lo specifico presupposto di applicazione della disposizione della L. Fall., articolo 10 altro non e’ che la cancellazione dell’imprenditore – “individuale” ovvero “collettivo” – dal registro delle imprese. Il testo della norma non risulta fare differenze, invero, in ragione del “titolo” per cui, nel concreto, avviene la cancellazione. Non emergono, in particolare, indicazioni atte a sottrarre al destino comune la cancellazione per avvenuta trasformazione. Cio’ posto, per la maggiore chiarezza del discorso e’ bene anche aggiungere che l’applicazione della norma della L. Fall., articolo 10 non presuppone, sempre e necessariamente, che la corrispondente attivita’ di impresa – come gia’ svolta dal soggetto imprenditore di cui si predica la fallibilita’ ancora per l’anno successivo alla cancellazione dal registro – venga pure a cessare sul piano oggettivo.

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Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|22 ottobre 2020| n. 23174

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1718/2018 proposto da:

(OMISSIS), nella qualita’ di precedente amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della (OMISSIS) s.r.l., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate – Riscossione, gia’ (OMISSIS) s.p.a., poi (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Fallimento n. (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 904/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 02/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/07/2020 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza depositata in data (OMISSIS) il Tribunale di Terni ha dichiarato il fallimento della s.r.l. (OMISSIS), societa’ cancellata dal registro delle imprese nel (OMISSIS) a seguito di delibera assembleare (per verbale notarile del (OMISSIS)) di sua trasformazione in comunione di azienda tra le societa’ (OMISSIS) SA e (OMISSIS) SA.

Avverso tale dichiarazione il rappresentante legale della societa’ dichiarata fallita, (OMISSIS), ha proposto reclamo L. Fall., ex articolo 18 avanti alla Corte di Appello di Perugia.

Questa lo ha respinto con sentenza depositata in data 2 dicembre 2017.

2.- A fronte della contestazione relativa alla nullita’ della notifica dell’istanza di fallimento, formulata dal reclamante, la Corte territoriale ha osservato che la norma della L. Fall., articolo 15 “non prevede mai casi di notifica personale al legale rappresentante” e che, nel caso di specie, “non essendo andata a buon fine la notifica a mezzo PEC, si e’ proceduto dapprima con il tentativo di notifica a mani presso la sede”; “successivamente, la notifica si e’ perfezionata con il deposito dell’atto presso la casa comunale”.

E’ stata cosi’ pienamente rispettata – ha precisato la pronuncia – la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.

3.- In relazione all’ulteriore contestazione del reclamante, per cui l’applicazione della norma della L. Fall., articolo 10 e’ da ritenere limitata ai soli casi di cancellazione dal registro per “cessazione dell’attivita’”, la Corte umbra ha poi rilevato che l’indicata disposizione risulta “destinata a trovare applicazione a fronte di tutte le ipotesi di “cancellazione dal registro delle imprese”” e che, d’altronde, con la “trasformazione eterogenea la societa’ si era comunque estinta”.

A tale proposito la sentenza ha altresi’ sottolineato, pure richiamandosi a dei precedenti di questa Corte, che le societa’ “sono tutte forme di esercizio collettivo dell’impresa, sicche’ ad esse, senza distinzione alcuna, deve intendersi riferita, ai fini previsti dalla L. Fall., articolo 10, l’espressione “impresa collettiva” ivi contenuta”.

E ha ancora aggiunto che, del resto, per solito “l’inapplicabilita’ dell’articolo 10 e’ sostenuta (ad esempio, con riferimento alle societa’ trasferite all’estero) nel senso di “estendere” la possibilita’ del fallimento, non gia’ nel senso di limitarlo, non rilevando la possibilita’ dell’opposizione dei creditori ex articolo 2500 novies c.c., limitata alla sola trasformazione in se’, e non ai suoi riflessi in ordine alla fallibilita’” dell’ente interessato.

4.- Avverso questo provvedimento, (OMISSIS), sempre nella qualita’ di rappresentante legale della societa’ dichiarata fallita, propone ricorso, affidandosi a cinque motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, creditore che ha presentato l’istanza di fallimento.

Non svolge invece difese nel presente grado del giudizio il Fallimento della s.r.l. (OMISSIS), gia’ non costituitosi in sede di giudizio del reclamo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo e’ intestato “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, della L. Fall., articolo 15, articoli 160 e 162 c.p.c. e articoli 137, 138, 140 e 145 c.p.c.”.

Con questo motivo, il ricorrente afferma che la Corte umbra ha errato nel “risolvere il problema della correttezza della notifica dell’istanza di fallimento e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza pre-fallimentare”. Per due ordini di ragioni, si precisa.

In primo luogo, il giudice ha errato nell’individuare il soggetto legittimato a partecipare all’udienza prefallimentare, fermandosi sull’ormai cancellata s.r.l. Per contro, il ricorrente assume che legittimato a partecipare all’udienza sia il “soggetto “trasformato”, ovvero la comunione di azienda”: e cio’ – cosi’ argomenta – sulla falsariga di quanto accade nella fusione per incorporazione, in cui soggetto legittimato alla vocatio in ius si ritiene sia la societa’ incorporante, secondo quanto rilevato dalla pronuncia di Cass., 11 agosto 2016, n. 17050.

Inoltre, la “sequenza della L. Fall., articolo 15 e’ stata comunque applicata non correttamente” – si predica -, posto che, “laddove fosse impossibile la notifica via PEC, si… doveva procedere ex articolo 145 c.c., commi 2 e 3, attesa la forma giuridica del soggetto trasformato… e venendo meno la qualita’ di imprenditore”.

6.- Il secondo motivo di ricorso e’ intestato “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, dell’articolo 12 preleggi e della L. Fall., articolo 10 in relazione alla disciplina applicabile alla comunione di godimento derivata da trasformazione eterogenea di societa’ di capitali”.

L’intestazione del terzo motivo assume, poi, la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, degli articoli 1100, 2248, 2500 septies c.c. e L. Fall., articolo 10”.

Con il quarto motivo, viene inoltre segnalata la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, degli articoli 2248, 2495, 2500 septies, 2740 c.c. e L. Fall., articolo 10″; e pure l'”omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il quinto motivo di ricorso altresi’ sostiene, nella sua intestazione, la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto e, in particolare, della L. Fall., articolo 10 e articolo 2498 c.c.”, nonche’ l'”omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.

7.- Con i motivi dal n. 2 al n. 5 compresi, il ricorrente viene in sostanza a svolgere i rilievi che seguono.

Nella specie e’ intervenuta, “ai sensi dell’articolo 2500 septies c.c., una trasformazione in un ente diverso (la comunione di godimento)”, che non risulta “sussumibile nei parametri di cui alla L. Fall., articolo 10”: “l’articolo 2248 c.c., letto in combinato con l’articolo 1100 c.c., descrive una fattispecie sostanziale assolutamente incompatibile con i profili di carattere commerciale”; “non emerge”, d’altra parte, “alcun elemento che possa condurre a una diversa qualificazione della attuale comunione di mero godimento dell’azienda”, posto pure che quest’ultima e’ stata affittata a terzi.

L’istituto della trasformazione – si precisa in via consecutiva – non comporta un fenomeno di estinzione dell’ente, quanto invece di modificazione soggettiva: e, cosi’, la specie della s.r.l. si e’ “modificata” in quella della comunione di godimento.

Nel concreto, d’altra parte, la cancellazione della societa’ consegue al compiersi di un simile passaggio trasformativo; per contro, la norma della L. Fall., articolo 10 risulta “relativa alla diversa ipotesi di societa’ cancellata per estinzione della societa’”.

Il richiamo alla norma della L. Fall., articolo 10 – cosi’ si incalza, ancora – e’ “assolutamente errato”: a seguito della intervenuta trasformazione, “tutti i rapporti proseguono in capo alle due societa’ compartecipanti (comunisti) e cioe’ soggetti non idonei all’esercizio di attivita’ commerciale…, con conseguente insussistenza anche di qualsivoglia ipotesi di insolvenza”.

Peraltro, “ai sensi dell’articolo 2500 novies c.c. i creditori sociali possono opporsi alla trasformazione con rinvio alla disciplina di cui all’articolo 2495 c.c.”. La sentenza impugnata – si assume ancora – ha in realta’ omesso di “valutare” un fatto decisivo: “ovvero che la trasformazione effettuata ha generato un nuovo ente di gestione e un nuovo centro di responsabilita’ patrimoniale dei pregressi debiti su cui i creditori possono rivalersi applicando i principi di cui all’articolo 2740 c.c.”.

8.- Come emerge dall’esposizione dei motivi svolti dal ricorrente, le ragioni che sorreggono il primo motivo di ricorso si sovrappongono in parte sostantiva a quelle che risultano poste a fondamento dei motivi dal secondo al quinto: la’ dove, in specie, si viene a predicare la “sostituzione” dell'”ente trasformato” (secondo la locuzione che e’ stata adottata dalla norma dell’articolo 2498 c.c.) all'”ente” originario. La disamina del primo motivo dev’essere quindi posposta all’esame degli altri motivi di ricorso.

I quali, d’altra parte, risultano strettamente collegati tra loro, al punto da rendere senz’altro opportuno il loro esame a mezzo di uno svolgimento unitario.

9.- Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso non sono fondati e non meritano quindi di essere accolti.

10.- Per meglio inquadrare la tematica che e’ ripresa dai motivi enunciati dal ricorrente, appare opportuno muovere da una serie di considerazioni di base.

La prima delle quali e’ che l’istituto della trasformazione, di cui agli articoli 2498 c.c. e ss., contiene in se’ e considera una serie di fenomeni diversi e, nel caso, anche molto lontani tra loro.

Esso viene cosi’ ricomprendere il caso della trasformazione di una s.r.l. in una s.p.a. (o anche viceversa) ex articolo 2500 c.c. (c.d. trasformazione omogenea tra societa’ di capitali), in cui tutto sembrerebbe risolversi in una semplice modifica dell’atto costitutivo, con il connesso mutamento della forma di organizzazione dell'”ente” societario e di partecipazione allo stesso.

Come pure peraltro ricomprende, nel suo ampio ambito, le fattispecie della c.d. trasformazione regressiva di societa’, quale ad esempio data dal transito da una s.r.l. a una s.n.c. (articolo 2500 sexies c.c.), dove prende rilievo anche la diversa tematica innestata dal mutamento di regime di responsabilita’ patrimoniale, che per tal via viene a realizzarsi: per il “sopravvenire”, appunto, della responsabilita’ solidale e illimitata dei soci ex articolo 2291 c.c. in luogo della precedente situazione di compiuta, “perfetta” autonomia del patrimonio sociale.

11.- Ancor piu’ accentuata lontananza dall’ipotesi della trasformazione omogenea tra societa’ di capitali, quale ipotesi per cosi’ dire “prima” di “trasformazione”, mostrano – occorre pure osservare – le fattispecie in cui l’istituto in questione viene a fare riferimento ad ipotesi che non risultano riducibili a operazioni di tipo endosocietario: di transito, dunque, da organizzazioni societarie a strutture di altra conformazione (articolo 2500 septies c.c.) o anche viceversa (articolo 2500 octies c.c.).

Nei fatti, il legislatore vigente ha stabilito di fissare il limite dell’istituto, di cui agli articoli 2498 c.c. e ss., nella necessaria presenza di almeno una struttura societaria: o di partenza dell’operazione o di esito della medesima (sulla “cospicua dilatazione del fenomeno della trasformazione nell’attuale assetto normativo” si sofferma ora la pronuncia di Cass., 29 maggio 2020, n. 10302).

12.- In questo peculiare contesto, spicca in modo particolare, d’altra parte, proprio la fattispecie di trasformazione di una societa’ di capitali in una comunione di azienda, secondo quanto per l’appunto avviene nel caso che e’ qui concretamente in esame.

La peculiarita’ di questa fattispecie tipo discende soprattutto dalla circostanza che la comunione di azienda non risulta considerata nel contesto generale del nostro sistema dei rapporti tra privati nei termini di autonomo soggetto di diritti (ne’ come fenomeno di distinta imputazione, ne’ come espressione di una propria responsabilita’ patrimoniale).

Con la conseguenza che, in questa evenienza, la trasformazione viene di necessita’ ad acquistare (anche) i tratti di una vicenda circolatoria di beni e diritti (cfr. gia’ Cass., 6 febbraio 2002, n. 1593, pur se in una prospettiva ancora per certi versi legata a una visione “naturalistica” della soggettivita’ giuridica).

Tale vicenda circolatoria non manca, del resto, di presentare a sua volta profili ulteriori di specifica peculiarita’. Discorrendosi di trasformazione in “comunione di azienda” – e non gia’ in una struttura soggettiva individuale (sulla quale si veda la puntuale impostazione di Cass., 14 gennaio 2015, n. 496, come intesa a escludere, per questa particolare situazione, la sussistenza di una “trasformazione in senso tecnico”) – in luogo della precedente struttura societaria stanno, all’effetto della compiuta vicenda trasformativa, i piu’ ex soci dell'”ente trasformato”.

La stessa prosecuzione dei rapporti pendenti, che e’ stabilita dalla norma dell’articolo 2498 c.c., si trova dunque a esigere l’utilizzo delle categorie normative della solidarieta’ attiva e della solidarieta’ passiva; per i rapporti contrattuali (eventualmente in essere), poi, la regola ivi dettata dev’essere adattata a mezzo del ricorso alla nozione di “parte complessa”.

13.- Segue ai rilievi sin qui esposti la rilevazione che l’istituto della trasformazione, di cui ai vigenti articoli 2498 c.c. e ss., non puo’ sicuramente essere assunto in termini di blocco “unico”, con risvolti identici per tutte le diverse fattispecie tipo in cui l’istituto stesso puo’ venire a manifestarsi.

Segue inoltre, e in via strettamente correlata, che la corrente impostazione della trasformazione in termini di “modificazione” del contratto originario e del conseguente soggetto giuridico – quale tradizionalmente sviluppatasi in chiave di contrapposizione dialettica con un’idea del fenomeno basata invece su una dinamica di “estinzione-creazione” di soggetti – finisce per manifestarsi come non esaustiva (cfr., cosi’, anche Cass. 19 giugno 2019, n. 16511, proprio a proposito di una trasformazione di societa’ di capitali in comunione di azienda); e comunque come non risolutiva di ogni possibile problema possa venire a porsi per le varie fattispecie tipo di trasformazione (sulla constatazione che l’alternativa di leggere la trasformazione come vicenda modificativa di contratto e di soggetto o come invece estintiva del soggetto trasformato con creazione di nuovo soggetto si manifesta, in se’ stessa, “non risolutiva per i fini dell’applicazione della L. Fall., articolo 10″ concorda la recente pronuncia di Cass., n. 10302/2020).

Soprattutto, per quanto qui direttamente interessa, la lettura della trasformazione, che assegna tratto comunque connotante al suo comportare una modifica del contratto istitutivo dell'”ente” (salvo il marginale caso sia programmata sin nell’atto costitutivo, nei fatti la trasformazione comporta per definizione una modifica del contratto originario), non suppone – ne’ implica – che la struttura originaria, quale sussistente prima della trasformazione, non sia piu’ suscettibile di distinta e autonoma considerazione dopo che l’operazione sia avvenuta. Che e’ quanto risulta, per contro, postulare la lettura cui si affida il ricorrente.

Non sempre, soprattutto, l'”ente” originario viene a dissolversi senza residui nell'”ente trasformato”.

14.- Con specifico riferimento all’ipotesi di trasformazione di una s.r.l. in una comunione di azienda, e’ invero da mettere in evidenza che in tale fattispecie tipo – come peraltro in numerose altre pure senza dubbio inscrivibili nell’istituto della trasformazione, di cui agli articoli 2498 c.c. e ss. (cfr. gia’ sopra, nel n. 10) – l’operazione in discorso viene a modificare il regime di responsabilita’ patrimoniale di cui alla precedente struttura giuridica.

Nella fattispecie di trasformazione di s.r.l. in comunione di azienda, in particolare, all’autonomia patrimoniale dell'”ente” originario viene a fare seguito e riscontro – all’effetto dell’avvenuta trasformazione – la sussistenza dei piu’ patrimoni propri degli ex soci coinvolti (e ora comproprietari), con correlato concorso sui patrimoni medesimi dei rispettivi loro creditori particolari.

Ora, e’ importante esplicitare, a questo proposito, che l’istituto della trasformazione non ha in se’ la forza di mutare retroattivamente il regime di responsabilita’ relativo alla struttura precedente al compimento dell’operazione.

A tacitare ogni eventuale dubbio si possa nutrire al riguardo sta, in ogni caso, la disposizione dell’articolo 2500 quinquies c.c., comma 1, laddove ribadisce – per il caso di trasformazione di societa’ con soci illimitatamente responsabili in societa’ con autonomia patrimoniale perfetta – che l’operazione “non libera i soci” (pure la detta norma venendo a predisporre un meccanismo “semplificato” di eventuale liberazione dei richiamati soci da uno o piu’ degli obblighi pregressi, ove nel concreto risulti consentita dai singoli creditori).

Percio’, i creditori di titolo anteriore al verificarsi della trasformazione si avvantaggiano del regime di responsabilita’ che e’ proprio della struttura precedente alla detta operazione (salvo, nel caso occorrente, quelli che, per atto di loro autonomia, abbiano liberato i soci illimitatamente responsabili dal pregresso, in tutto o in parte); i creditori di titolo posteriore al compiersi dell’operazione si giovano invece di quello che connota la nuova struttura (a questi risultati, in se’ stessi determinanti per il tema della fallibilita’ della societa’ che si cancella dal registro delle imprese perche’ trasformata, approda pure la gia’ citata pronuncia di Cass., n. 16511/2019).

La mera circostanza che, con la trasformazione, i rapporti in essere proseguano con l'”ente trasformato” – su cui insiste in modo particolare il ricorrente – e’, in realta’, aspetto che non incide in alcun modo sul regime di responsabilita’ patrimoniale anteriore e posteriore al compimento dell’operazione.

15.- A tutto cio’ consegue, com’e’ evidente, che il problema della fallibilita’ dell'”ente” originario (qui dato da una s.r.l.) si pone nel caso di mutamento del regime di responsabilita’ patrimoniale per effetto dell’avvenuta trasformazione – in termini oggettivamente distinti e autonomi da quello dell’eventuale fallibilita’ dell'”ente trasformato” (qui, una comunione di azienda).

Che quest’ultimo eserciti, oppure no, attivita’ di impresa e’ sicuramente rilevante in funzione dell’eventualita’ di un suo fallimento (ove nel concreto concorrano, naturalmente, anche tutti gli altri presupposti richiesti dalla legge, a muovere da quelli fissati nella L. Fall., articolo 1, comma 2), ma non viene a incidere in nulla sulla prospettiva del fallimento dell’ente originario.

Ne’, d’altro canto, si scorgono ragioni atte a fare ipotizzare una diversa soluzione: appare del tutto accidentale – nei confronti della pregressa attivita’ svolta dall'”ente” originario (nella specie concreta, data da una s.r.l.) – che gli ex soci, e ora comunisti dell’azienda, vengano a svolgere un’attivita’ di impresa oppure no; come anche che lo faccia taluno di essi (magari prendendo in “affitto” le quote di azienda proprie degli altri comproprietari) da solo ovvero in unione con altri soggetti, estranei alla comunione.

Non appare corretto, in definitiva, considerare la trasformazione (e la connessa disciplina di prosecuzione dei rapporti in essere) nei termini di istituto idoneo a “purgare” una situazione di dichiarabile fallimento dell'”ente” originario.

16.- Cio’ posto, e’ adesso da osservare che, secondo quanto tradizionalmente si ritiene, la figura della trasformazione assolve propriamente a una funzione di riorganizzazione della struttura degli enti, sub specie di semplificazione operativa in termini di passaggi (eliminando, ove ritenuto praticamente possibile e utile, le attivita’ di scioglimento e liquidazione di un ente con contestuale creazione di una nuova struttura) e quindi pure di tempi. Con riferimento puntuale alla fattispecie tipo della trasformazione di societa’ di capitali in comunione di azienda, poi, si nota solitamente come questa operazione sia di per se’ destinata a “sostituire” il procedimento di liquidazione di cui agli articoli 2484 c.c. e ss..

Ora, puo’ stimarsi sicuro che, nel vigente sistema normativo, un fenomeno che ha, in se’, sostanza riorganizzativa di enti e strutture – qual e’ quello in discorso – non puo’, in termini di principio, “realizzare una causa di sottrazione dell’impresa societaria dalla soggezione alle procedure concorsuali” (per l’esplicitazione di questo rilievo di base si veda, in particolare, la recente pronuncia di Cass., 21 febbraio 2020, n. 4737).

Per produrre un simile risultato occorrerebbe, in altre parole, una norma che espressamente sancisca il risultato della compiuta sottrazione. Norma che, tuttavia, non risulta appartenere al novero di quelle attualmente vigenti.

17.- Secondo quanto emerge pianamente dalla lettura del testo normativo, specifico presupposto di applicazione della disposizione della L. Fall., articolo 10 altro non e’ che la cancellazione dell’imprenditore – “individuale” ovvero “collettivo” – dal registro delle imprese.

Il testo della norma non risulta fare differenze, invero, in ragione del “titolo” per cui, nel concreto, avviene la cancellazione. Non emergono, in particolare, indicazioni atte a sottrarre al destino comune la cancellazione per avvenuta trasformazione, secondo quanto afferma per contro il ricorrente. Determinante, sotto il profilo concreto, si rivela comunque il mutamento di regime di responsabilita’ patrimoniale, posto che, ai sensi della norma della L. Fall., articolo 10, a fallire e’ l'”ente” originario: da ritenere “esistente” – sotto questo peculiare profilo – allo stesso modo, e negli stessi termini, di una qualunque societa’ cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno susseguente.

Cio’ posto, per la maggiore chiarezza del discorso e’ bene anche aggiungere che l’applicazione della norma della L. Fall., articolo 10 non presuppone, sempre e necessariamente, che la corrispondente attivita’ di impresa – come gia’ svolta dal soggetto imprenditore di cui si predica la fallibilita’ ancora per l’anno successivo alla cancellazione dal registro – venga pure a cessare sul piano oggettivo.

Da quest’angolo visuale, l’ipotesi della trasformazione – che comporti un mutamento rispetto al regime di responsabilita’ patrimoniale proprio dell'”ente” originario – appare per piu’ versi prossima, nella sostanza, alla fattispecie dell’imprenditore che abbia ceduto ad altri l’intera sua azienda, come pure a quella rappresentata dalla scissione totale di una societa’ (per questa seconda ipotesi cfr., in particolare, Cass. n. 4737/2020).

Ha rilevato questa Corte che la norma dela L. Fall., articolo 10, la’ dove precisa il limite temporale entro cui puo’ intervenire la dichiarazione di fallimento, si manifesta funzionale all’obiettivo di “non estendere all’infinito gli effetti di una attivita’ di impresa non piu’ attuale” (Cass., n. 16511/2019). Ora, questa situazione di cessata “attualita’” dell’attivita’ ben puo’ ravvisarsi pure nel caso in cui il soggetto piu’ non l’esercita, in ragione del fatto che ha ceduto la relativa azienda ad altri; come pure nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilita’ patrimoniale che accompagnava l'”ente” originario (nell’evocare lo stesso concetto di fondo che e’ stato qui appena espresso, con diversa formulazione la pronuncia di Cass. n. 10302/2020 afferma che la norma dell’articolo 10 “presuppone l’intervento di un fenomeno estintivo… della compagine sociale attinta dall’istanza di fallimento”).

18.- Non viene a inficiare la fila delle considerazioni sin qui sviluppata la constatazione che – nella dinamica del suo compiersi l’operazione di trasformazione eterogenea, configurata dal transito di una s.r.l. in una comunione di azienda, risulta soggetta al meccanismo dell’opposizione dei creditori ai sensi dell’articolo 2500 novies c.c.

Non e’ infatti condivisibile l’affermazione del ricorrente, per cui la predisposizione di una simile meccanismo di tutela dei creditori possiede in realta’ una valenza sostanzialmente sostitutiva di quella che e’ rappresentata dallo svolgimento della procedura fallimentare (cfr. sopra, nel n. 7).

19.- Come ha rilevato la sentenza di Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, nel sistema vigente lo strumento dell’opposizione dei creditori risulta porsi non come rimedio “sostitutivo e necessario”, quanto invece solo “aggiuntivo”.

L’assunto e’ stato formulato con specifico riferimento alla materia della scissione. Non v’e’ ragione, tuttavia, per cui lo stesso non debba risultare riferibile anche alle altre ipotesi in cui l’ordinamento prevede simile strumento: e cosi’, in particolare, alla materia della trasformazione eterogenea, che qui specificamente interessa.

Del resto, in un sistema in cui la procedura fallimentare non viene rimessa alla disponibilita’ dei creditori occorrerebbe, in proposito, una apposita disposizione che sancisse la sostituzione di tutela, che e’ assunta dal ricorrente.

Lo svolgimento del giudizio di opposizione alla trasformazione – e’ ancora da notare – non puo’ essere considerato in qualche modo “equivalente” a quello dell’esecuzione fallimentare (si pensi, anche solo, alla materia della revocatoria fallimentare).

Si’ che, da un lato, la mancata presentazione dell’opposizione non potrebbe mai essere intesa come manifestazione rinunciativa del potere di presentare l’istanza di fallimento ovvero la domanda di insinuazione al passivo. Dall’altro, e soprattutto, l’assunta sostituzione dell’opposizione al fallimento comporterebbe – per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione – una diminuzione di tutela (rispetto alla comune posizione dei creditori di impresa) tale da potersi anche dubitare della legittimita’ costituzionale di una soluzione di questo genere.

Con specifico riferimento alla trasformazione in comunione di azienda, si deve poi anche rimarcare che, secondo quanto si ritiene in letteratura, anche i creditori personali ai soci divenuti comproprietari dell’azienda sono legittimati a proporre opposizione.

20.- A conclusione dell’analisi dei motivi dal secondo al quinto compresi, vanno dunque espressi i seguenti principi di diritto.

L’istituto della trasformazione, di cui agli articoli 2498 c.c. e ss., ricomprendendo in se’ una congerie di figure diverse e anche molto dissimili tra loro, non si presta a una ricostruzione unitaria delle tematiche che le singole figure vengono a proporre.

La trasformazione di una societa’ di capitali in una comunione di azienda presenta la caratteristica propria di dare tra l’altro vita a un fenomeno di circolazione di diritti, dato che la comunione di azienda non e’ considerata dall’ordinamento in termini di autonomo soggetto di diritti.

I creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell'”ente originario” si avvantaggiano del regime di responsabilita’ proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilita’ dell'”ente originario”, che l’intervenuta trasformazione non e’ idonea a impedire.

In caso di trasformazione, la norma dell’articolo 10 trova comunque applicazione nei confronti dell'”ente originario”. La soggettivita’ fallimentare di questo ente non e’ diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque societa’ cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo.

Lo strumento di tutela dei creditori dato dall’opposizione, che e’ previsto dalla legge in relazione alle operazioni di trasformazione, non puo’ in alcun modo considerarsi sostitutivo di quello rappresentato dal fallimento, posto che, per la categoria dei creditori anteriori alla trasformazione, appronta una tutela di intensita’ sensibilmente inferiore.

21.- Fermate queste considerazioni, si puo’ ora procedere all’esame del primo motivo di ricorso (cfr. sopra, nn. 5 e 8).

22.- Il motivo non merita di essere accolto.

Posto che l’istruttoria L. Fall., ex articolo 15 ha nel concreto riguardato la societa’ a responsabilita’ limitata (OMISSIS), non puo’ essere oggettivamente dubbio che questa specifica societa’ ne sia l’interlocutore proprio e naturale: al pari di ogni altra ipotesi, pur quando si tratti di impresa ormai cessata e/o di societa’ ormai cancellata (per il rilievo che, nel termine annuale dall’avvenuta cancellazione dal registro, la societa’ non perde la propria capacita’ processuale v., tra le molte altre, la pronuncia di Cass., 1 marzo 2017, n. 5253).

Le considerazioni sopra svolte assicurano, poi, che – rispetto a questa impostazione – nulla viene a mutare la circostanza che la societa’ in discorso abbia, a un certo punto della propria esistenza, stabilito di trasformare la propria forma giuridica da societa’ di capitali in comunione di azienda.

Quanto poi all’accostamento proposto con la fattispecie della fusione per incorporazione, che e’ stato presentato dal ricorrente, e’ da rilevare che – nel caso appunto di una societa’ di capitali che viene a trasformarsi in una comunione di azienda – si assiste a un fenomeno strutturalmente diverso, e assai lontano, da quello che e’ proprio della fusione per incorporazione: si’ che mancano proprio le basi per postulare una identita’, ovvero una somiglianza, di regime disciplinare in proposito.

Nel caso di trasformazione in comunione di azienda – mancando quest’ultima di uno statuto in termini di propria soggettivita’ – le posizioni di diritto e di obbligo, che fanno perno sulla societa’ della cui trasformazione si discute, – vengono direttamente a “proseguire” in capo agli ex soci (su questi aspetti v. ampiamente sopra, specie nel n. 12). Cosa che indubbiamente non viene a verificarsi nel caso di fusione per incorporazione: dove e’ l’incorporante – e non certo i suoi soci – ad “assumere” le relative posizioni di diritto e di obbligo.

23.- Resta da aggiungere – con immediato riferimento alla seconda sub-censura esposta dal ricorrente (cfr. nel n. 5, ultimo capoverso) – che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il fatto che si verta in ipotesi di istruttoria prefallimentare relativa a una societa’ cancellata non altera in alcun modo l’iter procedimentale segnato dalla L. Fall., articolo 15, comma 3, (Cass., 12 giugno 2020, n. 11356).

24.- In conclusione, il ricorso e’ da rigettare.

Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella somma di Euro 6.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.