In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare che ordini la chiusura del cancello carraio dell’area cortilizia, previa consegna del telecomando di apertura ad ogni condomino, non dispone un’innovazione e non necessita di maggioranza qualificata, ai sensi dell’articolo 1120 c. c., in quanto non muta la destinazione del bene comune, ma ne disciplina l’uso in senso migliorativo, impedendo ai terzi estranei l’indiscriminato accesso all’area condominiale.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|13 ottobre 2022| n. 30109

Data udienza 29 aprile 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7177/2017 proposto da:

(OMISSIS) e (OMISSIS) (anche quali erede di (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) per procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (quale erede di (OMISSIS)), rappresentati e difesi dagli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) per procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

E

COMUNIONE CONVENZIONALE “(OMISSIS)”, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1531/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 26/9/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/4/2022 dal Consigliere Dott. LUIGI LA BATTAGLIA;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 22.4.2005, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), proprietari di alcune villette all’interno del complesso residenziale denominato “(OMISSIS)” in (OMISSIS), impugnarono la delibera dell’assemblea straordinaria del condominio del 23.10.2004 (con la quale, con il voto favorevole di 17 dei 25 condomini presenti, era stato deciso di recintare l’area esterna comune alle diverse unita’ abitative), ritenendola nulla per contrasto con la disposizione del regolamento condominiale (di natura contrattuale) che vietava tale recinzione (e comunque in quanto contrastante con l’articolo 1108 c.c.). Il Tribunale di Lucca accolse la domanda, ritenendo la delibera nulla, siccome incidente “sul diritto individuale dei singoli condomini sulla cosa comune costituita dalla liberta’ di usare il terreno condominiale libero da ogni forma di costrizione” (cosi’ la citazione testuale riportata a pag. 13 del ricorso).

A seguito di impugnazione della sentenza di primo grado da parte dei condomini (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), la Corte d’Appello di Firenze, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’amministratore del condominio, riformo’ la sentenza di primo grado, ritenendo che la clausola in questione vietasse il frazionamento o la recinzione di porzioni di terreno all’interno dell’area di pertinenza del complesso, e non gia’ la delimitazione di quest’ultima verso l’esterno, sicche’ pienamente legittima doveva ritenersi la delibera che aveva stabilito in tale ultimo senso. Quest’ultima ben poteva essere adottata a maggioranza, dovendosi escludere che incidesse sui diritti individuali dei condomini sulle parti comuni, essendo comunque garantito a ciascuno di essi il libero accesso all’area recintata in virtu’ della disponibilita’ delle chiavi dei relativi cancelli.

(OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) hanno proposto controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c., nonche’ nota spese. 2. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione degli articoli 1105, 1106, 1117 e 1117-bis c.c. (la censura – come per tutti i restanti motivi – e’ condotta anche alla stregua dell’articolo 360 c.p.c., n. 5). Sostengono che erroneamente la fattispecie sia stata ricondotta dal giudice di merito all’istituto del condominio, trattandosi piuttosto di un’ordinaria comunione, con la conseguenza che “il regolamento avente per oggetto l’ordinaria amministrazione ed il miglior godimento della cosa comune, che nel caso specifico e’ stato approvato dai comproprietari del terreno (..) non consente alla maggioranza dei comunisti di derogare ai vincoli di natura reale che l’originario costruttore-venditore aveva inserito nei singoli contratti di compravendita” (pag. 22 s. del ricorso), essendo necessaria l’unanimita’ dei consensi.

Il motivo e’ infondato, poiche’ non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale – a ben vedere – si fonda sul medesimo presupposto invocato dai ricorrenti (ovvero la natura “contrattuale” del regolamento, con conseguente immodificabilita’ dello stesso a maggioranza), patrocinando tuttavia una diversa interpretazione della clausola in discorso, coerente con la quale si mostra la delibera impugnata. La previsione del regolamento, trasfusa nei contratti di acquisto delle singole unita’ immobiliari, recita, infatti: “nella vendita e’ inoltre compresa la quota di un quarantesimo (1/40) sulle porzioni scoperte del terreno rappresentato nello stesso foglio di mappa dalle particelle 7945 (..), 7946 (..) e 184 (..) di complessivi metri quadrati 15.373 (..), sul quale i comproprietari avranno liberta’ di accesso, restando comunque inteso che lo stesso non potra’ essere in alcun modo recintato o frazionato”.

La Corte d’Appello di Firenze, ponendosi “proprio nell’ottica in cui si ritenga che l’originario proprietario-venditore abbia voluto predisporre un regolamento condominiale “contrattuale” da far valere nei confronti di tutti i possibili futuri acquirenti” (pagg. 11-12 della sentenza impugnata), ha ritenuto che “la previsione del divieto di recintare e frazionare il terreno comune (“restando comunque inteso che lo stesso non potra’ essere in alcun modo recintato o frazionato”) va(da) letta all’unisono con la previsione della liberta’ di accesso di ogni condomino all’area comune nel senso sopra indicato, ossia va(da) letta nel senso di non poter recintare e frazionare l’area comune al suo interno, proprio per consentire ad ogni condomino di fruirne senza limiti” (pag. 12 della sentenza impugnata). Appare evidente, dunque, come la decisione non risulti in alcun modo condizionata dalla preventiva qualificazione della fattispecie alla stregua di condominio, piuttosto che di comunione ordinaria (come invocato dai ricorrenti).

3. Con il secondo motivo viene censurata la violazione degli articoli 1006, commi 1 e 2 e 1131 c.c., nonche’ dell’articolo 329 c.p.c. Sostengono i ricorrenti che gli appellanti non potessero impugnare la sentenza di primo grado, per avervi prestato acquiescenza mediante dichiarazioni rese all’assemblea 6.2.2010. Tali dichiarazioni non potevano considerarsi preordinate alla formazione di una volonta’ comune imputabile al condominio, dovendo piuttosto ritenersi funzionali

all’acquiescenza, da parte di ciascun dichiarante, rispetto alla sentenza di primo grado. Ne’ l’impugnazione di quest’ultima poteva essere proposta dall’amministratore, dal momento che, dovendo applicarsi le regole della comunione ordinaria (e non gia’ di un inesistente condominio), difettava, allo scopo, lo specifico mandato ex articolo 1106, comma 2, c.c. Con la conseguenza del formarsi del giudicato sulla pronuncia del Tribunale di Lucca.

Il motivo e’ infondato. Premessa l’irrilevanza delle considerazioni relative al potere di impugnazione dell’amministratore (posto che a venire in questione e’ l’appello avanzato personalmente da alcuni condomini), si osserva come, nell’assemblea convocata per decidere se procedere all’impugnazione della sentenza del Tribunale di Lucca, si diede atto – e’ vero – che “l’unanimita’ dei presenti (era) contraria a procedere”, specificandosi, pero’, “stante la richiesta di controparte di trovare un accordo”. Il verbale, poi, prosegue con la seguente proposizione: “nel caso in cui vi sia l’assenza di trattativa alcuni condomini manifestano la volonta’ di ricorrere all’appello individualmente”.

Va condivisa, pertanto, l’interpretazione fatta propria dalla sentenza impugnata, secondo la quale “l’unica volonta’ di adeguarsi alla sentenza del Tribunale di Lucca senza ricorrere in appello e’ stata in quella sede espressa solo dal Condominio e non anche dai singoli condomini che, pur avendo votato in assemblea in tal senso solo perche’ in quel momento vi era la prospettiva di poter intavolare una trattativa con la controparte per trovare un accordo, si erano riservati di ricorrere in appello individualmente nel caso in cui la trattativa non si fosse nemmeno attivata” (pag. 10 e 11 della sentenza impugnata).

E che i singoli condomini siano autonomamente legittimati ad impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del condominio, pur nell’inerzia dell’amministratore, non e’ revocabile in dubbio (si veda Cass., n. 26557/2017, secondo cui “il condominio e’ un ente di gestione sfornito di personalita’ distinta da quella dei suoi partecipanti, sicche’ l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, ne’, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata”).

4. Il terzo motivo censura l’errata applicazione degli articoli 1362 ss. c.c., in ordine all’interpretazione della clausola del regolamento, oggetto della controversia. A dire dei ricorrenti, il divieto di recintare o frazionare la proprieta’ comune non potrebbe essere letto con riferimento alla superficie interna dell’area pertinenziale del villaggio, perche’ in tal caso la

disposizione sarebbe inutile, in quanto sostanzialmente riproduttiva del precetto dell’articolo 1112 c.c., ne’ potrebbe testualmente far riferimento ai “comproprietari”, che tali piu’ non sarebbero se la suddetta area venisse internamente suddivisa in un corrispondente numero di LOTTI, ciascuno di estensione pari a 1/40 di quella complessiva. Neppure ispirata al canone dell’interpretazione logica potrebbe considerarsi, secondo i ricorrenti, la tesi (avanzata dalla sentenza impugnata) secondo cui la clausola si spiegherebbe con la volonta’ di garantire la comoda fruizione delle “servitu’ di passo o di sciovia” (prevista, a favore e a carico delle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva, all’interno dei singoli contratti di compravendita), tenuto conto che “all’interno del terreno comune non esiste alcun impianto sportivo e non e’ possibile sciare se non penetrando nei terreni confinanti, di proprieta’ di terzi, sui quali insiste la pista da sci e l’impianto di risalita” (pag. 35 del ricorso). In conclusione, secondo i ricorrenti, “e’ piu’ logico pensare che questo divieto assoluto di recinzione, sia all’interno che all’esterno, del terreno comune, rispondesse da un lato al bisogno di corrispondere ai vincoli e limiti di natura ambientale previsti dalla normativa vigente in zona parco naturale e, dall’altro, alla necessita’ di garantire l’esercizio delle varie servitu’ ed il libero accesso da e verso l’esterno delle singole unita’ abitative compravendute” (pag. 32 del ricorso).

Anche questo motivo e’ infondato. E’ necessario premettere, in linea generale, che “le delibere dell’assemblea condominiale, ove esprimano una volonta’ negoziale, devono essere interpretate secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli articoli 1362 e seguenti c.c., privilegiando, innanzitutto, l’elemento letterale, e quindi, nel caso in cui esso si appalesi insufficiente, gli altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui quelli della valutazione del comportamento delle parti” (Cass., n. 28763/2017; conforme, Cass., n. 4501/2006); e che “le deliberazioni condominiali vanno interpretate secondo i criteri ermeneutici previsti dagli articoli 1362 e ss. c.c. ed il relativo compito e’ assegnato al giudice del merito; poiche’ tale valutazione costituisce apprezzamento di fatto, e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici e giuridici” (Cass., n. 12556/2002).

Con specifico riguardo ai limiti entro cui l’interpretazione di un contratto puo’ essere sindacata in sede di legittimita’, questa Corte ha di recente affermato che, “posto che l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata” (Cass., n. 9461/2021).

Nel caso di specie, con riferimento alla clausola gia’ menzionata (che recita: “nella vendita e’ inoltre compresa la quota di un quarantesimo (1/40) sulle porzioni scoperte del terreno, rappresentato nello stesso foglio di mappa dalle particelle 7945 (..), 7946 (..) e 184 (..) di complessivi mq 15.373 (..) sul quale i comproprietari avranno liberta’ di accesso, restando comunque inteso che lo stesso non potra’ essere in alcun modo recintato o frazionato”), la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto che, anche a voler riferire “lo stesso” al sostantivo “terreno”, non ne derivi univocamente l’interpretazione patrocinata dai ricorrenti (ovvero che il divieto di recinzione o frazionamento s’intendesse predicato nei confronti dell’area nel suo complesso, e dunque rispetto all’erezione di un confine materiale della stessa verso l’esterno).

E ha rafforzato il proprio ragionamento facendo riferimento al criterio dell’interpretazione logica, nonche’ a quello di cui all’articolo 1363 c.c. In primo luogo – hanno osservato i giudici di secondo grado -, con altra disposizione il regolamento intendeva creare delle servitu’ di passo carrabile e pedonale e di impianto di sciovia “a favore e in danno delle proprieta’ esclusive dei singoli condomini di volta in volta interessati”, sicche’ appare coerente ritenere che “il vincolo costituito dall’impossibilita’ di recintare o frazionare il terreno comune va(da) letto ed interpretato in funzione dell’esigenza di consentire ai singoli condomini di fruire comodamente delle servitu’ di passo o di sciovia (gia’ esistenti o create con il contratto di acquisto) in danno dei condomini controinteressati, senza che il diritto di passo o di sciovia all’interno del terreno comune possa essere in alcun modo limitato o compresso da recinzioni o frazionamenti interni al Villaggio” (pag. 12 della sentenza impugnata).

In secondo luogo, proprio in relazione alla possibilita’ di esercitare tali prerogative, la sentenza impugnata ha valorizzato l’espressione “i comproprietari avranno liberta’ di accesso”, intesa come “liberta’ dei condomini di potersi muovere a piacimento all’interno del Villaggio”, che verrebbe evidentemente frustrata (soltanto) da eventuali recinzioni o frazionamenti interni all’area in discorso.

Le argomentazioni della Corte d’Appello fiorentina appaiono del tutto plausibili e rispettose dei criteri ermeneutici delineati dagli articoli 1362 ss. c.c., sicche’ la censura dei ricorrenti si risolve in nell’inammissibile contrapposizione di una diversa interpretazione (a tutto concedere, parimenti plausibile), inidonea ad impingere nella sfera del sindacato del giudice di legittimita’.

5. Il quarto motivo concerne la violazione del combinato disposto degli articoli 1108 e 1109 c.c., nella quale sarebbe incorsa la Corte d’Appello di Firenze per avere ritenuto che il vizio della delibera, consistente nella violazione della prima delle disposizioni citate, si sarebbe dovuto far valere entro il termine di decadenza di cui all’articolo 1137 c.c. La circostanza che la recinzione realizzata non abbia rispettato i confini catastali del terreno, escludendo una parte di terreno comune e inglobando, viceversa, una porzione di terreno boschivo altrui, avrebbe comportato, infatti, “la disposizione e/o la costituzione di diritti reali”, con conseguente applicazione della regola della necessaria unanimita’ dei consensi, in ossequio al comma 3 dell’articolo 1108 c.c.

Il motivo e’ infondato. Come correttamente evidenziato dalla Corte d’Appello di Firenze, l’inglobamento di terreni altrui e’ l’effetto della materiale esecuzione di una delibera che non aveva certo tale oggetto, limitandosi piuttosto a disporre la recinzione lungo i confini del lotto in comunione, cio’ che non necessita delle maggioranze di cui all’articolo 1108 c.c. (si vedano Cass., n. 3509/2015 – secondo cui, “in tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare che ordini la chiusura del cancello carraio dell’area cortilizia, previa consegna del telecomando di apertura ad ogni condomino, non dispone un’innovazione e non necessita di maggioranza qualificata, ai sensi dell’articolo 1120 c. c., in quanto non muta la destinazione del bene comune, ma ne disciplina l’uso in senso migliorativo, impedendo ai terzi estranei l’indiscriminato accesso all’area condominiale” -, e Cass., n. 4340/2013, alla cui stregua “in tema di condominio negli edifici, non ha ad oggetto un’innovazione, e non richiede, pertanto, l’approvazione con un numero di voti che rappresenti i due terzi del valore dell’edificio, la deliberazione dell’assemblea con cui sia disposta l’apposizione di cancelli all’ingresso dell’area condominiale, al fine di disciplinare il transito pedonale e veicolare ed impedire l’ingresso indiscriminato di estranei, attenendo essa all’uso ed alla regolamentazione della cosa comune, senza alterarne la funzione o la destinazione, ne’ sopprimere o limitare la facolta’ di godimento dei condomini”).

6. Con il quinto motivo si censura la violazione degli articoli 1106 e 1131 c.c., per avere il giudice di secondo grado riconosciuto, in capo al condominio, la legittimazione “a costituirsi in giudizio non soltanto a tutela dei condomini che avevano rinunziato all’impugnazione e non tanto a tutela di un bene comune bensi’ per far valere l’interesse personale alla reintegrazione del patrimonio individuale di tutti i condomini, sia appellanti che non appellanti”, quando invece non poteva farsi questione di applicabilita’ dell’articolo 1131 c.c., non potendosi configurare in radice un condominio (bensi’ un’ordinaria comunione). Anche tale ultimo motivo e’ infondato, avendo la Corte d’Appello correttamente disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del condominio non appellante (si veda, al riguardo, Cass., n. 3900/2010), in relazione all’impugnazione di una delibera evidentemente afferente – come detto – alla gestione delle parti comuni. Il condominio, dunque, era senz’altro legittimato passivo rispetto alla domanda di accertamento della nullita’ della delibera in questione, sicche’ la statuizione sulle spese del giudice di secondo grado e’ pienamente in linea col principio della soccombenza, trattandosi della logica conseguenza dell’accoglimento dell’impugnazione, e del conseguente “ribaltamento” dell’originaria condanna del condominio al pagamento delle spese processuali in favore degli attori.

7. In definitiva, il ricorso dev’essere rigettato, e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in dispositivo. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – se dovuto – previsto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente procedimento di legittimita’, che si liquidano in Euro 3.000,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;

ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

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Avv. Umberto Davide

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