La disciplina di cui all’articolo 907 c.c., relativa alla distanza delle costruzioni dalle vedute, ha, infatti, natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quelli relativi alla disciplina di cui all’articolo 873 c.c. che regolamenta la distanza tra le costruzioni al diverso fine di evitare la formazione di intercapedini dannose, con la conseguenza che al proprietario che richieda in giudizio la tutela del suo dominio da abusi del vicino concretantisi in violazione delle norme sulle distanze tra le costruzioni, non puo’ essere accordata, perche’ estranea all’oggetto della sua domanda, la tutela di diritti di veduta e non puo’, pertanto, disporsi l’arretramento di una sopraelevazione per il mancato rispetto della distanza da tale veduta, invece che per il mancato rispetto della distanza tra costruzioni. E cio’ vale, evidentemente, anche nell’ipotesi inversa.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 10 gennaio 2019, n. 468

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17332-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata a (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) e rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati a (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) che, unitamente all’Avvocato (OMISSIS), li rappresenta e difende, anche disgiuntamente, per procura speciale in calce al controricorso

– controricorrenti –

nonche’

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 296/2013 della CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA, depositata il 30/7/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

lette le conclusioni con le quali il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FULVIO TRONCONE, ha concluso per l’infondatezza del primo motivo e per l’inammissibilita’ del secondo e del terzo.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), con citazione notificata il 18/4/1998, ha convenuto in giudizio, innanzi al pretore di Palmi, (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’attrice ha esposto:

– di essere comproprietaria di un immobile per civile abitazione sito a (OMISSIS), e, precisamente, dell’appartamento ubicato al primo piano, confinante, tra l’altro, con terreno condominiale;

– che dal titolo di acquisto emergeva che il terreno condominiale sarebbe stato destinato ad parcheggio delle autovetture e che agli acquirenti sarebbe stato attribuito un posto macchina;

– che l’appartamento sottostante, sito al piano terra, era di proprieta’ dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS);

– che negli ultimi giorni del mese di febbraio del 1995, (OMISSIS) ha eseguito opere e manufatti edilizi, ledendo i diritti dell’istante:

in particolare, a) aveva ampliato in lunghezza e per tutta la larghezza un locale ricompreso nell’unita’ abitativa e limitante con la corte comune, occupando una striscia di terreno condominiale e restringendo la superficie destinata a parcheggio comune;

b) aveva edificato in una striscia di terreno destinata quale corte esclusiva del proprio appartamento, un manufatto, realizzando un solaio in cemento armato su trave di coronamento, di ml. 4,90 di lunghezza e di ml. 4,90 di larghezza, in aderenza ad un balcone preesistente, ottenendo in tal modo un vano abitativo nella parte immediatamente sottostante al balcone dell’appartamento dell’istante;

– che per tale attivita’ edilizia, la (OMISSIS) era stata condannata dal pretore alla pena di un mese di arresto e di L. 8.000.000 di ammenda; che l’opera sub a) aveva occupato un’area condominiale, con la conseguente sottrazione della possibilita’ di godimento comune da parte dei singoli comunisti, in violazione dell’articolo 1102 c.c.;

– che l’opera sub b) viola la norma dell’articolo 907 c.c.;

– che, infine, (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari del lastrico solare del fabbricato, sul quale era stato realizzato un piano mansardato, avevano ritenuto, per l’allocazione delle grondaie e dei pluviali al servizio della propria unita’ abitativa, di attraversare la proprieta’ esclusiva dell’attrice, forandone i balconi.

L’attrice, quindi, ha chiesto che: accertata la natura condominiale del suolo oggetto dell’illecita occupazione da parte di (OMISSIS), fosse ordinata la demolizione dell’opera realizzata; accertata l’avvenuta costruzione ad opera della (OMISSIS) del manufatto a distanza non legale dalle vedute dell’immobile di proprieta’ dell’attrice, che fosse ordinata la demolizione dell’opera per la parte eccedente il limite di legge; accertata l’avvenuta allocazione sulla proprieta’ esclusiva dell’attrice delle pluviali di scarico delle acque meteoriche da parte del (OMISSIS) e della (OMISSIS), di ordinare la rimozione delle opere, con il risarcimento dei danni cagionati.

Si sono costituiti in giudizio tanto i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), quanto (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda proposta dall’attrice. Quest’ultimo, in via riconvenzionale, ha chiesto di costituire servitu’ di scarico coattivo, sul fondo di proprieta’ dell’attrice, ai sensi degli articoli 1033 e 1043 c.c..

(OMISSIS) e’ rimasta, invece, contumace.

Il tribunale, con sentenza del 24.29/3/2004, ha accolto le domande dell’attrice ed ha, per l’effetto, disposto la demolizione tanto della parte di garage costituente ampliamento dello stesso realizzata su terreno condominiale, quanto del vano abitativo con struttura in c.a., poggiante su quattro pilastrini di mt. 4,90 x mt. 4,90, meglio identificati nella consulenza tecnica in atti.

Il tribunale, poi, ha rigettato la domanda riconvenzionale di (OMISSIS) ed ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) al risarcimento del danno nei confronti dell’attrice, che ha quantificato in Euro 3.000,00, oltre interessi.

(OMISSIS) e (OMISSIS), con citazione notificata il 12/5/2005, hanno proposto appello, affidandolo a quattro motivi e chiedendo, in via preliminare, di dare atto dell’avvenuta demolizione della parte di garage costituente ampliamento dello stesso realizzata su terreno condominale, con la conseguente cessazione della materia del contendere, e di rigettare, per il resto, le domande dell’attrice o, in subordine, di ridurre l’ammontare del danno quantificato in primo grado, per difetto di prova.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo anche in proprio e gli altri tre quali eredi di (OMISSIS), si sono costituiti ed, in accoglimento dell’appello incidentale, hanno chiesto di condannare (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, oltre che di quelle dell’appello.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda ex articolo 907 c.c. e la domanda risarcitoria proposte da (OMISSIS), condannando quest’ultima al pagamento delle spese processuali nei confronti degli appellanti incidentali, quali eredi di (OMISSIS).

La corte, in particolare, esaminando l’appello principale proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS), ha ritenuto fondato il secondo ed il terzo motivo, con i quali gli appellanti hanno dedotto, in sostanza, che la fabbrica della (OMISSIS) non presenta alcuna delle caratteristiche necessarie per l’esercizio della veduta.

La corte, sul punto, dopo aver ricordato che, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’articolo 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli articoli 905 e 907 c.c. in tema di distanze, e’ necessario che le cd. “inspectio et prospectio in alienum”, vale a dire le possibilita’ di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodita’ e sicurezza, ha ritenuto che, nel caso in esame, deve escludersi l’esistenza della pretesa veduta dal balcone della (OMISSIS): tale balcone, infatti, ha osservato la corte, in quanto privo di parapetto, non consente una comoda e non pericolosa “inspectio”, “essendo manifestamente inidoneo a preservare l’eventuale osservatore dal pericolo di cadute”.

Del resto, ha aggiunto la corte, in tanto una veduta puo’ configurarsi, in quanto l’apertura, il terrazzo o il balcone da cui la stessa sia praticata, risultino, a norma dell’articolo 905 c.c., comma 2, muniti di parapetto idoneo a consentire di guardare e di mostrarsi senza esporsi a pericolo di cadute.

La corte, quindi, ha ritenuto che la pronuncia con la quale il tribunale ha accolto la domanda proposta ai sensi dell’articolo 907 c.c. dalla (OMISSIS) non fosse corretta ed ha, quindi, in accoglimento del secondo e del terzo motivo d’appello, rigettato la domanda medesima.

La corte, inoltre, ha ritenuto fondato anche il quarto ed ultimo motivo dell’appello principale, con il quale i coniugi (OMISSIS)-(OMISSIS) si erano doluti dell’accoglimento della domanda risarcitoria spiegata dall’attrice sul rilievo che l’appartamento dell’attrice non aveva subito danni in conseguenza dell’esecuzione delle opere.

La corte, sul punto, ha rilevato che i danni sarebbero astrattamente configurabili solo in rapporto all’occupazione del terreno condominiale determinata dall’ampliamento del vano garage, occupazione poi venuta mano a seguito dell’emissione della sentenza impugnata: solo che, ha aggiunto la corte, pur essendo stato accertato che tale occupazione abusiva si e’ protratta nel tempo, non vi sono elementi per affermare che essa fosse estesa al punto da impedire alla (OMISSIS), in quanto condomina, l’uso, anche solo potenziale, dell’area comune destinata a parcheggio, per cui, difettando la prova (ed, a monte, anche l’allegazione) di un concreto pregiudizio economico subito dalla (OMISSIS) a seguito della realizzazione dell’ampliamento del vano garage ed escluso che il danno fosse in re ipsa, nessuna somma doveva essere alla stessa liquidata a titolo risarcitorio.

La corte, quindi, ha ritenuto che la sentenza impugnata dovesse essere anche in tale parte riformata, con il rigetto della domanda di risarcimento dei danni spiegata dalla (OMISSIS).

La corte, infine, ha ritenuto parzialmente fondato l’unico motivo di appello incidentale con il quale (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono doluti della condanna del primo e di (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado. La corte, in particolare, ha ritenuto che la condanna nei confronti della (OMISSIS), rimasta contumace, al pagamento delle spese processuale fosse erronea, dato il rigetto della domanda spiegata nei suoi confronti.

La corte, invece, quanto a (OMISSIS), ha ritenuto che quest’ultimo, vittorioso rispetto alla domanda dell’attrice, e’ rimasto soccombente in relazione alla domanda riconvenzionale proposta, rigettata dal tribunale con statuizione divenuta definitiva.

Ne consegue, ha osservato la corte, che, avendo riguardo all’esito complessivo del giudizio tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS), si e’ determinata una situazione di soccombenza reciproca, che giustifica l’integrale compensazione tra i medesimi delle spese di lite.

La (OMISSIS), invece, dev’essere condannata a rimborsare agli appellanti incidentali, quali eredi di (OMISSIS), le spese dell’appello mentre nulla dev’essere disposto sulle spese di primo grado poiche’ la (OMISSIS), pur vittoriosa, e’ rimasta contumace.

(OMISSIS), con ricorso notificato il 26/6/2014, ha proposto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Hanno resistito, con controricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS).

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1102, 2697, 2043, 2056 e 1226 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), escludendo che il danno fosse in re ipsa, laddove, al contrario, il fatto illecito commesso dai convenuti, e cioe’ l’occupazione abusiva, protrattasi nel tempo, di una porzione di suolo condominiale, in violazione dell’articolo 1102 c.c., con la materiale realizzazione di un’opera, ha necessariamente inibito la naturale destinazione d’uso del bene ed ostacolato la libera fruibilita’ dell’area, in tal modo evidentemente interclusa, agli altri comproprietari e, quindi, alla (OMISSIS) la quale non ha avuto alcuna possibilita’ di servirsi, anche solo potenzialmente, dello spazio di proprieta’ condominiale.

Ne consegue che, a fronte dell’occupazione abusiva di un’area condominale, il danno e’ in re ipsa ed, in quanto tale, liquidabile senza una prova specifica a carico dell’istante circa l’effettivo pregiudizio subito che, nella specie, e’ configurabile nella semplice perdita di disponibilita’ del bene, anche solo potenziale.

2. Il motivo e’ infondato.

In materia di comunione, infatti, laddove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei comunisti della cosa comune in via esclusiva in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri comproprietari, il danno deve ritenersi “in re ipsa” (Cass. n. 11486 del 2010).

Nel caso di specie, la corte d’appello, con accertamento in fatto non suscettibile di sindacato in questa sede, ha ritenuto che, nel caso in esame, non vi fossero elementi per affermare che l’occupazione del suolo condominiale operata dai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) sia stata a tal punto estesa da impedire alla (OMISSIS), in quanto condomina, l’uso, anche solo potenziale, dell’area comune destinata a parcheggio.

Ed una volta escluso, in fatto, che l’occupazione, ancorche’ abusiva e protratta nel tempo, abbia effettivamente impedito alla (OMISSIS) l’uso della area comune, deve, per l’effetto, necessariamente escludersi la sussistenza di un danno risarcibile.

3.Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 900, 905 e 907 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di demolizione del manufatto realizzato in violazione delle distanze legali delle costruzioni dalle vedute sul rilievo che, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’articolo 900 c.c., conseguentemente soggetta alla regole di cui agli articoli 905 e 907 c.c. in tema di distanze, e’ necessario che le cd. “inspectio et prospectio in alienum”, vale a dire le possibilita’ di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodita’ e sicurezza, laddove, nella specie, il balcone della (OMISSIS), in quanto privo di parapetto, non consente una comoda e non pericolosa “inspectio”, “essendo manifestamente inidoneo a preservare l’eventuale osservatore dal pericolo di cadute”.

La corte d’appello, tuttavia, ha osservato la ricorrente, non ha sufficientemente approfondito i dati oggettivamente emersi dall’istruttoria del giudizio, operando una parziale ricostruzione dei fatti di causa ed analizzando in maniera acritica e superficiale lo stato dei luoghi, ed ha omesso, quindi, di esaminare gli elementi che avrebbero assunto un peso rilevante per la decisione e che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

Ed infatti, ha aggiunto la ricorrente, il balcone della (OMISSIS) era sprovvisto di parapetto semplicemente perche’ lo stesso, come emerge dai rilievi fotografici acquisiti in giudizio, era in fase di ultimazione, con la conseguente necessita’ di tener conto del naturale evolversi della situazione in atto.

La corte d’appello, quindi, oltre a violare le norme previste dagli articoli 900, 905 e 907 c.c., ha aggiunto la ricorrente, ha omesso di esaminare il fatto che l’ultimazione dei lavori relativi all’immobile dell’attrice avrebbe dovuto portare, secondo l’id quod plerumque accidit, alla realizzazione di un balcone, rispetto al quale la violazione delle distanze legali da parte degli appellanti risulta pacificamente acclarata.

4.Il motivo e’ infondato. Per configurarsi gli estremi di una veduta ai sensi dell’articolo 900 c.c., conseguentemente soggetta alla regole di cui ai successivi articoli 905 e 907, e’, infatti, necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilita’ di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodita’ e sicurezza (Cass. n. 18910 del 2012; Cass. n. 7267 del 2003). Nel caso di specie, la corte d’appello ha accertato, in fatto, con valutazione non sindacabile in questa sede, che il balcone della (OMISSIS), in quanto privo di parapetto, non consente una comoda e non pericolosa “inspectio”, “essendo manifestamente inidoneo a preservare l’eventuale osservatore dal pericolo di cadute”.

Ne’ rileva il fatto, che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, secondo il quale il balcone e’ privo di parapetto solo perche’ ancora in costruzione. La sentenza impugnata, in quanto depositata dopo l’11/9/2012, e’, infatti, assoggettata all’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza del giudice d’appello puo’ essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Ed e’ noto come, secondo le Sezioni Unite (Cass. n. 8053 del 2014), tale norma consente di denunciare in cassazione solo l’anomalia motivazionale che – relativamente al solo giudizio di fatto – si tramuta in una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile, tra l’altro, nelle ipotesi, che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza, in cui tale anomalia sia dedotta come omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017).

Il ricorrente, quindi, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve indicare non una questione o un punto della sentenza, quanto il “fatto storico”, principale ovvero secondario (cioe’ dedotto in funzione di prova di un fatto principale), il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

Nel caso in esame, invece, la ricorrente non ha chiarito, con la dovuta specificita’ e chiarezza, dove e quando abbia dedotto in giudizio il fatto il cui esame la corte d’appello avrebbe omesso, e cioe’ che il suo balcone era privo di parapetto solo perche’ ancora in costruzione.

5. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 873 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver escluso che il balcone, in aderenza al quale la controparte ha realizzato la struttura oggetto del gravame, non era identificabile come veduta, non lo ha qualificato, applicando il principio iura novit curia, come una parte integrante dell’unita’ abitativa, con la conseguente applicazione delle diverse norme in materia di distanze legali tra le costruzioni, previste dagli articoli 873 ss c.c., che la ricorrente ha invocato nel corso del giudizio.

6.Il motivo e’ infondato.

La disciplina di cui all’articolo 907 c.c., relativa alla distanza delle costruzioni dalle vedute, ha, infatti, natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quelli relativi alla disciplina di cui all’articolo 873 c.c. che regolamenta la distanza tra le costruzioni al diverso fine di evitare la formazione di intercapedini dannose, con la conseguenza che al proprietario che richieda in giudizio la tutela del suo dominio da abusi del vicino concretantisi in violazione delle norme sulle distanze tra le costruzioni, non puo’ essere accordata, perche’ estranea all’oggetto della sua domanda, la tutela di diritti di veduta e non puo’, pertanto, disporsi l’arretramento di una sopraelevazione per il mancato rispetto della distanza da tale veduta, invece che per il mancato rispetto della distanza tra costruzioni (Cass. n. 4087 del 2000; conf. Cass. n. 10622 del 2017; Cass. n. 16808 del 2016).

E cio’ vale, evidentemente, anche nell’ipotesi inversa, cui e’ riconducibile la fattispecie in esame.

7.Il ricorso dev’essere, dunque, rigettato.

8.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

9.La Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 2.900,00, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.