Trattandosi, invero, di scritto recante un’intervista, il parametro alla stregua del quale valutare la sussistenza (o meno) della scriminante dell’esercizio del diritto, ex articolo 51 c.p., risulta quello tipico del diritto di cronaca, e non di critica, in quanto la “notizia” di interesse pubblico si identifica nella stessa dichiarazione del terzo”, spettando, peraltro, in tali ipotesi al giudice di merito valutare, caso per caso, in ragione della qualita’ dei soggetti coinvolti, della materia e del contesto della discussione, la prevalenza di tale interesse sul diritto del singolo alla tutela dell’onore e della reputazione, nonche’ verificare la circostanza che, di quanto riferito dal giornalista, fosse ben chiara al lettore la natura di opinioni e dichiarazioni di terzi, e non di verita’ obiettive.

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|26 settembre 2019| n. 23974

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27305-2016 proposto da:

(OMISSIS) SPA DIVISIONE NORD EST, in persona del Consigliere Delegato e legale rappresentante (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato E (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1229/2015 del TRIBUNALE di UDINE, depositata il 16/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”), quale societa’ incorporante la societa’ (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”), ricorrono sulla base di tre motivi – ex articolo 348-ter c.p.c., comma 3, – per la cassazione della sentenza n. 1229/15, del 16 settembre 2015, del Tribunale di Udine (gia’ oggetto di gravame da essi esperito e dichiarato inammissibile, per mancanza di ragionevole probabilita’ di accoglimento ai sensi dell’articolo 348-bis c.p.c., dalla Corte di Appello di Trieste, con ordinanza n. 1322/16, del 19 settembre 2016), sentenza che, in accoglimento della domanda risarcitoria proposta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha riconosciuto il (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) responsabili dei danni non patrimoniali ad essi cagionati, condannando il primo a pagare a ciascuno degli attori l’importo di Euro 2.000,00, limitando invece ad Euro 1.000,00 la somma dovuta ad ognuno, per lo stesso titolo, dalla seconda.

2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di essere stati convenuti in giudizio, nelle rispettive qualita’, il (OMISSIS), di autore dell’articolo apparso sul quotidiano “(OMISSIS)” il (OMISSIS), intitolato “(OMISSIS).

Assumevano gli attori di essere stati diffamati dall’articolo, data la loro qualita’ di compartecipi nell’associazione temporanea di professionisti resasi aggiudicataria, nei confronti del Comune di Udine, dei lavori comportanti interventi edilizi di ristrutturazione della “(OMISSIS)”. Nello scritto, infatti, si raccoglievano le dichiarazioni rese dal Presidente della locale sezione dell’associazione ” (OMISSIS)”, affermandosi, in particolare, che la stessa non aveva “paura a definire “fuori legge”” gli interventi, ai quali venivano riferiti anche gli appellativi di “fortemente inadeguati “demenziale””.

A sostegno della loro richiesta gli attori deducevano che, in sede penale, il (OMISSIS) era stato assolto dall’imputazione di diffamazione a mezzo stampa, ma cio’ unicamente per assenza di prova sufficiente circa il fatto che egli avesse effettivamente pronunciato le espressioni offensive attribuitegli.

Si costituiva in giudizio soltanto la societa’ (OMISSIS), la quale, oltre ad eccepire l’inutilizzabilita’ degli atti del procedimento penale, deduceva che le dichiarazioni presenti nel testo dell’articolo riproducevano fedelmente quelle rese dall’intervistato e riferibili esclusivamente ad ” (OMISSIS)”, non senza, comunque, rilevare come destinataria delle critiche fosse l’amministrazione comunale e non certo i professionisti incaricati dell’intervento, neppure citati, trattandosi, in ogni caso, di giudizi critici legittimamente espressi nel contesto di un dibattito politico riguardante l’esecuzione di un’opera pubblica.

Ritenuta fondata la domanda attorea, il primo giudice condannava i convenuti al risarcimento del danno nella misura gia’ sopra indicata, pervenendo a tale conclusione sul rilievo che la verifica della legittimita’ dello scritto dovesse compiersi sulla base dei soli criteri del diritto di cronaca. Pertanto, riconosciuti sussistenti i requisiti della verita’ del narrato e dell’interesse pubblico alla divulgazione della notizia, ma non quello della continenza espressiva, poiche’ sarebbe stato dovere del giornalista non riportare le espressioni “fuori legge” e “demenziale”, il Tribunale di Udine riconosceva il diritto degli attori a vedersi risarcire il danno cagionato alla loro reputazione.

Proposto gravame, oltre che dalla societa’ (OMISSIS), anche dal (OMISSIS), la Corte giuliana dichiarava lo stesso inammissibile, come rilevato in premessa, in assenza di ragionevole probabilita’ di accoglimento.

3. Avverso la decisione del Tribunale di Udine hanno proposto ricorso per cassazione la societa’ (OMISSIS) e il (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 Cost., nonche’ degli articoli 51 e 595 c.p., oltre che degli articoli 2043 e 2059 c.c., “sub specie” di “mancata valutazione dello scritto secondo i canoni del diritto di critica, nel caso politica”.

Si censura la sentenza impugnata perche’, nel valutare il superamento dei limiti scriminanti la condotta diffamatoria, risulta averli “parametrati all’esercizio del diritto di cronaca, anziche’ a quello del (diverso) diritto di critica”. Quest’ultimo, infatti, puo’ essere esercitato anche attraverso l’impiego di espressioni particolarmente pungenti ed incisive, sempre che le stesse siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dal comportamento preso di mira, senza risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva della reputazione del soggetto interessato. Orbene, valutato alla luce di tali parametri, il contenuto dell’articolo non potrebbe ritenersi diffamatorio, visto che le parole negative del rappresentante locale di una nota associazione ambientalista riguardavano un argomento di rilevanza pubblica, gia’ oggetto di polemica politica.

Erronea, inoltre, sarebbe l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui l’assenza, tra le parti del giudizio, di colui che “ha pronunciato le frasi, ritenute diffamatorie successivamente pubblicate”, impedirebbe, nei confronti dei soggetti convenuti, l’applicazione dei criteri del diritto di critica, per valutare la continenza espressiva delle frasi utilizzate. Sebbene, infatti, sussista una responsabilita’ risarcitoria solidale tra chi espone un giudizio negativo e chi fedelmente lo riporta, e cio’ a mente degli articoli 1292 e 2055 c.c., deve escludersi, nel caso di specie, la sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, sicche’ gli effetti, nei riguardi dell’autore delle frasi, della pronuncia emessa sarebbero regolati dall’articolo 1306 c.c.

3.2. Il secondo motivo – sempre proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza nuovamente violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 Cost., nonche’ degli articoli 51 e 595 c.p., oltre che degli articoli 2043 e 2059 c.c., “sub specie” di “mancato riconoscimento dell’esimente del legittimo diritto di cronaca in caso di intervista”.

Si censura la sentenza impugnata laddove addebita al (OMISSIS), e di riflesso alla societa’ editrice (oggi (OMISSIS)), la responsabilita’ per non avere espunto dal testo dell’articolo le espressioni “fuori legge” e “demenziale”, e dunque per non aver cercato di trasmettere il pensiero espresso dal (OMISSIS) “con moderazione, misura e proporzione”. Il Tribunale di Udine, in questo modo, avrebbe disatteso il principio secondo cui, allorche’ il giornalista si limiti a riportare correttamente le dichiarazioni del soggetto intervistato, a prescindere dal loro contenuto, rispetta il principio di continenza quando quelle dichiarazioni, per il tema o per i suoi protagonisti, assumono un apprezzabile rilievo nella vita pubblica e sociale della collettivita’, ancorche’ solo a livello locale. La sentenza, per contro, avrebbe fatto carico, al giornalista, contravvenendo a quelli che sono i principi affermati dalle Sezioni Unite penali di questa Corte (e’ citata Cass. Sez. Un. Pen., sent. dep. 16 ottobre 2001, n. 37140), di “purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive”.

3.3. Il terzo motivo – anch’esso formulato ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – assume violazione e falsa applicazione della L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 11 nonche’ degli articoli 51 e 595 c.p., oltre che degli articoli 2043 e 2059 c.c., “per aver condannato l’editore al risarcimento del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa senza vincolo di solidarieta’ con gli autori del reato”.

Sul presupposto che quella prevista dalla L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 11 e’ una responsabilita’, dell’editore, indiretta e solidale, i ricorrenti si dolgono del fatto che nulla venga detto, nella parte motiva della sentenza, sulle ragioni che potrebbero sostenere un’autonoma responsabilita’ della societa’ editrice (oggi (OMISSIS)), condannata a risarcire il danno in misura doppia rispetto a quella prevista per l’autore dell’articolo.

4. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (ma non anche (OMISSIS)) hanno resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilita’ ovvero, in subordine, di infondatezza.

Sul presupposto di essere risultati vittoriosi, sia all’esito del primo grado di giudizio che di quello di appello, e dunque impossibilitati a far valere, se non nelle forme della riproposizione ex articolo 346 c.p.c., le eccezioni e difese gia’ svolte in primo grado, i controricorrenti contestano l’affermazione relativa alla inutilizzabilita’ nella presente causa civile degli atti del processo penale a carico del (OMISSIS), nonche’ delle deposizioni rese, in sede civile, da costui e dal teste (OMISSIS), soggetti rispetto ai quali non sussisterebbe alcuna incapacita’ a testimoniare. Sulla base di tale materiale probatorio emergerebbe, pertanto, che, ad essere intervistato dal (OMISSIS), non fu il (OMISSIS) ma il (OMISSIS), ed inoltre che il contenuto dell’intervista fu oggetto, almeno in parte, di un intervento manipolativo del giornalista, il quale, lungi “dal vestire gli abiti di fedele “nuncius” del pensiero di ” (OMISSIS)”, aggiunse di propria iniziativa, evidentemente per enfatizzare il giudizio negativo espresso, proprio le espressioni maggiormente offensive”, delle quali il (OMISSIS) avrebbe chiesto, oltretutto, l’eliminazione.

Alla luce, pertanto, di tali emergenze probatorie risulterebbe del tutto corretta la decisione del Tribunale di Udine di escludere che l’autore dell’articolo abbia rispettato il criterio della continenza formale.

In ogni caso, i controricorrenti deducono l’inammissibilita’ dei tre motivi di ricorso, poiche’ essi, pur all’apparenza deducendo vizi di violazione di legge, si risolverebbero in un tentativo di devolvere a questa Corte, inammissibilmente, un rinnovato giudizio sul merito della controversia.

5. Hanno presentato memoria i controricorrenti, insistendo nelle proprie argomentazioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, sebbene solo in relazione al suo terzo motivo.

6.1. Il primo motivo, infatti, non e’ fondato.

6.1.1. “In limine” occorre muovere dalla constatazione che costituisce consolidato principio, enunciato da questa Corte, quello secondo cui, “in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimita’ se sorretti da argomentata motivazione” (cosi’, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 14 marzo 2018, n. 6133, Rv. 648418-01; in senso conforme, tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, ord. 30 maggio 2017, n. 13520, non massimata sul punto; Cass. Sez. 3, sent. 27 luglio 2015, n. 15759, non massimata, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 80, Rv. 621133-01).

Di conseguenza, il “controllo affidato al giudice di legittimita’ e’ dunque limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicita’ dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonche’ al sindacato della congruita’ e logicita’ della motivazione, secondo la previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile “ratione temporis””, mentre resta “del tutto estraneo al giudizio di legittimita’ l’accertamento relativo alla capacita’ diffamatoria delle espressioni in contestazione, non potendo la Corte di cassazione sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito in ordine a tale accertamento” (cosi’, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 6133 del 2018, cit.).

Orbene, nel caso di specie, escluso che questa Corte possa come detto – autonomamente valutare la portata diffamatoria, o meno, delle espressioni presenti nell’articolo per cui e’ giudizio, deve rilevarsi come la “prospettiva” assunta dal Tribunale di Udine nel valutare la sussistenza dell’illecito a carico del giornalista (e della societa’ proprietaria ed editrice della testata) risulti corretta, donde la non fondatezza del primo motivo di ricorso.

Trattandosi, invero, di scritto recante un’intervista, il parametro alla stregua del quale valutare la sussistenza (o meno) della scriminante dell’esercizio del diritto, ex articolo 51 c.p., risulta quello tipico del diritto di cronaca, e non di critica, in quanto “la “notizia” di interesse pubblico si identifica nella stessa dichiarazione del terzo”, spettando, peraltro, in tali ipotesi “al giudice di merito valutare, caso per caso, in ragione della qualita’ dei soggetti coinvolti, della materia e del contesto della discussione, la prevalenza di tale interesse sul diritto del singolo alla tutela dell’onore e della reputazione, nonche’ verificare la circostanza che, di quanto riferito dal giornalista, fosse ben chiara al lettore la natura di opinioni e dichiarazioni di terzi, e non di verita’ obiettive” (Cass. Sez. 3, sent. 11 settembre 2014, n. 19152, Rv. 632943-01).

6.2. Neppure il secondo motivo di ricorso e’ fondato.

6.2.1. Avendo il Tribunale assunto a riferimento, per la valutazione della liceita’ (o meno) della condotta dell’articolista (OMISSIS), come detto, la verifica se egli si sia mantenuto entro i limiti propri del diritto di “cronaca”, identificando espressamente quale oggetto del “narrato” le dichiarazioni rese dal Presidente della locale sezione di ” (OMISSIS)”, la sentenza impugnata si e’, nella sostanza, attenuta al principio secondo cui “qualora la cronaca abbia ad oggetto il contenuto di un’intervista, il requisito della verita’ dei fatti va apprezzato in relazione alla corrispondenza fra le dichiarazioni riportate dal giornalista e quelle effettivamente rese dall’intervistato, con la conseguenza che il giornalista, laddove non abbia manipolato od elaborato tali dichiarazioni, in modo da falsarne anche parzialmente il contenuto, non puo’ essere chiamato a rispondere di quanto affermato dall’intervistato, sempreche’ ricorrano gli ulteriori requisiti dell’interesse pubblico alla diffusione dell’intervista e della continenza, da intendersi rispettato per il sol fatto che il giornalista abbia riportato correttamente le dichiarazioni, a prescindere da qualsiasi valutazione sul loro contenuto” (Cass. Sez. 3, sent. 31 ottobre 2014, n. 23168, Rv. 633376-01).

La decisione in esame ha affermato, infatti, la responsabilita’ del (OMISSIS) e della societa’ (oggi) (OMISSIS) sul rilievo che il giornalista “avrebbe dovuto evitare di riportare” le espressioni “fuori legge” e “demenziale”, ravvisando il difetto del requisito della continenza (e dunque la ragione dell’illiceita’ della condotta) nel non aver cercato “di trasmettere il pensiero espresso dall’Arch. (OMISSIS) con moderazione, misura e proporzione”.

In questo modo il Tribunale di Udine non ha contraddetto – come assumono, invece, gli odierni ricorrenti – quanto affermato dalle Sezioni Unite Penali di questa Corte, in quello che puo’ considerarsi il “leading case” da cui origina il suddetto indirizzo giurisprudenziale.

Ovvero, che pretendere che “il giornalista intervistatore controlli in ogni caso la verita’ storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla liberta’ di stampa, atteso che le obbiettive difficolta’ che costui potrebbe incontrare nel verificare la corrispondenza a verita’ di quanto dichiarato” potrebbero “indurlo, per prudenza, a rinunciare alla pubblicazione dell’intervista”; d’altra parte, pretendere che il pubblicista si astenga dal pubblicare un’intervista “significherebbe comprimere il diritto-dovere di informare l’opinione pubblica su tale evento, non potendo, tra l’altro attribuirsi al giornalista il compito di purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive, sia perche’ gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Un. Pen., sent. 16 ottobre 2001, n. 37140).

Invero, nel caso che qui occupa, l’uso disinvolto del virgolettato del quale e’ conferma anche l’errore grammaticale in cui e’ incorso l’articolista, ovvero, quell’attributo di “demenziale”, che segue la qualificazione degli interventi sulla biblioteca civica come “fortemente inadeguati” – evidenzia l’esistenza di un intervento manipolativo dell’articolista, e cio’ al netto delle circostanze (sulle quali insistono i controricorrenti e rimaste, fin qui, in ombra, dato l’esito per essi integralmente favorevole dei due gradi di giudizio di merito) – che il vero intervistato non sarebbe stato il (OMISSIS) ma il (OMISSIS), il quale avrebbe anche richiesto l’eliminazione di quelle frasi dal testo dell’articolo.

Anche a prescindere, infatti, da tali circostanze (delle quali non vi e’ menzione nella sentenza impugnata), il fatto che il testo dell’intervista risulti “rimaneggiato” dall’articolista, come evidenzia la sentenza impugnata, comporta che lo stesso non “si sia limitato a riferire l’evento”, ponendosi, piuttosto, come “strumento della diffamazione”, nel senso che, lungi dall’aver “assunto la prospettiva del terzo osservatore dei fatti, agendo per conto dei suoi lettori”, si e’ posto come “un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria” (cosi’, in motivazione, nuovamente Cass. Sez. Un. Pen., sent. n. 37140 del 2001, cit.).

Evenienza, quest’ultima, ipotizzabile quando “la consecuzione, la suggestivita’, l’articolazione di artifici dialettici o retorici nella formulazione delle domande o delle premesse o dei commenti” assumano rilievo “come concausa della lesione dell’altrui onore e reputazione o, addirittura, come causa esclusiva” (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15112, Rv. 626951-01).

E’ quanto risulta essere avvenuto – secondo l’accertamento operato dalla sentenza impugnata e non sindacabile in questa sede proprio nel caso di specie, atteso il descritto intervento manipolativo sul contenuto dell’intervista.

6.3. Il terzo motivo e’, invece, fondato.

6.3.1. Il motivo, come detto, censura la sentenza impugnata laddove ha disposto la condanna della societa’ editrice (oggi (OMISSIS)) a risarcire il danno in misura doppia rispetto a quella prevista per l’autore dell’articolo.

Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che “la responsabilita’ solidale del proprietario della pubblicazione e dell’editore per i reati commessi col mezzo della stampa discende specificamente dalla L. 8 febbraio 1948, n. 47, articolo 11 la cui previsione non e’ del tutto inquadrabile nell’ambito dell’articolo 2049 c.c.”, giacche’ essa “non discende” da quella del direttore, “ma e’ una responsabilita’ propria, che ne prescinde”. Resta, nondimeno, inteso che il “regime della solidarieta’ non si discosta, tuttavia, dalla regolamentazione generale prevista dal codice civile per le obbligazioni solidali. Anche nel suo ambito trova applicazione, quindi, sia l’articolo 1292 c.c., in forza del quale il proprietario e l’editore della pubblicazione sono tenuti, verso il danneggiato, per l’intero, sia l’articolo 2055 c.c., comma 2, per il quale, nei rapporti interni con gli altri coobbligati, “colui che ha risarcito il danno ha regresso (…) nella misura determinata dalla gravita’ della rispettiva colpa e dall’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate”. Il comma 3 della norma in esame specifica poi che, “nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”” (cosi’, testualmente, in motivazione Cass. Sez. 3, sent. 19 settembre 1995, n. 9892, Rv. 494080-01).

Sulla scorta di tali affermazioni, pertanto, l’obbligo risarcitorio andava posto, in eguale misura, a carico di entrambi gli odierni ricorrenti, in difetto di un’esplicitazione delle ragioni (non operata dalla sentenza impugnata), in termini di diversa gravita’ della colpa dei corresponsabili, che potesse giustificare un riparto in misura non paritaria. E’ vero, infatti, che “la solidarieta’ passiva nel rapporto obbligatorio e’ prevista dal legislatore nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo, consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali; sicche’, se il creditore conviene in giudizio piu’ debitori sostenendo la loro responsabilita’ solidale e il giudice, invece, condanni uno solo di essi, con esclusione del rapporto di solidarieta’, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale e, dunque, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega agli altri debitori, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza nella parte in cui esclude la solidarieta’, perche’ essa non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, ne’ pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 27 ottobre 2015, n. 21774, Rv. 63761501). Resta, tuttavia, inteso che, nel presente caso, la condanna e’ stata disposta solidalmente a carico dei corresponsabili dell’illecito, donde la necessita’ di motivare le ragioni che hanno portato a disattendere l’eguale riparto “interno” dell’obbligazione risarcitoria, cio’ che rileva proprio ai fini dell’azione di regresso che il condebitore che abbia pagato (o che paghi) potra’ esercitare nei confronti dell’altro.

6.3.2. All’accoglimento del motivo ed alla cassazione, in relazione, della sentenza impugnata, segue – ai sensi della seconda alinea dell’articolo 384 c.p.c., comma 2 – la decisione della causa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, dovendo riconfermarsi l’entita’ dell’obbligo risarcitorio nella misura di Euro 3.000,00, ponendo, pero’, lo stesso, solidalmente e paritariamente, a carico di (OMISSIS) e della societa’ (OMISSIS) S.p.a., risultando eguale la gravita’ delle rispettive colpe.

7. Quanto alle spese di lite, l’accoglimento parziale del ricorso – e dunque il riconoscimento dell’erroneita’, “in parte qua” della pronuncia del giudice di prime cure (laddove aveva escluso la condanna solidale dei convenuti) – consente, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese sia del giudizio di appello che di quello di legittimita’, se e’ vero che “la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralita’ di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorche’ quest’ultima sia stata articolati in piu’ capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialita’ abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento” (Cass. Sez. 3, sent. 22 febbraio 2016, n. 3438, Rv. 638888-01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo ricorso, accogliendo il terzo e, decidendo nel merito condanna (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) S.p.a., in solido, a risarcire il danno cagionato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quantificandolo in Euro 3.000,00, compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello e quelle presente giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.