La clausola del contratto di leasing, che consente al concedente di trattenere le rate riscosse, non è di per sé illegittima in quanto derogatoria di norma inderogabile, ma è una vera e propria clausola penale, tenuto conto che la ritenzione delle rate pagate costituisce un'”indennità”( per i danni conseguenti all’inadempimento) di importo predeterminato ( ” le rate pagate”), che può essere ridotto dal giudice, così come può essere ridotto l’importo della penale ex art. 1384 c.c.; nella specie il patto di ritenzione è stato inteso dalle parti come vera e propria penale, da intendersi quale compensazione tra il credito relativo al pagamento della penale per le conseguenze dannose scaturenti dall’inadempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo e per l’obbligo dell’indennizzo per l’uso della cosa ed il credito avente ad oggetto la restituzione delle rate. La clausola in esame è implicitamente consentita dallo stesso art.1526 II co c.c. che prevede proprio l’ipotesi che “sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità”, salva la riduzione dell’indennità secondo le circostanze e dunque deve ritenersi inderogabile solo la previsione legale del potere del giudice di ridurre tale indennità , che nel caso concreto permette di mantenere l’equilibrio contrattuale.

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Tribunale Roma, civile Sentenza 22 febbraio 2019, n. 3980

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Maria Luparelli

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento iscritto al n. R.G. N. 28479/2016

promosso da

(…) nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, con l’Avv.to Da.Ga.

Opponente – attore in riconvenzionale –

contro

(…) s.p.a., e per essa la mandataria (…) spa, in persona del legale rapp.te p.t., con l’avv.to Ma.Fi.

– opposta –

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto

(…), nella qualità di titolare della omonima impresa individuale ha introdotto l’ opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 28486/2015 del 15.12.2015, chiesto ed ottenuto da (…) spa, in ragione dei contratti di leasing nn. (…) del 17.11.2008, (…) del 01.12.2009, (…) del 23.03.2011, (…) e (…) del 28.07.2011, con il quale gli veniva intimato il pagamento della somma di Euro 376.090,18, compresi interessi maturati alla data del 16.09.2015, per inadempimento al pagamento dei canoni.

Ha dedotto l’opponente di avere acquistato tra il 2008 ed il 2011 con i contratti di locazione finanziaria nn. (…) e (…) un autocarro Iveco ed un trattore stradale (…), per l’espletamento della propria attività economica e di avere ceduto, a titolo oneroso, “il diritto di acquisizione del diritto di opzione” alla società S. veicoli industriali, la quale tuttavia non sarebbe successivamente riuscita ad acquisire il diritto di proprietà ed avrebbe omesso di corrispondere il compenso pattuito e regolarmente fatturato.

Lamentando di avere subito un danno quantificato in Euro 134.000,00 ha dispiegato domanda riconvenzionale volta alla condanna di U. al pagamento della detta somma.

Ha negato di dovere i canoni richiesti relativi ai contratti di leasing nn. (…), (…), (…), (…), (…), (…) e (…) per avere versato ratei in misura maggiore rispetto a quelli effettivamente dovuti, per irregolarità di calcolo degli interessi, delle commissioni e delle spese; dispiegava pertanto domanda riconvenzionale, volta alla ripetizione di quanto indebitamente richiesto e corrisposto.

Asseriva inoltre l’applicazione di interessi anatocistici nell’ esecuzione dei rapporti di locazione finanziaria, ed in ogni caso l’applicazione di un tasso annuo superiore al tasso concordato.

Dedotta la natura traslativa dei contratti di leasing, con conseguente applicazione, in via analogica, della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. ha chiesto la restituzione dei canoni corrisposti, salvo il diritto ad un equo indennizzo, in ragione del godimento dei beni.

Si è costituiva in giudizio la convenuta e per essa la mandataria U. SPA (oggi (…) spa), deducendo l’infondatezza delle avverse difese.

(…) dava atto dell’intervenuto incasso dell’importo di Euro 24.550,00, all’esito della ricollocazione dei beni oggetto dei contratti nn. (…), (…) e (…), in epoca successiva alla emissione del decreto ingiuntivo opposto, chiedendo la decurtazione dell’importo dalla somma dovuta dal C..

Autorizzata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto nei limiti della somma di Euro 351.540,00, concessi i termini dell’art. 183 comma 6 c.p.c., rigettate le istanze istruttorie dispiegate dall’opponente, precisate le conclusioni da parte del solo opposto, all’udienza del 15.11.2018 la causa veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di conclusionali e repliche.

L’opposizione va rigettata, come pure le domande riconvenzionali.

Deve tuttavia revocarsi il decreto ingiuntivo, essendo il credito della concedente ridimensionato nei limiti della somma di Euro 351.540,00 a causa della sopravvenuta ricollocazione di alcuni dei beni già oggetto delle locazioni finanziarie controverse.

Preliminarmente si osserva che le generiche asserzioni in ordine all’applicazione di interessi anatocistici ai contratti conclusi tra le parti non trovano alcun riscontro all’esito dell’esame delle pattuizioni regolanti i contratti di locazione finanziaria conclusi tra le parti.

La contestazione del diritto della concedente di trattenere i canoni di leasing già pagati – prospettata in applicazione dell’art. 1526 c.c. sul presupposto della natura traslativa della locazione finanziaria de qua -è infondata in quanto, anche qualora il contratto di leasing per cui è causa fosse qualificabile come “traslativo” e potesse dunque applicarsi in via analogica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, il diritto della società concedente di acquisire integralmente i canoni scaduti fino al momento della risoluzione del contratto discenderebbe dalla clausola di cui all’art.21 delle condizioni generali delle locazioni finanziarie, che trova a sua volta il fondamento normativo – ciò che ne esclude in radice l’adombrata nullità – proprio nell’art. 1526, comma 2, c.c. , che espressamente prevede la possibilità delle parti di convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore/concedente; norma che così ammette la possibilità di una deroga convenzionale rispetto a quanto stabilito nel prima comma dello stesso articolo, che erroneamente verrebbe considerato come disposizione inderogabile.

Nel caso in esame non può pertanto trovare applicazione la tutela prevista dal primo comma dell’art. 1526 c.c., nella parte in cui attribuisce all’acquirente (utilizzatore in caso di leasing) il diritto di ottenere la restituzione delle rate versate (ovvero del canone), imponendo all’altra parte il dovere di restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa.

Il contratto intercorso tra le parti contiene una espressa deroga all’art. 1526 c.c. , legittimamente posta e specificamente approvata per iscritto.

Ora, tale clausola contrattuale, che consente al concedente di trattenere le rate riscosse, non è di per sé illegittima in quanto derogatoria di norma inderogabile, ma è una vera e propria clausola penale, tenuto conto che la ritenzione delle rate pagate costituisce un'”indennità”( per i danni conseguenti all’inadempimento) di importo predeterminato ( ” le rate pagate”), che può essere ridotto dal giudice, così come può essere ridotto l’importo della penale ex art. 1384 c.c.; nella specie il patto di ritenzione è stato inteso dalle parti come vera e propria penale, da intendersi quale compensazione tra il credito relativo al pagamento della penale per le conseguenze dannose scaturenti dall’inadempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo e per l’obbligo dell’indennizzo per l’uso della cosa ed il credito avente ad oggetto la restituzione delle rate.

La clausola in esame è implicitamente consentita dallo stesso art.1526 II co c.c. che prevede proprio l’ipotesi che “sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità”, salva la riduzione dell’indennità secondo le circostanze e dunque deve ritenersi inderogabile solo la previsione legale del potere del giudice di ridurre tale indennità , che nel caso concreto permette di mantenere l’equilibrio contrattuale.

Orbene per decidere se apportare, o meno, una riduzione, e di quale entità, all’indennità convenzionalmente stabilita dalle parti, il giudice dovrà avere riguardo all’ammontare complessivo delle rate riscosse, al valore obbiettivo della cosa, al tempo per il quale il compratore ne ha avuto l’uso e il godimento e allo stato in cui viene restituita (Cass. 7266/95).

Ritiene il tribunale che nel caso in esame il concedente ha diritto di recuperare l’intera somma finanziata, secondo l’aspettativa riposta nel caso in cui il contratto avesse avuto regolare esecuzione.

Dalla somma ingiunta deve essere detratto l’importo ricavato dalla vendita di uno dei beni; la stessa concedente ha ridotto la propria domanda nei limiti della minore somma di Euro 351.540,00,per la quale era stata dichiarata la provvisoria esecuzione del decreto opposto.

Non consta pertanto che la pretesa della concedente introduca uno squilibrio contrattuale ovvero uno sproporzionato arricchimento.

Le domande riconvenzionali descritte in narrativa, del tutto sguarnite di prova, devono essere rigettate. Al riguardo si evidenzia che la parte opponente non ha presenziato alle udienze fissate per l’adozione dei provvedimenti istruttori e per la precisazione delle conclusioni, né ha depositato memorie dell’art. 190 c.p.c.

Revocato il decreto ingiuntivo, l’opponente deve essere condannata al pagamento della somma di Euro 351.540,00, come peraltro richiesto dalla parte creditrice. Le domande riconvenzionali devono essere rigettate.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa

– Rigetta l’opposizione;

– Dichiara che il credito dell’opposta è pari ad Euro 351.540,00 e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo;

– condanna (…) al pagamento della somma di Euro 351.540,00, con interessi dalla domanda al saldo;

– Rigetta le domande riconvenzionali;

– Condanna l’opponente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 9.237,00, oltre iva e cap come per legge

Così deciso in Roma il 18 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.