Allorquando si verifichi la lesione del diritto all’immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire. Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.

 

Tribunale Ravenna, civile Sentenza 15 giugno 2018, n. 651

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Medi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 292/2015 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BI.SE., elettivamente domiciliato in VIA (…) RAVENNA presso il difensore (…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BI., elettivamente domiciliato in PIAZZA (…) CESENA presso il difensore

ATTRICI

contro

(…) SPA (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CO.FE. e dell’avv. BA.MA. ((…)) VIA (…) RAVENNA; elettivamente domiciliato in C/O AVV. BA. M.C. VIA (…) 22/24 48100 RAVENNA presso il difensore avv. CO.FE.

CONVENUTA

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) e (…) convenivano in giudizio la società (…) s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali, quantificati in Euro 12.500,00 a favore di ciascuna di esse.

Le attrici esponevano che in data 5 giugno 2014 sul quotidiano “(…)” nell’edizione di Cesena e nell’edizione di Ravenna – Faenza – Lugo veniva pubblicata, senza il loro consenso, una fotografia ritraente in primo piano le attrici stesse, perfettamente riconoscibili, mentre stavano consumando un pasto in uno stabilimento balneare in data prossima al 30 giugno 2005. La fotografia era inserita a corredo di un articolo di cronaca intitolato: “La cozza bio regina del week end” e quindi veniva arbitrariamente associata a tale manifestazione, che si sarebbe tenuta a Cervia all’indomani della pubblicazione e fino alla domenica successiva, con la conseguenza che, per effetto della natura della fotografia, dell’estraneità al contesto in cui era stata fissata e dell’associazione tra immagine e contenuti dell’articolo, le attrici venivano trasformate nel simbolo, inappropriato e risibile, della manifestazione intitolata al noto mollusco.

Le attrice quindi deducevano la lesione del loro diritto all’immagine e dell’onore, decoro e reputazione in quanto coinvolte, loro malgrado, in un susseguirsi di commenti e battute ironiche.

Si costituiva in giudizio la (…) s.p.a. eccependo l’improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 atteso il difetto di tentativo obbligatorio di mediazione nonché l’incompetenza territoriale del giudice adito in favore del Tribunale di Bologna quale luogo i cui aveva sede il titolare del trattamento dei dati ai sensi dell’art. 152 D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice della Privacy) e art. 10 D.Lgs. n. 150 del 2011. Nel merito, contestava le richieste attoree e concludeva per il loro rigetto.

Preliminarmente vanno respinte le eccezioni preliminare sollevate dalla convenuta.

In primo luogo, la domanda delle attrici si fonda sull’accertamento della lesione del diritto all’immagine ex artt. 10 c.c., 96 e 97 L. n. 633 del 1941 e non sulla diffamazione a mezzo stampa, con la conseguenza che non è obbligatorio l’esperimento del procedimento di mediazione.

In secondo luogo, la presente controversia neppure pare riguardare ipotesi di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto il concetto di “lesione della riservatezza” deve essere collocato, tenuto conto delle deduzioni delle attrici, nell’ambito della tutela dell’immagine e non come fattispecie a sé stante, non trovando quindi applicazione né l’art. 152, comma 1 bis, D.Lgs. n. 196 del 2003 (secondo cui le controversie di cui al comma 1 sono disciplinate dall’art. 10 del D.Lgs. n. 150 del 2011) né quest’ultima norma (secondo cui le controversie previste dall’art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 sono regolate dal rito del lavoro e per le stesse è competente il tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati).

A ciò si aggiunga che, anche qualora si volesse ritenere di essere in presenza di un cumulo di domande, tra cui quella relativa all’illecito trattamento dei dati personali, la causa risulterebbe correttamente introdotta nelle forme del rito ordinario di cognizione ex art. 40 c.p.c. in quanto, a differenza del rito del lavoro, applicabile a tutte le domande svolte e non solo a quella relativa all’illecito trattamento dei dati personali (cfr. Tribunale Milano 6.05.2015, n. 28585). Infatti, nell’ipotesi in cui l’attore proponga una sola domanda con la quale deduce che un medesimo fatto viola il c.d. codice della privacy e l’onore, la reputazione prevale l’esigenza di trattazione unitaria del processo, garantita attraverso il ricorso al rito ordinario.

Infine, le Sezioni Unite hanno affermato che: “Ritengono queste sezioni unite, con riferimento all’ipotesi oggetto del presente ricorso (lesione di diritti della personalità per mezzo di trasmissione televisiva), ma sulla base di argomentazioni che rendono il principio estensibile alla competenza su tutte le domande di risarcimento dei danni derivanti da pregiudizi dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, che la competenza in tali casi debba essere del giudice del luogo di domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso sia diverso, anche del giudice della residenza del danneggiato” (cfr. Cass. Sez. Un., 13/10/2009, n. 21661). La Corte Suprema ha precisato che, a differenza di quanto si riteneva in passato, l’obbligazione risarcitoria non nasce nel momento e nel luogo in cui si verifica un fatto potenzialmente idoneo a provocare un danno, ma solo nel momento e nel luogo in cui il danno risarcibile si verifica effettivamente. La competenza per territorio, pertanto, è individuabile nella sede principale degli affari e della vita del danneggiato, costituenti il centro dei suoi interessi, ossia nel luogo in cui presumibilmente si verificano gli effetti dannosi negativi, patrimoniali e non patrimoniali, dell’offesa all’integrità del bene personale che si assume essere stato leso e quindi, nel caso in esame, in Cervia.

Passando all’esame del merito, il fondamento giuridico della tutela dell’immagine e della reputazione degli individui va rinvenuto, implicitamente, negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il diritto all’immagine, pertanto, si configura come un diritto soggettivo perfetto che ha un riconoscimento pari a quello degli altri diritti della persona (come il nome, l’onore, la riservatezza e così via). Esso rappresenta una delle espressioni del diritto alla riservatezza, che garantisce ad ogni individuo uno spazio di riserbo relativamente a tutte quelle caratteristiche della propria personalità che non intende divulgare a terzi.

Il diritto all’immagine è regolamentato prevalentemente all’articolo 10 del codice civile nonché dagli articoli 96 e 97 L. n. 633 del 1941 (c.d. legge sul diritto d’autore). L’articolo 10 del codice civile disciplina l’abuso dell’immagine altrui, imponendo il risarcimento dei danni e la cessazione dello stesso da parte di colui che espone o pubblica l’immagine, fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione sono consentite dalla legge, o con pregiudizio al decoro e alla reputazione della persona stessa o dei congiunti. La legge sulla protezione del diritto di autore all’articolo 96 individua nel consenso dell’interessato l’elemento che esime dalla responsabilità civile, chi espone, riproduce o mette in commercio l’immagine altrui, mentre l’art. 97 così recita: “Non occorre il consenso della persona ritratta, quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata”.

La disposizione sopra citata introduce importanti deroghe al principio nella necessità del consenso alla diffusione della propria immagine, sancendo l’irrilevanza dello stesso in ipotesi tassative quali la notorietà della persona ritratta, le necessità di giustizia o di polizia (foto e riprese avvenute nel corso di processi), gli scopi scientifici, didattici o culturali e le cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico.

Nella fattispecie in esame non è controverso che la pubblicazione dell’immagine delle attrici sia avvenuta in mancanza del loro consenso e che sia stata associata ad un evento (la sagra della cozza bio) del tutto estraneo all’avvenimento nel corso del quale le attrici furono fotografate, già prima del 2005. E’ la stessa convenuta ad ammetterlo affermando, nella propria comparsa di costituzione e risposta, che “L’immagine, infatti, fungeva da contorno ad un servizio su di una sagra gastronomica, che si sarebbe tenuta nel successivo week end, nei ristoranti di Cervia”. Quindi è certo che la fotografia oggetto di causa non ritraeva il ristorante dove si svolgeva l’evento oggetto dell’articolo dato che quest’ultimo sarebbe iniziato solo il giorno successivo alla pubblicazione.

La convenuta invoca l’art. 97 L. n. 633 del 1941 citato sostenendo che è ammesso dalle stesse attrici che la fotografia era stata loro scattata, unitamente alle altre persone raffigurate, mentre si trovavano presso uno stabilimento balneare della riviera romagnola, vale a dire in un luogo pubblico, e che tale fotografia non reca alcun pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro delle attrici.

In proposito occorre osservare che la norma richiamata autorizza, in generale, la riproduzione dell’immagine di una persona nell’ambito di un determinato evento di carattere pubblico o svoltosi in pubblico ma non può giustificare un’utilizzazione che venga effettuata per scopi diversi e senza alcun collegamento con l’accadimento nel corso del quale la fotografia è stata scattata, collegamento che, nel caso in esame, non può essere ravvisato nel semplice fatto che la sagra della cozza avrebbe genericamente riguardato gli stabilimenti balneari della riviera romagnola.

Né si può ritenere che vi fosse un interesse a ritrarre proprio il luogo pubblico ovvero quel preciso ristorante dello stabilimento balneare dal momento che dalla stessa fotografia non emergono elementi atti ad individuarlo e neppure è stato provato che quel locale fosse stato effettivamente sede dell’evento oggetto dell’articolo.

L’associazione dell’immagine delle attrici alla sagra della cozza avvenuta senza il loro consenso ed indipendentemente dalla loro partecipazione alla stessa, quindi in assenza di un interesse pubblico alla divulgazione di detta immagine, ha compromesso la considerazione delle stesse, ritratte in modo riconoscibile, da parte dei terzi e quindi ne ha leso la reputazione essendo notoriamente sconveniente l’associazione di una donna alla cozza e ha finito per renderle simbolo risibile della sagra che si sarebbe celebrata nei ristoranti di Cervia.

Secondo la Suprema Corte, “Allorquando si verifichi la lesione del diritto all’immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire” (cfr. Cass. n. 8397/2016) ed ancora “Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale” (cfr. Cass. Civ., 31.05.2003, n. 8823)

Il danno alla reputazione e il danno morale sono stati ampiamente provati in corso di causa mediante l’istruttoria svolta, dalla quale è emerso che, a seguito delle frasi di scherno pronunciate da alcuni amici e conoscenti delle attrici, quest’ultime si sentivano amareggiate e qualche volta non avevano voluto uscire con gli amici senza tuttavia che la situazione descritta possa ritenersi abbia ingenerato un vero e proprio danno esistenziale, presente solo quando la persona subisca un significativo e durevole peggioramento della qualità della vita essendo state danneggiate le attività realizzatrici della sua persona.

Premesso che la liquidazione del danno deve avvenire in via equitativa, tenuto conto della gravità della condotta, derivante dal fatto che la pubblicazione della medesima fotografia già nell’anno 2005 era stata seguita da formale diffida delle odierne attrici, dalla diffusione raggiunta, conseguente alla pubblicazione della notizia e della fotografia delle attrici nella pagina di cronaca locale del comune di nascita e di residenza delle stesse, dall’autorevolezza della testata giornalistica nel comprensorio romagnolo e cervese, appare congruo riconoscere la somma di Euro 2.500,00 a titolo di risarcimento del complessivo danno non patrimoniale subito da ciascuna di esse (Euro 1.250,00 per il danno morale ed Euro 1.250,00 per il danno alla reputazione), somma già comprensiva di rivalutazione monetaria ed interessi legali, da maggiorarsi, quindi, dei soli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo pagamento.

Ala luce delle considerazioni svolte nonché per i motivi già indicati nell’ordinanza del 15.12.2015 deve essere respinta la richiesta delle attrici di ammissione delle restanti prove orali indicate nella loro memoria istruttoria.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Ravenna, definitivamente pronunciando nella causa distinta al n. 292/2015, promossa da (…) e (…) confronti della (…) s.p.a., ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa:

– accertata l’avvenuta lesione del diritto all’immagine di (…) e (…) a seguito della pubblicazione del ritratto delle stesse sul quotidiano “Il Resto del Carlino” edizione di Cesena ed Edizione di Ravenna – Faenza – Lugo del 5.06.2014, condanna la convenuta (…) s.p.a. al pagamento della somma di Euro 2.500,00, oltre interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo saldo, in favore di ciascuna di esse a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito;

– condanna la convenuta (…) s.p.a. al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 4.835,00 per compenso professionale, oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Ravenna l’11 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.