 (ma cio’ ripartendo la soccombenza in ragione del 70% a carico del Condominio e del 30% a carico della (OMISSIS)), rideterminandole in Euro 1.700,00. La Corte di Palermo ha evidenziato come la riforma delle spese processuali di primo grado fosse conseguenza dell’integrale soccombenza della (OMISSIS) derivante dall’esito del giudizio di gravame. La decisione cosi’ adottata e’ mera riaffermazione del consolidato principio secondo cui, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non puo’, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, e’ tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’articolo 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese (Cass. Sez. 6 – 3, 24/01/2017, 1775; Cass. Sez. L, 01/06/2016, n. 11423).
Il ricorso va percio’ rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.