è principio ormai consolidato in giurisprudenza che il diritto all’integrità morale del singolo, ove pure lesa, cede di fronte al diritto all’informazione, potendosi consentire la divulgazione a mezzo stampa di notizie anche lesive dell’onore e della reputazione in forza del diritto di cronaca, e ciò a tre condizioni: A) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; B) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica (e quindi tra l’altro l’assenza di termini esclusivamente insultanti); C) la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione. I principi riportati devono poi essere adattati nel caso di espressione del diritto di critica, per il quale operano gli stessi limiti del diritto di cronaca ma in maniera meno rigorosa, proprio in considerazione della soggettività della narrazione e del giudizio che essa tende ad esprimere, giudizio scriminato in ragione della polemica politica e sociale cui si riferisce. Ciò in quanto il diritto di critica presuppone una rielaborazione dei fatti con l’introduzione di contributi personali dell’autore che partendo da fatti veri, nel loro nucleo essenziale, li espone esprimendo giudizi, formulando valutazioni e possibili nessi di causalità, rendendo il lettore edotto del personale punto di vista dell’autore.

Tribunale|Roma|Sezione 1|Civile|Sentenza|7 aprile 2020| n. 5883

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

PRIMA SEZIONE CIVILE

In persona del giudice unico dott.ssa Simona Rossi ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado iscritta al n. 7504 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2017 vertente

TRA

RO.AL., nato a Cesa (CE) il 1 marzo 1953 e RO. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., con il patrocinio degli Avv. Fr.Di. e St.Ci. giusta procura in atti

Attori

ED. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, TR.MA., nato a Torino il 13 ottobre 1964, GO.PE., nato (…), D’E.FA., nato (…), LI.MA., nato (…) e PA.VA., nata (…), con il patrocinio degli avv. Ca.Ma. e Va.Si., giusta procura in atti

Convenuti

Oggetto: diritti della personalità

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, Ro.Al. e Ro. S.p.A. convenivano in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, l’Ed. S.p.A. Tr.Ma., Go.Pe., D’E.Fa., Li.Ma. e Pa.Va. per ivi sentirli condannare al risarcimento dei danni tutti patiti in conseguenza della lesione alla loro reputazione derivanti dalla pubblicazione, sull’edizione cartacea e sul sito on line, tra il 7 ed il 17 gennaio 2017 degli articoli dal titolo “(…)”, a firma di Fa.D’E.; “(…)” a firma di Ma.Tr.; “Ro., Ro. e amici degli amici. Così si sono divisi la torta Consip” a firma di Ma.Li.; “Distrazione del Lotti” a firma di Ma.Tr.; “Così Ro. tentò invano di arrivare a Ca.” a firma di Ma.Li. e Va.Pa., rispettivamente, Tr., Li., D’E., Pa. quale firmatari degli articoli e Tr. anche quale direttore responsabile dell’edizione cartacea del quotidiano, Go. quale direttore del sito on line e l’Ed. S.p.A. quale editrice e titolare del sito. Chiedevano, inoltre, la condanna dei convenuti ex art. 12 l. 47/1948.

Lamentavano, in particolare, gli attori che gli articoli si inserivano nell’ambito di una campagna stampa gravemente diffamatoria nei loro confronti, avente ad oggetto l’attribuzione di fatti inesistenti, taluni con rilievo penale, manifestatamente lesivi della loro immagine ed identità personale, campagna posta in essere divulgando ipotesi investigative, ancora integralmente coperte da segreto e, quindi, dal divieto dei divulgazione a mezzo stampa.

Rappresentavano, inoltre, oltre alla falsità delle notizie contenute negli articoli di stampa censurati, il superamento dei limiti di pertinenza e di continenza, trasmodando in attacchi denigratori e gravemente lesivi dell’onore, con conseguente grave danno all’immagine.

Si costituivano in giudizio i convenuti che, in via preliminare, chiedevano fosse accertato il difetto di legittimazione passiva in capo a Pe.Go., con condanna al risarcimento del danno in suo favore per lite temeraria o, in subordine, per il riconoscimento dell’indennità ex art. 96 c.p.c., nel merito, il rigetto delle domande.

Deducevano al riguardo che alcuna condotta diffamatoria era stata posta in essere con la pubblicazione dei suddetti articoli, essendosi “Il.”, così come tutti gli altri organi di informazione, occupato dell’attore e della società a lui riconducibile, in ragione dei procedimenti penali (instaurati dalla magistratura napoletana prima e poi da quella romana) tra la fine dell’anno 2016 e l’inizio del 2017, epoca a cui, per l’appunto, risalivano le notizie di stampa.

Deducevano che le stesse, così come i relativi commenti, erano da ritenersi espressione della libertà di stampa, del diritto di cronaca, di critica e, con riguardo agli editoriali, di satira, rispettosi dei canoni di verità, continenza ed interesse pubblico alla notizia.

Concessi i termini ex art. 183, VI co. c.p.c., non articolate richieste istruttorie, acquisita la documentazione complessivamente prodotta dalle parti, disposta la sostituzione dell’organo giudicante, all’udienza del 28 ottobre 2019, sulle conclusioni delle parti come da verbale di causa, il Giudice tratteneva la causa in decisione assegnando alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Preliminarmente, deve rilevarsi l’inutilizzabilità ai fini del decidere della produzione documentale allegata da parte attrice alla comparsa conclusionale, oltre i termini di cui all’art.183 VI co. c.p.c., per essere la stessa irrilevante ai fini del decidere, alla luce del thema decidendum.

Nel merito, la domanda attorea attiene all’asserito contenuto diffamatorio di alcuni articoli pubblicati dal “(…)” nell’arco di tempo compreso tra il 7 ed il 17 gennaio 2017 e, segnatamente:

a) 7 gennaio 2017: la prima pagina del giornale riportava il seguente titolo: “Ro. indagato per camorra lancia messaggi a Re. e Lotti” ed il cui occhiello riportava “I legali dell’imprenditore: inchiesta strumentale per colpire le alte cariche”. Sotto il titolo vi era l’incipit dell’articolo di Fa.D’E. che continuava a pagina 3 con il titolo “Amicizia, soldi e potere: ecco chi trema sul sistema Ro.”, con l’occhiello “La scossa – il ras trasversale degli appalti pubblici” seguito dal sommario “Messaggio dei legali dell’imprenditore alle cariche istituzionali (Re., Lo.)”; vi era poi l’editoriale del Direttore Ma.Tr., dal titolo “(…)””.

b) 14 gennaio 2017: compariva in prima pagina del quotidiano e del sito on line il seguente titolo “Ecco la mangiatoia dei miliardi: Coop rosse, compari di Re.” il cui occhiello aggiungeva “Inchiesta del “Fatto” sulla società pubblica che fa tutti gli acquisti della PA” e il cui sottotitolo precisava “l’imprenditore Ro. indagato per corruzione proprio in questa vicenda si è aggiudicato lotti per un valore di 609 milioni”. A pag. 7 vi era un articolo di Ma.Li. dal titolo “Ro., Ro. e amici degli amici. Così si sono divisi la torta Consip”, con l’occhiello “Il mega appalto. L’affare miliardario al centro dell’indagine che coinvolge il padre di Re. ed ha messo nei guai il fedelissimo Lotti”. Compariva, inoltre, nella edizione cartacea, un commento di Ma.Tr. dal titolo “Distrazione del Lotti

c) 17 gennaio 2017: in prima pagina del quotidiano cartaceo compariva il titolo

“Ro. ci provò con Ca.”” il cui occhiello recitava “Il presidente dell’Anac sentito dai pm “gli ho detto no””, a cui seguiva, a pag. 5 l’articolo a firma Ma.Li. “Così Ro. tentò invano di arrivare a Ca.””, anticipato dall’occhiello “il maxi appalto Consip – Il presidente dell’Anac interrogato a Napoli. L’imprenditore renziano aveva provato senza riuscirci ad avvicinarlo tramite una amica magistrato, ora sotto inchiesta”.

Prima di valutare gli articoli oggetto di contestazione devono compiersi alcune premesse di ordine generale.

Come noto, è principio ormai consolidato in giurisprudenza che il diritto all’integrità morale del singolo, ove pure lesa, cede di fronte al diritto all’informazione, potendosi consentire la divulgazione a mezzo stampa di notizie anche lesive dell’onore e della reputazione in forza del diritto di cronaca, e ciò a tre condizioni:

A) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie;

B) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica (e quindi tra l’altro l’assenza di termini esclusivamente insultanti);

C) la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione (cfr., ex multis: Cass. n. 5259/1984; Cass. n. 5146/2001; Cass. n. 15999/2001; Cass. n. 23366/2004; Cass. n. 1976/2009).

I principi riportati devono poi essere adattati nel caso di espressione del diritto di critica, per il quale operano gli stessi limiti del diritto di cronaca ma in maniera meno rigorosa, proprio in considerazione della soggettività della narrazione e del giudizio che essa tende ad esprimere, giudizio scriminato in ragione della polemica politica e sociale cui si riferisce (cfr. Cass. n. 29730/2010; Cass. n. 43403/2009).

Ciò in quanto il diritto di critica presuppone una rielaborazione dei fatti con l’introduzione di contributi personali dell’autore che partendo da fatti veri, nel loro nucleo essenziale, li espone esprimendo giudizi, formulando valutazioni e possibili nessi di causalità, rendendo il lettore edotto del personale punto di vista dell’autore.

Deve pertanto essere tenuta ben ferma e presente la distinzione tra l’esercizio del diritto di critica (con cui si manifesta la propria opinione, la quale non può pertanto pretendersi assolutamente obiettiva e può essere esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda la integrità morale del soggetto) e di quello di cronaca, che può essere esercitato purché sussista la continenza dei fatti narrati, intesa in senso sostanziale – per cui i fatti debbono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva – e formale, con l’esposizione dei fatti in modo misurato, ovvero contenuta negli spazi strettamente necessari (cfr Cass. n. 17172/07, conformi Cass. n. 28411/08; Cass. n. 25/09; Cass. 20608/11).

E’, tuttavia, sempre necessario perché possa operare l’esimente del diritto di critica, il rispetto del principio della verità del fatto riportato sia pure non in termini assoluti, ma di verosimiglianza (cfr., Cass. civ. 25420/2017; cfr. Trib. Roma 22.11.18), che può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente “di parte”, cioè non obiettivi, ma che deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità (cfr. Cass. 7419/2010; Cass. pen. n. 40930/13).

Infine, con riferimento alla coesistenza di diritto di critica e di cronaca, si è precisato che qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.); bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica (cfr., Cass. 25/09, cit.; Cass. 15443/13).

Giova aggiungere che, in materia, non sussiste una generica prevalenza del diritto all’onore sul diritto di critica, in quanto ogni critica alla persona può incidere sulla sua reputazione; del resto negare il diritto di critica solo perché lesivo della reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di libera manifestazione del pensiero. Pertanto, il diritto di critica può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore (Cass. n. 4545/2012, n. 12420/08).

Ciò premesso, per la valutazione del merito della domanda attorea, essendo la stessa relativa ad una pluralità di articoli apparsi sul quotidiano convenuto, occorre analizzarli separatamente, per successione cronologica, al fine di meglio comprenderne gli esatti contenuti.

Articolo del 7 gennaio 2017

La prima pagina del giornale riportava il seguente titolo: “Ro. indagato per camorra lancia messaggi a Re. e Lotti” ed il cui occhiello riportava “I legali dell’imprenditore: inchiesta strumentale per colpire le alte cariche”. Sotto il titolo vi era l’incipit dell’articolo di Fa.D’E. che continuava a pagina 3 con il titolo “Amicizia, soldi e potere: ecco chi trema sul sistema Ro.””, con l’occhiello “La scossa – il ras trasversale degli appalti pubblici” seguito dal sommario “Messaggio dei legali dell’imprenditore alle cariche istituzionali (Re., Lo.)””.

Lamentano gli attori non tanto la falsità della notizia – corrispondeva, infatti al vero, che, al tempo, Al.Ro. fosse indagato ai sensi dell’art. 416bis c.p. e che, nei giorni precedenti, vi era stato un comunicato stampa dei suoi difensori – quanto la distorta interpretazione del giornalista riguardo detto comunicato effettuato in data 5.1.17 cui era seguita una nota del Procuratore della Repubblica di Napoli e, successivamente, una ulteriore nota dei difensori di Ro., lamentando la diffamatorietà della detta interpretazione, tesa ad adombrare nel lettore, in modo del tutto distorto, la sussistenza di un avvertimento alle alte cariche dello Stato, utilizzando, inoltre, espressioni gravemente offensive “sistema Ro.””, “camorra””, “rapporto osmotico”.

Ciò premesso, nell’articolo in esame il giornalista D’E. riferisce in primo luogo un fatto vero e, cioè, quanto sostenuto dai difensori dell’attore nella nota stampa e riportato con chiara evidenza anche nel titolo della nota stessa – trascritta nel pezzo negli esatti termini-: “Parlano i difensori di Al.Ro. “Al.Ro. usato come un Cavallo di Troia. L’arma del 416-bis ed il Cardarelli usati strumentalmente per indagare su Consip e alle alte cariche dello Stato. Ecco le cartel” e, cioè, che l’indagine della Procura napoletana ed in particolar modo l’utilizzo degli strumenti investigativi contemplatati dall’art.416 bis c.p. consentiva ” di mettere cimici negli uffici della Consip e coinvolgere nell’inchiesta anche alte figure dello Stato in un percorso di indagine che lascia chiaramente capire quale potesse essere l’obiettivo finale di tutta l’inchiesta””, strumentalizzazione che, in effetti, era stata immediatamente contestata dal Procuratore di Napoli che aveva inoltre rivendicato la legittimità dell’indagine (doc. 12 parte convenuta).

Partendo da tale dato e commentando l’immagine obiettivamente assai suggestiva utilizzata dai difensori per sottolineare l’escamotage procedurale a loro parere utilizzato dalla Procura per poter indagare non soltanto (e non tanto) Ro., quanto alte cariche istituzionali, il giornalista, dopo aver rammentato l’avvenuto coinvolgimento di esponenti politici e dell’Arma, offre la propria opinione, concludendo che “proprio gli avvisi eccellenti sono la linea di difesa di Ro. che sembra un “avvertimento” per la serie “indagano me per arrivare a voi”.

Ebbene, tali espressioni usate non appaiono trasmodare, a parere del giudicante, il legittimo esercizio del diritto di critica del giornalista, che ha commentato con l’icastica espressione ” indagano me per arrivare a voi” la strumentalizzazione denunciata dai difensori (…in un percorso di indagine che lascia chiaramente capire quale potesse essere l’obiettivo finale di tutta l’inchiesta), esprimendo, con linguaggio di rilievo giornalistico, la sua opinione relativamente al concetto espresso nella nota, così come era stato inteso, in effetti, anche dalla Procura, distinguendo, peraltro, la notizia nella sua essenza dal proprio parere, riportato con espressioni virgolettate.

Nell’articolo in esame, espressione del diritto di critica, non risultano, pertanto, violati i canoni di verità della notizia, avendo l’articolo riportato una serie di fatti effettivamente accaduti nella loro storicità – non rilevante se non in termini di mera imprecisione che non impatta sulla sostanziale verità dei fatti non modificandone la struttura essenziale (cfr., in termini, Cass. pen., 8 aprile 2009, n. 28258) è il riferimento all’iscrizione di Ro. al PCI di Posillipo -, sia in ordine al contenuto del comunicato stampa (di cui sono riportati ulteriori passi, virgolettati, conformi alla nota), sia in merito alle ulteriori vicende giudiziarie dell’attore, sia relativamente agli finanziamenti effettuati negli anni, a diverse compagini politiche (non contestati dalla controparte e, comunque, del tutto leciti). Sussiste, inoltre, indubbiamente l’interesse pubblico, atteso il rilievo penale dell’indagine e l’interessamento di alte cariche istituzionali nella vicenda.

Risulta, inoltre, rispettato il limite della continenza, in quanto, nell’espressione del diritto di critica e dunque considerando il diritto del giornalista di formulare giudizi personali in merito a quanto accaduto, le opinioni dell’autore sono tenute disgiunte dai fatti permettendo al lettore di sviluppare una propria opinione, avendo inoltre D’E. utilizzato espressioni sia nel titolo che nell’articolo indubbiamente di rilevante asprezza e di forte impatto sul lettore, ma non eccedenti il limite della corretta esposizione, perché non sfociate in accuse gratuite o inutilmente umilianti (Cass. n. 15060 del 23.2.2011) ed in parte mutuate (” sistema Ro.”, ad esempio) da fonti investigative.

Né può aver rilievo, in questa sede, la circostanza, allegata nell’atto introduttivo, che l’articolo di D’E. era stato successivamente pubblicato dal sito Dagospia (poi rimosso dopo diffida degli attori) ove si parlava di un “pizzino” inviato da Ro. con la nota in oggetto, non essendo tale condotta a lui attribuibile.

Passando all’esame dell’editoriale di Ma.Tr. pubblicato nella medesima giornata del 7 gennaio 2017 dal titolo “Ro.”, gli attori lamentano che il giornalista, sempre con riferimento alla nota elaborata dai difensori di Al.Ro., avrebbe accostato, con evidenza diffamatoria, la figura di Ro. a personaggi che, per le vicende per cui erano ricordati, avrebbero gettato su di lui discredito ulteriore “ricorda quello che solevano ripetere Pr. e De., appena finivano sotto inchiesta, per garantirsi la protezione di Be.: “Si., i magistrati puntano me per colpire te”, affermando che la protezione richiesta da Ro. sembrava essere pari a quella cercata a suo tempo da Pr. e De. da Si. Be., così volendo adombrare un tentativo, da parte dell’attore, di indurre alte cariche dello Stato a commettere reati di particolare gravità in quanto volti a condizionare l’operato della magistratura.

Tale prospettazione non trova riscontro nella lettura dell’articolo.

Non risulta contestata, in sostanza, la verità dei fatti storici rappresentati dal giornalista relativi alle varie vicende che avevano coinvolto Al.Ro. e gli ultimi sviluppi dell’indagine napoletana, con il coinvolgimento di diversi esponenti di spicco del panorama, non soltanto politico, nazionale, taluni obiettivamente vicini all’allora Capo del Governo, alfine riportando il testo della nota dei legali dei Ro. di due giorni prima, che avevano espressamente parlato di “un indagine che lascia chiaramente capire quale potesse essere l’obiettivo finale di tutta l’inchiesta”.

Era effettivamente rispondente al vero che l’indagine della procura napoletana, con le ipotesi investigative formulate, aveva consentito, come riportato nella nota dei difensori del 5 gennaio, lo svolgimento di accertamenti preliminari obiettivamente non consentiti per imputazioni di più lieve portata, così da ingenerare negli avvocati di Al.Ro. la valutazione di un suo utilizzo strumentale per arrivare a soggetti a loro parere chiaramente individuabili, di talché l’editoriale di Ma.Tr., pur denso di espressioni pungenti ed ironiche, a commento di tali vicende e dell’evoluzione che stava prendendo l’indagine penale, non appare trasmodare in un attacco diretto e gratuito alla persona di Al.Ro., ma si risolve, partendo da fatti veri, nell’ambito del diritto di critica.

In particolare, l’esplicitazione dell’obiettivo dell’indagine da parte del giornalista, individuandolo in “Lotti e la famiglia Re.”, rappresenta un proprio convincimento, peraltro fondato su fatti incontestati, senza i caratteri di diffamatorietà.

Nessun riferimento è, inoltre, espressamente contenuto nell’articolo in ordine a pressioni su tali personaggi da parte dell’attore per ottenere protezione in termini di intervento sulle indagini.

Né, all’uopo può assumere rilievo il richiamo fatto dal convenuto ad altre note vicende giudiziarie, dove pure gli indagati interpretavano il loro coinvolgimento per arrivare a colpire personaggi eccellenti, in quanto l’implicita richiesta di protezione ivi contenuta è espressamente riferita da Tr. soltanto ad essi e non anche a Ro., rafforzando, al riguardo, il distinguo tra le due vicende con la precisazione della diversa posizione da quelli ricoperta (“braccio destro e sinistro di B.”) rispetto all’attore, concludendo, in termini dubitativi, su chi potesse essere l’effettivo interlocutore di quello.

Su questo tema, la Corte di legittimità ha precisato che il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi, che ha, per sua natura, carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica, consentendo anche l’utilizzo di espressioni forti ed suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l’attenzione di chi ascolta (cfr. di recente, Cass. n. 14727/2018 ed, in precedenza, Cass. n. 4938/2010; Cass. n. 8824/ 2010; Cass. n. 38448/2001).

Né risulta nell’articolo superato il limite della continenza, dovendosi ritenere il ricorso agli argomenti ironici e satirici usati non tale da trasmodare i limiti di rispetto della persona (cfr. Cass. n. 37706 /2013; Cass. n. 13563/1998), mentre è indubbio l’interesse pubblico all’informazione, attesa la rilevanza dei soggetti coinvolti e del rilievo, non solo penale, dei fatti.

Articoli del 14 gennaio 2017: compariva sulla prima pagina del quotidiano e del sito on line il seguente titolo “Ecco la mangiatoia dei miliardi: Coop rosse, compari di Re.” il cui occhiello aggiungeva “Inchiesta del “Fatto” sulla società pubblica che fa tutti gli acquisti della PA” e il cui sottotitolo precisava “l’imprenditore Ro. indagato per corruzione proprio in questa vicenda si è aggiudicato lotti per un valore di 609 milioni”. A pag 7 vi era un articolo di Ma.Li. dal titolo “Ro., Ro. e amici degli amici. Così si sono divisi la torta Consip”, con l’occhiello “Il mega appalto. L’affare miliardario al centro dell’indagine che coinvolge il padre di Re. ed ha messo nei guai il fedelissimo Lotti”. Compariva, inoltre, nella edizione cartacea, un commento di Ma.Tr. dal titolo “Distrazione del Lotti”.

Con riferimento all’articolo di Ma.Li., lamentano gli attori che avrebbe riportato del tutto falsamente l’informazione che Ro., Ma. e Co. si fossero divisi la c.d. “super-torta” costituita da un appalto Consip da 2 miliardi e 600 milioni di Euro, e che le tre società avrebbero potuto a breve (subito dopo l’aggiudicazione, allora imminente) godere di quella che il giornale definiva nel titolo una “mangiatoia di miliardi”. L’articolo, inoltre, in chiusura riportava la ulteriore e diversa gara Consip c.d. “Belle scuole”, relativamente alla quale a dicembre 2015 l’Antitrust aveva condannato le imprese Cns e Manutencoop avendo accertato che queste, per vincere, avevano partecipato con una tecnica “a scacchiera”, in accordo con le società concorrenti.

Secondo la prospettazione attorea, all’epoca della pubblicazione dell’articolo, nessuna indagine era stata portata a termine per cui non vi poteva essere alcuna certezza da parte del giornalista – come invece riportato – in ordine all’ipotesi di attribuzione dell’appalto, né che vi fosse accordo tra la Ro. con le società concorrenti, muovendosi con una tecnica c.d. “a scacchiera”.

Ciò premesso, è documentato in atti che la società attrice risultò prima in tre lotti su diciotto nella gara indetta dalla Consip c.d. FM4 pubblicata in G.U. in data 21.3.14, per un importo complessivo di 609 milioni di Euro e che, al momento della pubblicazione dell’articolo, erano in corso delle indagini a carico di Ro. e del manager Consip Ma.Ga. da parte della Procura di Napoli, per il titolo di reato, tra gli altri, di cui all’art.318 c.p., come emerge dall’informativa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli resa dagli organi delegati in data 9.1.17 nell’ambito del proc. R.G.N.R. 6585/13 (doc 14 parte convenuta, giusta autorizzazione all’estrazione e produzione da parte del Procuratore Aggiunto Pa.Ie. del 28.6.17).

E’ altresì documentato (e non contestato) che l’indagine sia stata poi trasmessa per competenza alla Procura della Repubblica di Roma che, in data 13.2.17, formulava per dette imputazioni richiesta di misura cautelare (poi accolta dal Gip in data 28.2.17, confermata in sede di riesame, successivamente oggetto di annullamento con rinvio da parte della Cassazione e annullata dal Tribunale di riesame in data 14.8.17 per insussistenza delle esigenze cautelari).

La circostanza che, alla data di pubblicazione dell’articolo, erano in corso indagini preliminari sottoposte al divieto di divulgazione, non ne inficia la verità dei fatti narrati.

Al riguardo, con riferimento all’illegittima pubblicazione di atti coperti da segreto investigativo, deve osservarsi, come pure di recente ribadito in sede di legittimità (cfr. Cass., SS. UU., 29 luglio 2016, n. 15815) che la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all’art. 684 cod. pen. integra un reato monoffensivo del tutto distinto dal bene giuridico tutelato dall’art.595 c.p., posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio, per cui nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta nel processo perciò solo che sia stata violata la norma incriminatrice in discorso.

Ciò perché le norme che vietano la divulgazione del testo o del contenuto degli atti di un’indagine penale sono dettate a tutela del sereno svolgimento del procedimento e non a tutela dell’onore e della reputazione dell’indagato.

Ne consegue che l’eventuale violazione di tali norme, da sola, non è sufficiente per ritenere sussistente un illecito diffamatorio dalla parte del processo, salvo che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell’ordinamento (cfr. in termini, Cass. 1285/17; Cass. 19746/2014), diverse da quella di cui all’art.595 c.p.

Né rilevante appare quanto argomentato dagli attori in comparsa conclusionale in merito ai successivi sviluppi penali della vicenda – con particolare riguardo al ruolo di Ma.Ga. – dal momento che, come è noto, in tema di cronaca giudiziaria, il criterio della verità della notizia non può che essere riferita allo stato dell’indagine nei termini in cui risulta al momento della pubblicazione dell’articolo e non già a quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale (cfr. Cass. 5667/10).

Ciò premesso, nell’articolo in esame, deve osservarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, non vi è una affermazione di certezza relativamente all’aggiudicazione della gara.

Al contrario, nel titolo del paragrafo finale si parla di “aggiudicazione imminente”, quindi, non ancora verificatasi, spiegando poi, nel corpo, che gli accertamenti per l’aggiudicazione “non sono ancora terminati”, chiarendo che, per legge, l’amministratore di Consip avrebbe dovuto farlo, non essendo sufficiente per evitarlo un avviso di garanzia.

Con riferimento alla seconda notizia, ove il giornalista sottolinea un ulteriore profilo di illegittimità che avrebbe potuto riguardare la graduatoria dell’appalto FM4, derivante dall’essersi una delle concorrenti ritirata, precisando che la stessa concorrente era stata precedentemente sanzionata dall’Antitrust per un accordo “a scacchiera” con altra società partecipante, riportando, poi, l’opinione espressa in un saggio di recente pubblicazione relativamente alle modalità di aggiudicazione degli appalti, non vi è alcun riferimento all’attore e alle sue aziende.

Deve, inoltre, osservarsi che i limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità trovano una meno rigorosa applicazione con riferimento al c.d. “giornalismo d’inchiesta”, il quale gode di tutela più ampia quale species più rilevante dell’attività di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne.

“Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale” (cfr. Cass. 2010/16236).

Così riconosciuta la verità della notizia e l’interesse pubblico alla stessa, si ritiene che possano legittimamente entrare nell’esercizio del diritto di critica le espressioni “mangiatoia di miliardi”, usata per sintetizzare le ipotesi corruttive e l’oggettivo rilievo economico degli appalti, per un importo complessivo di circa 2 miliardi e 700 milioni di Euro, così come l’espressione ” torta Consip1″, immagine usata per indicare le modalità di suddivisione dell’appalto in lotti come prospettate nell’attività investigativa.

Con riguardo all’editoriale di Ma.Tr. “Distrazione del Lotti”, gli attori lamentano che il giornalista avrebbe lasciato intendere ai suoi lettori che fosse pacifico che il mega-appalto CONSIP fosse stato “truccato” per favorire in tre lotti l’imprenditore Al.Ro., circostanza a loro dire falsa, in quanto al tempo alla data di pubblicazione degli articoli nessun atto giudiziario o amministrativo aveva contestato che la gara in questione fosse stata “truccata” a favore del Gruppo Ro..

Ritiene il giudicante che tale doglianza non sia meritevole di accoglimento, dal momento che non vi è dubbio che, all’epoca, era già emerso dagli atti di indagine, come dinnanzi accennato, che la procedura di appalto fosse stata ritenuta non trasparente, sussistendo, a parere della Procura, un accordo corruttivo tra il dirigente di Consip Ma.Ga. ed Al.Ro., di cui nell’informativa del 9.1.17 si dava conto nel senso di avere il secondo ricevuto con una certa continuità delle elargizioni economiche da parte di Ro. e di avergli a sua volta fornito informazioni riservate e suggerimenti volti a facilitare l’aggiudicazione di appalti pubblici da parte delle sue società, o evitare che le stesse incorressero in sanzioni o risoluzioni contrattuali, anche con riguardo all’appalto FM4, né rilevando, per quanto sopra esposto, i successivi sviluppi giudiziari della vicenda.

Premessa la verità della notizia e l’evidente interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, in merito alla continenza e con riguardo all’espressione “truccato” si ritiene che la stessa si può inquadrare nell’ambito del diritto di critica, così rappresentando il giornalista il proprio convincimento relativamente all’accordo corruttivo di cui all’indagine che aveva inciso secondo gli inquirenti sulla regolarità della gara.

Articoli del 17 gennaio 2017: sulla prima pagina del quotidiano cartaceo compariva il titolo “Ro. ci provò con Ca.” il cui occhiello recitava “Il presidente dell’Anac sentito dai pm “gli ho detto no”, a cui seguiva, a pag. 5 l’articolo a firma Ma.Li. e Va.Pa. “Così Ro. tentò invano di arrivare a Ca.”, anticipato dall’occhiello “il maxi appalto Consip – Il presidente dell’Anac interrogato a Napoli. L’imprenditore renziano aveva provato senza riuscirci ad avvicinarlo tramite una amica magistrato, ora sotto inchiesta”.

In merito, gli attori lamentano la falsità dei fatti riportati nell’articolo per avere indotto i lettori a ritenere che Al.Ro. avesse cercato di ottenere favori illeciti da Ra.Ca. relativamente alla vicenda Consip per il tramite di un magistrato amico e avvicinando il di lui fratello, avvocato Br.Ca., fatti a loro dire mai verificatisi, lamentando, inoltre, la violazione del segreto istruttorio da parte dei giornalisti, avendo gli stessi rivelato degli atti investigativi al tempo non divulgabili.

Partendo dalla verità storica dei fatti narrati, osserva il giudicante che l’articolo riporta, riassumendolo senza particolari deviazioni, quanto risulta dall’informativa datata 9.1.17 sopra citata, non rilevando, per quanto in precedenza esposto, ai fini del thema decidendum del presente giudizio, l’eventuale illegittimità della pubblicazione prima della conclusione delle indagini preliminari.

Nello specifico, è documentato che l’attore si rivolse sul finire dell’anno 2015 all’avv. Br.Ca., fratello dell’allora Presidente dell’Anac per un incarico di difesa della sua società e che tale incarico fu cronologicamente successivo al parere reso dall’Anac in data 21 ottobre 2015 su richiesta della Consip relativamente ad una gara affidata nel 2012 alla cooperativa CPL Concordia (di cui era controinteressata Ro.), cooperativa che in passato aveva subito una interdittiva per mafia poi revocata.

Risponde al contenuto nell’informativa quanto riportato dai giornalisti e, cioè, che il parere dell’Anac aveva data dato contezza, quale fatto sopravvenuto, della revoca dell’interdittiva, così che poi, come in effetti accaduto (e diffusamente e conformente ricostruito nella nota depositata dal Presidente Anac agli inquirenti allegata all’informativa), non vi era stato alcun intervento negativo contro CPL da parte del committente.

Del pari, rispondente al contenuto degli atti di indagine è quanto riportato in ordine alle sommarie informazioni rese ai Pm di Napoli da parte di Ra.Ca. in merito ai suoi rapporti con Al.Ro. nel periodo antecedente all’autunno 2015, ed in particolare: quanto riferito dal magistrato in ordine ai contatti avuti con Ro., dapprima perché l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori aveva sede in immobile di Ro. e poi precisando di essere stato invitato da quello al convegno Cr. tenutosi nel novembre 2015 (cfr. pag. 436 dell’informativa del 9.1.17 depositata in atti da parte convenuta quanto riferito da Ca. “al convegno in questione mi ha invitato – non ricordo se personalmente o con una missiva – come ho detto nel settembre 2015 – lo stesso Ro.”); quanto affermato in merito ai contatti avuti al riguardo, nel medesimo periodo, con un magistrato amica di Ro., con la quale, come pure riportato nell’articolo, Ca. precisava di non aver parlato del parere che avrebbe dovuto rendere sulla gara Consip o di altre questioni di interesse di Ro..

Con riferimento all’incarico conferito a Br.Ca., pure oggetto dell’informativa nell’ambito degli accertamenti svolti, nell’articolo è precisato che tale incarico non era stato al centro dell’esame di Ca. né oggetto di accertamenti giudiziari.

Questa essendo la verità dei fatti, i giornalisti, riportando il contenuto di una informativa di PG diretta all’autorità giudiziaria divulgata alla stampa e commentando gli esiti dell’attività investigativa e l’ipotesi dagli stessi inquirenti formulata in merito al tentativo di avvicinamento che sarebbe stato operato col Presidente dell’Anac, senza fornire ricostruzioni alternative od ulteriori rispetto a quelle degli inquirenti, non appare abbiano travalicato il legittimo diritto di cronaca.

Indubbio l’interesse pubblico alla notizia – richiamata negli stessi giorni e nei medesimi termini da diversi quotidiani di rilievo nazionale (cfr. doc. 5 parte convenuta) – la stessa risulta altresì espressa in termini continenti e adeguati in riferimento ai fatti rappresentati ed allo sviluppo delle investigazioni, senza gratuita aggressione alla persona dell’attore, così da ricorrere nel testo anche il requisito della continenza, risultando i termini non sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico (il termine “agganciare” è più volte utilizzato nell’informativa ed i giornalisti espressamente scrivono “secondo l’ipotesi dei pm, per agganciare Ca…).

Conclusivamente e per tutti i motivi esposti si impone il rigetto delle domande attoree, così rendendo ultroneo l’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal convenuto Pe.Go. nella comparsa di costituzione e risposta – peraltro tardivamente dedotta oltre i termini legalmente previsti, attinendo alla titolarità passiva del rapporto controverso e non alla legittimazione a contraddire intesa quale dovere di subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto (cfr., Cass. 6132/08) -, nonché dell’eccezione di domanda nuova pure sollevata dai convenuti nella memoria ex art. 183, VI co., n. 2 c.p.c., atteso che, in ragione del criterio della ragione più liquida ogni domanda può essere respinta sulla base di una ragione assorbente pur se logicamente subordinata senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre essendo ciò suggerito da ragioni di economia processuale e da esigenze di celerità anche costituzionalmente protette (cfr. Cass. 363/19; Cass. 458/18.

Del pari va respinta la richiesta di condanna, a titolo di riparazione pecuniaria, disciplinata dall’art. 12 della L. n. 47 del 1948, in quanto la norma prevede l’irrogazione di una sanzione civile accessoria e pecuniaria che può essere irrogata, una volta accertata in via incidentale la ricorrenza del reato di diffamazione, presupposto non concretizzatosi in considerazione della natura non diffamatoria dell’articolo.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e sono liquidate a mente del disposto dell’art. 4, D.M.55/04, avuto riguardo al valore della domanda, considerando che il procuratore dei convenuti ha assistito unitariamente più soggetti con unica posizione processuale, senza fare luogo agli aumenti di cui all’art.6 del richiamato D.M., dal momento che non si è resa necessaria attività istruttoria diversa dalla produzione documentale e che l’attività decisionale si è risolta in una mera riproposizione degli argomenti già svolti dalle parti nei precedenti scritti difensivi.

Non può infine trovare accoglimento la domanda svolta dai convenuti per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., in mancanza di prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che non può desumersi dal semplice tenore della domanda nè può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che si accerti la ricorrenza della mala fede o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi (Cass.,n. 6675/2015) e, con riferimento alla richiesta formulata dal convenuto Pe.Go., atteso l’accertamento, sia pure incidentale, della tardività dell’eccezione svolta su cui la richiesta ex art. 96 c.p.c. si fonda.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile in primo grado iscritta al n. 7504/2017 R.G.A.C., disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,

così decide:

1) rigetta le domande attoree;

2) condanna parte attrice alla rifusione, in favore dei convenuti, delle spese di lite liquidate in complessivi Euro 20.940,00 per compenso professionale ed Euro 600,00 per spese, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettarie (15%), come per legge;

3) rigetta la domanda riconvenzionale di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. proposta dalla convenuta.

Così deciso in Roma il 10 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2020.

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo:

Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.