La legittimazione passiva dell’amministratore del condominio, ex articolo 1131 c.c., comma 2, non incontra limiti e sussiste – anche in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario – in relazione a ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condomino nei confronti del condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale (tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purche’ adibite all’uso comune di tutti i condomini), trovando ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalita’ giuridica distinta da quella dei singoli condomini.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|25 settembre 2019| n. 23940

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11248/2015 proposto da:

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SNC (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 9/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 07/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Rilevato:

che la societa’ (OMISSIS) srl, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Brescia che – riformando integralmente la sentenza del Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Salo’, ed accogliendo la domanda di manutenzione del possesso promossa dal Condominio (OMISSIS) – la ha condannata, insieme con il Condominio (OMISSIS) e con alcuni dei condomini di quest’ultimo, a rimuovere una tettoia da loro realizzata su un’area di proprieta’ del Condominio (OMISSIS) in violazione delle distanze legali e convenzionali dalla proprieta’ del Condominio (OMISSIS);

che la corte territoriale ha motivato la propria decisione sul rilievo che la tettoia in questione “non soltanto emerge dal suolo in termini apprezzabili (70 cm), ma a causa della sua consistenza e destinazione (…) appare davvero idonea a compromettere l’integrita’ del possesso dell’area appartenente all’appellante. D’altronde la violazione delle distanze legali integra una molestia del possesso del fondo finitimo, contro la quale e’ data l’azione di manutenzione, perche’, anche quando non ne comprima di fatto l’esercizio, apporta automaticamente modificazione o restrizione delle relative facolta’”;

che la stessa corte territoriale ha altresi’ affermato che per l’esistenza dell’animus turbandi e’ “sufficiente la coscienza e la volontarieta’ del fatto compiuto a detrimento dell’altrui possesso, che peraltro si presume ove la turbativa sia oggettivamente dimostrata”;

che il ricorso per cassazione, proposto della societa’ (OMISSIS) contro il Condominio (OMISSIS) e nei confronti del Condominio (OMISSIS) e dei relativi condomini, si articola in otto motivi;

che il Condominio (OMISSIS) ha presentato controricorso, mentre gli altri intimati non hanno spiegato attivita’ difensiva;

che la causa e’ stata chiamata all’adunanza di Camera di consiglio del 30 novembre 2018, per la quale non sono state depositate memorie;

che in prossimita’ dell’adunanza i procuratori della (OMISSIS) s.r.l., hanno dato atto dell’intervenuto fallimento della stessa, chiedendo dichiararsi l’interruzione del giudizio;

ritenuto:

che preliminarmente va disattesa l’istanza di interruzione del giudizio avanzata dai procuratori della societa’ ricorrente contestualmente alla comunicazione dell’intervenuto fallimento della stessa;

che, infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte (da ultimo, ord. n. 27143/17), l’intervenuta modifica della L. Fall., articolo 43, per effetto del Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 41, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimita’, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge;

che con il primo motivo di ricorso si svolgono due distinte doglianze, entrambe volte a censurare la statuizione con cui la corte di appello ha disatteso l’eccezione di carenza di rappresentanza processuale dell’amministratore del Condominio (OMISSIS) nel giudizio di secondo grado, sollevata dall’odierna ricorrente sul rilievo che l’appello era stata proposto da detto amministratore senza apposita autorizzazione assembleare;

che, in particolare, la corte bresciana ha ritenuto che l’originario difetto di autorizzazione all’impugnazione fosse stato sanato dalla ratifica dell’impugnazione adottata con la Delib. Condominiale 1 aprile 2012 (indicata nel ricorso per cassazione come Delib. Condominiale 31 marzo 2012), prodotta dal Condominio (OMISSIS) nella prima udienza di comparizione del giudizio di appello (cfr. pag. 9 del ricorso per cassazione); Delibera antecedente allo spirare del termine lungo per l’impugnazione;

che con la prima doglianza del primo motivo, riferita all’articolo 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente censura l’affermazione della sentenza gravata secondo cui la Delibera di ratifica dell’operato dell’amministratore sarebbe stata approvata all’unanimita’, denunciando l’omesso esame del fatto decisivo che nell’assemblea condominiale che approvo’ detta Delibera non era presente la totalita’ dei condomini;

che la doglianza va disattesa per difetto di decisivita’ del fatto di cui si lamenta l’omesso esame, giacche’ l’approvazione della Delibera condominiale di autorizzazione dell’amministratore alle liti (o di ratifica della decisione dell’amministratore di intraprendere una lite o di resistervi) non richiede l’unanimita’ dei condomini, ma la maggioranza di cui dell’articolo 1136 c.c., commi 2 e 4, di cui nel ricorso non si deduce il mancato raggiungimento;

che con la seconda doglianza del primo motivo, riferita alla violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 325, 326 e 327 c.p.c., si censura l’argomentazione della corte territoriale che ha ritenuto tempestiva la ratifica assembleare intervenuta in pendenza del termine per l’appello sul duplice assunto che, quanto al termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c., esso non era ancora spirato alla data dell’assemblea condominiale e, quanto al termine breve di cui all’articolo 325 c.p.c., esso non poteva essere preso in considerazione, non risultando che gli appellati avessero notificato al Condominio (OMISSIS) la sentenza di primo grado;

che in particolare la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa addossando agli appellati l’onere di provare una circostanza (l’intervenuta notifica della sentenza di primo grado, idonea a far decorrere il termine breve di cui all’articolo 325 c.p.c., gia’ spirato alla data dell’della suddetta assemblea condominiale) dichiarata dallo stesso Condominio nel proprio atto di appello;

che la censura va disattesa, pur dovendosi correggere la motivazione della sentenza gravata;

che infatti – sebbene la corte milanese abbia errato nell’addossare agli appellati l’onere di provare una circostanza, quella dell’intervenuta notifica della sentenza di primo grado, che, in quanto allegata dallo stesso appellante, esulava dal thema probandum – il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione all’appello dell’amministratore condominiale risulta comunque conforme a diritto;

che, al riguardo, va evidenziato che nel presente giudizio (introdotto in primo grado con ricorso possessorio depositato il 9.12.09, come si legge a pag. 3, rigo 2, del ricorso) trova applicazione il testo dell’articolo 182 c.p.c., modificato dalle L. n. 69 del 2009 (applicabile ai giudizi introdotti dopo il 4.7.09, data di entrata in vigore di detta legge);

che il comma 2 del vigente testo dell’articolo 182 c.p.c., prevede che l’osservanza del termine giudizialmente concesso per il rilascio delle necessarie autorizzazioni alla lite, originariamente mancanti, “sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”;

che l’interpretazione sistematica di tale disposizione impone di ritenere che il suddetto effetto sanante ex tunc si determini non solo quando la parte produca le necessarie autorizzazioni nel termine assegnato dal giudice ma anche quando essa produca le stesse autonomamente, a seguito dell’eccezione della controparte;

che, in particolare, tale conclusione discende dal principio (affermato nelle sentenze nn. 4248/16 e 24112/18) che, proposta dall’avversario una eccezione di difetto di rappresentanza, la parte e’ chiamata a contraddire e, quindi, deve produrre l’opportuna documentazione senza attendere l’assegnazione di un apposito termine giudiziale;

che quindi l’originario difetto di autorizzazione all’impugnazione era stato sanato con efficacia ex tunc, cosicche’ l’eccezione al riguardo proposta dalla odierna ricorrente era destituita di fondamento;

che, in definitiva, entrambe le doglianze sviluppate nel primo mezzo di gravame vanno disattese;

che con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo pacifici, in quanto “non contestati”, sia la natura di “costruzione” della tettoia, sia la sua collocazione a distanza illegale dal confine;

che ambedue tali risultanze – decisive per il giudizio, risolvendosi in fatti costitutivi dell’avversa domanda possessoria – avrebbero, secondo la societa’ ricorrente, formato oggetto di contestazione, specificamente nelle pagine 1415 della comparsa di risposta depositata da (OMISSIS) nel giudizio di appello;

che il motivo non puo’ trovare accoglimento;

che, infatti, la corte territoriale ha affermato che non risultava contestata ne’ la collocazione della tettoia a mt. 8 dal confine ne’ la natura di costruzione della tettoia stessa;

che la doglianza avverso la prima affermazione e’ inammissibile, perche’ nel ricorso non si indica a questa Corte in quale atto del giudizio di merito la suddetta misurazione della distanza della tettoria dal confine avrebbe formato oggetto di contestazione;

che la doglianza avverso la seconda affermazione e’ pur essa inammissibile, perche’ tale affermazione e’ priva di portata decisoria, in quanto la corte milanese ha provveduto ad un autonomo accertamento della natura di costruzione della tettoria, affermando che quest’ultima, emergendo dal suolo

in termini apprezzabili (70 cm.) appariva, per la sua consistenza e destinazione, “davvero idonea a compromettere l’integrita’ del possesso dell’area appartenente all’appellante” (pag. 9 della sentenza);

che con il terzo e il quarto motivo di ricorso, entrambi riferiti all’articolo 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., la societa’ ricorrente denuncia il vizio di omessa pronuncia in cui la corte territoriale sarebbe incorsa omettendo di pronunciarsi, da un lato (terzo motivo), sull’accertamento dei fatti costitutivi della domanda possessoria avversaria (erroneamente, secondo il ricorrente, ritenuti pacifici) e, d’altro lato, sull’argomento difensivo della societa’ (OMISSIS) secondo cui la realizzazione della tettoia sarebbe stata da giudicare legittima alla stregua della disposizione dell’articolo 877 c.c., che consente di edificare a confine, in aderenza;

che entrambe tali censure di omessa pronuncia vanno disattese, giacche’ il vizio di cui all’articolo 112 c.p.c., riguarda l’omessa pronuncia su domande o eccezioni giudiziali e non sull’accertamento di fatti storici o sulla fondatezza di prospettazioni giuridiche (cfr. Cass. 407/2006: “il vizio di omessa pronuncia configurabile allorche’ risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto”); la corte territoriale si e’ pronunciato sulla domanda possessoria del Condominio, accogliendola, e tale pronuncia implica, quanto al terzo motivo, l’accertamento giudiziale dei fatti costitutivi della domanda accolta e, quanto al quarto motivo, il rigetto dell’assunto secondo cui la posizione della tettoia sarebbe stata da ritenere legittima alla stregua del disposto dell’articolo 877 c.c.;

che con il quinto motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., nn. 5 e 3, il ricorrente propone una duplice censura;

che, con la prima censura, si denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo in cui la corte territoriale sarebbe incorsa nell’affermare che la tettoia realizzata dalla societa’ (OMISSIS) – sia perche’ fuoriesce in termini apprezzabili dal suolo, sia per la sua consistenza e destinazione – arreca un effettivo pregiudizio e, quindi, compromette il possesso delle controparti;

che con la seconda censura si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1170 c.c. e/o articolo 833 c.c., in cui la corte di appello sarebbe incorsa nell’affermare che la violazione delle distanze legali integra ex se una molestia al possesso del fondo finitimo, anche a prescindere da un concreto ed apprezzabile pregiudizio del possesso altrui;

che il quinto motivo va disatteso in relazione ad entrambe le censure in cui si articola;

che, infatti, la prima censura risulta inammissibile perche’ formulata senza il rispetto del paradigma fissato nell’articolo 360 c.p.c., n. 5, in quanto non individua uno specifico fatto storico il cui esame, omesso dalla corte territoriale, sarebbe stato decisivo per orientare diversamente il giudizio di fatto espresso nella sentenza impugnata, ma si risolve nella contrapposizione dell’apprezzamento delle risultanze processuali ritenuto corretto dalla parte a quello operato dal giudice di merito;

che la seconda censura va a propria volta giudicata inammissibile per

(sopravvenuta) carenza di interesse, conseguente al mancato accoglimento della prima censura; l’affermazione della corte d’appello secondo cui, in concreto, la tettoia arrecava un pregiudizio al possesso del fondo limitrofo e’ infatti sufficiente a sorreggere autonomamente la statuizione impugnata (cfr. Cass. 11493/18: “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre, alla cassazione della decisione stessa”);

che con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1170, 2043 e 2697 c.c., lamentando che la corte di appello avrebbe errato nel ritenere che l’animus turbandi di (OMISSIS) fosse “insito nella violazione delle distanze legali e si presume ove la turbativa sia oggettivamente dimostrata”; secondo la ricorrente l’onere, non assolto, di offrire la prova dell’animus turbandi sarebbe gravato su (OMISSIS);

che il motivo va disatteso, essendosi l’impugnata sentenza attenuta all’insegnamento di questa Corte secondo cui l’animus turbandi deve presumersi ogni volta che si dimostrino gli estremi della turbativa – restando irrilevante l’eventuale convincimento dell’autore del fatto di esercitare un proprio diritto (Cass. 3901/17) – e che esso si risolve nella volontarieta’ del fatto che determina la diminuzione del godimento del bene da parte del possessore e nella consapevolezza che esso e’ oggettivamente idoneo a modificarne o limitarne l’esercizio, senza che rilevi, in senso contrario, il mancato perseguimento, da parte dell’agente, del fine specifico di molestare il soggetto passivo ovvero la mancata previsione delle concrete ed ulteriori conseguenze della sua azione (Cass. 107/16);

che con il settimo mezzo di gravame, riferito al vizio di violazione dell’articolo 112 c.p.c., la ricorrente si duole della mancata pronuncia sull’eccezione con cui essa (OMISSIS) aveva dedotto che “i condomini non potevano essere considerati autori morali dello spoglio, avendo acquistato in buona fede le rispettive unita’ immobiliari”;

che il motivo e’ inammissibile, per carenza di interesse della ricorrente ad impugnare la statuizione di condanna emessa nei confronti dei condomini del Condominio (OMISSIS);

che, peraltro, la doglianza e’ comunque infondata, giacche’ la questione della riferibilita’ della molestia possessoria alla responsabilita’ degli acquirenti degli appartamenti che costituiscono il Condominio (OMISSIS) non costituisce una domanda o una eccezione (alle quali soltanto si riferisce il dovere di pronuncia fissato dall’articolo 112 c.p.c., come sopra precisato trattando dei motivi terzo e quarto), bensi’ una mera argomentazione difensiva, implicitamente disattesa dalla corte territoriale con l’accoglimento della domanda possessoria (anche) nei confronti dei condomini del Condominio (OMISSIS);

che con l’ottavo motivo di ricorso, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la societa’ (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 102, 331, 307 e 354 c.p.c., in cui la corte bresciana sarebbe incorsa omettendo di rilevare la non integrita’ del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del Condominio (OMISSIS), essendo la tettoia per cui e’ causa un bene condominiale; secondo la ricorrente, a mente dell’articolo 102 c.p.c., il primo giudice avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti condomini di quel Condominio e non solo del relativo amministratore e di alcuni condomini (quali proprietari “delle parti esclusive oggetto di domanda cautelare”) e la corte di appello avrebbe dovuto rilevare la non integrita’ del contraddittorio e rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’articolo 354 c.p.c.;

che il motivo va disatteso perche’ l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’amministratore del Condominio (OMISSIS) rendeva non necessaria la presenza in giudizio di tutti i relativi condomini, essendo costoro validamente rappresentati dall’amministratore, per quanto riguarda la tutela giudiziale dei loro diritti sulle parti comuni, anche esterne, del fabbricato condominiale (cfr. Cass. 22911/18: “La legittimazione passiva dell’amministratore del condominio, ex articolo 1131 c.c., comma 2, non incontra limiti e sussiste – anche in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario – in relazione a ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condomino nei confronti del condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale (tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purche’ adibite all’uso comune di tutti i condomini), trovando ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalita’ giuridica distinta da quella dei singoli condomini”);

che in definitiva il ricorso va rigettato in relazione ad tutti i motivi nei quali esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza.

che deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, del raddoppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la societa’ ricorrente a rifondere alla Condominio (OMISSIS), contro ricorrente, le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.