nella liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d’un familiare deve tenersi conto dell’intensità del relativo vincolo e di ogni ulteriore circostanza, quale la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, la situazione di convivenza, sino ad escludere la configurabilità del danno non patrimoniale da morte se tra fratelli unilaterali non vi sia mai stato un rapporto affettivo e sociale, né rapporti di frequentazione e conoscenza.

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 1 marzo 2019, n. 2088

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 46584/2015 promossa da:

(…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)), (…) (C.F. (…)),

tutti con il patrocinio dell’avv. GU.IL. e dell’avv. PA.PA. ((…)) VIALE (…) 20123 MILANO, elettivamente domiciliato in VIA (…) 00195 ROMA presso il difensore avv. GU.IL.

ATTORI

contro

AZIENDA (…) (C.F.), con il patrocinio dell’avv. TR.AN. e dell’avv. D’A.AN. ((…)) PIAZZA (…) 20162 MILANO; elettivamente domiciliato in VIA (…) 20122 MILANO presso il difensore avv. TR.AN.

CONVENUTO

Oggetto: responsabilità professionale sanitaria

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato, i sig. (…), (…), (…) e (…) convenivano in giudizio l’Azienda (…) perché, previo accertamento della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della struttura, la stessa fosse condannata a risarcire la totalità dei danni derivati dall’erronea esecuzione – in capo al sig. (…) – dell’intervento chirurgico di decompressione del sacco durale e dalla negligente gestione della fase post – operatoria, connotata da ritardi diagnostici e terapeutici.

In particolare, il sig. (…), a seguito di difficoltà deambulatorie manifestantesi in occasione del trasporto di oggetti pesanti o di lunghe passeggiate, in data 30.1.2010, si era rivolto al dott. (…) che, previo calo ponderale, aveva suggerito all’attore l’esecuzione dell’intervento chirurgico di decompressione del sacco durale, intervento questo che avrebbe previsto una degenza pari a circa due settimane ed un breve periodo di riabilitazione motoria; l’unico rischio prospettato dal medico era stato l’assenza di miglioramenti e, dunque, la conservazione dello stato pre-intervento.

Dopo aver ridotto il proprio peso corporeo di oltre trenta kg, l’attore, in data 17.10.2011, era stato ricoverato presso l'(…) ove, in data 24.10.2011, era stato sottoposto ad intervento neurochirurgico di decompressione sacco durale ai due livelli, fissazione L4-L5.

L’addebito mosso dagli attori ai sanitari della struttura veniva articolato sotto plurimi profili, in particolare:

a) mancata sostituzione del drenaggio spinale esterno (DSE), nonostante il suo rilevato malfunzionamento;

b) omissione/ritardo dei controlli post operatori routinari ( tramite TAC e RMN), successivi al primo intervento;

c) somministrazione, in data 25.10.2011, di anticoagulante eparinico (Clexane) in dosaggio superiore a quello raccomandato, con conseguente aumento del rischio di complicanze emorragiche. Secondo il CTP, infatti, tale ultima terapia farmacologica avrebbe “assunto un ruolo causale di rilievo nel determinismo dell’ematoma nella sede chirurgica” (cfr. pa. 25 relazione tecnica di parte).

d) infezione delle ferite chirurgiche, dopo il primo/secondo intervento, a causa di escherichia coli che, in quanto germe della flora batterica del colon, avrebbe rilevato una negligente e imperita procedura di sterilizzazione, aggravata dalla somministrazione di una dose non adeguata di concentrazione di antibiotico;

e) omessa informativa circa i rischi e le complicanze connessi all’esecuzione dell’intervento, con conseguente lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione.

Ulteriormente precisando la portata dell’addebito colposo mosso ai sanitari, gli attori rilevavano che solo dopo 20 ore dalla manifestazione dei primi sintomi denunciati dal paziente, erano stati eseguiti accertamenti specifici: alle 3.05 del 26.10.2011, a seguito di forti deficit motori manifestati dal paziente all’arto inferiore destro era stato finalmente eseguito un controllo radiografico. Dopo ulteriori 8 ore e 30 min, era stata richiesta valutazione RMN che, evidenziando la presenza di materiale patologico comprimente “marcatamente il sacco durale in entrambe le sedi operatorie” e la “comparsa di peggioramento della stenia all’arto inferiore destro che presenta una paresi più grave rispetto a quanto rilevato ieri sera”, aveva determinato i sanitari ad eseguire, in data 26.10.2011, un ulteriore intervento neurochirurgico di revisione del campo operatorio.

Nel successivo decorso operatorio era stata rilevata la fuoriuscita di “materiale giallo corpuscolato” in sede di ferite chirurgiche, circostanza questa che aveva determinato, prima, la somministrazione di specifiche terapie antibiotiche e, poi, l’esecuzione di un ulteriore intervento chirurgico, eseguito in data 17.11.2011.

A causa della persistenza – successiva all’intervento – di un deficit della minzione, il catetere vescicale era stato mantenuto in situ fino al 10.12.2011 e a tutt’oggi la minzione viene assicurata solo mediante auto cateterismo plurimo, stante la presenza di alvo e vescica neurologici.

All’atto delle dimissioni, avvenuto dopo due mesi dall’intervento il sig. (…) era stato ricoverato presso l’Istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena per la riabilitazione, dove era rimasto fino al 26.05.2012 per poi proseguire il ricovero presso la medesima struttura – dal 29.07.2012 fino al 17.09.2012 – in regime di semiinternato.

Nonostante gli ottimi risultati raggiunti dal sig. (…) mediante la terapia riabilitativa, l’attore lamentava di aver perso l’autonomia di movimento che possedeva, invece, al momento dell’ingresso nella struttura sanitaria. Il sensibile peggioramento delle condizioni sanitarie del paziente si era manifestato, infatti, nella totale assenza di equilibrio, nell’impossibilità di deambulare autonomamente, se non per brevissimi tratti e con il solo ausilio di sostegni e, infine, nella perdita dell’autonomia minzionale, con grave deficit della funzione defecatoria.

Oltre al generale peggioramento delle condizioni di salute del sig. (…), gli errori diagnostici e terapeutici posti in essere dai sanitari e forieri di negative alterazioni della capacità deambulatoria, avevano concorso a determinare la caduta del paziente, in data 5.11.2013, e la conseguente la frattura del femore destro.

Il pregiudizio configuratesi a seguito dell’imperita condotta dei sanitari, secondo l’assunto attoreo, avrebbe inciso non solo sulla persona di (…) ma anche su quella dei suoi prossimi congiunti. In particolare, la moglie del paziente, la sig.ra (…), lamentava un danno diretto – causalmente riconducibile agli errori professionali commessi dal personale del Niguarda – e consistente nell’integrale stravolgimento della propria vita privata: la modificazione in pejus delle condizioni di salute del marito, ridotto ad una condizione di paresi, aveva, infatti, comportato la rinuncia della sig. (…) alla propria vita personale ormai esclusivamente scandita dalle esigenze – anche fisiologiche – del sig. (…). L’assistenza costante richiesta dalle gravi condizioni di salute del marito, avrebbe precluso, inoltre, alla sig. (…) la possibilità di “fare la nonna” e ciò in considerazione della distanza geografica che separava la donna da sua figlia e dalla sua unica nipotina e della necessità di assistere il marito.

Con riguardo alla figlia del sig. (…), (…), il detrimento subito sarebbe consistito nel fatto di aver dovuto rinunciare – dopo il parto – al sostegno della madre, assorbita – come dianzi specificato – dalla costante assistenza al marito.

Con riguardo alla seconda figlia, (…), analogamente alla sig. (…) lamentava il totale stravolgimento della propria vita personale a seguito della modificazione in pejus delle condizioni di salute del padre: l’attrice infatti aveva convissuto con i genitori fino al giorno delle nozze, pertanto, seppur non in misura assorbente come la madre, aveva assistito costantemente il padre degente modulando, anche dopo il matrimonio, la propria vita in ragione delle esigenze paterne. Tali incombenze avevano condizionato anche il reperimento di un’occupazione da parte dell’attrice e ciò nonostante il suo elevato grado di specializzazione della stessa.

Con successivo ricorso per accertamento tecnico preventivo in corso di causa ex art. 693, 696 e 699 c.p.c., la difesa attorea chiedeva disporsi anticipatamente CTU medico legale, già richiesta nell’atto introduttivo, in ragione dei seguenti avvenimenti:

a) in data 1.09.2015, il sig. (…) era stato colpito da ictus ischemico dell’emisfero destro;

b) in data 25.11.2015 il sig. (…) era stato nuovamente ricoverato all’ospedale regionale di Ancona per una serie di complicanze;

c) in data 12.12.2015, il sig. (…) aveva subito perforazione intestinale con aggravamento delle condizioni cliniche generali cui aveva avuto seguito un improvviso shock settico e dunque un ulteriore intervento chirurgico.

In considerazione delle condizioni di estrema gravità in cui versava l’attore e del pericolo di vita in cui incorreva, al fine di non vedere pregiudicata la possibilità di esperire CTU medico legale sulla persona del (…), se ne domandava l’anticipazione.

Regolarmente costituitasi in giudizio con comparsa di risposta, l’Azienda (…) preliminarmente rilevava che il sig. (…), già all’atto del ricovero presso l'(…) e dunque prima di essere sottoposto ad intervento neurochirurgico, presentava uno stato di salute gravemente compromesso in ragione di una patologia neurologica degenerativa che lo affliggeva. Tale circostanza, secondo il convenuto, era desumibile tanto dalla perizia di parte attrice a mente di cui il sig. (…), prima dell’esecuzione dell’intervento, presentava “difetto della dorsiflessione del piede destro da oltre dieci anni, .., paraparesi flaccida maggiore a destra in stenosi canale vertebrale lombare e mieloradicolopatia spondilodiscoartrosica, .. negli ultimi sei mesi graduale difficoltà del cammino e nel salire le scale, precipitata nell’ultimo anno con difficoltà nell’equilibrio, con riduzione dell’autonomia nella marcia ad 80- 100 m., .. urgenza minzionale, nicturia e ostruzione canale uretrale con iperattività destrusoriale. Ipostenia diffusa arti inferiore destro maggiore di sinistro”, come emergeva dalla cartella clinica versata in atti. Secondo la stessa, il sig. (…), prima dell’intervento neurochirurgico, era afflitto da “incapacità nell’erezione, ulcera duodenale, cisti rene destro di 8 cm, cisti epatiche, nota creatinchinasi elevata, iperomocisteineria, broncopneumopatia cronica ostruttiva, ipertrofia prostatica benigna, fibrillazione atriale cardiovertita farmalogicamente”.

In altre parole, al momento del ricovero presso la struttura ospedaliera, erano già in atto importanti fenomeni degenerativi ascrivibili alla sfavorevole evoluzione delle ernie discali e alla neuroradicolopatia dovuta alla spondilolistesi tra L4 e L5.

Secondo il convenuto, dunque, il quadro clinico prospettato dall’assunto attoreo come eziologicamente riconducibile all’imperizia dei sanitari – ovvero la deambulazione con molla di Codevilla e girello e la vescica neurologica – era del tutto sovrapponibile a quello configurantesi prima dell’esecuzione dell’intervento e, pertanto, non era suscettibile di ristoro.

Quanto agli addebiti specificamente mossi dall’attore in ordine all’errata esecuzione dell’intervento chirurgico e alla non accurata sterilizzazione degli attrezzi chirurgici, la struttura rilevava, innanzitutto, che la prudenza, diligenza e perizia impiegata nell’operazione chirurgica era chiaramente ravvisabile dall’analisi delle video-registrazioni versate in atti e, in secondo luogo, che la presenza dell’escherichia coli nelle ferite chirurgiche era riconducibile non già alla negligente sterilizzazione – eseguita secondo il piano di disinfezione all’epoca adottato – quanto piuttosto al fatto che l’escherichia coli è un batterio particolarmente resistente e dunque difficile da debellare. A tal ultimo proposito, aggiungeva il convenuto, che la terapia antibiotica somministrata al fine di contrastare l’infezione era adeguata, conforme ai protocolli e prolungata. Con riguardo agli altri addebiti mossi dall’attore, segnatamente legati al drenaggio, ai controlli postoperatori e alla somministrazione di anticoagulante in dosaggio superiore a quello raccomandato, la struttura ne contestava recisamente la verificazione e, in ogni caso, negava che gli stessi avessero dispiegato efficacia causale in ordine al prodursi dei postumi per cui era stato domandato giudizialmente il risarcimento, postumi questi ultimi in alcun modo ascrivibili alla condotta dei sanitari. Secondo il convenuto, infatti, la presenza di fenomeni morbosi preesistenti rappresentava un fattore alternativo idoneo e di per sé sufficiente a porsi come causa dell’evento lesivo o, comunque, tale da non consentire la formulazione di un giudizio di elevata o prevalente probabilità sull’eziologica riconducibilità del danno lamentato alla condotta dei sanitari del Niguarda. Il convenuto negava, inoltre, l’esistenza di qualsiasi nesso eziologico tra il ricovero presso la struttura sanitaria e “la frattura del femore, occorsa in data 5.11.2013, a centinaia di chilometri di distanza dal NIGUARDA”.

Con riguardo all’asserita lesione del diritto all’autodeterminazione del sig. (…), il convenuto rilevava che il paziente all’atto del ricovero aveva puntualmente rilasciato e sottoscritto il consenso informato, senza che dunque potesse configurarsi alcuna lesione del suo diritto all’autodeterminazione.

La struttura, infine, contestando la quantificazione dei danni patrimoniali e non asseritamente subiti dal sig. (…), dalle sue figlie e dalla moglie, chiedeva, in via principale, il rigetto delle domande ex adverso formulate; in subordine, previa applicazione dell’art. 2236 c.c., chiedeva il rigetto delle domande attoree, stante l’assenza degli elementi soggettivi del dolo e della colpa grave e, infine, in ulteriore subordine, chiedeva che la condanna fosse limitata alla sola porzione di danno qualificabile come diretta conseguenza della condotta colposa del personale sanitario, tenuto conto delle preesistenti (e gravemente compromesse) condizioni di salute del sig. (…).

Alla prima udienza di comparizione delle parti la difesa attorea, nel subprocedimento di accertamento tecnico preventivo, insisteva nell’accertamento urgente.

Secondo l’assunto attoreo, infatti, la perforazione intestinale subita dall’attore in data 12.12.2015 era eziologicamente riconducibile all’intervento chirurgico eseguito presso l'(…) in data 24.10.2011 e, pertanto, si rendevano necessarie indagini cliniche specifiche tali da meglio definire la genesi della perforazione colica. Al fine di verificare se lo shock settico del paziente fosse causalmente legato alle severe alterazioni della defecazione, a loro volta derivate dall’intervento chirurgico del 24.10.2011 e alle disfunzioni neurologiche da esso cagionate, il dott. (…) suggeriva l’esecuzione di plurimi accertamenti ma le gravi condizioni di salute in cui versava il sig. (…) consentivano l’esecuzione della sola RettoSigmoidoColonScopia (cfr. all. 76 – memoria ex art. 183 n.1 nell’interesse degli attori).

Il Giudice concedeva termine per il deposito di documentazione clinica relativa al ricovero dell’attore e ad eventuali accertamenti diagnostici disposti su suggerimento del consulente di parte attrice, assegnando al contempo nel procedimento principale i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.

Alla successiva udienza di rinvio del subprocedimento peraltro la difesa dava atto di un miglioramento del paziente che ne escludeva il pericolo di vita attuale e consentiva di svolgere l’accertamento medico legale nell’ambito dell’ordinario giudizio di cognizione. Il sub procedimento veniva quindi definito in assenza di specifico interesse dalla parte ricorrente ad un accertamento in via urgente.

Nella memoria ex art. 183 n.1, gli attori, sulla scorta del certificato medico a firma del dott. (…) (cfr. all. 78), dei documenti relativi all’intervento chirurgico eseguito in data 12.12.2015 (cfr. all. 79), della colonscopia (cfr. all.76) nonché delle consulenze chirurgiche del 29.120.2015 (cfr. all. 80), ritenevano sussistente una concatenazione patogenica tra la perforazione colica (e il conseguente intervento chirurgico del 12.12.2015) e l’operazione eseguita in data 24.10.2011; pertanto, integravano le domande risarcitorie formulate nell’atto introduttivo con quelle relative non solo ai danni connessi alla frattura del femore (occorsa in data 5.12.2013) ma anche con quelle concernenti il pregiudizio derivante dalla stomia intestinale.

Con riguardo ai primi, ovvero quelli cagionati dalla “frattura pertrocanterica del femore sinistro”, l’attore rilevava la causale riconducibilità del pregiudizio subito alla condotta imperita dei sanitari del Niguarda: mentre, infatti, al momento del ricovero, il sig. (…) era pienamente autonomo e si muoveva senza necessità di aiuto da parte di terzi, né di ausili sanitari, all’atto delle dimissioni dalla struttura l’attore presentava esiti paraplegici (cfr lettera di dimissione del 19.12.2011, a mente di cui “in seconda giornata compariva paraparesi ingravescente”). Di qui il nesso eziologico tra la condotta imperita del personale sanitario – che aveva determinato, tra gli altri effetti, anche la totale perdita di equilibrio – e la frattura del femore occorsa proprio a seguito di una rovinosa caduta del paziente. A riprova di ciò, l’attore rilevava che il dott. (…), ben un anno prima della caduta, aveva dichiarato (a pag 31 del doc. n.2 allegato all’atto di citazione) che il sig. (…) aveva costante “necessità di supervisione per l’elevato rischio di cadute”. Tale ulteriore danno evento – ovvero la frattura del femore e il successivo intervento chirurgico – causalmente connesso alla condotta colposa dei medici, avrebbe determinato un ulteriore invalidità assoluta pari a 60 giorni e un’invalidità temporanea pari ad almeno 60 giorni, con conseguente incremento del quantum debeatur dovuto a titolo di risarcimento del danno biologico.

Con riguardo, invece, all’ulteriore evento verificatosi a seguito della notifica dell’atto di citazione, ovvero la perforazione intestinale, la stessa veniva causalmente ricondotta alla severa alterazione dei meccanismi defecatori, a propria volta, determinata dagli errori commessi in sede di esecuzione dell’intervento neurochirurgico del 24.10.11. La visita urologica del 29.02.2011, infatti, aveva evidenziato oltre che la vescica neurologica – determinante la necessità di procedere ad auto cateterismi plurimi per le quotidiane funzioni urinarie – anche l’alvo neurologico determinante la necessità di liberare manualmente l’ampolla a causa delle gravi difficoltà nella defecazione. Secondo l’assunto attoreo – suffragato dalla consulenza del dott. (…)-, dunque, l’alterazione dei meccanismi defecatori avrebbe condotto alla stasi intestinali e quindi all’accumulo di materiale fecale nell’intestino.

Tale circostanza oltre ad aver determinato una dilatazione abnorme del colon, avrebbe cagionato anche una virulentazione della flora microbica intestinale che, danneggiando la parete intestinale, avrebbe determinato la perforazione del colon con conseguente peritonite e shock settico. Il danno ulteriore subito dal sig. (…), veniva pertanto quantificato – sotto il profilo medico-legale – in 41 giorni di invalidità assoluta da aggiungersi al danno biologico permanente stimato, anteriormente alla frattura del femore e alla perforazione intestinale – in misura non inferiore al 60%. Gli eventi pregiudizievoli “ulteriori”, continuava la difesa attorea, evidentemente si erano ripercossi sulle sfere personali, emotive e morali dei prossimi congiunti che avevano assistito ad un progressivo peggioramento del sig. (…) riconducibile alla condotta negligente, imperita e imprudente dell’azienda convenuta.

Il Giudice, con ordinanza emessa in data 10.05.2016, disponeva procedersi a CTU medico legale sulla persona di (…). All’esito del deposito della relazione venivano richiesti chiarimenti ai consulenti e quindi, respinta la richiesta di svolgimento di CTU psichiatrica sulla persona del coniuge del sig. (…) ed ammesse alcune prove testimoniali orali delegate al Tribunale di Ascoli Piceno, la causa veniva fissata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 10.7.2018 con ordinanza riservata del seguente tenore: “ritenuto che la documentazione pur allegata alla citazione introduttiva e relativa alle condizioni della sig.ra (…) non consenta di dare ingresso alla richiesta CTU medico legale sulla stessa alla luce della generica descrizione dei sintomi offerta dalla dottoressa Calabrese che risulta inoltre avere visitato la prima volta la parte solo ai primi mesi del 2015 a fronte di un fatto risalente al 2011 e di una molteplicità di avvenimenti incidenti sulla salute del coniuge nell’intervallo di tempo; viceversa la documentazione potrà essere valutata ai fini di un giudizio sulla personalizzazione del danno;

rilevato che la documentazione da n. 99 a n. 109 prodotta dalla parte attrice in udienza del 20.9.2017 non risulta reperibile al fascicolo dell’ufficio di modo che non può essere adottato alcun provvedimento al riguardo”.

In tale sede le difese hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe ed il giudice ha trattenuto la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

Le domande attoree sono fondate nei limiti che seguono

Responsabilità sanitaria

Atteso che nel caso in esame l’attore ha agito nei soli confronti della struttura sanitaria vale ricordare quanto segue.

Per consolidato orientamento della Corte di Cassazione “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009).

La Suprema Corte ha infatti rilevato come “in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno” (Cass. 15993/2011).

Il presupposto di tale criterio di accertamento è costituito dall’altrettanto consolidato principio della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria (privata o pubblica) sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico (cd contratto di spedalità o di assistenza sanitaria) che si perfeziona anche per fatti concludenti laddove si abbia anche soltanto l’accettazione del malato presso la struttura (cfr. Cass. SSUU. 577/08 e Cass. N. 8826/2007).

Tale contratto ha ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ed accessorie (fra cui prestare assistenza al malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.).

Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni – esercenti professioni sanitarie e personale ausiliario – e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi soggetti.

Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera, qualunque sia il legame, di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

Come già affermato da questo Tribunale, infatti, “l’accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall’art. 2 L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie. In presenza di contratto di spedalità, la responsabilità della struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d’inadempimento sia per quanto concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell’art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi. A questi fini è sufficiente che la struttura sanitaria comunque si avvalga dell’opera di un medico. In definitiva va riaffermato il principio generale- anche di recente ricordato dalla Suprema corte (Cass. N. 12833/2014)- in virtù del quale la responsabilità che dall’esplicazione dell’attività di un terzo direttamente consegue in capo al soggetto che se ne avvale riposa invero sul principio dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino. Nè, al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria (v. Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682). Il debitore risponde quindi direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si avvale, sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei danni che può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il creditore. Tale responsabilità- in linea generale- trova fondamento nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (cfr., con riferimento a diversi ambiti professionali, Cass., 13/4/2007 Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 30/12/1971, n. 3776. (…) anche Cass., 4/4/2003, n. 5329), fondamentale rilevanza assumendo – come detto – la circostanza che dell’opera del terzo il debitore o il preponente comunque si avvalga nell’attuazione della prestazione dovuta. D’altra parte, nella predisposizione di un servizio complesso come quello sanitario naturalmente destinato alla gestione di beni primari dei “clienti-pazienti” con attività anche di particolare complessità e difficoltà tecnico-scientifica, l’imprenditore proponente assume una sua responsabilità anche nella scelta degli ausiliari e nella predisposizione di adeguati livelli di controllo” (Tribunale di Milano, estensore Pres. Bichi, sentenza depositata il 5.1.2015).

Nel merito va richiamato l’esito della indagine peritale disposta ed affidata ai dottori (…) (medico legale) e Ce.Ar. ( medico chirurgo, specialista in neurochirurgia).

Dopo aver ripercorso dettagliatamente la travagliata storia clinica dell’attore (cfr. pag. 1-12 CTU), i consulenti hanno riferito che le prestazioni eseguite sulla persona di (…), in occasione dell’intervento neurochirurgico avvenuto in data 24.10.2011 presso l'(…) erano state le seguenti: “Il 24.10.2011 fu sottoposto al 1 intervento chirurgico mirato a 2 livelli: distretto discale D12-L1 (approccio translaminare dx e foraminotomia, mediante endoscopio con ottica a 45 drillaggio di osteofita mediano ventrale al sacco durale e decompressione controlaterale, emostasi e sintesi), distretto discale L4-L5 (stabilizzazione con posizionamento di 4 viti transpeduncolari, laminectomia bilaterale, decompressione, artrodesi), nel corso dell’intervento è descritta piccola lacerazione durale che ha richiesto plastica e posizionamento di derivazione liquorale spinale esterna (DSE); segue emostasi e sintesi.

Il 25.10.11 dai fogli di terapia si legge: ore 10 Clexane 4000 u.i. Totacef 1 fl x3 ore 16-24-08. Trasferito in reparto alle ore 16 viene praticato Clexane 4000 u.i.

Il 26.10.11 praticata indagine TAC che dimostra gli esiti della laminectomia destra D12-L1 e stabilizzazione L4-L5, si praticano 8 mg di Decadron e la DSE viene rimossa. Alle ore 09 richiesta una NMR, eseguita alle ore 11.23, con riscontro di ematoma extradurale con compressione del sacco durale in canale stretto a D12-L1.

Il 26.10.11 sottoposto al 2 intervento di revisione delle ferite chirurgiche, con descrizione di evacuazione di ematoma extradurale venoso e risutura durale in D12- L1, esplorazione della ferita caudale.

Il 17.11.11 praticato 3 intervento di revisione della ferita per deiscenza e diastasi, con posizionamento di drenaggio sottocutaneo, plastica durale con duragen, muscolo e tussucol per gemizio liquorale ventralmente al sacco durale, e nuovo posizionamento di DSE”.

I consulenti hanno qualificato come routinario l’intervento di decompressione del sacco durale; per quanto delicato al pari di qualsiasi trattamento chirurgico concernente la colonna vertebrale, l’intervento in questione, infatti, non comportava la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Quindi hanno osservato come il reparto di Neurochirurgia dell'(…) di Milano fosse pienamente idoneo ad “affrontare la patologia in argomento, nonché le possibili complicanze del trattamento chirurgico praticato” (cfr. pag. 16 della CTU).

Tanto premesso i consulenti hanno accertato profili di responsabilità in capo ai sanitari della struttura sanitaria convenuta sotto due profili: in primo luogo, hanno evidenziato l’errore tecnico commesso nel corso dell’intervento eseguito in data 24.10.2011 e consistente nell’omesso posizionamento del drenaggio ad aspirazione nelle cavità operatorie. Tale omissione, secondo i consulenti, ha determinato la compressione esterna del midollo spinale, circostanza questa “agevolata” da “un ulteriore errore, questa volta di tipo organizzativo della struttura ospedaliera e di omesso controllo: risulta infatti che il 25.10.2011 (il giorno successivo all’intervento) è stata somministrata una dose doppia di profilassi anticoagulante; .. nel caso di specie, l’eccessivo dosaggio ha favorito la formazione dell’ematoma in cavità operatoria, che non è stato drenato per omessa applicazione di dispositivo di drenaggio ad aspirazione, con conseguente compressione midollare”.

Accertato quanto sopra, con esclusione di ulteriori profili di negligenza qualificata ( pertanto escludendosi un ritardo nel monitoraggio successivo e nella indicazione all’intervento), i consulenti, sulla scorta delle indagini strumentali eseguite anteriormente all’intervento e dell’anamnesi raccolta in sede ospedaliera, hanno quindi descritto e comparato le condizioni di salute ante e post intervento chirurgico come segue: “Riguardo alle condizione di salute dell’attore prima dell’intervento del 24.10.2011, i dati tecnici a nostra disposizione consistono nelle indagini strumentali praticate precedentemente all’intervento e nell’anamnesi raccolta in sede ospedaliera. Ne risulta che il sig. (…), all’epoca dei fatti di anni 66, era iperteso in terapia, ex forte fumatore (con quadro radiologico di BPCO), con pregressa fibrillazione atriale trattata con farmaci, portatore di cisti renale destra, cisti epatiche, in sovrappeso, con nicturia ed ostruzione uretrale con iperattività del detrursore da ipertrofia prostatica ulcera duodenale trattata, ipoacusia bilaterale, CPK elevate, iperomocisteinemia. Da 10 anni difetto della dorsiflessione del piede destro e negli ultimi 6 anni graduale incremento della difficoltà nel camminare e nel salire le scale; nell’ultimo anno peggioramento con difficoltà nell’equilibrio, riduzione della autonomia nella deambulazione ridotta a 80-100 metri, ma in grado di guidare l’auto e pedalare in bicicletta. Noti gli esami strumentali di NMR del 18.12.2009 (a D12-L1 marcata impronta durale e stenosi del canale da L1 a S1), EMG del 26.04.2010 (importante multiradicolopatia lombosacrale con degenerazione assonale L5 e S1 bilaterale maggiore a destra), TAC del 19.05.2010 (discopatie multiple, degenerazioni spondiloartrosiche, stenosi del canale D12-L1, L4-L5 con modesta listesi, che non si modifica alle radiografie dinamiche, della L4) potenziali evocati sensitivo-motori del 2011 (patologici) ed infine di NMR del 13.07.2011 (all’esame diretto della quale si rileva una iperintensità in T2 come tipicamente si riscontra nelle lesioni malaciche centromidollari).

Successivamente all’intervento del 24.10.2011 sono comparsi paraparesi, quadro di vescica neurologica necessitante autocateterismi e alvo neurologic.

All’esito del trattamento riabilitativo (in regime di ricovero sino al 26.05.2012), il quadro clinico è stato così descritto: In respiro spontaneo per vie naturali. Si alimenta per os. Nella norma la motilità, la forza ed il tono a livello degli arti superiori. Parestesie in territorio di C8 a destra. Quadro neuromotorio di paraparesi con deficit stenico maggiore a destra. Tono flaccido e ipotonotrofia agli arti inferiori. Normoevocabili i ROT agli arti superiori e a livello rotuleo sx; ipo-anevocabili il rotuleo di destra, gli achillei e i plantari. Alluce muto bilaterale. Ipoestesia superficiale e dolorifica con livello LI a destra. Parestesie prevalenti in sede distale agli arti inferiori. Controllo del tronco completo. Esegue i trasferimenti autonomamente. Stazione eretta acquisita con appoggio e la mantiene a base allargata per brevi istanti. La deambulazione si realizza con ausilio (deambulatore in esterni e bastone canadese bilaterale in interni) su superfici regolari mentre si rende necessaria la supervisione su terreni sconnessi per rischio di caduta aumentato. Esegue le scale con ausilio e appoggio monolaterale. Alvo e vescica neurologici, esegue 4 auto CV al giorno; incontinenza fecale.”

Con riguardo invece alle attuali condizioni del sig. (…), i consulenti riferivano: “Le attuali condizioni di salute dell’attore sono caratterizzate da paraparesi grave, nettamente maggiore all’arto inferiore sinistro, con plegia del piede e della gamba, dove la spasticità è predominante, esito dell’ictus ischemico cerebrale destro, dove è presente un modesto accenno a contrattura del quadricipite. A destra solleva la gamba flettendo ed estendendo, e contrae bene il quadricipite, piede plegico. Tiene sollevati gli arti superiori al Mingazzini con fenomeno della troclea e modesto ipertono a sinistra esito dell’ictus. Non deficit del VII, ipoacusia bilaterale. Calcificazioni alle articolazioni delle spalle dove porta cerotti a rilascio di antidolorifici. Non può essere messo in piedi anche per la presenza di calcificazioni a livello delle articolazioni coxofemorali, maggiormente a sinistra dove esiste la protesi d’anca. Non vengono riferiti grossolani disturbi della sensibilità superficiale, non cloni. Areflessia agli arti inferiori. I passaggi posturali sono assistiti e per i trasferimenti utilizza carrozzina”.

Tanto osservato ed accertato i consulenti:

– hanno quantificato il danno iatrogeno eziologicamente riconducibile alla censurabile condotta dei sanitari del Niguarda consistita in una iatrogena compressione eterna del midollo spinale in un peggioramento neurologico, i cui effetti aggravanti rispetto alla situazione patologica precedente sono stati individuati in una compromissione psico fisica della misura del 20%, da calcolarsi in termini differenziali dal 26% al 45%;

– hanno precisato che, quand’anche l’intervento chirurgico fosse stato immune da censure, lo stesso non avrebbe consentito il recupero della preesistente funzionalità ma avrebbe unicamente rallentato/fermato la progressione dei disturbi e ciò, a fortiore, ove si consideri il canale spinale congenitamente ristretto, il sovrappeso del paziente, la stenosi a livelli superiori a 2-3 e la presenza di un’area malacica midollare elementi tutti che rendevano estremamente aleatorio il recupero ( vedi pag. 21 della relaizone). Pertanto, i CTU hanno concluso affermando che “l’efficacia della correzione sarebbe consistita nel non far progredire la patologia, quanto meno nel rallentarne l’evoluzione e stabilizzare i disturbi già in atto (alla data del 17.10.2011: da 10 anni difetto della dorsiflessione del piede destro, negli ultimi 6 anni progressiva difficoltà nel camminare e nel salire le scale, nell’ultimo anno peggioramento con difficoltà nell’equilibrio, riduzione della autonomia nella deambulazione ridotta a 80-100 metri); il quadro clinico ravvisato ad avviso dei consulenti configura una “persistente compromissione della integrità psico-fisica” valutabile percentualmente intorno al 25 % come danno biologico”; a causa di tale situazione clinica propria del paziente la percentuale di aggravamento è stata fatta “decorrere” dai CTU dal 26% al 45%;

– non hanno riconosciuto diretta correlazione tra le condotte del personale operante presso la struttura sanitaria convenuta e la frattura femorale occorsa in data 5.11.2013; infatti i CTU hanno evidenziato, che ancor prima dell’intervento del 24.10.2011, il sig. (…) aveva manifestato progressive difficoltà legate alla deambulazione e all’equilibrio, pertanto, anche in fase pre-operatoria sussisteva un rischio di caduta superiore alla media; i consulenti hanno tuttavia ravvisato un collegamento tra peggioramento neurologico conseguente all’intervento iatrogeno e l’aumento del rischio frattura;

– quanto alla perforazione colica occorsa nel dicembre 2015, anche in tal caso, i consulenti non hanno ravvisato alcuna correlazione tra la stessa e la condotta dei sanitari del Niguarda: secondo i CTU, infatti il motivo preponderante di tale perforazione era da individuarsi nelle complicanze intervenute in occasione del prolungato ricovero in corso di ictus ischemico cerebrale del 2.09.2015 e “connesse anche ad un quadro di dolicosigma, oligo/aniuria da insufficienza renale acuta sostenuta da infezione delle vie urinarie, disturbi cardiocircolatori in iperteso in terapia da circa 10 anni con stiffness arterioso, fibrillazione atriale parossistica, extrasistolia, stato infettivo e plurime ferite cutanee da pressione; la quota di aumentato rischio per gli effetti dell’alvo neurologico (dai dati clinici disponibili condizionante essenzialmente un quadro di incontinenza), è da ritenersi minimale, al limite dell’aleatorietà”.

Per quanto concerne lo stato psico-fisico attuale del sig. (…), così come configurantesi anche a seguito di ictus ischemico cerebrale – del tutto avulso dai fatti di causa – lo stesso veniva ritenuto stimabile nella misura dell’85% di compromissione della integrità psicofisica. Esso costituisce l’attuale parametro di compromissione del quale è necessario tenere conto nell’accertamento della quota di compromissione ricollegabile alla condotta iatrogena.

I consulenti hanno ulteriormente precisato e distinto rispetto al collegamento eziologico il profilo dell’aggravamento del rischio. Il tema è stato esaminato accuratamente dai consulenti avuto riguardo ai fatti successivi accaduti a distanza di tempo e relativi a distretti del corpo non immediatamente ricollegabili a quello oggetto dell’intervento.

Avuto riguardo alla frattura femorale i consulenti hanno rilevato come sussista effettivamente una quota di aggravamento del danno biologico, da stimarsi in misura dell’8%, in riferimento ad un aumentato rischio di frattura, rispetto alla situazione preesistente, del 20%; viceversa avuto riguardo all’aumento del rischio relativo alla perforzazione intestinale hanno osservato come tale aumento abbia in realtà probabilità di manifestazione minimali, al limite dell’aleatorietà.

Infine i CTU hanno accertato, quale effetto diretto dell’intervento del 24.10.2011 un prolungamento del periodo di inabilità temporanea assoluta di 200 giorni e di inabilità temporanea parziale al 50% in 90 giorni.

Analogamente, alla luce dell’aggravamento del rischio apprezzabile avuto riguardo alla frattura femorale, rischio che si concretizzato, è stato valutato anche un periodo di inabilità temporanea relativa a tale vicenda calcolata in una inabilità temporanea di 9 giorni in forma assoluta (ricovero) e indicativamente, secondo criterio clinico, di 90 giorni in forma parziale alla media del 66 %. Nulla è stato riconosciuto sotto tale profilo con riguardo all’evento della perforazione intestinale, ritenuto non collegabile neppure sotto il profilo dell’aggravamento del rischio all’errore medico accertato in sede di intervento del 24-10.2011.

Relativamente alla pertinenza e congruità delle spese sostenute, le stesse sono state considerate tali nella seguente misura:

a) visite specialistiche ed esami strumentali (Euro 664,5);

b) tutori e scontrini farmaceutici (Euro 1.274,67);

c) copia di documentazione sanitaria (Euro 83,12);

d) relazione CTP (Euro 2.662,00);

Sono state invece considerate “non inerenti” le spese sostenute per esami cardiologici e corrispondenti ad Euro 294,00.

A fronte delle contestazioni svolte dalle difese il Giudice ha ritenuto di sollecitare i consulenti a offrire chiarimenti ai CTU in ordine a due profili:

1) “modalità di individuazione e di calcolo percentuale sia del danno biologico permanente (calcolato nella misura del 20% su di un differenziale tra il 26% e il 45% quando il complessivo totale della lesione all’integrità psicofisica del periziato è stata calcolata nell’85%) sia avuto riguardo alle percentuali indicate di aggravamento del rischio con riguardo alla frattura del femore e della perforazione intestinale delle quali i CTU indicheranno il parametro di riferimento, soprattutto laddove si individua una percentuale minima dell’8% su di un complessivo rischio del 100%, ciò che richiede una migliore specifica delle caratteristiche dell’aggravamento”;

2) “il profilo del calcolo della invalidità temporanea atteso che non è chiaro se il periodo indicato dai CTU si riferisca al solo profilo iatrogeno evidenziato; sarà dunque necessario esplicitare sia quale sarebbe stato il periodo di inabilità in ipotesi di intervento correttamente eseguito sia quello che in concreto si è realizzato per consentire quindi una valutazione di riferibilità alla condotta imperita”.

Con riguardo al primo quesito, i CTU hanno chiarito che il calcolo del danno biologico differenziale era stato eseguito tenendo conto esclusivamente “delle preesistenze relative alla patologia del rachide e in particolare: multiradicolopatia lombosacrale con degenerazione assonale L5 e S1 bilaterale maggiore a destra, discopatie multiple, degenerazioni spondiloartrosiche, stenosi del canale D12-L1, L4-L5, potenziali evocati sensitivo-motori patologici, reperti NMR di lesione malacica centromidollare, condizionanti sul piano clinico riduzione della autonomia deambulatoria a 80-100 metri, difficoltà di equilibrio e deficit di dorsiflessione del piede destro”.

La compromissione biologica emergente dal quadro clinico delineato, veniva quindi stimata nella misura del 25%, “prendendo come riferimento la voce tabellare ((…), “Guida alla valutazione medico legale dell’invalidità permanente”, Giuffrè Ed., 2015; Art. 138 DL 7.9.2005 n. 209) attribuita al quadro di Paraparesi con deficit di forza lieve-moderato, che è valutato in un range dal 20 % al 45 %, in funzione dell’entità del quadro clinico”.

Il danno iatrogeno veniva, invece, determinato in misura pari al 20 %: tale quantificazione, conduceva la predetta percentuale stimata (25%) al 45 %, “ovvero alla massima valutazione prevista dai suddetti riferimenti per la medesima voce tabellare, in ragione del peggioramento neurologico, comprendente anche il deficit della funzionalità sfinteriale (prima dell’intervento non presente)”.

I consulenti, ulteriormente precisando le proprie affermazioni, riferivano che alla percentuale dell’85% di compromissione dell’integrità psico-fisica, si era addivenuti “considerando anche le patologie proprie preesistenti non correlate al rachide (ipertensione, bronco-pneumopatia cronica ostruttiva, pregressa fibrillazione atriale trattata con farmaci, cisti renale destra, cisti epatiche, sovrappeso, ipertrofia prostatica, ulcera duodenale trattata, ipoacusia bilaterale) e le complicanze sopravvenute successivamente (protesi di anca sinistra, ictus cerebrale, perforazione intestinale con colostomia”.

Con riferimento, poi, all’aggravamento determinato dalla frattura femorale e dalla perforazione intestinale e quantificato – rispettivamente – nella misura dell’8% e del 25% rispetto alla compromissione generale rilevata, i CTU ribadivano l’assenza di correlazione causale con la condotta censurabile ascritta ai sanitari: tuttavia, relativamente alla frattura del femore, i CTU aggiungevano che “si può però ammettere che il peggioramento iatrogeno della patologia rachidea abbia comportato un maggior rischio di incorrere in cadute e nella frattura pari indicativamente al 20 %”.

I CTU affermavano, inoltre, che le valutazioni percentuali attribuite alle menomazioni derivanti dalle suddette lesioni, sarebbero dovute essere applicate in termini di danno iatrogeno differenziale, da aggiungersi alla quota già individuata del 45 % e corrispondente alla complessiva menomazione del rachide. Veniva, in ogni caso, lasciata al Giudice ogni considerazione e valutazione in ordine alla probabilità che il danno iatrogeno del rachide avesse cagionato la frattura femorale (circostanza poco probabile, per aumentato rischio di caduta del 20 %) e la perforazione intestinale (circostanza improbabile, più verosimilmente correlata a patologie intervenute del tutto autonomamente).

In relazione, infine, al secondo quesito, i CTU confermavano l’inabilità temporanea correlata al danno iatrogeno del rachide nei termini di 200 giorni in forma assoluta (prolungamento del ricovero), seguiti da 3 mesi in forma parziale al 50 % (in considerazione del ricorrere di lesioni neurologiche, che richiedono prolungati tempi di recupero e di adattamento).

“Con riguardo, invece, agli effetti della frattura femorale e della perforazione intestinale, “Richiamato quanto espresso a proposito dei postumi permanenti in ordine alla rispettivamente bassa o minimale probabilità di loro correlazione causale con le lesioni del rachide, valgono le valutazioni indicate nella prima relazione: 9 giorni in forma assoluta da ricovero e 90 giorni alla media del 66% per la frattura femorale; nessuna valutazione per la perforazione intestinale, in quanto intervenuta in corso di ricovero per patologia autonoma di prolungata convalescenza (ictus ischemico)”.

Le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti dell’ufficio meritano condivisione.

La situazione clinica del sig. (…) prima dell’intervento per cui è causa era infatti caratterizzata da una complessità del tutto peculiare ma anche per la presenza di una patologia neurologica degenerativa rispetto alla quale l’intervento avrebbe potuti svolgere funzione di rallentamento. Detta condizione, che i consulenti hanno ben evidenziato, è emersa sin dalla descrizione del paziente all’atto del suo ingresso nella struttura ospedaliera convenuta.

Rispetto a tale condizione clinica complessa deve evidenziarsi come non siano stati accertati profili di negligenza se non con riguardo alle due condotte sopra indicate che hanno determinato una compressione midollare generativa di un aggravamento della condizione generale, aggravamento che ben si coglie dalla differente condizione neurologica complessiva del paziente all’atto della sua dimissione dall'(…).

E’ ben vero che il sig. (…) , grazie all’intervento riabilitativo, ebbe a recuperare una parziale mobilità, documentata anche dalle fotografie in atti relative al matrimonio della figlia ( documento che, essendosi poi la condizione psico fisica modificata in peius, appare significativo ed è apprezzabile in questa sede in quanto legato ad un avvenimento che non è contestato essere avvenuto successivamente all’intervento), tuttavia ad essa si deve accompagnare un importante decadimento neurologico ben descritto dai consulenti e non limitato alla mera mobilità.

Tale complessità, che può costituisce giustificazione di un eventuale insuccesso dell’intervento, al fine di evitare che i pazienti complessi siano vittima della medicina cosiddetta difensiva, tuttavia, non esime la struttura sanitaria dal prestare tutte le cure necessarie al fine di, se non migliorare le condizioni cliniche del paziente, quantomeno non aggravarle oltre il ragionevole aggravamento che è tipico di talune patologie non regredibili.

La attività sanitaria, in casi simili, ha quindi un onere duplice: di informare correttamente ed in modo esaustivo il paziente avuto riguardo non solo alla tipologia di intervento da praticare ma anche ai prevedibili esiti positivi ed insuccessi; e di prestare le cure necessarie con la diligenza richiesta per il caso specifico, anche avendo cura della fase post operatoria che per i pazienti “complessi” rappresenta un momento cruciale con riguardo alla buona riuscita dell’intervento.

Nel caso di specie risultano contestati fondatamente entrambi i profili.

Quanto al primo dei due profili menzionati, la documentazione contenuta nella cartella clinica evidenzia che in data 23.10.2011 venne sottoposto e fatto sottoscrivere al sig. (…) un modulo di consenso informato del tutto generico avuto riguardo ai rischi specifici di insuccesso dell’intervento . A parte la compilazione manoscritta del tipo di intervento da eseguirsi ( decompressione) le restanti informazioni sono costituite da una affermazione di essere stato informato dei rischi connessi all’intervento ma senza che essi vengano esplicitati.

Non essendovi altra documentazione attestante il profilo informativo tale documento è all’evidenza carente.

che le informazioni date al paziente siano state complete ed esaurienti.

Poiché risulta allegato che il sig. (…), se informato dei rischi effettivi di possibile peggioramento/aggravamento della patologia, non si sarebbe sottoposto all’intervento la violazione al diritto alla informativa e quindi alla libera autodeterminazione nella scelta terapeutica risulta accertata.

Tale mancata possibilità di scelta si riverbera anche sul diritto alla salute in quanto l’intervento poi in concreto svolto non ha avuto effetto neutro sul paziente ma ne ha sensibilmente aggravato la progressione.

Quanto al secondo profilo i consulenti hanno evidenziato due aspetti in cui si è concentrato l’addebito di negligenza qualificata: l’omesso posizionamento di drenaggio ad aspirazione nelle cavità operatorie e la somministrazione del doppio della dose di profilassi anticoagulante che ha favorito la formazione dell’ematoma nella cavità operatoria che non è stato drenato per omessa applicazione del dispositivo di drenaggio ad aspirazione e ha determinato l’effetto di successiva compressione midollare.

Se si considera la tipologia di intervento emerge con chiarezza che gli errori attengono a profili di chiara colpa medica e che una semplice ordinaria osservazione delle manovre idonee a prevenire detto rischio avrebbe potuto evitare.

Tale aspetto integra a tutti gli effetti una colpa ( al limite della colpa grave).

A tali condotte colpose i consulenti hanno collegato con nesso di causalità materiale un aggravamento neurologico significativo i cui esiti sono ben rappresentati nella descrizione del paziente al momento della dimissione e a distanza di pochi mesi.

Tale aggravamento è stato analizzato approfonditamente e non può ritenersi conseguenza naturale delle varie patologie di cui soffriva il sig. (…), come ben chiarito dai consulenti.

Il riverbero della compressione midollare iatrogena è stato apprezzato motivatamente dai consulenti, con richiamo alle tabelle medico legali riportate sui manuali di (…) citati nella relazione e quantificato in una percentuale del 20% da valutarsi in rapporto differenziale rispetto alla compromissione propria di base del paziente calcolata, se l’intervento fosse stato eseguito a regola d’arte, nel 25%.

Le considerazioni dei consulenti vanno interamente condivise.

La maggior ampiezza delle contestazioni in ordine alle condotte negligenti sostenuta dai consulenti di parte attrice è stata efficacemente contrastata con ‘osservazione in ordine alla tempestività degli interventi successivi (registrazione del peggioramento clinico il 26.10.2011 alle ore 2,40 con successiva indagine RMN richiesta alle 9,00 della stessa giornata, praticata alle 11,23 con intervento seguito alle ore 15) giudicata congrua dai consulenti ( pag. 2 delle risposte alle osservazioni dei CTP).

La maggior percentuale di compromissione dopo l’intervento chirurgico è stata efficacemente contrastata sottolineando che il calcolo che porta a tale risultato si fonda su di una sommatoria di valutazioni tabellari che non tiene conto dell’effettivo quadro menomativo attuale da valutarsi all’85% né tiene conto della necessità di ricollegare la percentuale di danno alla condotta iatrogena ( pag. 3 e 4 delle risposte).

Quanto poi all’incidenza delle condotte iatrogene sugli eventi successivi ( frattura del femore e perforazione intestinale) i consulenti dell’ufficio hanno efficacemente osservato che i riferimenti svolti in ordine all’incremento del rischio caduta prima e dopo l’intervento ( da 0 a 4) non sono indicatori esaurienti perchè l’aumento del rischio calcolato in ospedale si basa anche su altri elementi quali precedenti episodi di caduta, agitazione psicomotoria, deterioramento delle capacità di giudizio/mancanza del senso del pericolo. Nel caso del sig. (…) l’aggravamento del rischio caduta si può basare solo sul peggioramento delle condizioni motorie e pertanto il rischio caduta nel caso di specie può essere valutato solo nella misura del 20%. Ai fini del calcolo di tale valore i consulenti hanno offerto apprezzabili spunti rilevando come gli esiti della frattura femorale, rispetto al quadro complessivo di compromissione attuale del sig. (…), pari all’85%, si attestano sull’8%.

Inoltre i consulenti hanno ben spiegato, rispondendo alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte convenuta, che a prescindere dalla assenza di videoregistrazioni in atti che comproverebbero il corretto posizionamento del drenaggio o addirittura la sua non necessarietà in relazione all’intervento di specie, come l’intervento del 24 ottobre 2011 era svolto su due livelli ( L4 e L5 e D12 e L1, con scollamento delle masse muscolari non limitato con la conseguenza che sussisteva la necessità di apporre un sistema di drenaggio efficiente con aspirazione dalla cavità operatoria, condotta che non è controindicata dalla presenza di lacerazioni durali.

Quanto alla doppia somministrazione di eparina i consulenti hanno evidenziato che si è trattato di una evidente disattenzione, non rispondendo ad alcuna scelta terapeutica neppure indicata in cartella e comunque non sostenuta dalle linee guida che nei pazienti a rischio tromboembolico moderato si attesta su di un dosaggio di 2.000 U.I. mentre nel caso di specie è stata somministrata in dose doppia con incremento del rischio emorragico, che puntualmente si è verificato ( la bibliografia specifica è indicata alla pag. 7 delle risposte).

Le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti meritano quindi adesione in quanto approfondite, coerenti con la documentazione medica in atti e ben argomentate, resistendo da un punto d vista tecnico alle contestazioni dei consulenti di parte.

Non residua alcuno spazio per disporre una rinnovazione della perizia, dunque, diversamente da come la difesa di parte attrice ha più volte richiesto.

La liquidazione dei danni

Quanto al danno alla salute – biologico esso va liquidato in favore del sig. (…) tenendo in considerazione i parametri tabellari offerti dalle Tabelle del Tribunale di Milano, nella loro versione attuale più recente, parametro che per le caratteristiche che lo contraddistinguono è stato riconosciuto valido dalla più recente giurisprudenza di legittimità per i “casi medi”.

Ne consegue che, avendo il paziente riportato una compromissione del 20%, tenuto conto del suo accertamento in ambito di differenziale rispetto ad una pregressa e persistente ( e poi ancora di più aggravata) situazione patologica del medesimo tipo ( compromissione neurologica in aggravamento) e dell’età al momento dei fatti ( 66) ha patito un danno biologico che può essere equitativamente liquidato in Euro 167.303,00 ( differenza tra il valore indicato al 45% e quello al 26%).

Come è noto tale somma, nella previsione tabellare, contiene anche il risarcimento del danno morale, quale componente di danno sofferenza. Tale componente non risulta essere stata allegata in termini superiori a quella media riconosciuta in relazione alla tipologia di lesione patita.

La difesa ha chiesto che su tale liquidazione di base sia applicata una personalizzazione massima osservando come dall’errore iatrogeno siano derivate conseguenze nella vita di relazione e nelle abitudini di vita molto ampie, avuto particolare riferimento alla passione per le camminate in montagna e alla vita famigliare, risultatane stravolta anche a causa dell’obbligo di mantenere il catetere vescicale.

Ancora una volta soccorrono le fotografie prodotte dalla difesa attorea, datata in tempi prossimi all’intervento ( l’estate dello stesso anno) che consentono di dare per provata la particolare passione per la montagna e l’esistenza di una nipotina in tenera età, circostanze che consentono di affermare che il sig. (…) abbia visto compromessa la propria vita di relazione e le abitudini cui era solito dedicarsi a causa dell’aggravamento, avvenuto in tempi improvvisi e non preventivati.

Può quindi applicarsi all’importo sopra indicato un incremento pari al 29% e cioè al valore massimo mediano tabellare per un complessivo totale pari ad Euro 205.820,87.

Con riguardo alla inabilità temporanea vanno liquidati al sig. (…), mantenendo il parametro di Euro 147,00 giornaliero considerata la massima personalizzazione alla luce della peculiare invasività della convalescenza si ottiene un importo di Euro 36.015,00.

I consulenti hanno accertato anche un ulteriore danno alla salute qualificato come aggravamento del rischio caduta.

Tale danno è stato ritenuto sussistente in relazione al complessivo grado di aumento del rischio relativamente ad un avvenimento che si poneva in prospettiva come possibile tenuto conto della ingravescenza neurologica della malattia di cui soffre il sig. (…); tuttavia l’aumento del rischio si è tradotto in un danno vero e proprio atteso che il sig. (…) è effettivamente incorso nella frattura del femore.

Si tratta pertanto di un aumento del rischio che ha già trovato attuazione e conseguenze sulla persona del sig. (…). Poiché i consulenti hanno accertato che l’aggravamento del rischio riconducibile alle condotte iatrogene è stato nel caso specie significativo ( diversamente da quanto accertato con riguardo al profilo della perforazione intestinale) esso va senz’altro riconosciuto.

I consulenti hanno offerto dei parametri per la descrizione di tale aggravamento che si ritiene di poter seguire.

Essi hanno valutato che il danno femorale nel complessivo della situazione di compromissione psico fisica del sig. (…) ( 85%) ammonti ad una quota pari all’8% e che la condotta iatrogena abbia incrementato detti rischio del 20%. Seguendo tali parametri e nell’ambito pur sempre di una liquidazione equitativa del danno può liquidarsi per tale aggravamento l’importo di Euro 12.000,00.

L’importo finale complessivo, pari ad euro 253.835,87 risulta comprensivo di tutte le voci di danno biologico alla salute patite dal sig. (…) da liquidarsi in via unitaria.

I danni patrimoniali

L’attore ha chiesto anche il risarcimento di danni patrimoniali.

Con riguardo a tale voce di danno ha allegato due distinti titoli di causa, quello per esborsi dovuti a spese mediche e di assistenza e quello per ridotta capacità di guadagno a causa dell’anticipato pensionamento.

Quanto al primo si richiamano le osservazioni svolte dai consulenti dell’ufficio che hanno riconosciuto solo alcuni esborsi, direttamente riconducibili all’aggravamento di origine iatrogena.

Sono state riconosciute quindi per visite specialistiche ed esami strumentali spese per Euro 664,50; per tutori e scontrini farmaceutici spese per Euro 1.274,67; per copia di documentazione sanitaria Euro 83,12.

Vanno altresì riconosciute spese per le relazioni di consulenza tecnica di parte per Euro 2.662,00.

Il tutto per euro 4.684,29.

I consulenti non hanno ravvisato i presupposti per il riconoscimento di spese future. Esse sono state allegate e richieste sia in considerazione di spese mediche in futuro non garantite dal Sevizio sanitario nazionale sia in considerazione della necessità di una assistenza infermieristica/badante giornaliera, sia con riguardo alle spese per l’acquisto di una autovettura con guida adatta a disabili.

Tali spese, proprio per la condizione degenerativa anche motoria in aggravamento non imputabile alla condotta iatrogena non possono essere riconosciute.

Quanto al secondo titolo di spesa va rilevato che la prova del danno è risultata carente.

Risulta infatti documentato che il sig. (…) lavorasse come dipendente ma risulta anche che egli si risolse a lasciare il lavoro in via anticipata e percepisca ad oggi un trattamento pensionistico ( doc. 7 dlele produzioni di parte attrice).

In assenza della prova di un parametro reddituale precedente e, soprattutto, tenuto conto della patologia ingravescente già in atto non risulta fornita la prova della imputabilità di tale decisione alla condotta iatrogena ed al danno in aggravamento ad essa riferita. Dal documento di provenienza dell’INPS citato emerge che la domanda di pensionamento è stata presentata il 28.6.2012. La circostanza che il pensionamento anticipato abbia determinato, pertanto, un danno da mancato guadagno pari ad Euro 118.637,38, tenuto conto dell’età del sig. (…) al momento in cui richiese il trattamento pensionistico ( 67 anni) non risulta sostenuto da idonea prova, a ciò neppure soccorrendo la relazione contabile del rag. (…) che non consente di ritenere provato il presupposto di fatto e cioè che la decisione di abbandonare anticipatamente il lavoro dipenda in modo preponderante dall’aggravamento della patologia riconducibile alla condotta iatrogena e non invece al progredire ingravescente della patologia neurologica.

Del tutto indimostrato è anche che la proposta lavorativa per il periodo successivo al pensionamento avrebbe potuto essere effettivamente raccolta dal sig. (…) stante le sempre ingravescenti espressioni sintomatologiche della patologia in atto, ed anche tenuto conto del grave episodio di perforazione intestinale occorso successivamente.

Sussiste anche un danno per violazione del consenso informato.

Come in precedenza rilevato esso è risultato provato avuto riguardo sia alla violazione ( mancanza di informazione sui rischi connessi all’intervento) sia al danno ( se avesse saputo del rischio di aggravamento non si sarebbe sottoposto ad intervento che ha inciso in aggravamento sulla patologia in essere). Il danno si apprezza quindi per la sua duplice declinazione di lesione alla autodeterminazione e di lesione alla salute.

Tale doppia valenza consente di riconoscere al danno in argomento una apprezzabile intensità che giustifica il riconoscimento dell’importo di Euro 10.000,00.

Il danno dei congiunti

Può ritenersi accertato un danno da grave sconvolgimento della vita famigliare in capo al coniuge del sig. (…), sig.ra (…), e alle due figlie. Sig.ra (…) e sig.ra (…).

Va infatti riconosciuto iure proprio agli attori- tutti legati a (…) da uno stretto vincolo parentale non contestato- il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. derivante dalla grave compromissione psico fisica patita dal congiunto, in quanto lesione dello specifico interesse – di rilievo costituzionale – alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia.

In proposito va ricordato l’insegnamento della Suprema Corte che, con riferimento al danno da perdita del rapporto parentale, ha sottolineato come “Il riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, primo comma, Cost.) va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati.” (Cass. 8827/03).

Gli attori, dando conto della loro qualità di congiunti del sig. (…) hanno documentato la loro qualità di congiunti (moglie e figlie) e pertanto, tenuto conto dello stretto legame di parentela hanno diritto al risarcimento del danno da perdita parentale.

E’ noto che tale tipologia di danno non segue solo alla morte del congiunto ma a tutti gli eventi lesivi (iatrogeni nel caso di specie) che siano in grado per le caratteristiche specifiche di provocare una sofferenza umana di apprezzabile rilievo. L’evento, in quanto come detto riconducibile ad un comportamento colposo della struttura sanitaria convenuta, in tali termini è fonte di specifica responsabilità ex art. 185 c.p. e 2043 c.c..

Nella liquidazione del danno si dovrà tuttavia tenere conto di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità di vagliare in concreto quale sia stata da un lato la sofferenza patita, anche non transeunte ma apprezzata nella sua prosecuzione nel tempo e dall’altra la compromissione della sfera affettiva familiare da ciò derivata il tutto alla luce della allegazione e della prova – di cui è onerata parte attrice – in ordine alle condizioni soggettive di vittima e congiunto, del grado di parentela, delle rispettive età, dell’eventuale convivenza e di ogni altro indice che la parte interessata abbia inteso sottoporre all’attenzione del giudicante.

E’ invero principio consolidato che “nella liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione d’un familiare deve tenersi conto dell’intensità del relativo vincolo e di ogni ulteriore circostanza, quale la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, la situazione di convivenza, sino ad escludere la configurabilità del danno non patrimoniale da morte se tra fratelli unilaterali non vi sia mai stato un rapporto affettivo e sociale, né rapporti di frequentazione e conoscenza ( cfr . Sez. 3, Sentenza n. 23917 del 22/10/2013 (Rv. 629114).

Tuttavia va anche osservato che ( cfr Cass. sez. 3 – , Sentenza n. 21060 del 19/10/2016 (Rv. 642934 – 02) “nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (cd. danno da rottura del rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell’attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inidonea a dimostrare uno sconvolgimento delle abitudini di vita degli stretti congiunti dell’ucciso la mera allegazione di circostanze, quali la convivenza con la vittima, i suoi studi universitari ed il suo subentro in attività imprenditoriali di famiglia, nonché l’assenza di incomprensioni all’interno del nucleo familiare, volte a dimostrare in via presuntiva che gli attori avevano investito molto, in termini umani e professionali, sul parente defunto, figlio primogenito, e che il dolore per la sua prematura perdita era stato particolarmente intenso).

Inoltre poiché ( cfrSez. 3, Sentenza n. 25351 del 17/12/2015 (Rv. 638116 – 01) “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di persona cara, costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale – non altrimenti specificato – e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ma unitariamente ristorato” la liquidazione del danno in esame dovrà seguire un percorso unitario.

Tanto premesso l’allegazione in ordine a differenti e specifici radicali cambiamenti di vita in capo ai familiari odierni attori è stata ampiamente esplorata e valorizzata.

Quanto alla sig.ra (…) la difesa ha allegato, senza che ciò abbia formato oggetto dispecifica contestazione, lo stretto e prolungato legame coniugale, il ruolo fondante di pater familias assunto dal sig. (…) nell’ambito del nucleo famigliare, la condivisione collaudata di esperienze, viaggi e relazioni amicali tutti venuti meno a causa dell’improvviso aggravarsi della patologia in atto. Non ultimo è stato sottolineato il dolore per non avere potuto affiancare la figlia e la nipote con l’aiuto che viceversa avrebbero ben potuto dare come nonni.

Tale complessiva modifiazione della vita familiare , a causa del peculiare ed improvvisa aggravamento, può essere riconosciuta come titalmente riferita alla condotta iatrogena atteso che proprio l’improvvisa sua verificazione ha determinato quello sconvolgimento che viceversa un più lenta e progressivo aggravamento della patologia avrebbe cosnentito di affrontare.

Può quindi essere riconosciuto alla sig.ra (…), coniuge del sig. (…), per lo sconvolgimento della vita parentale un importo a titolo risarcitorio di Euro 150.000,00.

Alla sig.ra (…) non può essere riconosciuto un danno biologico diretto e personale rispetto al quale non vi è stata produzione di documentazione idonea a evidenziare un percorso patologico oggetto di specifica cura ricollegabile all’evento occorso al coniuge diverso dalla sofferenza come sopra descritta.

Possono essere invece riconosciute le spese per i viaggi e l’alloggio in Milano per il periodo prolungato di degenza del coniuge, spese che si liquidano in Euro 100 giornalieri per 55 giorni, per un totale di Euro 5.500,00.

Alle figlie (…) e (…), anch’esse fortemente coinvolte nella gestione della vicenda sanitaria del padre, come è emerso anche dalla prova delegata, può essere riconosciuto l’importo di Euro 80.000,00 per ciascuna: sebbene non più conviventi con il padre il riverbero sulle rispettive esistenze del venir meno dell’appoggio paterno e del sorgere di un nuovo e ben diverso rapporto di assistenza, anch’esso rilevante sotto il profilo dell’improvviso e non preventivato aggravamento, è stato comunque accertato.

Risulta infatti provato che entrambe, benché maggiorenni ed una anche già inserita in un nuovo contesto famigliare, abbiano seguito i mesi di prolungata ospedalizzazione del padre dimostrando un forte attaccamento rispetto alla figura paterna e modificando anche le proprie abitudini di vita sia da un punto di vista lavorativo sia da un punto di vista organizzativo familiare.

Non risultano sostenuti da prova ulteriori tipologie di danno.

Su tutti gli importi come qui liquidati al valore attuale della moneta non possono essere riconosciuti i c.d. interessi (legali) compensativi con decorrenza dall’illecito (alla luce dell’insegnamento risalente a Cass. Sez. Un. 17/2/1995 n. 1712), giacché si verte in tema di debito di valore.

Si ritiene tuttavia, in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso dall’illecito (8 anni), che vada riconosciuta ai danneggiati un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili (e conseguentemente dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante alla danneggiata), potendo ragionevolmente presumersi che la stessa ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della somma spettante l’avrebbe certamente impiegata in modo fruttifero.

Tale presunzione si ricava dalla necessità di sottoporsi a cure impegnative nonché d acquisto di mezzi e strumenti necessari per la patologia in essere. Ai fini della liquidazione equitativa del lucro cessante derivato dal mancato tempestivo risarcimento per equivalente si ritiene di far ricorso al criterio degli interessi legali (compensativi) da calcolarsi sull’importo riconosciuto e “devalutato” fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi legali fino alla decisione giudiziale ovvero sul capitale “medio” rivalutato.

Sulla somma così risultante corrispondente all’intero danno risarcibile liquidato a parte attrice, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo e con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.

Le spese di lite

Le spese di assistenza e rappresentanza nel processo seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo tenuto conto del valore della causa come accertato in sentenza e dei criteri tariffari ex D.M. n. 55 del 2014 e succ. modificazioni. Nella liquidazione del compenso, in assenza di questioni in diritto di particolare complessità, si è ritenuto di calcolare il valore medio ed un aumento del 30% per il numero delle parti attesa la prevalenza della difesa comune.

Le spese di CTU, come già liquidate, vanno poste interamente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione reietta, così provvede:

in parziale accoglimento delle domande svolte dalle parti attrici, accerta la responsabilità dell’Azienda (…) in relazione ai fatti occorsi al sig. (…) e per l’effetto la condanna al risarcimento del danno patito dagli attori con conseguente condanna al pagamento:

in favore del sig. (…) a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale Euro 268.520,16;

in favore di (…) a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale Euro 155.500,00;

in favore di (…) e (…) a titolo di danno non patrimoniale Euro 80.000,00 per ciascuna;

condanna parte convenuta al pagamento in favore degli attori delle spese di lite che si liquidano in Euro 36.145,00 già compreso l’aumento del 30% per il numero delle parti oltre contributo unificato oltre rimborso forfetario, Iva e cpa.

pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese di CTU.

Così deciso in Milano il 26 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria l’1 marzo 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.