in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito), dall’ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto,l’estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.

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Corte d’Appello|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|12 settembre 2022| n. 1962

Data udienza 30 agosto 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

Sezione Seconda civile

Così composta:

dott. Edoardo Monti – Presidente

dott.ssa Dania Mori – Consigliere

dott.ssa Annamaria Loprete – Consigliere rel.

Ha pronunciato la presente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta in grado di appello al n. 2622 del ruolo generale della Corte dell’anno 2017 promossa

Da

(…) s.p.a. e, per essa, in qualità di mandataria, (…) s.p.a. (già (…) s.p.a.) rappresentata e difesa dall’avv. Ma.Ca. del foro di Lucca, come da comparsa di costituzione del nuovo difensore.

Appellante e attrice in riassunzione

Contro

(…), in qualità di socio della cessata società (…) s.r.l. in liquidazione (già (…) s.r.l.) nonché in veste di erede di (…), anch’esso socio di (…) s.r.l. in liquidazione, rappresentato e difeso dall’avv. Gi.Pr. del foro di Pisa come da comparsa di costituzione del nuovo difensore.

Convenuto in riassunzione

Oggetto: contratti bancari.

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Pisa, con sentenza n. 870 dell’11.7.2017, ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (…) s.r.l., in qualità di debitrice principale, e da (…) e (…), quali fideiussori – decreto con cui (…) s.p.a. (rappresentata in giudizio da (…) s.p.a., già (…) s.p.a.) aveva intimato alla società e ai suoi fideiussori (questi ultimi fino alla concorrenza di Euro 520.000,00) il pagamento della complessiva somma di Euro 560.641,87 a titolo di saldo debitore complessivo di tre conti correnti e di nove conti anticipi.

In particolare, il Giudice di primo grado, rilevata la mancata produzione in sede monitoria dei contratti di conto corrente, delle comunicazioni relative alle variazioni da parte della banca dei tassi praticati e degli estratti conto, nonché l’insufficienza ai fini della prova del credito dei soli saldaconto, ha annullato il decreto ingiuntivo ritenendo indeterminato il credito vantato dalla banca.

Il Tribunale ha poi condannato la banca alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori.

Avverso questa pronuncia (…) s.p.a. e per essa, in qualità di mandataria, (…) s.p.a. (già (…) s.p.a.) ha interposto appello, facendo

valere l’unica assorbente censura:

1) Erroneità della sentenza per omessa considerazione dei documenti prodotti nel giudizio di opposizione da parte della creditrice opposta.

Rileva l’appellante come il Giudice di primo grado abbia erroneamente ritenuto non provato il credito da essa vantato nei confronti degli opponenti posto che nel giudizio di opposizione aveva prodotto tutta la documentazione necessaria e in particolare i contratti scritti dei tre conti correnti e i relativi estratti conto nonché i singoli ordini di anticipo su fattura comprovanti ciascuna operazione di anticipazione e quindi l’effettiva erogazione del credito con riferimento a ciascun documento e al contempo il mancato incasso del credito portato su carta commerciale. Inoltre, deduce che, ancorché la banca non avesse fornito correttamente la prova del credito vantato nella fase monitoria, il Giudice avrebbe comunque dovuto, nella fase di cognizione piena, quale è quella di opposizione a decreto ingiuntivo, accertare e verificare l’effettiva sussistenza del credito che era stato dimostrato attraverso i predetti documenti.

L’appellante ha poi presentato istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado.

Si sono costituiti (…) e (…) chiedendo l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell’appello proposto e, nel merito, il suo rigetto in quanto infondato. Segnatamente hanno rilevato la nullità deicontratti bancari per mancanza di forma scritta e l’illegittima capitalizzazionedegli interessi, nonché la nullità delle variazioni dei tassi praticati per mancanza di pattuizione scritta oltre alla nullità delle fideiussioni prestate per omessa informazione da parte della banca nei confronti dei garanti circa la situazione patrimoniale della società garantita e per aver concesso ulteriore credito alla società senza la preventiva autorizzazione dei fideiussori.

All’ udienza di comparizione del 20.12.17 fissata per la decisione della istanza di sospensiva, la Corte dava atto della mancata prova della notifica del ricorso per inibitoria a (…) s.r.l. e ne ha ordinato la notifica a cura di parte appellante; quest’ultima, alla successiva udienza del 21.2.2018 dava atto che la società (…) s.r.l., all’esito della fase di liquidazione, era stata cancellata dal Registro delle Imprese e che l’istanza era stata notificata ai soci rappresentati dai medesimi fideiussori già evocati in giudizio.

Alla stessa udienza la Corte, ritenuto ritualmente instaurato il contraddittorio, ha accolto l’istanza di sospensiva della esecutività della sentenza di primo grado.

Dopo vari rinvii, con ordinanza del 26.1.2021 è stata dichiarata l’interruzione del processo a causa dell’intervenuto decesso di (…).

Il giudizio è stato poi riassunto con ricorso del 15.3.2021 da parte di (…) s.p.a.

La causa è stata trattenuta in decisione a seguito di trattazione scritta con ordinanza collegiale del 26.11.2021 con concessione dei termini per il deposito delle conclusionali e delle repliche.

Pregiudizialmente deve darsi atto della correttezza della notifica del ricorso in riassunzione eseguita dall’appellante nei confronti degli eredi di (…).

Difatti, in conformità all’art. 303, comma 2, c.p.c., dopo aver notificato l’atto alla moglie del defunto, la quale ha dichiarato che l’erede del (…) era il figlio, il difensore ha notificato l’atto “collettivamente e impersonalmente agli eredi di (…)” nell’ultimo domicilio del defunto (in tal senso si veda Cass. 217/2015).

Deve respingersi l’eccezione processuale di inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. avanzata dai convenuti posto che l’appellante nell’atto di citazione in appello ha correttamente indicato le parti della sentenza di primo grado da riformarsi, che nel caso di specie, interessavano la totalità del provvedimento, e ha esposto le ragioni a sostegno delle doglianze.

Si precisa, inoltre, che non era necessario ai fini dell’ammissibilità dell’appello che la parte redigesse un “progetto alternativo di sentenza”. Ai fini della ammissibilità ex art. 342 c.p.c., infatti, è sufficiente che l’appellante enuclei i motivi di censura della sentenza impugnata facendo comprendere al Giudice del gravame quale siano gli errori in cui è incorso il Giudice di primo grado (si veda in tal senso Cass. SSUU 27199/2017).

Tanto premesso, l’appello è fondato e merita accoglimento.

Il Giudice di primo grado ha annullato il decreto ingiuntivo poiché emesso soltanto sulla base dei saldaconto ex art. 50 TUB ritenuti dal Tribunale insufficienti ai fini della prova del credito.

Tuttavia, occorre rilevare che “in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito), dall’ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto,l’estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente” (Cass. n. 21092/2016, in tal senso si veda anche Corte App. Firenze 1620/2022).

Ora nel caso di specie è accaduto che la banca pur avvalendosi della sola certificazione di cui all’art.50 TUB per ottenere il decreto ingiuntivo, successivamente, una volta instaurato il giudizio di opposizione, ha prodotto in continuità tutti gli estratti conto riferiti ai singoli rapporti di conto corrente che andavano a specificare e provare il saldo conto ex art. 50 TUB attraverso la analitica descrizione dei movimenti di dare-avere avvenuti nell’arco di tempo a cui il singolo rapporto di conto corrente si riferisce e quindi a dimostrare l’esistenza e l’entità della pretesa creditoria avanzata in via monitoria (Doc. 4 fascicolo monitorio della banca).

Si osserva poi come la banca opposta nel giudizio di opposizione, a fronte della contestazione del credito da parte degli opponenti, assolvendo all’onere della prova che incombe sul creditore che intraprende un’azione per il recupero del proprio credito, ha versato in atti l’ulteriore documentazionenecessaria comprensiva dei contratti di apertura dei conti correnti e deiconti anticipi nonché i relativi saldi passivi con riferimento a questi ultimi(Docc. 1 a 70 del fascicolo di primo grado della banca), documentazione che però non è stata in alcun modo considerata dal Giudice di prime cure.

Ad adiuvandum, il procedimento d’ingiunzione consta di due fasi: la prima attiene al procedimento monitorio, connotato da una elevata celerità in forza del quale, laddove ne sussistano i presupposti di cui agli artt. 633 e ss c.p.c., il Giudice emette decreto ingiuntivo; mentre la seconda fase di opposizione, che è soltanto eventuale, trae origine dalla contestazione del predetto provvedimento da parte del debitore ingiunto e consiste in un giudizio a cognizione piena.

Avendo tale giudizio sempre ad oggetto il rapporto sostanziale controverso, laddove il decreto ingiuntivo venga dichiarato nullo per mancanza dei requisiti richiesti di legge, il Giudice dell’opposizione deve comunquedecidere sulla domanda di pagamento introdotta, verificando le eccezioni e le difese dedotte dalle parti in tale fase del procedimento.

Evidente è perciò l’errore in cui è incorso il Giudice di primo grado che ha annullato il decreto ingiuntivo per mancata prova del credito nonostante nella fase monitoria la banca avesse attestato l’esistenza di un credito attraverso il certificato di saldo-conto ex art. 50 T. e che poi nella fase oppositiva, assolvendo all’onere della prova ex art. 2697 c.c. su di essa gravante, aveva in tutto dimostrato il credito rivendicato in fase monitoria attraverso la produzione degli estratti conto, comprovanti appunto la movimentazione contabile da cui geneticamente trae origine il saldo- conto negativo.

Sicché l’impugnazione deve essere accolta e, per l’effetto, dovrà accertarsi in questa fase, sostituendosi la Corte al Tribunale, la reale consistenza e la corretta quantificazione del credito della banca appellante alla luce di quelle che sono le causae excipiendi dedotte dal convenuto nell’atto di opposizione.

Il presunto credito dedotto in giudizio deriva, in primo luogo, dai saldi debitori a carico della società correntista di tre diversi conti correnti intrattenuti presso (…) s.p.a., esattamente: il conto corrente n. (…) con nuova numerazione (…), di cui al Doc. 2 (fascicolo di primo grado della banca opposta); il conto corrente n. (…) di cui al Doc. 6 (fascicolo di primo grado della banca opposta); il conto corrente n. (…) con nuova numerazione (…), di cui al Doc. 3 (fascicolo di primo grado della banca opposta).

Dalla documentazione prodotta risulta pertanto che i tre contratti sono stati validamente pattuiti in forma scritta e sottoscritti tramite apposizione di timbro e firma del Presidente del consiglio di amministrazione della (…) s.r.l.

La banca ha prodotto in primo grado gli estratti conto e gli scalari di tutti e tre i conti correnti (Docc., 10-11, da 16 a 32 e da 45 a 62 del fascicolo di primo grado della banca opposta) nonché i relativi saldaconto.

Anche ai fini della prova dei crediti derivanti dai rapporti di anticipazione bancaria, la banca ha onorato in tutto l’onere della prova a suo carico, se si considera il particolare meccanismo operativo del conto anticipi o conto tecnico che è di fatto funziona così: il cliente esibisce alla banca un fattura o qualunque altra carta commerciale comprovante un credito a suo favore al fine di ottenere un’anticipazione di liquidità, normalmente scontata; la banca acquisisce il documento contabile comprovante il credito senza che si verifichi tecnicamente una cessione del credito in quanto, titolare del credito che discende dalla carta commerciale è sempre il cliente; la Banca, una volta anticipata al correntista la somma risultante a credito di questi dal documento commerciale, annota sul conto tecnico (o conto anticipi) l’importo passivo della somma erogata, che viene elargita dalla banca e accreditata sul conto ordinario; una volta intervenuto il pagamento del terzo debitore risultante dal documento commerciale (che l’istituto di credito identifica sulla base del numero della fattura o della cambiale) l’istituto di credito trattiene per sé quel pagamento per poi auto liquidare il conto anticipi (fino a quel momento in passivo) che si chiude così a saldo 0.

In questo modo, atteso il buon fine del titolo, il conto tecnico si auto liquida appunto per azzeramento del passivo, mentre, in caso contrario, trascorso il tempo di scadenza del debito senza che sia intervenuto il pagamento, la banca addebita la somma rimasta insoluta dal conto tecnico al conto ordinario con interessi maturati.

In conclusione, il conto anticipi di fatto è un conto “volatile” privo di idoneità operativa per il cliente, ed allora la banca per dimostrare la posta passiva dei conti anticipi correttamente ha prodotto le fatture su cui aveva approntato l’anticipazione e il saldo passivo del conto tecnico a dimostrazione che il conto non si era auto liquidato per mancato pagamento della fattura sulla base della quale la banca aveva erogato il credito.

Così stando le cose correttamente la banca opposta ha prodotto: i relativi saldi negativi dei conti anticipi nonché i singoli ordini di esecuzione, oltre alle fatture per le quali la banca ha erogato le somme richieste (Doc. da 63 a 70 del fascicolo di primo grado della banca opposta).

Orbene, a fronte della prova fornita dalla banca, i signori (…) si sono riportarti ad alcune delle doglianze già avanzate nell’atto di citazione in opposizione, senza mai contestare la sussistenza di una debenza ma solo il suo esatto ammontare: in particolare hanno eccepito: A) la mancata produzione dei contratti di apertura dei rapporti bancari e degli estratti di conto corrente- circostanza questa che, ove fosse stata dimostrata, avrebbe implicato il ricalcolo degli interessi convenzionali applicando i tassi sostitutivi di cui all’art.117 settimo comma TUB – B) la illegittimità della capitalizzazione trimestrale presuntivamente operata sui singoli c/c, C) l’omessa comunicazione della variazione dei tassi nonché D) la nullità delle fideiussioni.

Per quanto riguarda la mancata produzione dei documenti menzionati, tale circostanza è smentita da quanto già esposto atteso che la banca ha prodotto tutti i documenti necessari ai fini della prova del credito vantato.

Circa la presunta applicazione di una pratica anatocistica, si rileva in primo luogo la genericità della causa excipiendi posto che i convenuti in appello si sono limitati ad affermare che “La mancata produzione dei contratti di apertura dei conti correnti con l’omessa produzione delle condizioni economiche allegate agli stessi, sottoscritti dal legale rappresentante della (…) srl, non ha reso possibile stabilire se la banca opposta abbia operato una illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi” (pag. 12 della comparsa di costituzione in appello).

In secondo luogo, si osserva comunque che in tutti e tre i contratti di conto corrente le parti hanno stipulato una clausola di capitalizzazione di pari periodicità trimestrale degli interessi maturati.

Ne consegue, pertanto, la legittimità dell’eventuale pratica anatocistica applicata ai singoli rapporti di conto corrente in quanto espressamente e validamente pattuita, considerato poi che tutti e tre i conti correnti sono successivi al luglio 2000, data di entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000.

Passando alla doglianza relativa alla mancata comunicazione delle variazioni unilaterali degli interessi applicati, innanzitutto si rileva che tutti e tre i contratti di conto corrente prevedono il c.d. ius variandi della banca, riconoscendo ad essa la facoltà di effettuare modifiche sfavorevoli inerenti ogni condizione contrattuale ed economica secondo le modalità indicate all’art. 118 TUB.

Oltre a ciò, si dà atto che la banca ha prodotto i documenti di sintesi con relative proposte di modifica unilaterale delle condizioni del contratto sia del c/c n. (…) che del c/c n. (…) (Docc. da 1 a 15 e da 33 a 44 fascicolo di primo grado della banca opposta).

Su tale questione, i convenuti in appello si sono limitati ad eccepire la mancata comunicazione della variazione dei tassi senza, tuttavia, specificare alcunché.

Difatti hanno soltanto riferito che “E’ lecito presupporre che, nel caso in esame, controparte abbia provveduto, nel corso dell’andamento del rapporto, a numerose variazioni del tasso di interesse applicato. La comparente eccepisce di non aver mai ricevuto comunicazione di variazione dei tassi; pertanto, tutti gli aumenti dei tassi di interesse unilateralmente applicati dall’Istituto Bancario devono essere dichiarati nulli” (pag. 10 dell’atto di citazione in opposizione e pag. 13 della comparsa di costituzione in appello).

A fronte dell’ingente produzione documentale della banca opposta nel primo grado di giudizio, i (…) avrebbero dovuto precisare il fatto avversato che, pertanto, resta generico e dunque deve considerarsi come non contestato.

Inoltre, si rileva che la società correntista, laddove effettivamente non fosse stata resa edotta delle variazioni dei tassi effettuata dalla banca nel corso del rapporto, comunque si presume fosse a conoscenza di tali modifiche in forza dell’invio trimestrale dei singoli estratti conto, invio che non è stato mai contestato dai (…).

Di talché si ritengono legittime le variazioni operate dalla banca con riferimento ai tassi praticati.

Quanto, invece, alla doglianza relativa alla indeterminatezza degli interessi convenzionali applicati, non essendo stata espressamente riproposta ex art. 346 c.p.c. l’eccezione deve intendersi rinunciata.

Infine, ulteriormente, si rileva come anche la domanda avanzata in via subordinata in primo grado, poi riproposta in appello, è totalmente generica posto che i convenuti hanno chiesto di “accertare e dichiarare la somma eventualmente dovuta dalla (…) s.r.l., quale debitrice principale e dai fideiussori (…) e (…) alla (…) s.p.a. e per essa alla UGC Banca spa, in relazione ai rapporti intercorsi, comunque in misura minore a quella ingiunta” senza specificare i necessari ricalcoli ai fini della rideterminazione del saldo dei rapporti bancari.

La società doveva dunque alla banca l’importo del credito correttamente ingiunto, non essendo emersi profili di invalidità delle movimentazioni e degli addebiti operati alla luce di quelle che sono le doglianze e le eccezioni poste a fondamento dell’opposizione.

Egualmente per ciò che riguarda le fideiussioni stipulate dai (…), non si rinvengono cause di invalidità delle stesse.

I convenuti in appello avevano eccepito la nullità delle garanzie prestate per violazione del principio di buona fede e correttezza a causa della mancata comunicazione da parte della banca ai fideiussori dell’aggravamento della situazione patrimoniale della (…) s.r.l. e per aver la banca concesso ulteriore credito senza la loro autorizzazione ex art.1956 c.c.

Tale causa excipiendi è totalmente priva di pregio perché è pacificamente accertato che entrambi i (…) fossero a conoscenza di tutte le linee di credito concesse dalla banca alla società atteso che entrambi, oltre ad essere soci, ciascuno per metà del capitale sociale, facevano parte del Consiglio di amministrazione della (…) s.r.l., (…) in qualità di Presidente del Consiglio e (…) in veste di consigliere.

Tanto premesso in punto di accertamento del credito della banca sia nei confronti dell’obbligata principale che dei soci in veste di fideiussori, occorre ora considerare il fatto che il presente giudizio si è svolto nei confronti dei soci, unici legittimati passivi per conto della società estinta (secondo l’antesignana Cass. Sezioni Unite n. 6070 del 2013) essendosi la (…) s.r.l. sciolta e poi cancellata dal R.I sin dal 5 gennaio 2015, dopo la fase di liquidazione iniziata il 10.4.2014, come risulta dalla visura camerale prodotta in atti. I (…) erano chiamati peraltro in giudizio anche nella veste di fideiussori.

Prescrive l’art. 2495 comma 2 c.c. che i creditori sociali insoddisfatti, nonostante l’estinzione del soggetto giuridico loro debitore, possono azionare le proprie pretese nei confronti degli ex soci, qualora essi abbiano percepito importi in base al bilancio finale di liquidazione e nei limiti di quanto percepito, oppure dei liquidatori, qualora il mancato pagamento dei creditori sociali sia stato dovuto a loro dolo o colpa.

I soci limitatamente responsabili quindi, ovvero i soci di società di C. S.r.l., S.p.A., ferma la loro legittimazione al giudizio, rispondono delle obbligazioni sociali soltanto nei limiti delle azioni o quote sottoscritte e, comunque, fino all’ammontare delle somme da essi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione salvo, ovviamente, il caso in cui i soci abbiano garantito in proprio determinati debiti sociali.

Secondo la giurisprudenza prevalente, i debiti della società cancellata (e dunque estinta) si trasferiscono ai soci tramite una successione ” pro quota” nel lato passivo della medesima obbligazione originariamente sorta in capo alla società.

Con l’ulteriore precisazione che nella sentenza citata delle SSUU e poi nella successiva recente ordinanza n. 24895/20 la legittimazione passiva, in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, spetta ai soci, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di una distribuzione di attivo nel riparto effettuato in base al bilancio finale di liquidazione (Cass., sez. 5, 7/04/2017, n. 9094; Cass., sez. 5, 8/03/2017, n. 5988; Cass., sez. 5, 24/01/2018, n. 1713). A tale riguardo, le Sezioni Unite hanno escluso che la cancellazione della società dal registro delle imprese determini la “estinzione” dei debiti rimasti insoddisfatti che la società aveva nei confronti di terzi ed hanno piuttosto aderito alla tesi che ritiene che detti debiti si trasferiscano sui soci, con un meccanismo di tipo successorio, anche se resta fermo per il socio il diritto di opporre al creditore il limite di responsabilità, con la precisazione che “se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire … ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo”.

Grava poi, sempre secondo la giurisprudenza da ultimo menzionata, sul creditore l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale.

Nel caso in esame il creditore procedente non ha provato quali siano gli eventuali importi percepiti da (…) e (…) all’esito della fase liquidatoria, perché ove ciò fosse stato positivamente accertato, è chiaro che (…) quale socio e quale erede di (…) era tenuto al pagamento per conto della società in veste di debitrice principale solo nei limiti di quanto loro liquidato.

Nel caso di specie però il problema è superato dal fatto che entrambi i (…) avevano prestato valide fideiussioni in favore della società quindi la loro responsabilità sussidiaria prevale sulla responsabilità in veste di soci ex art.2495 comma 2 c.c. ed in ragione di ciò (…) sarà tenuto al pagamento della minor somma di Euro 520.000,00 pari al limite della fideiussione prestata in proprio per conto della (…) s.r.l. in liquidazione (già (…) s.r.l.), nonché quale erede di (…) anche questi per la fideiussore prestata in favore della medesima società.

Alla luce del definitivo esito della causa, le spese dei due gradi del giudizio devono essere poste a carico di (…) così come liquidate in dispositivo secondo lo scaglione tariffario di riferimento considerato il credito accertato.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da (…) s.p.a. e per essa, in qualità di mandataria, (…) s.p.a. (già (…) s.p.a.) avverso la sentenza del Tribunale di Pisa n. 870 del 11.7.2017, nei confronti di (…), in qualità di socio e fideiussore della cessata società (…) s.r.l. in liquidazione (già (…) s.r.l.) nonché in veste di erede di (…), anch’esso socio e fideiussore di (…) s.r.l. in liquidazione, ogni avversa domanda ed eccezione disattesa:

– In accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, condanna (…) in qualità di fideiussore di (…) s.r.l. in liquidazione (già (…) s.r.l.) e di erede di (…) al pagamento dell’importo di Euro 520.000,00 a titolo di saldo complessivo dei contratti di conto corrente e dei conti anticipi, oltre interessi dalla domanda.

– Condanna (…) alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore dell’appellante, spese che liquida per il primo grado in Euro 13.000,00 per compensi e per il secondo grado in Euro 2.556,00 per esborsi e Euro 15.000,00 per compensi oltre rimborso forfettario e accessori di legge.

Così deciso in Firenze il 30 agosto 2022.

Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2022.

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