il danno biologico, che si assuma effetto della durata del processo, non puo’ ritenersi presuntivamente sussistente come voce autonoma (ed ulteriore) rispetto al patema d’animo e alla sofferenza morale normalmente insiti nell’accertamento che il processo non si e’ concluso entro un lasso di tempo fisiologico, essendo necessaria la prova dell’esistenza del pregiudizio alla salute e del nesso di causalita’ con l’irragionevole durata del processo.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23565

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29247/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS).

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Venezia n. 3415/2017, depositato in data 2.10.2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.7.2018 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, adita con opposizione L. n. 89 del 2001, ex articolo 5 ter, ha confermato il Decreto n. 1913 del 2017, con cui era stata respinta la domanda di equo indennizzo proposta dal ricorrente, in relazione alla durata del giudizio penale conclusosi nel 2016 con pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

La pronuncia impugnata ha rilevato che l’opponente non aveva fornito prova della sussistenza del danno e che, pur essendo egli affetto di disturbo schizoide della personalita’ sin dall’infanzia, non era dimostrato che il protrarsi del processo avesse determinato o aggravato la suddetta patologia.

Per la cassazione di questa decisione, (OMISSIS) ha proposto ricorso in quattro motivi, illustrati con memoria.

Il Ministero della giustizia ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il controricorso e’ tardivo, essendo stato notificato in data 30.5.2018, oltre il termine di cui all’articolo 370 c.p.c., comma 1, decorrente dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso.

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2 sexies, lettera a), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, la disposizione non e’ applicabile alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali che, al momento della entrata in vigore della norma, gia’ avevano superato la durata ragionevole.

Il motivo e’ infondato.

L’articolo 2, comma 2 sexies, lettera a), (nella formulazione vigente ratione temporis), e’ stato introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012 e, per espressa previsione dell’articolo 55, comma 2, e’ applicabile ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della Legge di Conversione n. 143 del 2012.

Peraltro, la disposizione si e’ limitata a introdurre una presunzione relativa di insussistenza del danno cagionato dall’irragionevole durata del processo, ponendosi comunque in sostanziale continuita’ con i precedenti orientamenti di questa Corte circa la necessita’ di valutare – anche in caso di pronuncia di estinzione del reato per prescrizione – la concreta sussistenza del pregiudizio sulla base delle risultanze di causa (Cass. 11841/2016; Cass. 18489/2014).

Non sono invocabili i precedenti di questa Corte richiamati in ricorso, poiche’ relativi alla diversa ipotesi, regolata dalla L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2 quinquies, lettera e).

Difatti, solo con riferimento ai procedimenti penali che alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 83 del 2012, avessero gia’ superato la durata ragionevole, restava concretamente inapplicabile la disposizione che richiedeva la presentazione dell’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima dal decorso dei termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis, in mancanza di una specifica norma transitoria.

3. Il secondo motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., articolo 2059 c.c. e L. n. 89 del 2001, articolo 2, sostenendo che la domanda era volta ad ottenere l’equo indennizzo per tutti i danni provocati dall’irragionevole durata del processo, mentre il giudice si sarebbe pronunciato solo su quelli connessi alla patologia da cui era affetto il ricorrente, negando peraltro che, in tema di equa riparazione, il danno costituisca conseguenza normale dell’eccessivo protrarsi del processo presupposto.

Il motivo e’ infondato.

Va anzitutto precisato che l’omessa pronuncia su una specifica domanda o eccezione (o su un motivo di appello), puo’ integrare la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e non gia’ l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto l’omissione denunciata interessa la specifica domanda introdotta in giudizio, sicche’, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito con L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 22759/2014).

Dopo le modifiche dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi della totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, ove la pronuncia manchi completamente di qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’articolo 360 c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

In ogni caso, quanto alla violazione dell’articolo 112 c.p.c., la Corte distrettuale ha esplicitamente escluso che il ricorrente avesse offerto elementi utili a superare la presunzione di insussistenza del danno prevista dalla L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2 sexies, con statuizione comportante – per implicito – il rigetto di tutte le istanze formulate in giudizio.

Difatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma e’ necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: cio’ non si verifica quando la decisione comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti, come nel caso in esame, incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 24155/2017; Cass. 17956/2015; Cass. 20311/2011)

Neppure si configura la violazione dell’articolo 115 c.p.c., poiche’ la norma non e’ invocabile per censurare la decisione nel punto in cui ha escluso la sussistenza della prova del pregiudizio, trattandosi di apprezzamento di merito sindacabile per vizi di motivazione (nei limiti in cui ne e’ attualmente consentito lo scrutinio), potendo configurarsi la dedotta violazione di legge non allorche’ si alleghi una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di sua iniziativa al di fuori dei limiti in cui gli sono attribuiti poteri officiosi di indagine (Cass. 27000/2016; Cass. 13960/2014).

3.1. La pronuncia non ha affatto negato che il danno non patrimoniale costituisca una conseguenza normale dell’irragionevole durata del processo, essendosi limitata a stabilire che, nel caso concreto, non era stata superata la presunzione di insussistenza del pregiudizio (L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2 quinquies), con statuizione che – quindi – non implica alcuna enunciazione in diritto suscettibile di integrare la denunciata violazione.

4. Il terzo motivo censura la violazione dell’articolo 115 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la pronuncia escluso che la pendenza del processo avesse determinato un aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente, pur trattandosi di dato di comune esperienza di cui il giudice di merito avrebbe dovuto tenerne conto. Il quarto motivo censura la violazione degli articolo 2043, 2059 c.c., articoli 40, 41 c.p. e della L. n. 89 del 2001, articolo 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte escluso la dipendenza delle patologie dalla durata del processo, non applicando il criterio causale della preponderanza dell’evidenza probatoria su base probabilistica. I due motivi, che sono suscettibili di esame congiunto, sono infondati.

Occorre premettere che il danno biologico, che si assuma effetto della durata del processo, non puo’ ritenersi presuntivamente sussistente come voce autonoma (ed ulteriore) rispetto al patema d’animo e alla sofferenza morale normalmente insiti nell’accertamento che il processo non si e’ concluso entro un lasso di tempo fisiologico, essendo necessaria la prova dell’esistenza del pregiudizio alla salute e del nesso di causalita’ con l’irragionevole durata del processo (Cass. 14636/2012; Cass. 6297/2007; Cass. 26969/2016).

Nel caso in esame, la pronuncia ha dato atto che il ricorrente era affetto da disturbi schizoidi sin dall’eta’ evolutiva (e quindi da epoca ampiamente precedente all’instaurazione, nel 2001, del procedimento penale conclusosi con la pronuncia di estinzione del reato), che egli era stato sottoposto a tre ricoveri nel 2001 e che inoltre – la persistenza di tali patologie era stata certificata nel 2014. In tale contesto, caratterizzato anzitutto dalla preesistenza dei disturbi psichici rispetto alla pendenza del processo oltre che dall’assenza di concreti elementi di correlazione eziologica tra il processo e l’aggravamento delle patologie, il nesso di causalita’ e’ stato escluso sulla base della valutazione in fatto delle acquisizioni processuali, dato che nessuno dei certificati consentiva di ricondurre l’insorgenza delle patologie o il loro aggravamento allo stato di turbamento provocato dalla durata del processo penale.

La sussistenza del pregiudizio alla salute non poteva desumersi da astratti criteri di regolarita’ causale su base probabilistica, smentiti, nello specifico, dalle concrete evidenze di causa.

Il ricorso e’ quindi respinto.

Nulla per le spese, stante la tardivita’ del controricorso.

Non sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente e’ tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, essendo il presente giudizio esente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

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Avv. Umberto Davide

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