la interversione della detenzione in possesso puo’ avvenire anche attraverso il compimento di attivita’ materiali a condizione che esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente “nomine proprio”, vantando per se’ il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa, precisandosi, percio’, in particolare, che l’interversione nel possesso non puo’ aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente “animus detinendi” dell'”animus rem sibi habendi”; a tal proposito, occorre ulteriormente puntualizzare che tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine, quindi, sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilita’ del bene).

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 3 luglio 2018, n. 17376

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente

Dott. CARATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 5 e articolo 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2570/2014) proposto da:

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS) e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione in Roma, P.zza Cavour;

– controricorrente –

e

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS));

– intimato –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 965/2013, depositata il 10 giugno 2013 (non notificata).

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 16 settembre 2008 il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda proposta dal sig. (OMISSIS) nei confronti dei sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS) e, per l’effetto, dichiarava che l’attore aveva acquistato il diritto di proprieta’ a titolo originario, per intervenuta usucapione, del fondo sito nel territorio del Comune di (OMISSIS), contraddistinto in catasto al foglio di mappa n. (OMISSIS), ordinando i conseguenti adempimenti al competente Conservatore dei RR.II. e condannando i convenuti, in solido, al pagamento delle spese giudiziali. Decidendo sull’appello proposto dai soccombenti convenuti, nella costituzione dell’appellato (dichiaratosi in comunione legale dei beni con la moglie (OMISSIS)), la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 965/2013, accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda cosi’ come originariamente formulata nell’interesse di (OMISSIS), che veniva condannato anche alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte palermitana ravvisava la fondatezza del gravame sul presupposto che non erano state comprovate le condizioni per la configurazione del dedotto diritto di acquisto del fondo controverso per usucapione, dal momento che il (OMISSIS), il quale rivestiva la qualita’ di mero detentore dell’immobile, non aveva dimostrato che fosse intervenuta l’interversio possessionis neppure mediante attivita’ materiali riconoscibili dagli intestatari del fondo in epoca sufficiente per la maturazione dell’usucapione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) e la (OMISSIS), riferito a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata (OMISSIS), mentre l’altro intimato non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte (con le quali ha instato per il rigetto del ricorso) e il difensore del ricorrente memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.

2. Con la prima censura i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione e falsa applicazione degli articoli 1141, 1158, 1164 c.c. e articolo 2653 c.c., n. 5, sul presupposto che il giudice di appello aveva erroneamente interpretato le norme sulla detenzione sulla base di scorrette presunzioni collegate alla interversione del titolo del possesso sulla base di condotte, nella specie, mai dallo stesso realizzate.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno prospettato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa il fatto controverso e decisivo della controversia che egli fosse stato solo detentore del bene dedotto in giudizio e non anche possessore dello stesso in modo tale da poterlo usucapire.

4. Con la terza ed ultima doglianza i ricorrenti hanno denunciato – in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. per ingiusta applicazione del principio della soccombenza a carico di esso ricorrente all’esito del giudizio di appello.

5. Rileva il collegio che i primi due motivi sono esaminabili congiuntamente siccome afferiscono – sotto il diverso profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale – alla contestazione della impugnata sentenza in ordine alla mancata rilevazione dei presupposti soggettivi ed oggettivi in capo al ricorrente per l’invocato acquisto del fondo a titolo di usucapione.

6. Il secondo motivo ricollegato al vizio di motivazione e’ inammissibile perche’ – al di la’ della circostanza che si risolve in squisite censure di merito – pone riferimento, nell’epigrafe ed anche nel contenuto della doglianza, all’antecedente formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 mentre nella fattispecie (siccome la sentenza e’ stata pubblicata successivamente all’il settembre 2012, ovvero il 10 giugno 2013) risulta applicabile “ratione temporis” il nuovo disposto del citato n. 5. Pertanto, il fatto decisivo attinente alla suddetta prova non puo’ affatto ritenersi omesso, poiche’ la motivazione della sentenza di secondo grado e’ tutta incentrata proprio su tale aspetto dirimente.

E’ appena il caso di ricordare che, intorno alla portata del nuovo n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte e’ ormai consolidata (v. Cass. S.U. nn. 8053-8054/2014 e, da ultimo, Cass. n. 23940/2017) nell’affermare che, in seguito alla riformulazione di detta disposizione normativa, come intervenuta per effetto del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 14 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.

Essendo rimasta esclusa una di queste ultime evenienze nel caso di specie la censura attinente al vizio motivazionale e’ da qualificarsi inammissibile.

7. Il richiamato primo motivo e’, invece, destituito di fondamento e va rigettato.

Ad avviso del collegio esso si risolve, in effetti, in una critica nell’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiute dalla Corte palermitana, la quale – proprio al fine di valutare la possibile sussistenza dei presupposti necessari del reclamato acquisto del diritto di proprieta’ ai sensi dell’articolo 1158 c.c. – ha dato conto di aver esaustivamente considerato che, pur essendo rimasto univocamente acclarato che il (OMISSIS) fosse entrato nella disponibilita’ del fondo controverso a titolo di detentore in virtu’ dell’instaurazione di un rapporto agricolo con i proprietari (ancorche’ non incontestatamente risultante dai pubblici uffici come riferibili anche ai terreni dedotti in giudizio), lo stesso non aveva offerto, in modo idoneo, la prova dell’esternazione, nei confronti dei medesimi titolari, della sua inequivoca volonta’ di trasformare la detenzione in possesso, nemmeno attraverso l’esercizio di concrete attivita’ materiali dai proprietari stessi riconoscibili. Del resto e’ stato gia’ condivisibilmente statuito da questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 18215 del 2013) che, ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non e’ sufficiente, in quanto, di per se’, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attivita’ materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa e’ svolta “uti dominus”.

Nella fattispecie, invero, la Corte territoriale ha congruamente argomentato sulla circostanza che i proprietari, nel corso dello svolgimento del rapporto agricolo, si erano in concreto interessati della gestione del fondo (anche mediante le emergenze scaturite dall’espletata prova orale) nonche’ sull’insussistenza di comportamenti effettivamente concludenti (statuendo, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, sull’irrilevanza dell’appropriazione indebita – da parte dello stesso ricorrente – dei frutti del fondo da epoca anteriore al 1980, concretante piuttosto un abuso della sua posizione) e tali da palesare univocamente l’intenzione della trasformazione del titolo da detenzione in possesso.

In punto di diritto il giudice di appello si e’, percio’, correttamente uniformato all’uniforme indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, in generale, la interversione della detenzione in possesso puo’ avvenire anche attraverso il compimento di attivita’ materiali a condizione che esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente “nomine proprio”, vantando per se’ il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (v., ex multis, Cass. n. 5487/2002; Cass. n. 12968/2006 e Cass. n. 1296/2010), precisandosi, percio’, in particolare, che l’interversione nel possesso non puo’ aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente “animus detinendi” dell'”animus rem sibi habendi”; a tal proposito, occorre ulteriormente puntualizzare (cfr. Cass. n. 7337/2002; Cass. n. 12007/2004 e Cass. n. 4404/2006) che tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine, quindi, sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilita’ del bene).

Per tutte le spiegate argomentazioni e risolvendosi, in fondo, la censura nella sollecitazione a rivalutare gli apprezzamenti di merito gia’ adeguatamente svolti dalla Corte di appello, essa non merita accoglimento (v. Cass. n. 1410/2010 e, da ultimo, Cass. n. 356/2017, ord.).

7. Il terzo ed ultimo motivo e’ chiaramente infondato avendo la Corte di appello, in virtu’ dell’esito finale del giudizio nei gradi di merito, applicato legittimamente il principio della soccombenza finale ai sensi dell’articolo 91 c.p.c..

8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.