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L’assicurazione sulla vita (c.d. Polizza vita)
L’assicurazione sulla vita: aspetti generali.
Il contratto di assicurazione è un contratto tipico, e trova la sua disciplina sia nel codice civile agli artt. 1882 – 1932 che in varie normative speciali tra cui il Codice delle assicurazioni private D. Lvo. n. 209/2005.
Stando all’art. 1882 c.c. L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Rientrano nella categoria dell’assicurazione contro i danni tutti quei contratti di assicurazione con cui l’assicuratore si obbliga a risarcire un danno patrimoniale e non subito dall’assicurato in conseguenza del deterioramento o della perdita di un bene oppure in conseguenza di una responsabilità contrattuale o extra contrattuale (in questo secondo caso si tratta dell’assicurazione sulla responsabilità civile.
In via generale può affermarsi che appartengono alla categoria dell’assicurazione contro i danni tutti i contratti di assicurazione in cui il fatto costitutivo del diritto dell’assicurato all’indennizzo consiste in un danno verificatosi in dipendenza di un rischio assicurato e nell’ambito spaziale e temporale in cui tale garanzia opera.
Si definisce contratto di assicurazione sulla vita quello con cui l’assicuratore, assume l’obbligo di corrispondere al contraente o ad un terzo una rendita o un capitale in relazione al verificarsi di certi eventi relativi alla vita dell’assicurato quali ad esempio la morte o il raggiungimento di una determinata età.
La disciplina dell’assicurazione sulla vita è dettata dagli artt. 1919 e ss c.c.
In base all’art. 1919 c.c.: L’assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo.
L’assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto.
In sostanza, il contratto di assicurazione sulla vita, adempie a funzioni di natura previdenziale.
A differenza dell’assicurazione contro i danni l’assicurazione sulla vita non ha carattere indennitario, infatti la determinazione del capitale o della rendita non trova specifici limiti ed è rimessa alla determinazione delle parti.
L’assicurazione sulla vita può essere stipulata o per il caso di morte o per il caso di sopravvivenza.
Anche l’assicurazione sulla vita, viene distinta in base alla natura del rischio assicurato in diverse sottocategorie.
Infatti, si parla di assicurazioni per il caso di morte per quei contratti di assicurazione in cui la morte della persona di cui si tratta genera l’obbligazione dell’assicuratore, mentre si tratta di assicurazioni per il caso di sopravvivenza i contratti in cui al contrario la prestazione dell’assicuratore viene a determinarsi dalla sopravvivenza dell’assicurato all’epoca stabilita in contratto.
Vi è poi la c.d. assicurazione sulla vita mista, in cui l’assicuratore si obbliga ad effettuare, nei confronti beneficiario, la prestazione all’epoca stabilita, se l’assicurato è ancora in vita oppure alla sua morte se avviene prima dell’epoca stabilita.
L’assicurazione sulla vita: oggetto
L’assicurazione sulla vita è un contratto assai duttile, infatti può essere stipulato per gli scopi più vari: risparmio, previdenza, liberalità, gestione del patrimonio post mortem.
L’assicurazione sulla vita può addirittura essere stipulata per conseguire effetti analoghi a quelli dell’assicurazione contro i danni, come nel caso in cui il creditore stipuli una polizza a beneficio proprio sulla vita del debitore.
Va comunque ricordato che lo scopo per cui un’assicurazione sulla vita viene stipulata, tuttavia, resta confinato tra i motivi del contratto, come tali irrilevanti.
Fermo restando quanto sopra, l’assicurazione sulla vita non può avere ad oggetto che un evento attinente la vita umana: il che significa la morte o l’esistenza in vita ad una certa data prestabilita.
Non sarebbe quindi un’assicurazione sulla vita il contratto nel quale si subordinasse il pagamento dell’indennizzo alla nascita d’una obbligazione pecuniaria, perché questo non sarebbe un evento attinente la vita umana.
L’interesse, di cui art. 1904 c.c., è elemento essenziale dell’assicurazione contro i danni, non di quella sulla vita, nella quale può anche mancare.
Da ciò ne discende che nell’assicurazione sulla vita, non essendo elemento essenziale di essa l’interesse, non è dunque concepibile la figura dell’ “assicurato”, cioè del titolare dell’interesse esposto al rischio e quindi che non è possibile distinguere tra chi assicura l’interesse proprio e chi assicura l’interesse altrui, perchè l’interesse non rileva.
La conclusione è che solo l’assicurazione contro i danni, e non quella sulla vita, può essere stipulata per contro altrui, ex art. 1891 c.c.
Nell’assicurazione sulla vita soggetti del rapporto sono soltanto il contraente, il portatore di rischio (talora definito, ma impropriamente, “assicurato”), e il beneficiario (in tal senso Cassazione n. 5198/2015).
Ad ogni modo, la disciplina del contratto di assicurazione sulla vita prevede che:
- l’indennizzo è subordinato alla morte oppure all’esistenza in vita ( 1882 c.c.);
- il contraente può essere persona diversa dal portatore di rischio ( 1919 c.c.);
- il contraente ha diritto di riscattare la polizza fino a che il beneficio sia revocabile ( 1921 e 1925 c.c.).
Conclusivamente può quindi affermarsi che l’assicurazione contro i danni si basa sul principio indennitario, mentre con l’assicurazione sulla vita l’assicurato, o mira a garantire la disponibilità di una somma o di una rendita ai familiari od agli eredi al momento della propria morte, oppure a se stesso in tarda età.
Da ciò ne discende che l’assicurazione sulla vita, in quanto non fa applicazione del principio indennitario, può essere stipulata per qualsiasi somma, non avendo quindi rilevanza l’entità del danno patrimoniale che familiari o eredi possano subire in conseguenza della morte dell’assicurato.
L’Assicurazione sulla vita propria o di un terzo ex art. 1919 c.c.
L’art. 1919 c.c. disciplina l’assicurazione sulla vita propria o di un terzo e prevede che L’assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo.
L’assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto.
L’ipotesi contrattuale prevista dall’art. 1919 cc. è bene premetterlo riguarda l’assicurazione sulla vita in cui il beneficiario sia contraente (sia che si assicuri sulla vita propria, si su quella del terzo) laddove se viene stipulata un’assicurazione sulla vita a favore del terzo, la disciplina giuridica è quella dettata in via generale dall’art. 1891 c.c. ovvero dell’assicurazione per conto altrui.
In tale caso deve ricordarsi che l’art. 1891 c.c. nel dettare la disciplina dell’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta testualmente dispone: Se l’assicurazione è stipulata per conto altrui o per conto di chi spetta, il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, salvi quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall’assicurato.
I diritti derivanti dal contratto spettano all’assicurato, e il contraente, anche se in possesso della polizza , non può farli valere senza espresso consenso dell’assicurato medesimo.
All’assicurato sono opponibili le eccezioni che si possono opporre al contraente in dipendenza del contratto.
Per il rimborso dei premi pagati all’assicuratore e delle spese del contratto, il contraente ha privilegio sulle somme dovute dall’assicuratore nello stesso grado dei crediti per spese di conservazione.
L’art. 1919 comma 2 c.c. fa dipendere quindi la validità dell’assicurazione sulla vita contratta per l’eventualità della morte di un terzo al consenso scritto del terzo stesso.
Tale norma riguarda il caso in cui il terzo rivesta il ruolo di mero portatore di un rischio, mentre beneficiario del contratto di assicurazione sia unicamente il soggetto che stipula il contratto o altro soggetto indicato dal primo.
Orbene, la ratio della disposizione di cui all’art. 1919 c.c. comma 2, che, in caso di assicurazione sulla vita di un terzo, richiede il consenso scritto di quest’ultimo ai fini della validità del contratto, viene tradizionalmente ricollegata a ragioni di ordine pubblico, e precisamente all’opportunità di tutelare la vita del terzo e di evitare che l’assicurazione divenga incentivo all’omicidio.
Secondo altra tesi che attribuisce funzione indennitaria anche all’assicurazione sulla vita e ravvisa quindi la necessità di un interesse del contraente alla base della relativa stipulazione, essa si spiegherebbe in quanto il consenso del terzo sostituirebbe la prova dell’interesse del contraente all’esistenza in vita del terzo stesso.
In ogni caso, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente tale ratio sussiste esclusivamente nel caso in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di “mero portatore del rischio”, mentre i benefici del contratto assicurativo spettano esclusivamente al contraente o a persona da questi designata nel proprio interesse.
Tale necessità, dunque, non sussiste, laddove, nella sostanza, il beneficiario dell’assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi, o comunque soggetti da lui indicati; in tal caso, secondo questa impostazione, sarebbe semplicemente stipulata un’assicurazione sulla vita a favore di un terzo, e la disciplina giuridica sarebbe quindi quella dettata in via generale dall’art. 1891 c.c. (così Cassazione 3707/2018).
L’assicurazione sulla vita a favore di un terzo art. 1920 c.c.
Nell’ assicurazione sulla vita a favore di un terzo, l’assicurato destina, il diritto alla prestazione dell’assicurazione non a se stesso ma ad un terzo che non è titolare dell’interesse assicurato.
La disciplina dell’ assicurazione sulla vita a favore di un terzo si rinviene nell’art. 1920 c.c. in base al quale: E’ valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo.
La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore, o per testamento essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a designazione l’attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona.
Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione.
L’assicurazione sulla vita a favore del terzo è infatti un contratto che può assolvere a molteplici finalità concrete: dalla garanzia alla previdenza, alla liberalità.
Il suo scopo pratico più frequente è quello di previdenza, quando siano indicati come beneficiari persone che vivono del lavoro del contraente (ad es., assicurazione sulla vita stipulata dal coniuge lavoratore, a favore dell’altro coniuge non lavoratore ed a carico del primo).
Quando invece i beneficiari siano persone che non ricevono sostentamento dal contraente, lo scopo pratico più frequentemente avuto di mira dal contraente, e che deve presumersi ex art. 2727 c.c., è la liberalità.
In tal caso l’assicurazione sulla vita costituisce una donazione indiretta di cui all’art. 809 c.c., rispetto alla quale il donatum è rappresentato dai premi pagati, non dall’indennizzo.
L’indennizzo infatti non è dovuto dall’assicuratore al beneficiario a titolo gratuito, ma a titolo oneroso a fronte del premio pagato.
Nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a titolo di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Ne consegue che è ad essa applicabile l’art. 775 c.c., e se compiuta da un incapace naturale è annullabile a prescindere dal pregiudizio che quest’ultimo possa averne risentito. (Cassazione n. 7683/2015)
Assicurazione sulla vita: designazione e revoca del beneficiario Artt. 1920 e 1921 c.c.
Come già anticipato, l’assicurazione che il contraente stipulata per il caso di morte propria è un contratto a favore del terzo beneficiario.
Tuttavia, a differenza di quanto previsto dall’art. 1411 c.c. comma 2, (norma che disciplina il contratto in favore del terzo) il terzo acquista il diritto ai vantaggi dell’assicurazione per effetto della designazione da parte dell’assicurato e non già per effetto della stipulazione, designazione, però, che produce effetti giuridici concreti solo al verificarsi dell’evento morte dell’assicurato.
In base alla disciplina dettata dall’art. 1920 c.c. la designazione del terzo beneficiario può avvenire:
- con il contratto di assicurazione;
- con una dichiarazione successiva, ma in tal caso il contratto di assicurazione deve essere stipulato in favore di terzo da designare;
- con testamento.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, nel contratto di assicurazione per il caso di morte il beneficiario designato è titolare di un diritto proprio, derivante dal contratto, alla prestazione assicurativa (Cassazione n. 4484/96; Cassazione n. 6531/2006; Cassazione n. 8095/2007).
Quindi, ai sensi dell’articolo 1920 c.c., il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione in virtù di un atto inter vivos concluso con l’assicuratore dall’assicurato (il contratto di assicurazione) sì che egli può rivolgersi direttamente al promittente (assicuratore) per ottenere la prestazione.
La designazione del beneficiario, infatti, è negozio unilaterale e, allorché contenuta in un testamento, va qualificata come atto mortis causa a contenuto atipico, ferma restando l’estraneità rispetto a qualsiasi profilo di ordine successivo, estraneità confermata dalla norma in base alla quale il beneficiario acquista il diritto sempre iurie proprio e non iurie successionis anche quando sia erede dell’assicurato.
Pur tuttavia, in virtù degli art. 1920 e 1921 c.c., il contraente può disporre del capitale assicurato, mediante successive designazioni di terzi beneficiari, anche mediante testamento.
Qualora il contratto preveda che l’indennizzo debba essere corrisposto agli “eredi legittimi o testamentari“, tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all’eredita’, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredita’ da parte degli stessi.
Di recente, è stato anche affermato che nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo, la disciplina secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un proprio diritto ai vantaggi assicurativi, si interpreta nel senso che ove sia prevista, in caso di morte dello stipulante, la corresponsione dell’indennizzo agli eredi testamentari o legittimi, le parti abbiano non solo voluto individuare, con riferimento alle concrete modalità successorie, i destinatari dei diritti nascenti dal negozio, ma anche determinare l’attribuzione dell’indennizzo in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto, atteso che, in assenza di diverse specificazioni, lo scopo perseguito dallo stipulante è, conformemente alla natura del contratto, quello di assegnare il beneficio nella stessa misura regolata dalla successione. (così: Cassazione n. 26606/2016, Cassazione n. 3263/2016 e Cassazione n. 19210/2015).
Conclusivamente, come affermato dalla Giurisprudenza di legittimità, l’assicurazione sulla vita non entra nell’asse ereditario e, ai sensi dell’art. 1920 c.c., il beneficiario acquista, per effetto della designazione, un diritto proprio nei confronti dell’assicurazione; l’atto di designazione del beneficiario è infatti un atto unilaterale a favore di un terzo ed è un atto tra vivi, nel senso che il beneficiario non acquista il diritto al pagamento dell’indennità a titolo di legato o di quota ereditaria, ma iure proprio in base alla promessa fatta dall’assicuratore di pagare il capitale al momento del verificarsi dell’evento assicurato; conseguentemente, l’obbligazione di pagamento gravante sull’assicuratore discende esclusivamente dal contratto di assicurazione e dalla designazione del beneficiario, mentre la morte dell’assicurato, evento assicurato, rappresenta il mero momento di consolidamento del diritto già acquisito inter vivos e non mortis causa (in tal senso, Cassazione n. 6531/2006 e Tribunale Perugia, Sezione 2 civile Sentenza 17 aprile 2015, n. 746)
La designazione del beneficiario è revocabile, nei modi e nelle forme previste dall’art. 1921 c.c. secondo il quale La designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può essere fatta a norma dell’articolo precedente. La revoca non può tuttavia farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, nè dopo che, verificatosi l’evento, il beneficiario ha dichiarato di voler profittare del beneficio.
Se il contraente ha rinunziato per iscritto al potere di revoca, questa non ha effetto dopo che il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler profittare del beneficio. La rinuncia del contraente e la dichiarazione del beneficiario devono essere comunicate per iscritto all’assicuratore.
Ai sensi della richiamata norma la disposizione testamentaria costituisce una delle modalità con cui il contraente di un contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi può revocare la designazione del beneficiario.
La revoca può essere non solo espressa, ma anche tacitata o implicata, in quanto la disposizione codicistica non pone alcun limite in tal senso.
In particolare, in applicazione dei canoni ermeneutici che regolano la materia testamentaria, il trattamento può costituire un valido strumento di revoca anche allorché risulti incompatibile con la precedente designazione contrattuale del beneficiario.
Assicurazione sulla vita: decadenza del beneficio art 1922 c.c.
L’art. 1922 c.c. in tema di assicurazione sulla vita testualmente prevede che: la designazione del beneficiario anche se irrevocabile non ha effetto qualora il beneficiario attenti alla vita dell’assicurato.
Tale norma va coordinata con l’art. 1900 c.c., che disciplina i sinistri cagionati con dolo o con colpa grave dell’assicurato o dei dipendenti, secondo il quale: L’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave.
L’assicuratore è obbligato per il sinistro cagionato da dolo o da colpa grave delle persone del fatto delle quali l’assicurato deve rispondere.
Egli è obbligato altresì, nonostante patto contrario, per i sinistri conseguenti ad atti del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, compiuti per dovere di solidarietà umana o nella tutela degli interessi comuni all’assicuratore.
Va premesso che il nostro ordinamento ammette la legittimità della copertura assicurativa nel caso di morte derivata da suicidio dopo un biennio dalla stipula.
Come si vede vi è tensione massima a livello ordinamentale in relazione a beni primari ed essenziali dell’essere umano.
L’ordinamento civilistico avrebbe potuto prevedere, in un’altra ottica, l’esclusione sempre e comunque dal rischio assicurabile di un tale tipo di evento; eppure il legislatore del 1942 non lo ha fatto ed anzi ha espressamente statuito che rientra nel rischio socialmente accettabile e dunque giuridicamente tutelabile da una polizza vita il fatto che dopo due anni dalla stipula il contraente possa addivenire al suicidio; con conseguente diritto all’indennizzo in favore dei beneficiari.
Specularmente opposta è la situazione del beneficiario che produca la morte del contraente.
E qui le norme di cui agli artt. 1900 e 1922 c.c. mostrano chiaramente di aver voluto porre uno sbarramento giuridico assoluto all’ipotesi che il beneficiario possa essere considerato un legittimo creditore dell’indennizzo rispetto all’azione delittuosa da lui posta in essere con dolo.
L’art. 1922 c.c. fa riferimento solo al “dolo” mentre l’art. 1900 c.c. fa riferimento anche alla “colpa grave”; la formulazione è platealmente più ristretta rispetto a quella di cui all’art. 1900 c.c.
Le norme in esame appaiono costituire norme di chiusura del sistema ed in particolare la norma di cui all’art. 1922 c.c. mostra di volere espungere in radice dai soggetti astrattamente beneficiari colui che comunque attenta alla vita del contraente: la designazione “non ha effetto” nonostante la eventuale dichiarazione di “irrevocabilità” resa dal contraente.
Trattasi di norma di ordine pubblico interno e dunque imperativa non derogabile in alcun modo dalle parti.
Né nell’ipotesi in cui le parti contraenti la polizza convenissero la copertura di un tale rischio né in quella in cui non vi sia la previa conoscenza della polizza da parte del beneficiario al tempo dell’evento da lui causato.
Sotto il primo profilo non appare in radice meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. (autonomia negoziale) e dunque non giuridicamente negoziabile una clausola assicurativa che consenta ad un genitore di mantenere come beneficiario un figlio (o viceversa) che dovesse un giorno ucciderlo con dolo; appare illecito secondo il nostro sistema giuridico ammettere tutela e riconoscimento di una somma di denaro in favore del soggetto che provoca dolosamente la morte del contraente.
Sotto il secondo profilo va rilevato che la ratio della norma non può essere individuata nel fatto di impedire una “frode” oppure il perseguimento di un “intento speculativo”; ratio troppo debole in quanto dovrebbe allora ammettersi che laddove il beneficiario provasse che ha ucciso si volontariamente ma non conoscendo al tempo del fatto l’esistenza della polizza egli ben potrebbe pretendere legittimamente il pagamento dell’indennizzo previsto in suo favore.
Conclusivamente può quindi affermarsi che l’autore doloso del fatto omicida va espunto in radice dai soggetti “beneficiari” ex art. 1922 c.c. e porta con sé il corollario che gli altri eventuali beneficiari, terzi ignari ed in buona fede essendo tra l’altro la responsabilità penale personale giusta art. 27 Cost. (si veda Tribunale Roma, Sezione 12 civile Sentenza 21 marzo 2011, n. 5840).
Assicurazione sulla vita: riscatto e riduzione della polizza ex art. 1925 c.c.
L’art. 1925 c.c. in merito al riscatto e alla riduzione della polizza testualmente dispone: Le polizze di assicurazione devono regolare i diritti di riscatto e di riduzione della somma assicurata, in modo tale che l’assicurato sia in grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o di riduzione dell’assicurazione.
La menzionata norma prevede la possibilità, per il contraente dell’assicurazione sulla vita, di interrompere prima della scadenza del contratto il pagamento dei premi e ciò in considerazione della estesa durata temporale dei contratti di assicurazione sulla vita e del conseguente periodo per il quale il contraente è tenuto a corrispondere il premio.
In sostanza, è normativamente stabilito che, le polizze di assicurazione sulla vita debbano regolare i diritti di riscatto e di riduzione della somma assicurata in modo tale che l’assicurato sia in grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o di riduzione.
Il diritto di riscatto consente all’assicurato di risolvere anticipatamente il contratto, a condizione che questo abbia avuto una certa durata minima e sia stato versato un ammontare minimo di premi: ne consegue la restituzione di una quota parte dei premi versati.
Il diritto di riduzione consente all’assicurato di cessare il pagamento dei premi contro una riduzione della somma assicurata.
Premesso ciò, costituisce regola generale del diritto assicurativo che, qualora l’evento assicurato sia certus an etiamsi incertus quando, la risoluzione anticipata del contratto dia luogo al diritto soggettivo di riscatto, spettante all’assicurato (art. 1925 cc), e ciò sia nel caso in cui l’assicurato receda, sia, ed a maggior ragione, quando la risoluzione avvenga per volontà dell’assicuratore o del terzo assicurante.
Il diritto ha per oggetto l’ammontare della cosiddetta riserva matematica, costituita dalla differenza tra il premio già pagato ed il valore del rischio assunto dall’assicuratore al momento della conclusione del contratto e fino al momento della risoluzione.
Infatti gli obblighi dell’assicuratore consistono non soltanto nel pagamento dell’indennizzo al momento della verificazione dell’evento, ma anche nell’assunzione del rischio fin dalla conclusione del contratto, ed a questo secondo obbligo si connette quello di costituire la riserva matematica, le cui modalità di formazione e di calcolo non vengono dettate dal codice civile, senza che ciò incida sulla sussistenza del debito, ma piuttosto sul quomodo dell’adempimento.
Con riguardo a contratto di assicurazione sulla vita, la dichiarazione di riscatto da parte dell’assicurato produce i suoi effetti dal momento in cui perviene all’assicuratore trattandosi di dichiarazione ricettizia, ma il dichiarante (purché in regola con il pagamento dei premi) può anche implicitamente differire gli effetti del riscatto al momento della cessazione della copertura assicurativa, atteso che la regolamentazione pattizia di deroga all’art. 1924 cod. civ. deve essere sempre ispirata al principio contenuto nell’art. 1901 dello stesso codice, il quale presuppone la persistenza del rapporto di corrispettività tra pagamento del premio ed assunzione del rischio da parte dell’assicuratore.
Assicurazione sulla vita e cambiamento di professione dell’assicurato ex art. 1926 c.c.
Nel caso in cui, nel corso del contratto si verifichino cambiamenti di professione o di attività dell’assicurato, che dovessero aggravare notevolmente il rischio di sua morte, ne possono derivare una riduzione della somma assicurata, o un aumento dei premi, o anche la risoluzione del contratto.
L’ipotesi del cambiamento di professione o di attività dell’assicurato è disciplinata dall’art. 1926 c.c. secondo cui: I cambiamenti di professione o di attività dell’assicurato non fanno cessare gli effetti dell’assicurazione, qualora non aggravino il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l’assicuratore non avrebbe consentito l’assicurazione.
Qualora i cambiamenti siano di tale natura che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l’assicuratore avrebbe consentito l’assicurazione per un premio più elevato, il pagamento della somma assicurata è ridotto in proporzione del minor premio convenuto in confronto di quello che sarebbe stato stabilito.
Se l’assicurato dà notizia dei suddetti cambiamenti all’assicuratore, questi, entro quindici giorni, deve dichiarare se intende far cessare gli effetti del contratto ovvero ridurre la somma assicurata o elevare il premio.
Se l’assicuratore dichiara di voler modificare il contratto in uno dei due sensi su indicati, l’assicurato, entro quindici giorni successivi, deve dichiarare se intende accettare la proposta.
Se l’assicurato dichiara di non accettare, il contratto è risoluto, salvo il diritto dell’assicuratore al premio relativo al periodo di assicurazione in corso e salvo il diritto dell’assicurato al riscatto . Il silenzio dell’assicurato vale come adesione alla proposta dell’assicuratore.
Le comunicazioni e dichiarazioni previste dai commi precedenti possono farsi anche mediante raccomandata.
Assicurazione sulla vita e suicidio dell’assicurato: art. 1927 c.c.
L’art. 1927 c.c. disciplina l’ipotesi di suicidio dell’assicurato e testualmente dispone che: In caso di suicidio dell’assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due anni dalla stipulazione del contratto, l’assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.
L’assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi, non sono decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione è cessata.
Deve necessariamente premettersi che in tema di assicurazione sulla vita, la disciplina prevista dal secondo comma dell’art. 1927 c.c. in caso di suicidio dell`assicurato (secondo la quale l`assicuratore non è obbligato se, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi, non sono decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione è cessata) è derogabile con i patti di polizza, non essendo tale disposizione compresa tra le norme inderogabili indicate dall’art. 1932 c.c.
Premesso ciò, quindi, in ipotesi di suicidio dell’assicurato, salvo patto contrario, ed ove il suicidio sia intervenuto prima del decorso di due anni dalla conclusione del contratto, l’assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate.
Allo stesso modo, l’assicuratore non è obbligato nel caso in cui, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi, non siano decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione è cessata.