la situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata non provano la solvibilità dell’impresa, poiché, in tema di fallimento, ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, è l’obiettiva incapacità dell’imprenditore di adempiere alle obbligazioni che assume rilievo”, con la conseguenza che “non esclude l’insolvenza uno stato patrimoniale caratterizzato dall’eccedenza delle poste attive su quelle passive, quando l’incapacità di adempimento regolare e, quindi, a scadenza e con mezzi normali, delle obbligazioni assunte si esprima, comunque, sul piano della carenza di liquidità”.

Per una più completa ricerca di giurisprudenza in materia di diritto fallimentare, si consiglia di consultare la Raccolta di massime delle principali sentenze della Cassazione che è consultabile on line oppure scaricabile in formato pdf

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Corte d’Appello Milano, Sezione 4 civile Sentenza 25 gennaio 2019, n. 371

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE QUARTA CIVILE

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr Maria Luisa Padova – Presidente

dr Marisa Nardo – Consigliere

dr Lucia Trigilio – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 4095/2018 promossa in grado d’appello

DA

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Milano Via (…) presso lo studio dell’avv. Ma.Br., che lo rappresenta e difende come da delega in atti,

RECLAMANTE

CONTRO

(…) (C.F. (…)),

FALLIMENTO Impresa individuale (…)

RECLAMATI CONTUMACI

avente ad oggetto: Opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento (art. 18)

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Sintetica ricostruzione dei fatti e svolgimento del processo

1. Con sentenza depositata in cancelleria il giorno depositata il 13 settembre 2018 (n. 73/2018) il Tribunale di Pavia, pronunciando nel procedimento per la dichiarazione di fallimento n. 98/2018 R.G. (promosso da (…)), dichiarò il fallimento di (…), titolare dell’omonima impresa individuale, con sede a M. T. Via (…).

2. A tale decisione il Tribunale giunge rilevando innanzi tutto che, in mancanza di costituzione del debitore ed in virtù dell’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 1 comma II R.D. n. 267 del 1942, (…) deve considerarsi soggetto fallibile.

Quanto al presupposto dell’insolvenza il Tribunale osserva che l’impresa non è in grado di far fronte al versamento in favore del creditore istante (dipendente dell’impresa stessa fino al 23 marzo 2012) di Euro 13.198,68 (come si ricava dalla documentazione prodotta dal ricorrente, residuo di maggior credito rateizzato con accordo transattivo, formalizzato presso la camera del Lavoro CGIL il 27 luglio 2012 e solo in parte pagato dal datore di lavoro, nei cui confronti (…) aveva quindi ottenuto decreto ingiuntivo per Euro 23.566,64 a titolo di T.F.R., aveva poi notificato un atto di precetto in data 27 ottobre 2016 senza sortirne effetto, aveva pertanto notificato un altro atto di precetto il 10 luglio 2017 per Euro 27.007,67, da cui era scaturito un nuovo impegno per un pagamento rateizzato, ma rimasto non correttamente onorato con conseguente ulteriore precetto notificato il 30 aprile 2018).

Valorizza inoltre il debito di Euro 77.220,73 verso l’erario, essenzialmente per debiti nei confronti dell’INPS di Pavia.

3. Avverso la sentenza del Tribunale di Pavia, che decise nei termini di cui sopra, con ricorso depositato il 12 ottobre 2018, fu proposto reclamo da (…), che richiese, in via preliminare, ai sensi dell’art. 19 R.D. n. 267 del 1942, la sospensione della liquidazione dell’attivo nelle more del giudizio d’impugnazione, nel merito, la declaratoria di nullità dell’avvenuta procedura prefallimentare per violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. e dell’art. 15 R.D. n. 267 del 1942, con revoca, per l’effetto, della sentenza impugnata, sempre nel merito, in riforma della sentenza impugnata, la revoca del fallimento per difetto dei presupposti di cui all’art. 5 R.D. n. 267 del 1942.

4. Con ricorso depositato alla Corte di Appello il 5 dicembre 2018 B. fece istanza di fissazione di udienza ai sensi dell’art. 19 R.D. n. 267 del 1942 al fine della sospensione della liquidazione dell’attivo del Fallimento ed in subordine della sospensione della liquidazione limitatamente ai beni strumentali costituiti da veicoli ed autocarri. Con Provv. in data 6 dicembre 2018, depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2018, il Presidente di Sezione rigettò tale istanza di anticipazione di udienza, rinviando la decisione dell’istanza di sospensione all’udienza del 17 gennaio 2019, già fissata per la trattazione della causa.

5. All’udienza del 17 gennaio 2019 la causa è stata discussa e la Corte si è riservata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il reclamante lamenta innanzi tutto la “violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. e dell’art. 15 l.f.”, contestando il perfezionamento del procedimento notificatorio, per non aver ricevuto la raccomandata con avviso dell’eseguito deposito della copia degli atti nella casa comunale e per non esser stata fatta ogni ricerca (anche attraverso le formalità dell’art. 140 c.p.c.) per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, ragione per la quale non aveva avuto contezza della procedura nella quale non si era costituito.

Egli deduce altresì l'”insussistenza dello stato d’insolvenza ex art. 5 l.f.”, rilevando:

– di aver ottenuto dalla (…) il mutuo n. (…) per Euro 165.000,00, il mutuo n. (…) per Euro 45.000,00 e il mutuo n. (…) per Euro 90.000,00, finanziamenti le cui rate fino all’epoca della presentazione del reclamo risultano, dalla documentazione prodotta, pagate;

– che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto pari a Euro 77.220,73 il debito verso l’erario, debito invece pari, al momento della sentenza dichiarativa del fallimento, a Euro 61.373,74 (come risulta in particolare dal documento 9 prodotto dal reclamante);

– che era intenzione del reclamante pagare il debito nei confronti del ricorrente, come da documentazione relativa ai pagamenti a quest’ultimo effettuati fino all’11 giugno 2018 (v. doc. 13);

– che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (in particolare doc. 18) prova la solvibilità dell’impresa, che negli ultimi tre esercizi (2016, 2017, 2018) ebbe risultato negativo (perdita di Euro 19.371,00) solo per il 2017 asseritamente dovuto a costi straordinari per adesione alla prima rottamazione di cartelle esattoriali per Euro 75.137,61, mentre nel successivo 2018 figura un utile di Euro 23.771,00;

– che il modello IVA 2018 di (…), relativo al periodo d’imposta 2017 (doc. 20) evidenzia credito Iva pari a Euro 219.309,00 (al 31/12/2017).

La censura relativa al difetto di notifica è priva di fondamento posto che l’art. 15, 3 comma, L.F., così come novellato dall’art. 17, comma 1, lett. a), del D.L. n. 179 del 2012, convertito in L. n. 221 del 2012, prevede che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il pedissequo decreto di convocazione del debitore “devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L’esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all’indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente”.

La norma, poi, prevede che la notifica, nel caso in cui con il modo indicato “per qualsiasi ragione” non sia possibile o non abbia esito positivo, debba eseguirsi, a cura del ricorrente, di persona a norma dell’art. 107, primo comma, del D.P.R. n. 1229 del 1959, presso la sede risultante dal Registro delle Imprese. Qualora anche in tal modo la notifica non possa essere compiuta, la notifica va eseguita “con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona al momento del deposito stesso”.

Nel caso di specie il reclamante si duole del mancato invio della raccomandata dopo l’avvenuto deposito dell’atto presso la Casa Comunale del luogo in cui ha sede l’impresa, invocando a tal proposito l’art. 140 c.p.c.

In proposito, come pure osservato dalla Cassazione (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19688 del 7/8/2017), “l’art. 15, comma 3, l. fall. (nel testo novellato dall’art. 17 del D.L. n. 179 del 2012, conv., con modif. in L. n. 221 del 2012), nel prevedere che la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento” è effettuata all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti “e, in caso di esito negativo, presso la sua sede legale come risultante dal registro delle imprese, oppure, qualora neppure questa modalità sia andata a buon fine, mediante deposito dell’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro, introduce una disciplina speciale semplificata che, coniugando la tutela del diritto di difesa del debitore con le esigenze di celerità e speditezza intrinseche al procedimento concorsuale, esclude l’applicabilità della disciplina ordinaria” stabilita dal codice di procedura civile.

Ne consegue che nessuna raccomanda, né ulteriori ricerche erano dovute.

Quanto alla dedotta insussistenza dello stato di insolvenza, nessuno degli elementi allegati in sede di reclamo risulta in grado di inficiare il ragionamento e le conclusioni del Tribunale.

L’ottenimento di credito da parte della (…) non è significativo, sia perché le valutazioni di affidabilità del debitore compiute da un istituto privato non possono sostituire quelle di un organo giudiziario, sia perché, permanendo il debito nei confronti del dipendente S., si desume che i finanziamenti accordati a B. non sono stati comunque sufficienti a consentirgli di far fronte alle obbligazioni da lui contratte.

Nemmeno è rilevante che il debito verso l’erario sia inferiore a quello riportato nella sentenza impugnata, sia in quanto la differenza fra i due importi (Euro 77.220,73 e 61.373,74) non è così elevata, sia in quanto il dato fondamentale è rappresentato dall’esistenza di debiti erariali, che (…) deve ed evidentemente non è riuscito a pagare.

Neanche la “volontà” di corrispondere quanto dovuto all’ex lavoratore è dato valorizzabile, alla luce di pagamenti che risultano essersi arrestati l’11 giugno 2018.

Né può condividersi l’assunto del reclamante secondo cui la situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata proverebbero la solvibilità dell’impresa, poiché, come affermato dalla Suprema Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5525 del 9/5/1992), “in tema di fallimento, ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, è l’obiettiva incapacità dell’imprenditore di adempiere alle obbligazioni che assume rilievo”, con la conseguenza che “non esclude l’insolvenza uno stato patrimoniale caratterizzato dall’eccedenza delle poste attive su quelle passive, quando l’incapacità di adempimento regolare e, quindi, a scadenza e con mezzi normali, delle obbligazioni assunte si esprima, comunque, sul piano della carenza di liquidità”.

Nello stesso senso si era espressa anche precedentemente la Cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 2055 del 24/3/1983), chiarendo che “lo stato di insolvenza di un’impresa commerciale, al fine della dichiarazione di fallimento, consiste in una situazione di impotenza economica che si realizza quando l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, essendo venute meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività commerciale, rimanendo irrilevante che l’attivo sia superiore al passivo”.

Tale condizione di impotenza è, nel caso in questione, di particolare evidenza, atteso che B. non ha soddisfatto il debito nei confronti del suo ex dipendente, nonostante più rateizzazioni, transazioni e precetti.

Essendo di centrale e fondamentale importanza al fine di operare il giudizio di sussistenza del presupposto di cui all’art. 5 R.D. n. 267 del 1942 la presenza di disponibilità liquide, neppure l’esistenza di un eventuale credito di imposta in capo al reclamante vale a superare tale “incapacità dell’imprenditore di adempiere alle obbligazioni”, poiché un credito non equivale a risorse immediatamente fruibili per soddisfare gli obblighi verso i creditori.

La decisione del Tribunale di Pavia risulta pertanto corretta e deve essere confermata.

Risultano conseguentemente assorbite le richieste preliminari di sospensione della liquidazione dell’attivo nella sua integralità ed altresì limitatamente ai beni strumentali.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sul reclamo proposto contro la sentenza n. 73/2018 del Tribunale di Pavia, così dispone:

1. rigetta le preliminari istanze di sospensione della liquidazione dell’attivo ex art. 19 R.D. n. 267 del 1942;

2. nel merito, respinge il reclamo ex art. 18 R.D. n. 267 del 1942 proposto avverso la sentenza n. 73/2018 del Tribunale di Pavia, con la quale fu dichiarato il fallimento di (…);

3. non vi è luogo a provvedere sulle spese, non essendosi costituite le parti reclamate;

4. dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del reclamante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, così come modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.

Così deciso in Milano il 17 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.