In materia di donazione, se il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 cod. civ.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, perché appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, infatti, dato comprendere quale effettiva differenza corra tra i “beni altrui” e quelli “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto, l’unico rilevante al fine di valutarne la conformità all’ordinamento. In sostanza, la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio.

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Eredità e successione ereditaria

Corte d’Appello Nuoro, civile Sentenza 4 ottobre 2018, n. 500

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI NUORO

SEZIONE CIVILE

in persona del dott. Daniele Dagna, in funzione di Giudice unico,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 122/2010 R.G. promossa da:

(…), C.F. (…), nata (…) il (…), (…), C.F. (…), nato a (…) il (…), (…), C.F. (…), nata a (…) il (…), (…), C.F. (…), nata a (…) il (…) e (…), (…), nato a (…) il (…), rappresentati e difesi dall’avv. RO.CA.

– attori –

contro

(…), C.F. (…), nata a O. il (…), (…), C.F. (…), nata a O. il (…) e (…), C.F. (…) nata a O. il (…), rappresentati e difesi dagli avv.ti GI.CH. e GI.DI.

– convenuti –

e contro

(…) ed altri.

– convenuti contumaci –

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Gli attori hanno citato in giudizio i convenuti indicati in intestazione svolgendo nei loro confronti le domande riportate in intestazione. A fondamento delle pretese avanzate hanno riferito di essere proprietari pro quota di un fondo sito in (…) distinto attualmente al mappale n. (…) del foglio (…) e costituente la metà di un fondo già distinto a catasto del Comune di Oliena al f. (…) mappale (…).

In ordine all’immobile oggetto di domanda hanno sostenuto di esserne stati al possesso sino al 2005, quando i convenuti li avevano estromessi erigendo attorno al fondo una rete metallica e installando un cancello presidiato da un lucchetto.

Gli attori hanno sostenuto di essere proprietari del fondo per averlo usucapito in ragione del possesso esercitato sul fondo in via esclusiva dal 1940 in poi, prima ad opera del loro padre e dante causa (…) e poi dagli attori personalmente.

Hanno altresì riferito che il fondo oggetto della presente controversia era stato a suo tempo inserito dagli odierni convenuti ed al tempo attori (ad eccezione di (…) – donataria dell’odierna convenuta (…) e figlia dell’altra convenuta (…)), tra i beni oggetto di una domanda di divisione proposta dinanzi al Tribunale di Nuoro (proc. iscritto ad R.G. 219/1967 e definito con sentenza 255/2005) riferita al patrimonio relitto di P.(…) (nato a (…) il (…) e ivi deceduto il 6.3.1944) e (…) (nata a O. il (…) e ivi deceduta il 15.8.1922), genitori di (…) (di cui sono figlie le convenute (…) e (…)), (…), (…) e (…) (di cui sono figli gli odierni attori).

In relazione a tale causa gli odierni attori hanno rilevato che le odierne convenute (…), all’epoca attrici, avevano sostenuto nell’atto di citazione che il fondo oggetto della presente azione era al possesso degli odierni attori e prima ancora del loro genitore sin dal 1939/40 in seguito ad una divisione bonaria operata tra i vari discendenti di (…) e (…). Hanno inoltre dedotto prova testimoniale a comprova del possesso esercitato negli anni e depositato documentazione.

2. I convenuti si sono costituiti chiedendo il rigetto delle avverse domande, eccependo la nullità per genericità della domanda attorea, eccependo la sussistenza di un precedente giudicato sulla domanda ove intesa quale domanda di usucapione derivante dall’esito del giudizio iscritto ad R.G. 219/1967, allegando che erano state le convenute e i loro danti causa ad avere il possesso del terreno oggetto di domanda e rilevando la validità ed efficacia della donazione intercorsa tra le convenute (…) e (…).

I convenuti hanno altresì spiegato domanda riconvenzionale di usucapione in via subordinata con riferimento all’intero mappale (…) del foglio (…).

In ordine al procedimento iscritto ad R.G. 219/1967 hanno osservato che la divisione bonaria cui avevano fatto riferimento gli attori aveva costituito in realtà una mera ipotesi di divisione a cui non si era mai addivenuti anche per l’ostinazione degli allora convenuti, che, nel costituirsi in quel giudizio, avevano sostenuto di avere posseduto per oltre trent’anni tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario.

Anche i convenuti hanno depositato documentazione e dedotto prova orale a sostegno delle loro tesi.

3. In corso di causa il giudice ha disposto l’integrazione del contraddittorio in relazione alla domanda di usucapione proposta in via riconvenzionale subordinata da parte delle convenute.

Le convenute e attrici in riconvenzionale hanno citato dunque in giudizio gli ulteriori convenuti indicati in intestazione, rimasti contumaci. A fronte dell’ordinanza del (…) del 9.7.2013 di rimessione in termini della parte convenuta attrice in riconvenzionale per procedere all’integrazione del contraddittorio anche nei confronti di (…) e degli eredi di (…) (integrazione già disposta con ordinanza a verbale del 16.6.2011), parte convenuta non ha tuttavia proceduto ad integrare il contraddittorio.

Per tale ragione, in applicazione del disposto dell’art. 270 c.p.c. si deve disporre la separazione della domanda riconvenzionale subordinata dal resto delle domande e contestualmente disporne la cancellazione dal ruolo. Merita notare, in proposito, che l’adozione di tale provvedimento è conseguenza obbligata del disposto degli articoli 270 e 107 c.p.c. e che l’ultimo articolo citato assegna al (…) un ampio potere discrezionale di ampliamento del contraddittorio, non limitato all’integrazione nei confronti dei litisconsorti necessari, ragione per la quale per procedere alla cancellazione dal ruolo della controversia è sufficiente riscontrare la mancata ottemperanza all’ordine pronunciato ai sensi dell’art. 107 c.p.c., senza necessità di altre indagini in ordine all’effettiva qualità degli ulteriori soggetti di cui è stata imposta la convocazione in giudizio (che nel caso, comunque, risultano identificati dalla stessa parte convenuta attrice in riconvenzionale).

Pur considerato che la domanda riconvenzionale non risulta trattata nelle difese conclusive delle convenute ed omessa dalle conclusioni ivi riportate, risulta comunque necessario assumere esplicita decisione sul punto perché la domanda è stata richiamata nelle conclusioni formulate all’udienza del 10.4.2018 mediante riferimento alle conclusioni rassegnate in comparsa di costituzione e risposta ed anche perché, se nei confronti di (…) e degli eredi di (…) la convocazione in giudizio non ha mai avuto luogo, nei confronti degli altri convenuti indicati in intestazione la stessa si è perfezionata, e si deve dunque definire, seppur in via di mero rito, la controversia nella quale sono stati coinvolti.

4. La causa è stata per il resto istruita a mezzo audizione di testimoni ed avviata a decisione nelle forme ordinarie.

5. L’eccezione d’indeterminatezza della domanda attorea sollevata da parte convenuta è infondata, atteso che la domanda spiegata in via principale dagli attori risulta agevolmente comprensibile ed identificabile quale domanda di rivendica fondata sul diritto di proprietà vantato dagli attori. In proposito gli stessi hanno indicato quale fonte del loro diritto tanto un acquisto a titolo originario maturato in capo a loro e al loro dante causa e comunque a loro per unione nel possesso, quanto la trasmissione del diritto a loro beneficio come è loro consentito fare, atteso che il diritto di proprietà appartiene alla categoria dei diritti autodeterminati.

6. L’eccezione di giudicato è parimenti infondata atteso che la sentenza 255/2005 (doc. 1 attoreo) resa nella controversia iscritta ad R.G. 219/1967 e nella quale gli odierni attori in rivendica avevano effettivamente spiegato eccezione di usucapione nei confronti degli odierni convenuti che a loro volta chiedevano la divisione del compendio ereditario, si limitò a rigettare la domanda degli allora attori per impossibilità d’identificare la massa di beni da dividere, osservando in motivazione che risultava irrilevante esaminare l’eccezione di usucapione sollevata dai convenuti e che la stessa non risultava comunque adeguatamente provata.

Il Tribunale non assunse dunque sull’eccezione spiegata alcuna decisione idonea ad assumere valore di giudicato, essendosi limitato a rigettare per altri motivi la domanda che l’eccezione tendeva a paralizzare (diversamente si sarebbe dovuto ragionare se il Tribunale avesse accolto la domanda attorea rigettando l’eccezione, ma così non è stato) ed esprimendo valutazioni circa la verosimile infondatezza dell’eccezione ai fini di rafforzare l’impianto motivazionale della decisione e di assumere determinazioni circa le spese di lite (in ordine alle quali, per altro, la motivazione risulta anche incentrata sull’inidoneità di una scrittura privata a fondare il diritto di proprietà esclusiva vantato dagli allora convenuti – cfr. sempre doc. 1 attoreo).

7. In relazione al merito della domanda di rivendica spiegata dagli attori si osserva, in via preliminare, che non risulta in contestazione nella presente controversia che il bene oggetto di domanda (ovverosia la metà dell’originario mappale (…) del foglio (…) oggi distinto a catasto come mappale (…)) appartenesse in origine a (…) ovvero al medesimo in comune con la moglie (…) (comunque entrambi genitori e danti causa dei diretti danti causa delle parti e cioè i fratelli (…) e (…)), né che il bene oggetto della presente azione sia lo stesso preso in considerazione nella controversia già pendente davanti al Tribunale di Nuoro iscritta ad R.G. 219/1967 e definita con sentenza 255/2005, né, ancora, che gli odierni attori siano successori universali di (…), nato a (…) il (…) e ivi deceduto il 22.4.1963.

Considerato il disposto degli articoli 1158 e 1146 c.c. spettava dunque agli attori dimostrare di aver esercitato sul fondo un possesso valido ad usucapire per almeno vent’anni personalmente o unendo il proprio possesso a quello del comune dante causa (…).

Risultano determinanti a questo proposito le affermazioni contenute nell’atto di citazione con cui fu introdotta la controversia iscritta ad R.G. 219/1967 (doc. 2 attoreo pp. 5,6 e 8), laddove si deduce che gli allora convenuti e odierni attori erano in quel momento al possesso di alcuni beni ereditari ed in particolare dell’1/2 del mappale (…) f. (…) sin dalla morte dell’originario dante causa (…), avvenuta nel 1944, in conseguenza dell’assegnazione effettuata mediante divisione amichevole alla morte del genitore e si chiede quindi la condanna dei convenuti odierni attori al rendiconto dei beni posseduti e alla restituzione di parte dei frutti.

Tali affermazioni sono contenute in un atto di citazione nella cui epigrafe si dà conto del rilascio della procura a margine dell’atto medesimo, con la conseguenza che le dichiarazioni in questione sono riconducibili direttamente alla parte e possono dunque assumere, secondo costante giurisprudenza, valore confessorio (cfr. sul punto Cass. civ. Sez. II, 01/12/1992, n. 12830: “Le dichiarazioni del difensore sfavorevoli al proprio assistito se inserite in atti non qualificabili di parte (quali le memorie illustrative, le comparse conclusionali e di replica) possono essere utilizzate come elementi indiziari, valutabili ai sensi e alle condizioni dell’art. 2729 c. c. , qualora siano contenute invece in atti di parte, recanti anche la sottoscrizione del diretto interessato (quali l’atto d’appello che reca la sottoscrizione della parte apposta in calce al mandato al difensore) esse hanno valore di confessione giudiziale, essendo qualificate dall’animus confitendi ed indirizzate alla controparte”).

La circostanza allegata dell’esercizio del possesso da parte dei convenuti e del loro dante causa non pare, sotto altro profilo e in ragione dei riferimenti contenuti nell’atto di citazione al godimento concreto dei beni, all’assegnazione mediante divisione amichevole, alla percezione esclusiva dei frutti, esclusivamente una qualificazione giuridica della situazione di fatto riconducibile al solo difensore, ma proprio un’allegazione della circostanza di fatto consistente nell’esercizio da parte degli allora convenuti del possesso in autonomia e in rispondenza alla divisione informale, sui beni specificamente assegnati mediante tale ripartizione, utile a dare fondamento alle domande di rendiconto e restituzione di frutti spiegate in quel giudizio.

A proposito dell’esercizio da parte degli allora convenuti e del loro dante causa di un possesso esercitato in corrispondenza all’assegnazione informale operata con la divisione amichevole, non risulta invece condivisibile quanto sostenuto dagli odierni convenuti e cioè che le affermazioni contenute all’epoca nell’atto di citazione fossero espressione di una mera ipotesi di divisione, rimasta inattuata per l’opposizione degli allora convenuti e odierni attori. Il tenore dell’atto di citazione del 1967 è infatti davvero inequivoco nel prospettare l’esistenza di una situazione di fatto corrispondente alla già avvenuta esecuzione della divisione informale e, del resto, le domande spiegate in quel giudizio dagli attori non avrebbero avuto senso se il possesso sulle differenti porzioni del compendio ereditario non fosse stato in concreto ripartito secondo quanto previsto dalla divisione amichevole.

Ne consegue che l’esercizio di un possesso da parte degli odierni attori e del loro dante causa tra il 1944 (anno della morte di (…)) e il 1967 (anno cui risale l’atto di citazione) sul bene oggetto della presente controversia si deve ritenere essere stato giudizialmente confessato dalle convenute mediante l’atto di citazione del 1967 e deve quindi ritenersi provato nei loro confronti alla luce del disposto dell’art. 2733 c.c.

In ordine alla posizione della convenuta (…), la confessione in questione non assume valore di piena prova ma esclusivamente di elemento liberamente apprezzabile dal giudice (cfr. in proposito Cass. civ. Sez. II, 01-04-2003, n. 4904: “Nel caso di successione nel diritto controverso a seguito di atto tra vivi, l’alienante che non viene estromesso ai sensi dell’art. 111 c.p.c. e il successore a titolo particolare mantengono entrambi la qualità di parte rispetto alla controversia avente ad oggetto il diritto trasferito; tuttavia, essendo dotati di piena autonomia processuale, la confessione prestata da uno soltanto di essi, mentre costituisce piena prova contro il dichiarante, non è opponibile all’altro nei cui confronti può assumere rilevanza solo quale indizio liberamente apprezzabile dal giudice.

Nella specie, la Cassazione ha affermato che l’alienante che non viene estromesso dal giudizio può rendere la confessione sui fatti riguardanti l’oggetto della causa, essendo compito del giudicante distinguere, ai fini della rilevanza probatoria delle sue dichiarazioni, tra gli effetti della prova piena opponibili solo al dichiarante e gli effetti indiziari opponibili, al pari degli altri elementi probatori, al successore a titolo particolare).

La confessione da parte della dante causa della convenuta (…) e dell’altra convenuta, in ragione anzitutto del tempo in cui fu compiuta (1967) e quindi della prossimità temporale al periodo cui la circostanza confessata faceva riferimento (gli anni immediatamente precedenti) assume comunque una notevole rilevanza anche quale elemento da valutare nel generale quadro probatorio, tenuto conto che le deposizioni rese in giudizio dai testi sono state fornite negli anni 2016 e 2017 e dunque oltre cinquant’anni dopo il periodo in questione, il che consente di attribuire superiore attendibilità alle affermazioni rese dalle odierne convenute all’epoca dei fatti e cioè in un momento in cui si può presumere che le stesse avessero ben presente la situazione di fatto.

Sono comunque stati sentiti alcuni testimoni che hanno confermato l’esercizio del potere di fatto sul fondo da parte degli attori e del loro dante causa negli anni oggetto della confessione e cioè: (…) con riferimento al possesso esercitato tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta e (…) con riferimento al possesso esercitato dalla metà degli anni quaranta in poi.

Tenuto conto di quanto riferito dalle testimoni appena menzionate, dell’assenza di deposizioni in senso contrario riferite al periodo oggetto della confessione, dell’assenza di elementi che facciano ritenere che le convenute all’epoca attrici avessero allegato circostanze inveritiere nella controversia introdotta nel 1967, nonché di quanto prima osservato, si deve quindi ritenere dimostrato l’esercizio del possesso anche in relazione alla posizione della convenuta (…).

Tale possesso, di durata ultraventennale, integra un possesso valido ad usucapire anche nei confronti dei coeredi, secondo quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione in casi simili: “Il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall’uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus.

Qualora, invece (come nella specie) il comproprietario – coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende, per tale via, a possedere (anche ai fini dell’usucapione) pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli de facto, senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un’interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi” (Cass. civ. Sez. II, 20/08/2002, n. 12260 ove, in motivazione, si osserva ulteriormente che: “In definitiva, ai fini della usucapione di bene comune deve tenersi distinta l’ipotesi in cui la res comune venga posseduta pro indiviso dai vari comunisti da quella in cui tra questi sia intervenuta una divisione di fatto della stessa res.

Nella prima, un condomino, onde poter usucapire il bene nella sua interezza o in misura maggiore rispetto alla sua quota di partecipazione deve iniziare un possesso esclusivo – pro suo o animo rem totam sibi habendi – su tutta la cosa comune o su una parte di essa più ampia di quella corrispondente alla di lui quota primitiva attraendola nell’orbita della propria disponibilità individuale per lo statutum tempus in modo incompatibile con la possibilità di godimento degli altri o di alcuni soltanto degli altri compossessori partecipanti alla comunione.

Nella seconda ipotesi, avendo già il condomino attribuito di fatto il bene o parte di esso in possesso esclusivo, è sufficiente che egli continui a esercitare il possesso in siffatta guisa per il tempo necessario all’usucapione, che al contrario sarebbe esclusa dalla manifestata volontà di possedere il bene medesimo non pro diviso et suo ma anche a vantaggio degli altri condomini (ad esempio dividendone i frutti con questi ultimi, richiedendo loro la partecipazione agli oneri rivenienti dalla manutenzione o rendendo il conto della gestione, ecc.).

Conseguentemente, il coerede che, a seguito di amichevole divisione tra i coeredi del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di un bene senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente a titolo esclusivo e può quindi usucapire il cespite senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un’interversione di fatto, cioè una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi).

Le considerazioni svolte dalla Corte risultano pienamente condivisibili tenuto conto che il possesso è in sé una situazione di fatto e che l’esistenza di una divisione concreta operata in via amichevole elimina l’ambiguità connaturata al godimento della cosa comune esercitato da parte di un comproprietario, consentendo di desumere dal suo comportamento anche l’elemento dell’intento di esercitare il potere di fatto in veste di unico proprietario e dunque di godere del bene quale vero e proprio possessore.

Nel caso di specie il possesso ultraventennale raggiunto mediante unione del possesso esercitato dal dante causa degli attori e in seguito da questi ultimi almeno sino al 1967 consente di ritenere perfezionato l’acquisto per usucapione in capo agli odierni attori già nell’anno 1964.

8. Considerato che il diritto di proprietà non si estingue con il decorrere del tempo e stante il ritenuto acquisto a titolo originario da parte degli attori della proprietà del terreno in un tempo obiettivamente risalente, occorre valutare se i convenuti non ne abbiano a loro volta usucapito la proprietà in un periodo successivo e questo perché, a prescindere dalla separazione e cancellazione dal ruolo della controversia attinente la domanda riconvenzionale di usucapione spiegata dalle convenute, si deve ritenere che le stesse abbiano comunque introdotto in giudizio un’eccezione di usucapione idonea a paralizzare, ove fondata, la domanda attorea.

L’eccezione di usucapione non è comunque fondata nel merito.

Le deposizioni testimoniali assunte in corso di causa non consentono di ritenere che le convenute abbiano esercitato sul fondo oggetto della domanda attorea un possesso corrispondente al diritto di proprietà se non dal 2005 o al più dall’anno 2000 (annualità alle quali si riferiscono rispettivamente l’installazione del cancello riferita dagli stessi attori e l’installazione di un altro cancello allegata dalle convenute e confermata dal teste (…) che tuttavia non è emerso se fosse idoneo a impedire l’accesso a tutto il fondo o solo ad una porzione dello stesso) e dunque per un periodo insufficiente a raggiungere il termine ventennale previsto dalla legge.

In ordine al periodo precedente, la genericità delle deposizioni (rese, tra l’altro, dai testimoni intimati da parte convenuta in risposta a domande riferite all’intero fondo distinto al mappale (…) f. (…) e non alla porzione oggetto della domanda attorea), e la contraddittorietà delle circostanze riferite impediscono di ritenere dimostrato l’esercizio del possesso da parte delle sole convenute.

Tra i testi uditi, infatti, (…) ha riferito in relazione agli anni ottanta, che erano state le attrici a consentire a lei e al marito di pascolare del bestiame sul terreno oggetto di causa e che questo era separato dalla porzione delle convenute da una linea di pietre, (…) nato nel (…) ha invece riferito di aver sempre visto le convenute sul terreno; (…) ha riferito di aver potuto parcheggiare il proprio trattore e ricoverare alcuni attrezzi nei pressi della casa della convenuta (…) con il suo permesso dal 1983 al 1990 (ma non pare che il luogo di ricovero si estendesse sino al mappale oggetto di causa essendo più verosimile che si trovasse nella metà di fondo pacificamente al possesso dei convenuti e cioè quella vicina alla casa); (…) ha riferito che il terreno era stato sempre utilizzato dagli attori e agli stessi era impossibile accedervi dal 2005, (…) ha riferito che il padre aveva avuto il permesso della convenuta (…) di tagliare l’erba in una parte del terreno, mentre le deposizioni di (…), (…) e (…) hanno fornito ulteriori contrastanti indicazioni in ordine al possesso del terreno e paiono davvero troppo generiche per trarne utili elementi ai fini della decisione.

Non è stato quindi dimostrato dalle convenute l’esercizio di un possesso valido ad usucapire per la durata di almeno vent’anni e l’eccezione dev’essere pertanto rigettata.

In definitiva l’azione di rivendica spiegata dagli attori dev’essere accolta con condanna delle convenute al rilascio del bene.

9. In ragione dell’acquisto da parte degli attori a titolo originario sin dagli anni sessanta del diritto di proprietà del bene, si deve inoltre dichiarare la nullità della donazione intercorsa tra le convenute (…) e (…), atteso che la stessa ebbe ad oggetto un bene parzialmente altrui senza che tale condizione proprietaria fosse indicata nell’atto, in adesione alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione che ha risolto nel 2016 il contrasto di giurisprudenza inerente la validità o meno delle donazioni di beni interamente o parzialmente altrui (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 15-03-2016, n. 5068:

“In materia di donazione, se il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 cod. civ.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, perché appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, infatti, dato comprendere quale effettiva differenza corra tra i “beni altrui” e quelli “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto, l’unico rilevante al fine di valutarne la conformità all’ordinamento. In sostanza, la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio.”

Ed in seguito in senso conforme Cass. civ. Sez. II, 05/01/2017, n. 144 “La donazione dispositiva di un bene altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi viziata da nullità rilevabile d’ufficio alla luce della complessiva disciplina dell’istituto ed, in particolare, dell’art. 771 c.c.”).

10. Gli attori hanno inoltre chiesto di condannare i convenuti al risarcimento del danno patito in conseguenza della sottrazione del bene e della apparente donazione dello stesso, danno identificato nella a privazione delle utilità dirette e indirette che dal bene avrebbero potuto ricavare anche attraverso atti di disposizione delle rispettive quote (cfr. citazione pag. 9).

In ordine al danno conseguente all’impossibilità di ricavare un utile dalla cessione del terreno, si deve osservare che gli attori non hanno fornito alcuna prova dell’esistenza di trattative volte a perfezionare la vendita del medesimo o alla presentazione di offerte di acquisto e neppure hanno espresso una stima del valore del bene, ragioni per le quali la domanda dev’essere rigettata avendo ad oggetto un danno meramente eventuale e comunque non quantificabile in assenza di allegazioni ed offerta di elementi utili a tal fine da parte degli attori.

In ordine al mancato godimento del fondo si deve fare applicazione della giurisprudenza secondo la quale: “Nella ipotesi di occupazione “sine titulo” di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del medesimo può definirsi “in re ipsa”, purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione” (Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 15/12/2016, n. 25898).

Nel caso di specie gli attori non hanno allegato le modalità mediante le quali avrebbero potuto godere o trarre frutti dall’immobile, né hanno fornito elementi dai quali sia possibile trarre la presunzione che l’immobile sarebbe stato concretamente goduto dagli attori o locato. Gli attori, anzi, risultano tutti risiedere a Nuoro e non a Oliena con conseguente inverosimiglianza del godimento in natura di un appezzamento di terreno inedificato nell’abitato di Oliena e non vi sono deposizioni che confermino un utilizzo o un godimento da parte degli stessi del fondo in prossimità dell’avvenuto impossessamento da parte delle convenute.

Ne consegue che non è possibile ritenere dimostrato che se gli attori avessero immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbero subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione.

La domanda risarcitoria va dunque rigettata.

11. Per il resto le richieste svolte dalle parti attengono all’esercizio di competenze spettanti ad uffici pubblici non coinvolti nel giudizio, il cui agire è regolato dalla legge e a cui non spetta al Tribunale impartire ordini laddove non previsto dalla legge stessa.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo misura intermedia tra i valori medi e massimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 per le cause di valore indeterminabile di fascia bassa, tenuto conto della prolungata attività defensionale esplicata e del verosimile, limitato, valore del fondo oggetto di domanda.

P.Q.M.

Il giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria domanda, istanza ed eccezione,

DISPONE la separazione della domanda riconvenzionale spiegata da parte convenuta dalla presente controversia iscritta ad R.G. 122/2010 e contestualmente dispone ai sensi dell’art. 270 secondo comma c.p.c. la cancellazione dal ruolo della causa separata.

In ordine alle domande ancora presenti nella causa iscritta ad R.G. 122/2010,

DICHIARA nulla la donazione intercorsa tra le convenute (…) e (…) il 02.08.2005, numero di repertorio (…) notaio rogante Dr. G.R., presentazione n.9 del 31.08.2005, presso la Agenzia del Territorio di Nuoro, Ufficio Provinciale di Nuoro, Servizio di Pubblicità Immobiliare, registro generale n.9310, registro particolare n.6354;

DICHIARA (…), nata O. il (…), (…), nato a O. il (…), (…), nata a O. il (…), (…), nata a O. il (…) e (…), nato a O. il (…), per le quote di 1/5 ciascuno, comproprietari del lotto di terreno sito nell’abitato di Oliena, contraddistinto nel NCEU di detto Comune censuario, dal Foglio n.(…), Mappale n. (…), di complessive are 05 ca 62, confinante da un lato con Via (…), su quello opposto con (…), da un altro in direzione Nuoro, con proprietà di Corrias, (…), (…) e fabbricato rurale (mappale n.(…)) di mq. (…), di proprietà eredi (…), da quello opposto, con restante parte del mappale n. (…) (ora mappale (…)) e mappale n.(…) per averlo acquistato per usucapione;

CONDANNA le convenute al rilascio del bene appena indicato in favore degli attori;

RIGETTA ogni altra domanda.

Condanna le convenute in solido a rimborsare agli attori in solido le spese di lite, che liquida in Euro 376,28 per esborsi ed Euro 5.500,00 per onorari oltre 15% per rimborso spese generali, CPA e IVA come per legge.

Così deciso in Nuoro il 4 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.