Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 30 settembre 2015, n. 19502

proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non gia’ per inadempimento del convenuto, ma per impossibilita’ sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex articolo 1453 c.c., comma 2) e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione e’ divenuta sine titulo) e non del doppio di essa.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 30 settembre 2015, n. 19502

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15831-2010 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 158/2009 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 20/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2015 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 13.5.1991 (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari giusta contratto di vendita notaio (OMISSIS) del (OMISSIS) di un podere in agro di (OMISSIS), loro precedentemente assegnato dall’Ente per lo sviluppo agricolo della Basilicata, ai sensi della Legge n. 230 del 1950 per la formazione di un’impresa agricola, agivano in giudizio innanzi al Tribunale di Matera per la declaratoria di nullita’ del contratto preliminare col quale essi avevano promesso in vendita tale immobile a (OMISSIS). A sostegno della domanda, la violazione dell’articolo 18, 3 comma di detta legge, che imponeva un vincolo di inalienabilita’ del bene fino al pagamento integrale del prezzo. Convenivano in giudizio anche (OMISSIS), subentrato nel contratto in luogo di (OMISSIS).

Quest’ultimo protestava la propria estraneita’ alla lite, non essendo piu’ parte del contratto.

(OMISSIS) resisteva e, in via riconvenzionale, dedotto l’inadempimento dei promittenti venditori, ne domandava la condanna al pagamento del doppio della caparra versata e al rimborso delle spese che egli, possessore in buona fede, aveva sostenuto per le migliorie apportate al fondo.

Il Tribunale dichiarava la nullita’ del contratto per violazione della citata norma imperativa, condannava i convenuti a rilasciare il fondo in favore degli attori e rigettava la domanda riconvenzionale. Compensava le spese.

Tale decisione era parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Potenza, adita in via principale da (OMISSIS) e in via incidentale dagli (OMISSIS) – (OMISSIS), con sentenza pubblicata il 20.5.2009, con la quale condannava questi ultimi a pagare a (OMISSIS) la somma di euro 5.164,56, a titolo di restituzione dell’acconto sul prezzo, compensando le spese. Richiamata giurisprudenza di questo S.C. (Cass. n. 18787/05) secondo cui la nullita’ del contratto preliminare non e’ esclusa dalla circostanza che i relativi effetti siano stati differiti alla data del riscatto dell’immobile, la Corte d’appello osservava che era da escludere un inadempimento dei promittenti venditori, poiche’ entrambe le parti del preliminare avevano inteso stipulare il contratto a fini speculativi, allo scopo di aggirare la finalita’ perseguita dalla legge, ossia la coltivazione e il miglioramento produttivo del fondo mediante lo svolgimento di un’attivita’ lavorativa personale e diretta dell’assegnatario. Pertanto, nella specie operavano non le norme sull’inadempimento contrattuale ma quelle sull’indebito oggettivo. Rilevava, infine, che non era stata fornita adeguata prova dei miglioramenti asseritamente apportati al fondo.

Quanto all’appello incidentale degli (OMISSIS) – (OMISSIS), la Corte distrettuale osservava che le ragioni della compensazione delle spese disposta in primo grado – l’aver entrambe le parti dato causa alla nullita’ del preliminare -conservavano intatta la loro valenza, atteso che il giudizio era servito a ripristinare la situazione anteriore alla conclusione del contratto nullo.

Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la prima anche in proprio, tutti quali eredi di (OMISSIS), propongono ricorso affidato a tre motivi.

(OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

– Col primo motivo d’impugnazione, assistito come i successivi da quesito ex articolo 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, e’ dedotta la violazione o falsa applicazione della Legge n. 230 del 1950, articolo 18 e articoli 1418 e 2033 c.c., in connessione col vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione su “punti” (rectius, fatti) decisivi, in relazione, rispettivamente, all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Cio’ in quanto, sostiene parte ricorrente, la conclamata nullita’ del preliminare di vendita di un immobile oggetto di assegnazione a fini di sviluppo fondiario ai sensi della citata legge speciale, rende il contratto improduttivo di qualsivoglia effetto, anche solo di natura restitutoria.

1.1. – Il motivo e’ manifestamente infondato.

La nullita’ della causa adquirendi e con essa del relativo contratto costituisce ipotesi addirittura paradigmatica di ripetizione di indebito oggettivo, ai sensi dell’articolo 2033 c.c., come testimonia la copiosa giurisprudenza di legittimita’ che di questa norma fa costante applicazione in ogni caso in cui, per vizio genetico o funzionale, venga meno il vincolo derivante dal contratto (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 3994/06, 10498/01, 1252/00, 4268/95 e 6245/81).

E dunque e’ di tutta evidenza la paralogia del ragionamento operato dalla parte ricorrente, la quale tende ad accreditare l’inconsistente idea che, data l’intrinseca inettitudine del contratto nullo a produrre effetti, neppure l’obbligazione restitutoria possa fondarsi su di esso. Il che non e’ per la fin troppo ovvia ragione che la fonte di detta obbligazione risieda nella citata norma di legge e non nel contratto nullo, che ne costituisce unicamente la condizione applicativa.

– Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., e articoli 2907, 2033 e 2041 c.c., in relazione al n. 3 (e n. 4: n.d.r.) dell’articolo 360 c.p.c., nonche’ il vizio di d’insufficiente e contraddittoria motivazione su “punti” decisivi, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5. Deduce parte ricorrente che la domanda riconvenzionale del (OMISSIS) era diretta a conseguire il pagamento del doppio della caparra versata sulla base di una causa petendi costituita dall’inadempimento contrattuale, mentre la sentenza impugnata ha basato sull’indebito oggettivo ex articolo 2033 c.c. la condanna dei promittenti venditori alla ripetizione dei quanto pagato dalla parte promissaria acquirente. Il che integrerebbe, secondo a parte ricorrente, una fattispecie di ultra o extrapetizione.

2.1. – Il motivo e’ infondato.

In una fattispecie connotata da elementi similari questa Corte ha avuto modo di osservare che non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorche’ il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto. Ne consegue che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non gia’ per inadempimento del convenuto, ma per impossibilita’ sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex articolo 1453 c.c., comma 2) e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione e’ divenuta sine titulo) e non del doppio di essa (Cass. n. 23490/09).

Nello specifico va aggiunto che risoluzione e nullita’ producono effetti diversi in merito alle succedanee obbligazioni risarcitorie (configurabili nel secondo caso solo per l’ipotesi di responsabilita’ ex articolo 1338 c.c.); ma sono indifferenti quanto all’obbligo di restituzione del prestato, che per le ragioni espresse nel paragrafo precedente puo’ fondarsi allo stesso modo tanto sull’una quanto sull’altra situazione.

– Il terzo mezzo denuncia la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione, rispettivamente, all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 poiche’ la Corte distrettuale ha compensato le spese nonostante l’accoglimento integrale della domanda degli attori e la quasi totale soccombenza del convenuto, con motivazione illogica e inconsistente.

3.1. – Anche tale censura non ha pregio.

La compensazione delle spese disposta dalla sentenza impugnata e’ assistita da una motivazione congrua e del tutto logica, basata sull’aver entrambe le parti del preliminare dato causa alla nullita’ del contratto (motivazione cui adde la soccombenza reciproca, perche’ gli attori sono risultati soccombenti sulla domanda riconvenzionale di restituzione dell’acconto pagato).

– In conclusione il ricorso va respinto.

– Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

 

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Avv. Umberto Davide

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