in un rapporto di conto corrente e apertura di credito in genere, la banca creditrice non deve richiedere al fideiussore la speciale autorizzazione di cui all’art. 1956, comma 1, c.c., per fornire nuovo credito al debitore, qualora possa ragionevolmente presumersi che lo stesso avesse conoscenza concreta ed effettiva delle mutate condizioni patrimoniali della debitrice e del loro progressivo deterioramento, poiché tale conoscenza fa venire meno qualsiasi esigenza di tutela del fideiussore, rendendo conseguentemente inapplicabile l’istituto dell’art. 1956 c.c.. Fondano tale ragionevole presunzione tutte quelle situazioni in ragione delle quali deve escludersi che il fideiussore fosse soggetto stricto sensu terzo rispetto alla società debitrice (esemplificativamente quando il fideiussore riveste la qualità di socio della società debitrice e/o di amministratore della stessa etc.)

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Tribunale Catania, Sezione 4 civile Sentenza 12 febbraio 2019, n. 626

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CATANIA

Sezione Quarta Civile

Il Tribunale di Catania, sezione quarta civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Giorgio Marino, ha emesso la seguente

SENTENZA

nelle cause civili riunite iscritte ai nn. 1828/14 e 10953/14 R.G.A.C., posta in decisione, previ gli incombenti di cui all’art. 281 quinquies c.p.c. cbn. disp. art. 190 c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni del 2.10.2018;

promosse da

(…) srl in liquidazione, (…) e (…),

in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i. (…)), nato a N. il (…) (c.f. (…)), nata a C. il (…) (c.f. (…)), elettiv.te domiciliati in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. Ca.Ch., che li rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione;

attori/opponenti;

contro

(…) scpa,

in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i. (…)) elettivamente domiciliato in Catania Via (…) presso lo studio dell’Avv. Da.Sa., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;

convenuta/opposta

e

(…) spa,

in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i. (…)) elettivamente domiciliato in Catania Corso (…) presso lo studio dell’Avv. An.Az., rappresentato e difeso giusta procura in atti dall’Avv. Lu.Gr.;

convenuta

OGGETTO: Accertamento saldi conti correnti. Opposizione a decreto ingiuntivo n. 2203/14.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 6.2.2014 (…) srl in liquidazione, (…) e (…) convenivano in giudizio avanti questo Tribunale (…) e (…) esponendo che la (…) aveva intrattenuto con (…) 3 conti correnti e due rapporti di mutuo e con (…) sue conti correnti, garantiti da fideiussione degli altri attori.

Esponevano che le banche aveva applicato interessi ultralegali in assenza di pattuizine scritta, così come cms e spese e capitalizzazione trimestrale.

Le Banche si costituivano opponendosi.

Con altra citazione notificata in data 7.7.2014 (…) srl in liquidazione, (…) e (…) convenivano in giudizio (…) chiedendo che fosse revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore della opposta in data 10.4.2014 e notificato in data 28.4.2014 dell’importo di Euro 109947.91 quale saldo debitore del c.c. (…), del finanziamento del 10.11.2010 ed a titolo di regresso a seguito di escussione di fideiussione (rapporti tutti intestati alla società e garantiti da fideiussione degli opponenti).

Eccepivano che la banca aveva applicato interessi debitori in misura illegittima perché non previsti contrattualmente, capitalizzazione trimestrale degli stessi, cms e spese non previste.

La Banca si costituiva in giudizio contestando in ogni sua parte il contenuto dell’atto di citazione, rilevando in particolare la legittimità del proprio operato.

Riuniti i giudizio ed espletata ctu, all’udienza del 2.10.2018 venivano precisate le conclusioni e la causa veniva posta in decisione.

Trascorsi i termini ex art. 281 quinquies c.p.c. (cbn. dsp. art. 190 c.p.c.) questo giudice istruttore, in funzione di giudice unico, pronuncia la presente per i seguenti

MOTIVI DELLA DECISIONE

In relazione ai rapporti con (…) spa, si osserva quanto segue.

Relativamente al c.c. n. (…) (ex n. (…) ed ex n. (…)) – come accertato dal ctu – gli estratti conto relativi al rapporto in esame, prodotti a decorrere dal 31/05/2006, risultano privi di continuità mancando invero quelli relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2011 e dicembre 2012, in sostituzione dei quali risultano prodotti da parte attrice dei prospetti e le schede contabili accese al conto banca in esame, nonché parte del mese di giugno, ottobre, novembre e dicembre dell’anno 2013. Poiché il conto in esame è stato chiuso a luglio del 2013 a seguito recesso della banca, correttamente il ctu non ha provveduto ad alcun ricalcolo, in assenza di continuità.

In relazione al c.c. n. (…) (ex n. (…)) il ctu ha quantificato un credito a favore del correntista pari ad Euro. 4.307,35. Correttamente il ricalcolo è avvenuto al tasso legale, senza commissioni e spese di alcun tipo, tenuto conto della mancanza di contratto scritto (mai versato in atti) e tenuto conto della presenza di estratti conti dal 31.5.2006 al 14.12.2010.

Quanto ai rapporti con (…) si osserva quanto segue.

Relativamente al c.c. (…) il ctu ha verificato come corretto il saldo debitore richiesto con il ricorso monitorio dalla banca pari ad Euro 24601.86 (quantificato anzi nella maggior somma di Euro 24633.59).

Quanto ai vizi dedotti in relazione alla applicazione degli interessi applicati al c.c. va rilevato che a) il c.c. in questione stipulato nell’anno 2009 prevedeva la capitalizzazione trimestrale sia degli interessi debitori che di quelli creditori (e ciò in conformità al disposto dell’art. 120 comma II D.Lgs. n. 385 del 1993 – il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori – comma aggiunto dall’art. 25, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 e le cui modalità e criteri sono stati stabiliti con Del.CICR 9 febbraio 2000 in Gazz. Uff. 22 febbraio 2000, n. 43); b) parte opponente ha solamente contestato l’applicazione di interessi ultralegali al rapporto di c/c in questione, ma non ha minimamente dedotto né quale sia il tasso applicato in eccesso dalla banca, né i periodi di riferimento, e ciò al pari delle contestazioni relative alla postergazione delle valute ed alla cms (quest’ultima espressamente prevista in contratto).

Il ctu ha peraltro escluso la violazione della L. n. 108 del 1996.

Va rilevato che correttamente il ricalcolo degli interessi è avvenuto al saggio convenzionale pattuito in contratto (e ricondotto a questo tutte le volte in cui sia stato riscontrato un saggio superiore).

Con riferimento alla dedotta illegittimità della cms – pattuite in contratto – va rilevato che il contratto di c.c. in esame è dell’11.6.2009: solo successivamente è intervenuto lo stesso legislatore a disciplinare la c.m.s., dapprima con l’art. 2-bis, D.L. n. 185 del 2008, conv. dalla L. n. 2 del 2009 e quindi con l’art. 117-bis TUB (introdotto con la L. n. 214 del 2011), il che attesta che anche l’ordinamento positivo ha riconosciuto la meritevolezza degli interessi perseguiti con la pattuizione della c.m.s. Quanto alla necessità di computare le cms nel calcolo del tasso soglia ex L. n. 108 del 1996, deve osservarsi quanto segue: solo dall’agosto 2009 – ovvero a seguito della disposizione di cui all’art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008 come convertito dalla L. n. 2 del 2009 – la (…) ha incluso la commissione di massimo scoperto quale elemento da computare nella base di calcolo del Tasso Effettivo Globale, con l’espressa salvezza del pregresso. È pertanto da escludere l’usurarietà dei tassi d’interesse determinati con l’inclusione della cms, ove pattuiti prima di tale data, in quanto la L. n. 108 del 1996 ha determinato la vigenza di un criterio legale pienamente tipico e tassativo di determinazione del TEG – fondato su norme parzialmente in bianco – che privilegia senz’altro, in ultima analisi, i contenuti della procedura amministrativa assunti sulla base delle rilevazioni trimestrali ed attratti in fonti normative (i DM succedutisi nel tempo) di rango secondario “abilitate” (cfr. Trib. Ferrara 2.7.2014; Trib. Milano 3.6.2014; Trib. Verona 9.12.2013; Corte Appello Milano ord. 24.6.2014). Non si sconosce il contrario orientamento per il quale la portata della L. n. 2 del 2009 si risolve nella mera conferma della “disciplina vigente” e cioè nel richiamo dell’art. 644 c.p. e non delle circolari della (…), che sono pacificamente sprovviste di portata normativa. Il tenore dell’art. 2-bis di detta legge, in particolare, ha mera valenza chiarificatrice di un dato che era già contenuto nella legge sull’usura, quale quello della determinazione del costo del denaro con riferimento a tutte le remunerazioni caricate, commissione di massimo scoperto compresa (cfr. Appello Cagliari 31 marzo 2014 ). Invero, la commissione di massimo scoperto dovrebbe essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevante ai fini della determinazione del tasso usurario tutti gli oneri che il cliente sopporta in relazione all’utilizzo del credito e ciò indipendentemente dalle Istruzioni della (…) nelle quali si prevede che la commissione di massimo scoperto non debba essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, traducendosi questa interpretazione in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (cfr. Tribunale Roma 23 gennaio 2014 ). Questo Tribunale ha – però – già aderito alla prima opzione interpretativa (cfr. sentenza 4018/2013 est. (…)), rilevando sostanzialmente che non appare logico che si includa la cms nel tasso applicato dalle banche, quando invece nel tasso rilevato la medesima, pur essendo applicata abitualmente, era certamente esclusa.

Ciò posto è però necessario verficare l’incidenza sul presente giudizio della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 20.6.2018 n. 16303, trattandosi di contratto stipulato ante 2009. Invero la pronuncia in esame conferma l’indirizzo di questo Tribunale in tema di esclusione della cms dal calcolo del tasso soglia.

La detta pronuncia precisa che la norma dell’art. 2-bis, co. 2, L. n. 2 del 2009 di conversione (con modificazioni) del D.L. n. 185 del 2008, secondo cui “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipende dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 L. n. 108 del 1996” non può essere considerata norma di interpretazione autentica dell’art. 644, co. 4 c.p., avente carattere retroattivo: l’interpretazione prescelta muove dalla constatazione che – al comma 2 – la normativa prevede espressamente una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa, in attesa della quale il modo di determinazione del tasso soglia “resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”; aspetto, questo, subito ripreso al comma 3 – poi abrogato dal D.L. n. 1 del 2012 – per cui “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data”. E procede lungo l’ulteriore constatazione – già espressa dall’orientamento più recente della Prima Sezione Civile (Cass. n. 12965/2016; Cass. n. 22270/2016) – che l’art. 2-bis “integra un vero e proprio mutamento innovativo della disciplina” della materia, che va riferito al co. 3 dell’art. 644 c.p., per cui “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”.

La Corte prosegue rilevando che l’esclusione del carattere interpretativo, e quindi retroattivo, dell’art. 2-bis D.L. n. 185 del 2008 non è decisiva però per la soluzione della questione della computabilità della CMS agli effetti del superamento del tasso soglia dell’usura per il periodo anteriore all’entrata in vigore della citata disposizione: per sé, la CMS, quale “corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto di conto … calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento” – secondo la definizione richiamata nelle Istruzioni della Vigilanza -, non può che rientrare tra le “commissioni” o “remunerazioni” del credito già menzionate dall’art. 644, co. 4 c.p. (ai fini della determinazione del tasso praticato in concreto) e dell’art. 2, co. 1 L. n. 108 del 1996 (ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio, c.d. TEGM), attesa la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca. Posta così la CMS tra gli elementi rilevanti ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura secondo la disciplina vigente nel periodo anteriore la data di entrata in vigore della L. n. 185 del 2008, il discorso si sposta sulla questione dell’omogeneità tra gli elementi presi in considerazione nelle rilevazioni trimestrali, con appositi decreti ministeriali, del TEGM e, conseguentemente, del tasso soglia, e quelli da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato: l’esigenza di simmetria è avvertita dalla legge – che indica chiaramente come gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti debbano essere i medesimi -, ma non è decisiva per escludere la CMS dalle voci di costo di determinazione del tasso praticato in concreto a motivo della mancata inclusione nel calcolo del TEGM, di cui alle rilevazioni trimestrali del ministero dell’economia, fino all’intervento normativo in interesse.

Detta asimmetria rileva piuttosto ai fini della verifica di conformità dei decreti ministeriali, quali atti amministrativi, alla L. n. 108 del 1996 di cui costituiscono applicazione, in quanto la rilevazione sarebbe stata effettuata senza tener conto di tutti gli elementi che la legge impone(va) di considerare. Rispetto a questo panorama, il giudice ordinario, presto atto della illegittimità dei decreti, non potrebbe che disapplicarli ai sensi dell’art. 4, co. 2 dell’allegato E alla L. n. 2248 del 1865. L’ipotesi di illegittimità dei decreti sotto tale profilo, tuttavia, non avrebbe fondamento, perché non è esatto affermare che la CMS non sia inclusa nei decreti ministeriali emanati prima dell’entrata in vigore dell’art. 2-bis D.L. n. 185 del 2008. A proposito di detti decreti è opportuno rilevare che la percentuale media del peso della CMS è stata indicata nelle rilevazioni trimestrali in calce alla tabella dei TEGM, seguendo le Istruzioni ratione temporis fornite dalla (…): “la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali … il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuato, per ogni singola posizione, rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare massimo scoperto sul quale è stata applicata”. La presenza di tale dato, sebbene indicato in via separata, nei decreti ministeriali è sufficiente per escludere, nella sostanza, la difformità degli stessi rispetto al dato positivo. Tant’è che consente la piena comparazione – tenendo conto di tutti gli elementi che la legge prevede, ivi compresa la CMS – tra i corrispettivi della prestazione creditizia praticati in concreto e il tasso soglia dell’usura. Che il dato sia indicato a parte è circostanza in sé ininfluente, di consistenza cedevole a fronte dei consolidati principi di conservazione degli atti giuridici.

Appurato, dunque, che nel sistema antiusura precedente all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2-bis D.L. n. 185 del 2008, la CMS è rilevata separatamente secondo grandezze non omogenee rispetto al tasso degli interessi – in quanto calcolata sull’ammontare della sola somma corrispondente al massimo scoperto raggiunto nel periodo di riferimento e senza proporzione con la durata del suo utilizzo – la sua comparazione ai fini del vaglio di usurarietà va condotta a parte rispetto agli altri elementi. Ragionando in questa specifica prospettiva, va allora dato seguito alla modalità di comparazione indicata da (…), nel Bollettino n. 12 del dicembre 2005, che tiene conto dell’esigenza di non trascurare, nel confronto, l’incidenza della CMS. Secondo tali indicazioni, la verifica del rispetto della soglia dell’usura richiede “il confronto tra l’ammontare percentuale della CMS praticata e l’entità massima della CMS applicabile (c.d. CMS soglia), desunta aumentando del 50% l’entità della CMS media pubblicata nelle tabelle … Peraltro, l’applicazione di commissioni che superano l’entità della CMS soglia non determina, di per sé, l’usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l’importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (margine). Qualora l’eccedenza della commissione rispetto alla CMS soglia sia inferiore rispetto a tale margine è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge”. In definitiva, la modalità indicata dalla Vigilanza appare rispettosa del dettato di legge, perché rispondente all’esigenza di realizzare una piena comparazione delle condizioni praticate in concreto con quelle previste quale soglia dell’usura, e di rilevare il superamento di tale soglia tutte le volte in cui la banca abbia effettivamente preteso dal cliente corrispettivi (“interessi”, ma anche commissioni) eccedenti la stessa.

Tenuto conto di quanto sopra e venendo al caso di specie non può non essere rilevato come mai nessuna censura nel senso sopra evidenziato è mai stata sollevata da parte attrice, tenuto conto che le contestazioni attinenti alla CMS attenevano alla sua validità ed alla inclusione nel calcolo del tasso soglia, senza alcun riferimento viceversa al cd. regime del margine secondo le Istruzioni della (…). Quindi non è necessario procedere ad alcn ulteriore ricalcolo.

In relazione al conto corrente n. (…) il ctu ha verificato che alla data del 16/11/11, risulta un saldo creditore di Euro. 1.898,57, esattamente uguale a quello risultante dagli estratti conto della (…) ed interamente girato in pari data sul conto corrente n. (…) con conseguente estinzione del conto in esame.

Per tale conto, assistito da lettera contratto dell’11.6.2009, valgono le medesime considerazioni sopra esposte.

Infine con riferimento al c.c. n. (…) il ctu ha accertato un saldo debitore al 27.7.2009 di Euro 2811.77. Anche tale conto è assistito da lettera contratto del 29.1.2001 ed il ricalcolo è avvenuto solo per il periodo 30.6.2009 / 27.7.2009 (unico coperto da continuità negli estratti conto).

Nessuna censura è mai stata sollevata con riferimento alle condizioni dei mutui chirografari contratti con (…) e con riferimento al pagamento della fideiussione da parte di (…).

In relazione alla dedotta nullità dei finanziamenti – per essere stato destinato integralmente a ripianare la scopertura del c.c. – deve essere osservato che il contratto intercorso tra le parti non aveva natura di mutuo di scopo, ovvero non era stato erogato al fine esclusivo di raggiungere uno scopo. Ne segue che l’uso che della somma erogata il mutuatario decide di fare è rimessa – in assenza di altri indici (non dedotti in giudizio) – alla sua esclusiva libera valutazione.

Ciò è tanto più vero, ove si tenga conto del recente orientamento della Suprema Corte.

Con sentenza n. 19282 del 12 settembre 2014, la Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il mutuo fondiario non è qualificabile come un mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall’istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, nè l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria.

Ed invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili, lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l’impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell’economia del contratto.

Pertanto, deve ritenersi lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (TUB), per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (cfr. anche Cass. sent. n.9482 del 18.04.2013).

Se ciò è vero per il mutuo fondiario, sicuramente ed a maggior ragione stesse argomentazioni valgono per le ipotesi di mutui chirografari come nella specie.

Non si sconosce l’orientamento citato da parte opponente (Corte Appello Torino 15.6.2015) per il quale tra il contratto di mutuo stipulato per ripianare il saldo debitore di un conto corrente e il contratto di conto corrente medesimo vi è un “collegamento negoziale” che li rende interdipendenti.

Laddove il saldo debitore del conto corrente derivi dall’applicazione di clausole nulle o da addebiti illegittimi, pertanto, tali vizi vengono a ripercuotersi anche sul contratto di mutuo.

Ne deriva che, essendo il mutuo finalizzato a ripianare un passivo in realtà inesistente ed apparente (risultante dall’illegittima applicazione di clausole contrattuali nulle ovvero di oneri non pattuiti), lo stesso è nullo per mancanza di causa concreta: nulla deve essere restituito, in forza di detto contratto, dal correntista alla Banca (che, anzi, è tenuta a restituire al correntista/mutuatario le rate di mutuo versate).

In effetti, in tale ipotesi l’accredito della somma mutuata sul conto corrente costituisce una mera operazione contabile, finalizzata ad “abbattere” lo scoperto poi rivelatosi insussistente. Ciò posto, neppure possono ritenersi valide né efficaci le fideiussioni poste a garanzia del contratto di mutuo. Ne deriva, altresì, l’illegittimità della segnalazione della posizione del debitore alla Centrale rischi.

Tuttavia – come già affermato da questo Tribunale in altre occasioni – la circostanza che l’utilizzo delle somme mutuate sia stato destinato a ripianare esposizioni debitorie di c.c. può condurre ad una declaratoria di nullità totale o parziale del mutuo solo laddove vi sia la prova che il debito del conto corrente sia inesistente (in tutto o in parte) perché frutto di applicazione di clausole nulle (capitalizzazione trimestrale vietata, violazione L. n. 108 del 1996, …).

Nella specie – per quanto infra – tale prova non sussiste, ma ancora prima l’espletata ctu ha escluso la sussistenza di clausole nulle e/o illegittime.

In relazione alle eccezioni sollevate con riferimento alla efficacia della prestate fideiussioni va osservato quanto segue.

In ordine alla lamentata violazione dell’art. 1957 c.c. la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria, ai sensi dell’art. 1957 cod. civ., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni delle azioni contro il debitore principale può formare oggetto di rinunzia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti, che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente alle condizioni patrimoniali del debitore (cfr. Cass. 9 dicembre 1997 n. 12456; Cass. n. 9245/2007; Tribunale Roma sez. VIII 22.06.2013 n. 13173), come nella specie contrattualmente pattuito (atteso che era previsto il pagamento immediato a semplice richiesta).

In relazione alla dedotta violazione della disposizione dell’art. 1956 c.c. (ovvero che il garante per obbligazione futura è liberato dalle proprie obbligazioni ogniqualvolta Il creditore garantito, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali del debitore sono divenuto tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito, abbia concesso ulteriore credito al debitore principale senza specifica autorizzazione dei fideiussore), va osservato che è noto che l’art. 1956 cod. civ. realizza uno strumento di tutela del fideiussore da comportamenti contrari a buona fede della banca che, consapevole di poter fare comunque affidamento sul distinto patrimonio del garante, concede nuovo credito al debitore, successivamente ai rilascio della fideiussione e senza l’autorizzazione del garante, pur essendo a conoscenza del significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore medesimo.

Rientra, quindi, nell’onus probandi del fideiussore che eccepisca la propria liberazione ex art. 1956 cod. civ. la dimostrazione del duplice requisito della concessione di nuovo credito da parte della banca (requisito oggettivo) e della consapevolezza della banca stessa del significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore (requisito soggettivo).

In conformità alla ratio della norma (salvaguardare il fideiussore da comportamenti della banca per lui pregiudizievoli e contrari a buona fede), presupposto implicito della sua applicazione è che il fideiussore aia meritevole della detta tutela, cioè non sia né possa altrimenti essere a conoscenza dell’aggravamento delle condizioni patrimoniali del debitore, invece potenzialmente conoscibili dalla banca.

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza ha escluso la necessità della richiesta da parte della banca della speciale autorizzazione del fideiussore nei casi in cui la concreta ed effettiva conoscenza dello condizioni patrimoniali della società debitrice da parte del fideiussore può presumersi: a) perché il fideiussore è anche l’amministratore della società debitrice (cfr, per es, Cass, n. 3761/06; Cass. 12456/97); b) perché il fideiussore è socio della società debitrice (Cass, n. 8850/98) e in taluni casi reale beneficiario del nuovo credito bancario (Cass. n. 4208/02; Cass, 3385/89).

In sostanza in un rapporto di conto corrente e apertura di credito in genere, la banca creditrice non deve richiedere al fideiussore la speciale autorizzazione di cui all’art. 1956, comma 1, c.c., per fornire nuovo credito al debitore, qualora possa ragionevolmente presumersi che lo stesso avesse conoscenza concreta ed effettiva delle mutate condizioni patrimoniali della debitrice e del loro progressivo deterioramento, poiché tale conoscenza fa venire meno qualsiasi esigenza di tutela del fideiussore, rendendo conseguentemente inapplicabile l’istituto dell’art. 1956 c.c..

Fondano tale ragionevole presunzione tutte quelle situazioni in ragione delle quali deve escludersi che il fideiussore fosse soggetto stricto sensu terzo rispetto alla società debitrice (esemplificativamente quando il fideiussore riveste la qualità di socio della società debitrice e/o di amministratore della stessa etc.) cfr. Trib. Verona, Sez. III, 10/09/2013; Trib. Roma, Sez. IX, 17/06/2013.

Nel caso di specie gli opponenti erano amministratori e soci della società debitrice principale.

Ora, “tra i diritti del socio di una società di capitali vi è quello di informarsi dell’attività sociale, mediante l’ispezione dei libri sociali (art. 2422 c.c.) e l’esame dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.).

Ne segue che la citata norma non può ritenersi applicabile a loro tutela, essendo ben consapevoli delle condizioni economiche (e dei mutamenti delle stesse) della società debitrice principale.

In ogni caso non può non essere rilevato come l’art. 4 della fideiussione preveda che “il fideiussore avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore ed in particolare di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca”.

Dalla sottoscrizione di tale clausola – per pacifica giurisprudenza -discende che i garanti non possono lamentare alcuna violazione da parte della Banca per aver concesso credito senza speciale autorizzazione anche laddove il creditore fosse stato a conoscenza di un peggioramento delle condizioni patrimoniali del garantito.

In particolare i garanti non possono lamentare di avere ignorato senza colpa quale fosse la reale situazione patrimoniale della debitrice, atteso che, per contratto, essi erano tenuti ad informarsi di tanto (cfr. Trib. Napoli 6.5.2013).

Le spese del giudizio vanno poste a carico di parte attrice / opponente nei rapporti con (…) ed a carico di (…) nei rapporti con gli attori.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania – quarta sezione civile, in persona del sottoscritto giudice istruttore in funzione di giudice unico, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, da (…) srl in liquidazione, (…) e (…) contro (…) e (…) spa, disattesa ogni ulteriore istanza, così provvede:

1. Condanna (…) spa al pagamento in favore di (…) srl in liquidazione della somma di Euro 4307.35 quale saldo attivo del c.c. 300395610, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo;

2. rigetta le domande nei confronti di (…);

3. rigetta l’opposizione avverso il d.i. n. 2203/14;

4. condanna (…) al pagamento delle spese processuali in favore di parte attrice, liquidate in complessivi Euro 3700.00, di cui Euro 2077.00 per spese (ivi compresi Euro 1600.00 per compensi ctu) oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;

5. condanna gli attori/opponenti al pagamento delle delle spese processuali in favore di (…), liquidate in complessivi Euro 8500.00 per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Catania, il 6 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.