in tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d’ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta eccessività della penale stessa.Quanto ai criteri che il Giudice deve seguire nell’esercitare il potere di riduzione della penale, si osserva che, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 c.c., riferendosi all’interesse che il creditore “aveva” all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 c.c., impiegando il verbo “avere” all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto. Pertanto, la valutazione dell’interesse che la parte ha all’adempimento va riferita non tanto al momento in cui si è concluso il contratto cui accede, bensì a quello in cui viene chiesto il pagamento della penale, cosicché assume rilevanza in detta valutazione la sopravvenienza di fatti che riducano l’interesse del creditore o l’entità del pregiudizio che lo stesso subisce per effetto dell’ inadempimento.

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Corte d’Appello|Milano|Sezione 2|Civile|Sentenza|10 gennaio 2023| n. 24

Data udienza 29 novembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione seconda civile nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Maria Caterina Chiulli Presidente

dr. Gabriella Anna Maria Schiaffino Consigliere

dr. Cesira D’Anella Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 991/2022 promossa in grado d’appello

DA

(…) S.A.S. DI (…) & C. (C.F. (…)) ed (…) personalmente (C.F. (…)), con il patrocinio degli avv.ti (…) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in VIA (…) 27100 PAVIA, giusta procura speciale alle liti in atti

APPELLANTI

CONTRO

(…) S.R.L. (C.F. (…)), con il patrocinio degli avv.ti (…) ed elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale (…), giusta procura speciale alle liti in atti

APPELLATO

CONCLUSIONE DELLE PARTI

Per (…) e (…) S.A.S. DI (…) & C.

Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del presente ricorso, così provvedere:

IN VIA PREGIUDIZIALE, sospendere il presente procedimento ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sino all’esito del procedimento penale instauratosi innanzi al Tribunale di Pavia, Sez. Penale, nei confronti di (…) s.r.l., per i motivi esposti in narrativa, e, per l’effetto, pronunciare la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata e del decreto ingiuntivo n. 2306/2020 – Tribunale di Pavia e, conseguentemente, sospendere l’esecuzione di qualsivoglia procedura a cui sia dato corso;

– IN VIA PRELIMINARE, pronunciare la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata e del decreto ingiuntivo n. 2306/2020 – Tribunale di Pavia e, conseguentemente, sospendere l’esecuzione di qualsivoglia procedura a cui sia dato corso;

IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO, accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 180/2022, emessa dal Tribunale di Pavia, Giudice dott.ssa Cunati, nell’ambito del giudizio N.R.G. 578/2021, depositata in cancelleria in data 14.02.2022, accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure che qui si riportano:

“in via principale, (…) dichiarare nullo e comunque revocare, per tutti i motivi esposti, il decreto ingiuntivo telematico n. 2306/2020 emesso inter partes in data 15.12.2020 dall’intestato Tribunale, nell’ambito del procedimento monitorio recante RG n. 4968/2020, statuendo che il sig. (…), personalmente e in qualità di rappresentante legale pro tempore della società (…) S.A.S. di (…), nulla deve alla società (…) S.r.l., per i titoli dedotti e, conseguentemente, mandare assolti il sig. (…), personalmente, e la società (…) S.A.S. di (…) da ogni avversaria pretesa;

in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi in cui l’adito Tribunale ritenesse anche solo parzialmente fondata la pretesa creditoria spiegata dalla (…) S.r.l., ferma la revoca in toto del decreto opposto, accertare e dichiarare l’inefficacia della clausola contenuta nel punto 8 nell’Addendum del 17.05.2010 (sub doc. 2) poiché vessatoria e, per l’effetto, rapportare il dovuto alle sole somme che dovessero risultare effettivamente accertate in corso di causa, contenere l’onere di eventuali esborsi a carico delle parti attoree opponenti nei limiti del giusto e del provato (…)” e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellata dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto;

– IN OGNI CASO, con vittoria di spese e compensi oltre il rimborso forfettario per spese generali oltre IVA e CPA come per legge relativi ad entrambi i gradi di giudizio.

Per (…) S.R.L.

Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita,

– in via preliminare, dichiarare l’inammissibilità ex art. 348-bis c.p.c. dell’appello proposto dal sig. (…) e dalla (…) S.a.s. di (…) in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Pavia n. 180/2022, pubblicata il 14 febbraio 2022 e notificata il 21 febbraio 2022;

– in via cautelare, rigettare l’istanza di sospensione della sentenza impugnata, perché priva dei relativi presupposti;

– nel merito, rigettare l’appello proposto dal sig. (…) e dalla (…) S.a.s. di (…) in liquidazione, perché inammissibile e infondato in fatto e in diritto, e, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale di Pavia n. 180/2022, pubblicata il 14 febbraio 2022 e notificata il 21 febbraio 2022.

Con vittoria di competenze e spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato (…), in proprio e nella sua qualità di rappresentante legale pro tempore di (…) S.A.S. di (…) (nel prosieguo solo “(…)”) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2306/2020 – richiesto ed ottenuto da (…) s.r.l. (nel prosieguo solo “(…)”) – con cui il Tribunale di Pavia ingiungeva a (…) e (…) il pagamento di euro 365.960,00, a titolo di penale contrattuale per la mancata messa a disposizione di 52,28 ettari di materiale legnoso ricavabile dalla produzione generata da impianti forestali, rispetto al totale concordato pari a 97 ettari.

In particolare, l’attore deduceva che in data 26 febbraio 2010 (…) stipulava con (…) s.r.l. e (…) un contratto di fornitura con cui la prima si impegnava a trasferire a (…) materiale legnoso e (…) derivante da impianti forestali -aventi una estensione di 97 ettari – siti nel comune di Zerbolò (PV). Lo stesso precisava inoltre che il suddetto contratto prevedeva, da una parte, una stima di quantitativo atteso pari a 250 tonnellate per ettaro (quindi, 24.250 tonnellate) per il prezzo di euro 15,00 per tonnellata di prodotto, dall’altro, il diritto di (…) a subentrare al compratore (…) in caso di suo inadempimento agli obblighi contrattuali.

Parte attrice proseguiva affermando che, in data 17 maggio 2010, le parti sottoscrivevano un “Addendum” con cui concordavano, tra l’altro, il subentro di (…) nella posizione contrattuale di (…), nonché, in caso di inadempimento di (…), una penale di euro 7.000,00 per ogni ettaro di impianto non messo a disposizione di (…); precisava inoltre che quest’ultima, all’atto della suddetta sottoscrizione, corrispondeva a (…) l’importo complessivo di euro 58.200,00 (IVA inclusa), a titolo di acconto per la fornitura futura di biomassa derivante dagli impianti forestali. Rilevava poi che, nell’anno 2014, (…) cedeva a (…) 11.180 tonnellate di biomassa (pari alla produzione attesa per 44,72 ettari).

L’attore deduceva infine che, con comunicazione del 19 luglio 2019, veniva informato da (…) di essere intenzionata a procedere all’abbattimento e all’asporto di tutta la biomassa residua estraibile dagli impianti e che, a fronte del mancato riscontro, (…) gli comunicava che avrebbe agito per il riconoscimento della penale contrattualmente prevista.

Alla luce delle suddette premesse, parte attrice chiedeva di revocare il decreto ingiuntivo n. 2306/2020 sulla base di tre considerazioni: 1. gli impianti forestali oggetto di fornitura erano ancora nella disponibilità di (…); 2. il termine contrattuale previsto per la messa a disposizione del materiale non era ancora scaduto, essendo fissato per l’anno 2024, come previsto dalla normativa regionale; 3. la richiesta di emissione del decreto ingiuntivo non era stata preceduta da formale diffida.

Si costituiva in giudizio (…), eccependo la tardività dell’opposizione e contestando la fondatezza delle pretese avversarie; chiedeva, quindi, la conferma del decreto ingiuntivo opposto e, per l’effetto, la condanna di (…) al pagamento dell’importo di euro 365.960,00.

Con sentenza n. 180/2022, resa in data 9 febbraio 2022 e pubblicata il 14 febbraio 2022, il Tribunale di Pavia respingeva l’opposizione proposta da (…) e da (…) e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo n. 2306/2020, dichiarandolo definitivamente esecutivo. Il Giudice di prime cure, inoltre, condannava parte attrice a rimborsare a (…) le spese di lite liquidate in euro 15.478,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA come per legge e spese forfettarie nella misura del 15%.

Il Tribunale, in particolare, rilevava che, nelle diverse comunicazioni intercorse tra le parti in giudizio, (…) chiedeva a (…) di indicare la quantità di biomassa residua, di trasmettere il programma di taglio (così come previsto contrattualmente) e di fornire prova della disponibilità degli impianti. Tali richieste, tuttavia, non avevano avuto riscontro.

Con particolare riguardo al piano di taglio, osservava che esso era stato redatto e comunicato, a suo tempo, alla (…), ma poi non trasmesso a (…), nonostante la richiesta da parte di quest’ultima. In assenza di un programma di taglio, pertanto, la pretesa di (…) di procedere al taglio immediato della biomassa residua non poteva essere ritenuta né abusiva né contraria a buona fede.

Il Giudice di prime cure affermava, inoltre, che la suddetta pretesa trovava giustificazione anche nella mancata dimostrazione da parte di (…) del vincolo ventennale derivante dalla normativa regionale e, quindi, nel fatto che gli alberi fossero stati effettivamente piantumati nel 2004 e che sussistesse un obbligo di mantenimento sino al 2024, nonché nella mancanza di prova della circostanza che gli impianti oggetto di contratto fossero costituiti anche da piante di accompagnamento e che la biomassa ceduta a (…) nel 2014 derivasse dal taglio di dette piante.

Evidenziava, in ogni caso, che nell’Addendum le parti avevano stabilito, tra l’altro, il diritto di (…) di ottenere il taglio anticipato (totale o parziale) degli impianti.

Ciò posto, ravvisava nel caso di specie l’inadempimento contrattuale di (…) per la mancata messa a disposizione della biomassa residua da intendersi peraltro definitivo, tanto che dalla documentazione prodotta in giudizio emergeva che (…) si era obbligata a cedere la metà del materiale legnoso al proprietario dei terreni ove sorgeva l’impianto forestale ceduto da (…) a (…) e che il medesimo proprietario, a sua volta, aveva ceduto a terzi una parte della piantagione.

(…), personalmente e nella sua qualità di liquidatore di (…) in liquidazione proponeva appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati e concludeva chiedendo, in sua integrale riforma, l’accoglimento delle domande svolte nel giudizio di primo grado.

L’appellata (…) si costituiva in giudizio eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e concludendo, nel merito, per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza collegiale del 13 settembre 2022 la causa veniva posta in decisione sulle conclusioni in epigrafe specificate, previa assegnazione alle parti dei termini di giorni 50 per il deposito delle comparse conclusioni e 20 per le memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Parte appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il Giudice di prime cure ha ritenuto non provato che l’impianto forestale fosse stato piantumato nel 2004 e che debba essere mantenuto fino al 2024, in forza di un vincolo ventennale derivante dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Lombardia, né che l’impianto oggetto di taglio, nell’anno 2014, fosse composto da piante di accompagnamento.

L’appellante ha osservato, in senso contrario, che dalla documentazione prodotta nell’ambito del giudizio di primo grado risulta che la progettazione e la realizzazione degli impianti risalgono invero agli anni 2004-2005 e che dal suddetto Piano di Sviluppo Rurale si evince come gli impianti oggetto di contratto siano riconducibili alle tipologie di intervento denominate A e B, per le quali è previsto un obbligo di mantenimento ventennale (precisamente un divieto di taglio prima del 2024) e come gli stessi impianti siano costituiti anche da piante di accompagnamento.

Con il secondo motivo lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui afferma che, “in base alla documentazione prodotta, sembrerebbe che la prima ((…)) si sia impegnata a cedere la metà della produzione legnosa al soggetto proprietario dei terreni su cui insiste (l’azienda agricola (…)) e che quest’ultima, a sua volta, abbia ceduto parte della piantagione a terzi”, deducendo che al riguardo il Giudice di prime cure non avrebbe fornito motivazione alcuna.

Parte appellante ha censurato inoltre il provvedimento nella parte in cui rileva che dalla suddetta documentazione emerge altresì che il proprietario dei terreni sia rientrato nella disponibilità di detto impianto forestale ed abbia, a sua volta, ceduto a terzi (precisamente alla (…) s.p.a.) una parte della piantagione che, sulla base del contratto di fornitura del 26 febbraio 2010, rientra tra quelle costituenti i 97 ettari di impianto ceduti da (…) a (…).

Sul punto, parte appellante deduce che, successivamente alla sottoscrizione del contratto di fornitura e dell’Addendum, la situazione fattuale non ha subìto invece alcuna variazione e che (…), in particolare, non ha perduto la disponibilità dell’impianto.

Con il terzo motivo l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto tardive e inammissibili le domande di accertamento di inefficacia e/o vessatorietà della clausola penale contrattualmente pattuita e di risoluzione del contratto di fornitura per mancato rispetto degli obblighi di correttezza da parte di (…), in quanto formulate per la prima volta in sede di prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c. e, quindi, nuove ed ulteriori rispetto a quelle svolte nell’atto di citazione in opposizione.

Infine, con riguardo alla clausola penale contrattualmente fissata in euro 7.000,00 per ettaro di impianti forestali non messi a disposizione di (…), parte appellante formula domanda di riduzione del quantum della stessa, in quanto manifestamente eccessiva ai sensi dell’art. 1384 c.c.

Tutto ciò premesso, la Corte osserva quanto segue.

In limine., deve rilevarsi che l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. sollevata dall’appellata (…) debba ritenersi superata, avendo la Corte invitato le parti a precisare le conclusioni all’udienza del 13 settembre 2022.

Nel merito rileva la Corte che gli appellanti non hanno censurato la sentenza nella parte in cui il Giudice di prime cure ha accertato e dichiarato che “ad ogni modo le parti hanno stabilito nell’Addendum, il diritto di (…) di ottenere il taglio anticipato (parziale o totale) degli impianti, salvo il pagamento, a carico di quest’ultima, di eventuali penali previste dal PSR, mentre non sembra che un eventuale patto ad esso contrario possa essere ritenuto nullo. La mancata messa a disposizione della biomassa residua, nonostante i solleciti in tal senso, costituisce allora inadempimento di (…) agli obblighi assunti nei confronti di (…), da intendersi ormai definitivo” (pag. 6 della sentenza impugnata).

La mancata impugnazione del suddetto capo del provvedimento comporta acquiescenza alla statuizione non impugnata, secondo la previsione di cui all’art. 329, co. 2, c.p.c. e la formazione del giudicato interno, con conseguente preclusione per il Giudice dell’impugnazione di procedere ad un riesame della decisione sul capo non censurato. Nel caso di specie, pertanto, in assenza di impugnazione sul punto, deve ritenersi definitivamente accertato: (i) il diritto di (…) di procedere al taglio, anche anticipato, degli impianti forestali oggetto del contratto di fornitura; (ii) l’inadempimento di (…) all’obbligo di mettere a disposizione dell’appellata la biomassa residua; (iii) il diritto di (…) ad azionare la clausola penale contrattualmente prevista in caso di inadempimento.

Alla luce di quanto sopra, il passaggio in giudicato della statuizione sopra citata comporta l’inidoneità delle censure formulate dagli appellanti con il primo e il secondo motivo d’appello a determinare la riforma della sentenza, nella parte in cui il primo Giudice ha definitivamente accertato l’inadempimento di (…) alle obbligazioni assunte con l’Addendum, per non aver messo a disposizione di (…) la biomassa residua.

In ogni caso, tali censure sono infondate per le seguenti ragioni.

Quanto al primo motivo d’appello, si osserva che l’unico richiamo al Piano di Sviluppo Rurale è contenuto nell’Addendum del 17 maggio 2010 (doc. 2 di parte appellante) che si limita, da un lato, a specificare nelle premesse che “la biomassa di cui al Contratto di Fornitura deriva da impianti forestali di cui il Fornitore ha piena e libera disponibilità e per i quali ha ottenuto i benefici previsti da Piani di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Lombardia”, dall’altro, a stabilire l’obbligo per (…) di “concordare con (…) e/o con (…), entro 1 mese dalla firma di questo Addendum, un programma dei diradamenti intermedi sino all’ultimo taglio, nel rispetto delle disposizioni del Piano di Sviluppo Rurale”.

Da quanto sopra, dunque, emerge che il Piano di Sviluppo Rurale non costituisce affatto presupposto di validità e di efficacia né del contratto di fornitura né dell’Addendum.

Occorre inoltre considerare che l’osservanza delle prescrizioni contenute in detto Piano non è prevista a pena di nullità, in quanto tali disposizioni non hanno carattere imperativo.

Le Disposizioni Attuative del Piano di Sviluppo Rurale (doc. 9 di parte appellante) stabiliscono, infatti, (v. pag. 25, punto 11) che “nel caso in cui a seguito di un controllo (in fase istruttoria, in itinere o ex post), si evidenzi la mancata osservazione di impegni essenziali o accessori, l’Organismo Delegato pronuncia rispettivamente la decadenza totale o parziale della relativa domanda di contributo. Contestualmente, l’Organismo Delegato comunica la decadenza al richiedente o beneficiario e, ove necessario, avvia le procedure per il recupero delle somme indebitamente percepite”; mentre, nel caso di inosservanza delle disposizioni è prevista (v. pag. 31, punto 14) l’applicazione di sanzioni amministrative ai sensi della legge n. 898/1986.

L’eventuale violazione degli impegni stabiliti nel Piano in oggetto, dunque, comporta la decadenza dai benefici erogati e l’applicazione di sanzioni di natura amministrativa (1). Pertanto, trattandosi di disposizioni non aventi carattere imperativo, la loro violazione non comporta la caducazione delle clausole contenute nel contratto e nell’Addendum.

L’Addendum del 17 maggio 2010, inoltre, nel prevedere il diritto di (…) di ottenere il taglio anticipato, parziale o totale, degli impianti, fa salvo “il risarcimento di penali subite a fronte del PSR” (pag. 2, punto 7). Ciò significa che le stesse parti all’atto di stipulazione del suddetto Addendum avevano pattuito il pagamento a carico di (…) di eventuali penali, conformemente a quanto previsto dal Piano di Sviluppo Rurale.

Si osserva, in ogni caso, come ha già accertato il Giudice di prime cure, che dalla documentazione prodotta in giudizio non emerge la prova del fatto che l’impianto forestale sia stato piantumato nel 2004 e che esso debba essere mantenuto fino al 2024. In particolare alcun valore probatorio assume la perizia di parte prodotta dagli odierni appellanti (doc. 8), in conformità a quanto stabilito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio” (così Cass., Sez. Un., 3.6.2013, n. 13902; recentemente ribadito da Cass., Sez. II, 30.11.2020, n. 27297).

Gli altri documenti versati in giudizio (v. docc. 18, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 di parte appellante) inoltre, da un lato, riportano come data iniziale l’anno 2005 e non l’anno 2004, come asserito dagli appellanti; dall’altro non consentono di individuare i mappali che ne costituiscono oggetto.

La documentazione prodotta, poi, non è idonea nemmeno a fornire la prova del fatto che l’impianto forestale sarebbe stato sottoposto ad una diradazione parziale delle sole piante di accompagnamento nell’anno 2014, da cui sarebbe derivata la biomassa fornita all’appellata in tale anno, in quanto gli odierni appellanti fondano il loro assunto sulla base della perizia di parte sopra citata che, come precisato, non assume alcun valore probatorio.

Il Giudice di prime cure, dunque, ha correttamente accertato il difetto di prova in ordine alla piantumazione dell’impianto forestale nel 2004 e al suo mantenimento sino al 2024, nonché riguardo al fatto che sarebbero state abbattute e conferite a (…) soltanto le piante di accompagnamento.

Il secondo motivo di appello, con cui si censura la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha affermato che dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che (…) si sia obbligata a cedere la metà della produzione del materiale legnoso al proprietario dei terreni, ove sorge l’impianto forestale ceduto da (…) a (…) e che lo stesso proprietario, rientrato nella disponibilità di detto impianto, abbia rivenduto a terzi una parte della piantagione, oltre ad essere irrilevante, per le ragioni innanzi svolte, è infondato per i seguenti motivi.

Si rileva anzitutto che, in base agli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio, a fronte dell’eccezione di inadempimento di (…), grava su (…) fornire la prova di avere correttamente adempiuto a detto contratto. In tal senso si esprime il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento, deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento ovvero la non ancora avvenuta scadenza dell’obbligazione (così Cass., Sez. VI, 10.06.2021, n. 16324; in senso analogo, Cass., Sez. III, 18.02.2020, n. 3996; Cass., Sez. II, 16.07.2020, n. 20320).

Nel caso in esame l’appellante non ha dimostrato di aver correttamente adempiuto alle obbligazioni derivanti dal contratto di fornitura e, quindi, di avere la disponibilità degli impianti forestali oggetto di contratto.

Detto contratto, infatti, prevede all’art. 2 che “il Fornitore si impegna a vendere al Compratore che a sua volta si impegna ad acquistare tutto il materiale legnoso (piante in piedi) ricavato dall’intera produzione generata dagli impianti forestali indicati nell’allegato A e che si stima preliminarmente in totali 250 tonnellate/ettaro”. Allo stesso modo, con la sottoscrizione dell’Addendum, (…) si è impegnata ad “adempiere puntualmente alle obbligazioni assunte con il Contratto di Fornitura, destinando esclusivamente a (…) tutto il materiale legnoso oggetto del Contratto di Fornitura, per l’alimentazione della centrale di Olevano” (pag. 1, punto 3).

Ebbene, dalla documentazione prodotta dalle stesse parti appellanti emerge che (…), sebbene avesse l’obbligo di fornire a (…) tutto il materiale prodotto dagli impianti oggetto di contratto, poteva disporre soltanto della metà di tale legname, poiché la restante metà spettava all’azienda agricola proprietaria dei terreni, (…).

Ciò risulta, in particolare, dal contratto versato in atti (v. doc. 17, fascicolo appellante) stipulato in data 21 dicembre 2004 tra l’Azienda agricola (…) e la (…) s.r.l. (contratto nel quale era subentrata (…), v. doc. 28 di parte appellante) avente ad oggetto i medesimi impianti forestali del contratto intercorso tra (…) e (…) (2).

Con il suddetto accordo le parti hanno previsto che “la produzione di materiale legnoso ottenuta dalla coltivazione dei pioppi sarà equamente divisa tra la proprietà e la ditta (…) s.r.l. La ditta (…) s.r.l. a fronte di ciò si impegna ad effettuare le manutenzioni (potature, disinfestazioni e irrigazioni) dei pioppi ibridi impiantati a corredo dell’impianto di forestazione” (doc. 17, pag. 3, di parte appellante). Ciò significa, dunque, che (…) non può cedere a (…) tutto il materiale legnoso estraibile dagli impianti forestali, così come pattuito posto che, in forza del contratto con la proprietaria dei terreni, nel quale essa è subentrata, può disporre soltanto della metà della produzione legnosa.

Parte appellata, inoltre, ha fornito prova del fatto che l’Azienda agricola (…), titolare dei terreni ove sorge l’impianto forestale ceduto da (…) a (…), è rientrata nella disponibilità di detto impianto e che la stessa ne ha liberamente disposto. Si tratta precisamente del contratto stipulato il 30 novembre 2020, con cui la proprietaria dei terreni ha ceduto alla A. Brivio Compensati s.p.a. una parte della piantagione che, sulla base del contratto di fornitura, rientra tra i 97 ettari di impianto ceduti a (…) (doc. 19 dell’appellata).

È infondato il terzo motivo di appello, volto a censurare la sentenza nella parte in cui ha ritenuto tardive e inammissibili le domande di accertamento di inefficacia e/o vessatorietà della clausola penale, nonché di risoluzione del contratto di fornitura per mancato rispetto degli obblighi di correttezza da parte di (…), in quanto formulate per la prima volta in sede di prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c. Invero secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità “la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., co. 6, n. 1, consente all’attore di precisare e di modificare le domande già proposte, ma non di proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto, le quali vanno invece proposte a pena di decadenza entro la prima udienza di trattazione” (così Cass., Sez. VI, 26.11.2019, n. 30745; in modo analogo, Cass., Sez. I, 13.5.2013, n. 9880; Cass., Sez. I, 24.6.2013, n.25409; Cass., Sez. Un., 14.2.2011, n. 3567).

Nel caso di specie, pertanto, il Giudice di prime cure ha correttamente qualificato le domande di inefficacia della clausola penale e di risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento tardive ed inammissibili, perché nuove ed ulteriori rispetto a quelle formulate dagli appellanti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

Per quanto riguarda, infine, la domanda degli odierni appellanti di riduzione della clausola penale pattuita con la sottoscrizione dell’Addendum, si osserva quanto segue.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità “in tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d’ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta eccessività della penale stessa” (così, Cass., Sez. I, 19.7.2018, n. 19320; in modo analogo, Cass., Sez. III, 14.10.2011, n. 21297; Cass., Sez. III, 24.11.2007, n. 24458; Cass., Sez. III, 4.4.2003, n. 5324).

Quanto ai criteri che il Giudice deve seguire nell’esercitare il potere di riduzione della penale, si osserva che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è prevalente nel senso di ritenere che “Ai fini dell’esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 c.c., riferendosi all’interesse che il creditore “aveva” all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 c.c., impiegando il verbo “avere” all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto” (così, Cass., Sez. I, 6.12.2012, n. 21994). Secondo tale indirizzo, pertanto, la valutazione dell’interesse che la parte ha all’adempimento va riferita non tanto al momento in cui si è concluso il contratto cui accede, bensì a quello in cui viene chiesto il pagamento della penale, cosicché assume rilevanza in detta valutazione la sopravvenienza di fatti che riducano l’interesse del creditore o l’entità del pregiudizio che lo stesso subisce per effetto dell’ inadempimento.

Ebbene, con la sottoscrizione dell’Addendum, le parti hanno previsto l’obbligo in capo a (…) di corrispondere a (…), in caso di inadempimento agli impegni assunti con il contratto di fornitura e con lo stesso Addendum, “una penale pari ad euro 7.000,00 per ettaro di impianti forestali che non viene messo a completa disposizione di (…)” (punto 8).

Sulla base delle condizioni contenute nel contratto di fornitura emerge che il valore del materiale legnoso regolarmente conferito per ettaro risulta essere pari ad euro 3.750,00. Tale importo, precisamente, è il risultato di un calcolo matematico avente ad oggetto, pacificamente, i seguenti dati: estensione terreni in ettari pari a 97; tonnellate di materiale attese pari a 24.250; tonnellate di materiale attese per ettaro pari a 250; prezzo per tonnellata pari a 15,00.

Il quantum della clausola penale, dunque, risulta essere quasi il doppio rispetto al prezzo concordato per ogni singolo ettaro.

Ciò posto, tenuto conto per un verso che il contratto è stato già parzialmente eseguito, avendo (…) consegnato 11.180 tonnellate di biomassa e, per altro verso, dell’evidente squilibrio tra l’importo della penale rispetto all’interesse del creditore alla consegna della biomassa residua, questa Corte ritiene di procedere equamente alla riduzione dell’importo della clausola penale, fissandolo in euro 5.000,00 per ettaro di impianti forestali non messi a disposizione di (…).

Orbene, considerato che rispetto al totale concordato, pari a 97 ettari, (…) nell’anno 2014 ha ceduto all’odierna appellata 11.180 tonnellate di biomassa pari alla produzione attesa per 44,72 ettari e che gli ettari di impianto forestale non resi disponibili sono pari a 52,28, la clausola penale dovuta da (…) a (…) deve essere rideterminata in euro 261.400,00, anziché in euro 365.960,00.

Le considerazioni che precedono conducono, in riforma della sentenza impugnata, alla revoca del decreto ingiuntivo opposto e alla conseguente condanna di (…) e (…) S.a.s. di (…) in liquidazione, in solido tra loro, al pagamento in favore di (…) s.r.l. della minor somma di euro 261.400,00, a titolo di penale contrattuale, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.

Il pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio grava a carico degli appellanti, in considerazione della loro prevalente e sostanziale soccombenza. Tali spese sono liquidate come da dispositivo, in conformità ai parametri, aggiornati con D.M. 13 agosto 2022 n. 147, dal momento che l’attività difensiva si è conclusa il 22.11.2022 (alla scadenza del deposito delle memorie di replica) e quindi in data successiva all’entrata in vigore del D.M. n.147/2022 (23.10.2022). Tenuto conto del valore della domanda accolta e dell’attività processuale effettivamente prestata, le spese del giudizio di primo grado sono liquidate applicando i parametri minimi per la fase istruttoria (in quanto non sono stati ammessi mezzi di prova) e per quella decisionale (in quanto gli argomenti difensivi spesi hanno ripreso quelli già svolti negli atti introduttivi) e i valori medi per le altre fase; mentre le spese del giudizio d’appello sono liquidate secondo i valori medi, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria, assente nel grado.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza del Tribunale di Pavia n. 180/2022, resa in data 9 febbraio 2022 e pubblicata il 14 febbraio 2022, revoca il decreto ingiuntivo n. 2306/2020;

condanna (…) e (…) S.a.s. di (…) in liquidazione, in solido tra loro, al pagamento in favore di (…) s.r.l. dell’importo di euro 261.400,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;

condanna (…) e (…) S.a.s. di (…) in liquidazione, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali in favore dell’appellata liquidate, quanto al primo grado, in complessivi euro 14.170,00 oltre rimborso forfettario 15% spese generali, IVA e CPA come per legge e, quanto al secondo grado, in complessivi euro 14.239,00, oltre al rimborso 15% spese generali e agli accessori fiscali e previdenziali come per legge.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 29 novembre 2022

Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.

(1) Al riguardo, si nota che nell’ambito del giudizio di primo grado, in sede di seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., gli stessi appellanti hanno precisato che “In merito, senza voler ripeter quanto sostenuto in sede di atto introduttivo, che qui si deve intendere integralmente riportato, si evidenzia come il mancato rispetto delle prescrizioni ivi contenute, oltre all’irrogazione di sanzioni amministrativa, comporta la diminuzione o addirittura la sospensione dell’erogazione di contributi da parte di Regine Lombardia” (pag. 7).

(2) Tale circostanza è stata ammessa dalle stesse parti appellanti in sede di seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., secondo cui “trattasi di un contratto ((…)-(…)) avente ad oggetto i medesimi terreni oggi in questioni” (pag. 2).

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.