Nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. civ. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale.

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Corte d’Appello Trento, Sezione 2 civile Sentenza 5 febbraio 2019, n. 6

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI TRENTO

SEZIONE SECONDA CIVILE

La Corte d’Appello di Trento, riunita in composizione collegiale nelle persone dei Signori Magistrati:

dott. Domenico Taglialatela Presidente

dott. Ugo Cingano Cons.rel.

dott. Dino Erlicher Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello promossa ricorso depositato come in atti ed iscritta a ruolo al n. 271/2018 R.G. promossa da:

MO.AN. (…), elettivamente domiciliato in GALLERIA (…) 38100 TRENTO, presso l’avv. MO.AN. (…) che rappresenta e difende sé stessa,

APPELLANTE

contro:

IT. S.p.A. (…), elettivamente domiciliato in CORSO (…) 38068 ROVERETO, presso l’avv. CE.RO. (…) che lo rappresenta e difende, in forza di mandato allegato alla comparsa di risposta in grado appello

APPELLATO

Oggetto: risoluzione del contratto di locazione per inadempimento uso diverso.

FATTO E MOTIVI

IT. S.p.A. conveniva in giudizio, con intimazione di sfratto per morosità riferita ad un immobile ad uso commerciale (studio professionale ), l’avvocato MO.AN., sostenendo che, nel corso del rapporto iniziato nel 2011, la stessa aveva spesso ritardato (di giorni o anche di mesi) il pagamento dei canoni nonché delle spese condominiali.

Instauratosi il contraddittorio, dopo alcuni rinvii anche per trattative, veniva mutato il rito, previo tentativo obbligatorio di conciliazione: in tale sede il locatore reiterava la domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore, sia in relazione ai canoni che alle spese condominiali, facendo presente che i ritardi si erano protratti anche nel corso del giudizio; instava altresì per il risarcimento dei danni.

Si costituiva ritualmente parte convenuta, che insisteva per il rigetto della domanda negando la morosità o comunque la gravità dei suoi eventuali inadempimenti.

All’esito dell’istruttoria veniva pronunciata sentenza con la quale il tribunale accoglieva la domanda di risoluzione proposta da It. con condanna al rilascio dell’immobile; rigettava la domanda risarcitoria avanzata da It..

L’avv. Mo. appellava la predetta sentenza al fine di ottenerne pronuncia di riforma.

Si costituiva parte appellata che chiedeva il rigetto dell’impugnazione.

Indi la causa veniva assegnata a sentenza e, esaurita la discussione orale, decisa come da dispositivo del quale era data pubblica lettura.

MOTIVI D’APPELLO

L’appello è infondato e non può essere accolto.

Seguendo l’ordine espositivo dell’atto d’appello, per quanto ridondante e ripetitivo, con esposizione delle medesime problematiche in piu’ paragrafi, osserva la Corte quanto segue. Sub 1) Inammissibilità dell’intimazione di sfratto.

I rilievi dell’appellante non possono essere condivisi, con il conseguente rigetto dell’appello.

A parte il riscontro di una pluralità di pagamenti in ritardo sui termini contrattuali (previsti entro il giorno 5 del mese iniziale del trimestre, da pagarsi anticipatamente), verificatisi nel corso del rapporto (come dal prospetto riepilogativo del doc. 13 It. mai contestato), anche al momento dell’intimazione detta morosità sussisteva, in quanto essa non deve essere vagliata alla stregua della data di notifica (ricezione) dell’atto, bensì dei termini contrattuali: scadenza al 5 gennaio 2017 e pagamento avvenuto solo il 17 marzo 2017 con quasi tre mesi di ritardo.

Quanto alle spese condominiali è la stessa appellante a pg. 5 del proprio atto a dichiarare di non avervi provveduto in relazione ad una dedotta arbitrarietà: le rate scadute già nel 2015 e poi nel 2016 e 2917 per gli anni di riferimento, non risultano mai pagate nei termini, anche se per una parte di esse il pagamento è poi avvenuto prima della notifica dello sfratto, il che non vale certo ad elidere il ritardo.

Anzi è illuminante il fatto che la conduttrice, dopo aver esposto le sue rimostranze sulle spese dell’esercizio 2016/17 abbia alla fine deciso, senza piu’ nulla eccepire, di pagarle tutte ” non ottenendo alcuna disponibilità” al chiesto confronto: laddove appare chiaro che, laddove si fosse trattato di spese non dovute, nessun versamento ella avrebbe dovuto effettuare.

Quanto poi alla possibilità di far ricorso all’art. 658 e ss. c.p.c. non solo per canoni scaduti ma anche per le spese condominiali, norma che a dire dell’appellante avrebbe “carattere eccezionale” e quindi non estensibile a voci in esse non contemplate quali gli oneri accessori, è appena il caso di rimarcare la irrilevanza della doglianza, dal momento che, una volta trasformato il rito (senza convalida per la pendenza di trattative, vedi verbale udienza) si è svolta la fase di merito in cui la locatrice ha ribadito la domanda di risoluzione per inadempimento anche con riguardo alle spese accessorie.

In ogni caso è pacifico il principio secondo cui :”In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da abitazione il legislatore ha limitato l’autonomia contrattuale in relazione soltanto alla durata del contratto, alla tutela dell’avviamento e alla prelazione, mentre l’ammontare del canone è rimesso alla libera determinazione delle parti, che ben possono prevedere l’obbligazione di pagamento per oneri accessori, specialmente quando questi sono strettamente connessi all’uso del bene.

Ne consegue che, ai fini del procedimento di convalida di fratto per morosità, il canone è in tal caso inteso come corrispettivo comunque dovuto dal conduttore, comprensivo anche degli oneri accessori”: .cass. 22369/04;

ed anche: ” L’ordinanza di convalida non ha natura di sentenza, e non è dunque impugnabile, se non è emessa al di fuori dello schema tipico del procedimento sommario disciplinato dall’art. 663 cod. proc. civ., il quale è rispettato tutte le volte che l’ordinanza sia stata emessa ritualmente, in presenza dei presupposti formali previsti per la sua adozione. Fra questi si annovera, nel caso di sfratto intimato per mancato pagamento del canone (ovvero degli oneri accessori, com’è assolutamente pacifico)..”: cass. 247/00.

Sta di fatto che la procedura adottata (l’intimazione) era sicuramente giustificata per il ritardo nel pagamento dei canoni di quel primo trimestre 2017, ritardo che peraltro si è protratto anche oltre, nel corso del giudizio sommario e della fase successiva di merito: secondo trimestre 2017, pagamento in data 2.5.17 (anziché il 5.4.17); terzo trimestre 2017, pagamento 4.8.17 (in luogo del 5.7.17); quarto trimestre 2017 pagamento in data 20.10 17 (scadenza 5.10.17); primo trimestre 2018 con pagamento in data 29.1.18 (in luogo del 5.1.18); terzo trimestre 2018, canone pagato il 17.7.18 (in luogo del 5.7.18).

Ritardi dei quali si tratterà anche al prosieguo.

Né varrebbe sostenere che non vi è stato inadempimento in quanto non è previsto alcun termine essenziale nel contratto.

E’ evidente che le scadenze dei contratti di locazione sono essenziali, come si desume inequivocabilmente dal dettato dell’art. 5 legge n. 392/78 a mente del quale la morosità costituisce causa di risoluzione.

La norma, rivolta alle abitazioni abitative, può esser presa in considerazione anche per quelle non abitative proprio al fine di valutare la gravità o meno degli inadempimenti (profilo che verrà trattato in seguito).

Quindi l’adempimento dei canoni dopo il termine di pagamento stabilito in contratto, ma prima della domanda di risoluzione (peraltro già insita nell’intimazione come riconosce la stessa appellante a pg. 7), non può considerarsi rientrare tra le “cause che impediscono il sorgere o che estinguono l’azione di risoluzione”, come afferma l’avv. Mo.

I rilievi in ordine alla novità della domanda di risoluzione, così come formulata dopo il mutamento del rito, non hanno pregio: sia perché è la stessa appellante a dare atto, come detto, che tale domanda è insista nell’intimazione di sfratto, sia perché il concetto è ribadito da costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale addirittura è possibile, nel giudizio di merito che segue la fase sommaria dell’intimazione, porre a fondamento della domanda addirittura una causa petendi diversa (e non è questo il caso) da quella originariamente formulata (cass. 122478/13; cass. 15399/10 ed altre).

Non si tratta pertanto di domanda nuova ed inammissibile: “Nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. civ. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale.”: cass. 21242/06.

D’altro canto laddove il locatore, nel rapporto caratterizzato da prestazioni periodiche della controparte, deduca un “grave inadempimento” con la domande nel merito, come avvenuto nel caso di specie, e non indichi più, come nella fase sommaria, l’esistenza di una” grave morosità”, non dà luogo a concetti tra di loro contrastanti, bensì del tutto assimilabili tra di loro: il pagamento in ritardo considerevole dà luogo ad una “grave morosità” che integra in sé anche un “grave inadempimento”.

Sub 2) Omessa valutazione della “gravità” dell’inadempimento.

Dato per presupposto che la conduttrice abbia sovente corrisposto in ritardo i canoni nel corso del rapporto, l’appellante afferma che il primo giudice avrebbe omesso una valutazione della gravità o meno di tale comportamento il quale, a suo dire, non avrebbe sconvolto l’economia del contratto né sarebbe stato di ostacolo alla sua prosecuzione, specie in considerazione del comportamento tollerante del locatore nel corso del rapporto, dato che solo dopo molti anni si è deciso ad intraprendere la presente azione.

L’inadempimento lamentato non sarebbe grave perché tollerato per anni nel corso del rapporto, ovvero perché veniva talora dato, con apposite diffide, un ulteriore termine per adempiere sempre rispettato.

I rilievi vengono poi suddivisi tra profilo oggettivo e profilo soggettivo di questo inadempimento.

Quanto al primo osserva l’appellante che non è prevista in contratto alcuna clausola risolutiva per il tardivo adempimento; che scarso è il peso economico del ritardo post causam sia quanto al canone che agli oneri condominiali; quanto al secondo rileva l’appellante di aver sempre provveduto ai versamenti nei termini “nuovi” assegnati con le diffide, rendendo così il comportamento del locatore, in quanto “meramente passivo alla ricezione dei canoni”, siccome “inconciliabile” con la volontà risolutoria: contraddittorietà resa ancor piu’ palese dalla proposta di un nuovo contratto di locazione, ricevuta da It. dopo l’inizio della presente causa.

Si menziona a sostegno una datata sentenza secondo cui “L’art. 5, ultimo comma, della legge n. 203 del 1982 nel qualificare come grave inadempimento, ai fini della risoluzione del contratto, il mancato pagamento da parte dell’affittuario del canone per almeno una annualità, vincola il giudice – accertata quella situazione oggettiva – alla qualificazione operata dalla legge, senza alcuna valutazione discrezionale; tuttavia il locatore, in relazione al suo interesse rapportato alle somme concretamente corrispostegli, può attribuire non rilevante importanza a quell’inadempimento, escludendone la gravità e svincolando conseguentemente il giudice dalla qualificazione operata dalla legge, e ciò anche implicitamente con un suo comportamento di tolleranza, qual’è l’accettazione di un pagamento parziale, non accompagnata da riserve o rimostranze. (V 1870/83, mass n 426717).-: cass. 6254/84.

La fattispecie però è diversa perché resa in materia di contratti agrari, caratterizzati da una peculiare disciplina, ed in fattispecie in cui il locatore aveva prestato acquiescenza al parziale pagamento di un canone a cadenza annuale (come in tutti i contratti agrari), mentre qui non si è mai verificato il pagamento almeno parziale dei canoni nel rispetto delle singole scadenze.

In primo luogo anche prima dello sfratto vi sono state diffide al pagamento, inconciliabili con la mera tolleranza: la prima una missiva del dicembre 2014 (doc. 16 It.) che richiama ripetuti solleciti telefonici e via mail di luglio e novembre per canoni e spese condominiali ammontanti ad Euro 14.080,54; un sollecito del 27.1.14 (doc. 17 It.); una missiva del 28.1.16 (ancora doc. 17) che lamenta uno scoperto di otre Euro 21.000,00 per canoni e spese condominiali.

Secondariamente è da ritenersi che già di per sé il mancato pagamento alle scadenze dia luogo ad inadempimento, oltretutto non sanabile, non vertendosi in ipotesi di locazione ad uso abitativo, alla quale soltanto è diretta la disciplina della sanatoria.

Quindi la mera tolleranza non può ritenersi sufficiente elemento al fine di escludere la gravità del palese, reiterato e consistente inadempimento, inteso come mancato rispetto protratto nel corso degli anni delle scadenze contrattuali.

Evidentemente il locatore, esasperato da questa situazione, ha deciso, nella autonomia della sua libera determinazione, di porvi fine, per quanto, anzi, la morosità si sia protratta anche dopo la notifica dello sfratto e pure in costanza di giudizio di merito (che ha avuto la durata di quasi due anni).

Ritener quindi che si sia trattato di una condotta irrilevante nell’economia del contratto (caratterizzato da un canone non irrisorio) non pare condivisibile, così come non può esser equiparato a tolleranza l’invio di diffide ad adempiere ante causam, nelle quali la previsione di un termine ultimo è insito nella natura stessa dell’istituto: la necessità di procedere a simili atti è anzi significativa del conclamato omesso rispetto del contratto da parte del conduttore, comportamento tale da imporre al locatore il rituale preavviso della futura possibile iniziativa giudiziaria.

Quanto poi alle diffide inviate nel corso di causa, esse non sarebbero state nemmeno necessarie, sia perché il pagamento del canone è un obbligo ex lege (art. 1591 CC), come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (ad es. cass. 10926/18), sia perché avvenute in costanza di giudizio proposto per la risoluzione, a fronte di un conclamato inadempimento.

L’economia del contratto, proprio nell’ottica del locatore, appare sicuramente “sconvolta” nel corso del tempo e più ancora nel corso del giudizio, laddove il comportamento del conduttore non è per nulla mutato, e per un arco temporale non indifferente.

Non solo non si è verificata alcuna tolleranza ma anzi appare “grave” che il conduttore abbia inteso protrarre i suoi inadempimenti, di fatto inducendo la sua controparte ad intraprendere ulteriori iniziative formali e legittime per ottenere quantomeno il dovuto, a fronte del protratto godimento e possesso dell’immobile.

Né occorre l’inserimento in contratto di clausole risolutive, allorquando è la stessa legge a contemplare l’inadempimento come motivo di risoluzione, sia in via generale e cioè nel codice civile sia attraverso la legislazione sulle locazioni (artt. 5 e 55 L. 392/78).

Il discorso vale anche per gli oneri accessori: non consta che, pur a fronte di varie rimostranze, essi siano risultati esorbitanti o non dovuti, salvo il modesto importo di Euro 1.500,00 circa accollato da It.

La proposta di It. di un accordo novativo, e segnatamente la proposta di un nuovo contratto in corso di causa, altro non attesta che l’estremo tentativo conciliante di venire incontro alle esigenze dell’avvocato Mo., seppur con l’inserimento di ulteriori clausole a garanzia.

Sub 3) Prognosi.

I rilievi di cui a sentenza sulla prognosi del futuro comportamento inadempiente, connesso anche – ma non solo – ai protratti ritardi in corso di giudizio, pare conforme all’orientamento giurisprudenziale di legittimità.

Si ritiene infatti che l’art. 5, dettato dalla legge 392/78 per le locazioni abitative, debba esser tenuto in considerazione come parametro di orientamento per valutare in concreto l’importanza dell’inadempimento del conduttore (vedi anche l’art. 1455 c.c.) non solo durante il rapporto ma altresì successivamente alla proposizione della domanda, pur mantenendo il godimento del bene.

Orbene, considerando che l’avvocato Mo., per tutta la durata del rapporto, non è quasi mai stata puntuale nel pagamento dei canoni; che ciò ha continuato a fare anche dopo l’iniziativa giudiziaria del locatore (per cui anche il pagamento avvenuto, in ritardo, ma prima della notifica dello sfratto, diverrebbe irrilevante nell’ottica di qualsiasi ipotetica sanatoria); che l’inadempimento ha riguardato un canone trimestrale pari ad Euro 5.700,00, cui si sono aggiunte le spese condominiali di complessivi Euro 20.000,00 circa, disquisire di irrilevanza non pare appropriato alla fattispecie.

Esclusa qualsiasi pertinenza di presunte, indimostrate situazioni di mancanza di qualità nell’immobile locato, in quanto estranee al petitum, non si ravvisano estremi per ritenere “abusivo” il rimedio risolutorio intrapreso: lo sfratto non è stato dichiarato inammissibile per difetto dei presupposti, come parrebbe sostenere l’appellante, mentre irrilevante nel contesto è il rigetto dell’ulteriore domanda risarcitoria avanzata da It.

Ogni ulteriore argomentazione resta assorbita e la sentenza va confermata.

SPESE DI CAUSA.

Quanto alle spese di causa del grado si ritiene che esse debbano essere poste a carico dell’appellante, secondo le regole della soccombenza e si liquidano (in base al decreto Min. 10.3.14 e tabelle allegate) in Euro 3.777,00, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Si dà atto che, essendo stato integralmente rigettato l’appello, sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a mente dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115 come introdotto dalla legge n. 228/2012.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile n. RG, così provvede:

1) rigetta l’appello proposto da Mo.An. avverso la sentenza n. 886/18 del tribunale di Trento pubblicata in data 29.06.2018;

2) condanna l’appellante a rifondere all’appellata le spese del grado liquidate in Euro 3.777,00 oltre magg. spese 15% ed accessori di legge.

Si dà atto che, essendo stato integralmente rigettato l’appello, sussistono i presupposti per l’imposizione a carico dell’appellante di un ulteriore importo a mente dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115 come introdotto dalla legge n. 228/2012.

Così deciso in Trento il 15 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.