La richiesta di condanna dei canoni scaduti e pagati dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo costituisce una precisazione del petitum, e non una domanda nuova: sia perche’ il fatto costitutivo della pretesa resta invariato; sia perche’ qualsiasi diversa interpretazione sarebbe contrastante con il principio costituzionale e comunitario di ragionevole durata del processo; sia perche’, essendo consentito dalla legge in grado di appello formulare per la prima volta una domanda di pagamenti dei frutti maturati dopo la sentenza impugnata, a fortiori dovra’ ritenersi consentita in primo grado la domanda di pagamento dei frutti civili (quale e’ il canone di locazione) maturati dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 6 giugno 2019, n. 15307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4957-2017 proposto da:

(OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) S.R.L. UNI PERSONALE oggi (OMISSIS) in persona del legale rappresentante’ pro tempore (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura 2018 speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1424/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 24/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 (OMISSIS) chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti di (OMISSIS), avente ad oggetto il pagamento dei canoni di locazione dovuti dal secondo al primo in virtu’ d’un contratto di locazione di un immobile adibito a deposito librario.

(OMISSIS), dichiarando di agire “sia in proprio che quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l.”, cui aveva “conferito la posizione contrattuale” (cosi’ si esprime la sentenza impugnata), propose opposizione al suddetto decreto, eccependo la nullita’ del contratto di locazione per mancata registrazione e l’esistenza d’un accordo col locatore per la riduzione del canone; ed allegando altresi’ che nell’immobile oggetto del contratto erano presenti cospicue infiltrazioni di umidita’, che gli avevano arrecato danni al patrimonio ed alla salute.

L’opponente concluse pertanto chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo, ed in via riconvenzionale la condanna di (OMISSIS) al risarcimento dei suddetti danni.

2. Con sentenza 24 febbraio 2016 n. 1277 il Tribunale di Catania accolse solo parzialmente l’opposizione.

Ritenne il Tribunale che il canone di locazione fosse leggermente inferiore a quello indicato nel ricorso per decreto ingiuntivo dal ricorrente; di conseguenza revoco’ il decreto e condanno’ l’opponente “in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l.” al pagamento in favore dell’opposto della somma di Euro 19.281,80, oltre interessi.

Rigetto’ tutte le domande riconvenzionali formulate da (OMISSIS).

La sentenza venne appellata da (OMISSIS).

3. Con sentenza 24 ottobre 2016 n. 1424 la Corte d’appello di Catania accolse parzialmente il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

-) la nullita’ del contratto di locazione, derivante dall’omessa registrazione, era stata sanata con effetto ex tunc dall’avvenuta registrazione tardiva;

-) l’eventuale inagibilita’ dei locali legittimava il conduttore a recedere dal contratto, ma non a sospendere del tutto il pagamento del canone;

-) dal credito del locatore non poteva essere detratto il pagamento, invocato dal conduttore, della somma di Euro 4.120 avvenuto il 2 marzo 2009, in quanto l’opponente non aveva provato a quali canoni dovesse essere imputato il suddetto pagamento;

-) legittimamente il locatore opposto aveva domandato la condanna del conduttore opponente al pagamento dei canoni maturati successivamente al decreto ingiuntivo, ne’ tale domanda poteva reputarsi nuova;

-) l’opponente non aveva provato di aver patito alcun danno legato da un nesso di causalita’ all’inadempimento del locatore: non il danno costituito dalle spese di trasloco, perche’ queste comunque si sarebbero dovute sostenere per effetto della risoluzione consensuale del contratto; non il danno patrimoniale da ammaloramento dei libri conservati nel deposito, perche’ privi di qualsiasi valore commerciale; non, infine, il danno non patrimoniale alla salute, per mancanza della prova di una lesione della salute.

4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) e dalla Soluzioni Editoriali s.r.l., qualificatasi “successore della (OMISSIS) s.r.l.”, con ricorso fondato su sei motivi ed illustrato da memoria.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 346, nonche’ degli articoli 1418 e 1423 c.c..

Sostengono di essere stati ingiustamente condannati al pagamento dei canoni di locazione, nonostante il contratto di locazione si sarebbe dovuto ritenere nullo, per violazione delle norme sopraindicate, a causa della omessa registrazione.

1.2. Il motivo e’ infondato.

Questa Corte, pronunciando a Sezioni Unite, ha infatti gia’ stabilito che “il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente ab origine l’indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, e’ nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, puo’ comunque produrre i suoi effetti con decorrenza “ex tunc”, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” e’ coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullita’ (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione” (Sez. U -, Sentenza n. 23601 del 09/10/2017, Rv. 645468 – 01).

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano sia il vizio di violazione di legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3 (deducono, in particolare, la violazione degli articoli 115, 345 e 645 c.p.c.); sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.

Nell’illustrazione del motivo sostengono che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto ammissibile la domanda, formulata da (OMISSIS) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di condanna dell’opponente al pagamento dei canoni di locazione scaduti dopo il 30 aprile 2012, ovvero successivamente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

Deducono che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto ha sostanzialmente la posizione di attore, ed in quanto tale non gli e’ consentito proporre domande riconvenzionali.

L’illustrazione del motivo prosegue prospettando poi una seconda censura, con la quale si lamenta che la Corte d’appello avrebbe integralmente recepito i conteggi dei canoni dovuti e non pagati, cosi’ come prospettati da (OMISSIS), erroneamente affermando che essi non sarebbero stati contestati dall’opponente.

2.2. La prima delle suesposte censure e’ infondata.

La richiesta di condanna dei canoni scaduti e pagati dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo costituisce una precisazione del petitum, e non una domanda nuova:

-) sia perche’ il fatto costitutivo della pretesa resta invariato;

-) sia perche’ qualsiasi diversa interpretazione sarebbe contrastante con il principio costituzionale e comunitario di ragionevole durata del processo;

-) sia perche’, essendo consentito dalla legge in grado di appello formulare per la prima volta una domanda di pagamenti dei frutti maturati dopo la sentenza impugnata, a fortiori dovra’ ritenersi consentita in primo grado la domanda di pagamento dei frutti civili (quale e’ il canone di locazione) maturati dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

Tali principi sono stati gia’ ripetutamente affermati da questa Corte, con orientamento dal quale non v’e’ ragione di discostarsi (Sez. 1, Sentenza n. 2112 del 24/06/1968, Rv. 334271 – 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 7423 del 23/03/2017, Rv. 643697 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7866 del 19/07/1995, Rv. 493351 – 01).

2.3. Con la seconda delle suesposte censure, come accennato, il ricorrente lamenta che il giudice di merito abbia erroneamente ritenuto ammesso dall’odierno ricorrente un fatto che, invece, fu debitamente contestato.

Sostiene che l’errore sarebbe stato duplice: da un lato non avvedersi che la contestazione vi fu; dall’altro ritenere che l’istituto della “non contestazione” potesse operare anche con riferimento ad una serie di conteggi, depositati dal locatore, aventi ad oggetto la misura dei canoni asseritamente maturati dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

2.3.2. Nella parte in cui sostiene che un “conteggio” non sarebbe suscettibile di “non contestazione” il motivo e’ infondato.

La misura del canone che il locatore assume dovuta e la decorrenza di esso sono altrettanti fatti, ed il non contestarli consente al giudice di ritenerli provati, a nulla rilevando che le suddette circostanze di fatto siano dedotte in uno scritto difensivo od in una tabella a questo allegata.

2.3.3. Nella parte restante la censura e’ inammissibile per difetto di specificita’, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 6.

Il ricorrente, infatti, lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non contestata, e quindi provata, la misura dei canoni che il locatore pretendeva maturati dopo il deposito del ricorso monitorio, ed ancora dovuti.

Il ricorrente, tuttavia, non indica quale fosse il risultato dei conteggi erroneamente ritenuti “non contestati”, ne’ quale sarebbe dovuto essere il calcolo corretto. Non mette, di conseguenza, questa Corte in condizione di valutare la decisivita’ dell’errore prospettato con ricorso.

Denunciare, infatti, l’errore consistito nell’avere ritenuto non contestato un fatto contenuto in un documento (nella specie, il calcolo dei canoni ancora dovuti) e’ un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sui documenti del cui mancato esame il ricorrente si duole.

Quando tuttavia il ricorso per cassazione si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilita’ (articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, nel caso di specie il ricorrente non ha assolto il primo. Il ricorso, infatti, non riassume ne’ trascrive il contenuto dei conteggi che si assumono erroneamente ritenuti “non contestati”.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano sia il vizio di violazione di legge, di cui all’articolo 360 n. 3, c.p.c. (deduce, in particolare, la violazione degli articoli 1578 e 1460 c.c.; nonche’ dell’articolo 112 c.p.c.); sia il vizio di omesso esame di un fatto controverso, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5.

Nell’illustrazione del motivo (in verita’ non del tutto coerente con la sua intitolazione), si formula una tesi giuridica cosi’ riassumibile:

-) il locale oggetto del contratto di locazione, agibile al momento della stipula, divenne inagibile a causa delle infiltrazioni di umidita’ nel corso del rapporto;

-) il conduttore, pertanto, legittimamente aveva sospeso il pagamento del canone ai sensi dell’articolo 1460 c.c.;

-) in ogni caso, anche ad escludere che il conduttore fosse liberato dall’obbligo di pagamento del canone, dopo l’insorgenza dell’umidita’ il conduttore aveva comunque diritto ad una riduzione del canone, riduzione che venne chiesta con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, e sulla quale il giudice di merito non si era pronunciato.

3.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame del fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il motivo e’ inammissibile, poiche’ tale censura non viene neanche illustrata, e comunque non e’ dedotta secondo i canoni stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte: e cioe’ indicando chiaramente quale sia il fatto non esaminato, quando sia stato dedotto in giudizio, come sia stato provato, e quale ne sia la rilevanza (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

3.3. Anche nella parte restante il motivo e’ inammissibile.

I ricorrenti formulano col terzo motivo del loro ricorso due distinte doglianze: da un lato, sostengono che legittimamente rifiutarono di adempiere, poiche’ vi era stato un previo inadempimento del locatore (il quale non garanti’ la salubrita’ e l’agibilita’ dell’immobile), e cio’ legittimava il rifiuto di adempiere l’obbligo di pagamento del canone, ai sensi dell’articolo 1460 c.c..

Dall’altro lato, soggiungono che comunque il canone dovuto doveva essere ridotto rispetto a quello pattuito a causa dei vizi della cosa locata, ai sensi dell’articolo 1578 c.c..

Ora, scopo del presente giudizio di legittimita’ non e’ certo accertare se l’immobile oggetto del contatto fosse o non fosse agibile e salubre: scopo del presente giudizio di legittimita’ e’ stabilire se la Corte d’appello abbia correttamente applicato la legge sostanziale e processuale, nel decidere la controversia tra conduttore e locatore.

Per stabilire cio’, questa Corte deve essere messa in condizione di sapere se e quali furono le questioni dibattute davanti al giudice di merito.

A tal fine, come gia’ detto al § 2.3.3. che precede, l’articolo 366 c.p.c., n. 6, prescrive a pena di inammissibilita’ del ricorso l’onere di indicare (trascrivendoli o riassumendoli) gli atti processuali sui quali il ricorso si fonda.

Nel caso di specie, il terzo motivo di ricorso qui in esame in sostanza lamenta una omessa pronuncia sull’eccezione di inadempimento e sulla domanda di riduzione del canone: e cio’ tanto da parte del primo giudice, quanto da parte della Corte d’appello.

E tuttavia il ricorso non indica:

-) in quale atto ed in quali termini fu sollevata l’exceptio inadimpleti contractus dinanzi al giudice di primo grado;

-) in quale atto ed in quali termini fu reiterata tale eccezione in grado di appello;

-) in quale atto ed in quali termini fu impugnata l’omessa pronuncia sulla domanda di riduzione del canone ex articolo 1578 c.c..

I ricorrenti si limitano a dichiarare di avere formulato la domanda di riduzione del canone, ex articolo 1578 c.c., in primo grado; a tal fine trascrivono, all’ultimo capoverso del foglio 28 del ricorso (le pagine del quale non sono numerate) un passo del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo.

Soggiungono che il giudice di primo grado non avrebbe nemmeno esaminato tale domanda (foglio 25, ultimo rigo, del ricorso).

Tuttavia i ricorrenti, in violazione dell’onere richiesto a pena d’inammissibilita’ dall’articolo 366 c.p.c., n. 6, non deducono affatto di avere, con l’atto di appello, impugnato su questo punto la sentenza di primo grado, invocando l’omessa pronuncia.

Ne consegue che tanto la censura di omessa pronuncia sull’exceptio inadimpleti contractus, quanto la censura di omessa pronuncia sulla domanda di riduzione del canone sono inammissibili in questa sede.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia dal vizio di violazione di legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3 (lamenta, al riguardo, la violazione dell’articolo 2697 c.c.; articolo 112 c.p.c.; L. n. 392 del 1978, articolo 11); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo vengono prospettate due diverse censure.

Con una prima censura i ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha posto a suo carico l’onere di provare a quali canoni di locazione dovesse imputarsi il pagamento effettuato con bonifico del 2 marzo 2009.

Sostengono che, una volta provato tale pagamento, era onere dell’opposto dimostrare che quel pagamento andava imputato a crediti diversi’ da quelli per i quali era stato domandato ed ottenuto il decreto ingiuntivo.

Con una seconda censura i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe trascurato di defalcare dal credito del conduttore gli interessi legali maturati sul deposito cauzionale, nel periodo compreso fra la costituzione di esso ed il rilascio dell’immobile.

4.2. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’articolo 2697 c.c. il motivo e’ infondato.

I principi pacifici in subiecta materia sono infatti i seguenti:

-) il creditore deve provare l’esistenza del credito, non il mancato pagamento;

-) se il debitore prova di aver effettuato un pagamento con riferimento specifico ad un certo credito, spettera’ al creditore l’onere di provare che quel pagamento andava imputato ad un credito diverso;

-) a fronte della pacifica esistenza di piu’ crediti, ed in presenza di un pagamento effettuato senza che il debitore si sia avvalso della facolta’ di indicare, ex articolo 1194 c.c., a quale credito andasse imputato quel pagamento, si applicheranno i criteri legali: ovvero il pagamento andra’ imputato al credito piu’ antico (ex multis, per l’affermazione di tali principi, si vedano Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26275 del 06/11/2017, Rv. 647043 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 09/11/2012, Rv. 624037 – 01; (Sez. 3, Sentenza n. 20288 del 04/10/2011, Rv. 619526 – 01).

Nel caso di specie, si rileva dalla sentenza impugnata che il 2 marzo 2009 (OMISSIS) effettuo’ un bonifico per l’importo di Euro 4.120 in favore del locatore, e che questi lo ha imputato ai canoni dovuti per i mesi di ottobre e novembre 2008.

L’odierno ricorrente deduce che sarebbe stato onere del locatore dimostrare tale circostanza.

Ma tale deduzione e’ erronea: infatti, una volta accertato dal giudice di merito (ne’ la circostanza e’ mai stata in discussione) che (OMISSIS) fosse effettivamente creditore di (OMISSIS) sia per i canoni di ottobre e novembre 2008, sia per i canoni dovuti da gennaio 2009 in poi, il pagamento eseguito dal conduttore il 2 marzo 2009, in assenza di ulteriori indicazioni, correttamente e’ stato imputato ai canoni di ottobre e novembre 2009, ne’ il locatore doveva provare alcunche’, dal momento che tale imputazione e’ disposta direttamente dalla legge.

In questo senso deve intendersi corretta la motivazione della sentenza impugnata.

4.3. La seconda censura prospettato col quarto motivo di ricorso (con la quale, come s’e’ detto, i ricorrenti lamentano che dal credito del conduttore del locatore non siano stati defalcati gli interessi da questi dovuti al conduttore sulla somma depositata a titolo di cauzione) e’ inammissibile.

Se, infatti, si volesse qualificare tale censura, secondo la prospettazione dei ricorrenti, come vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, il ricorso, in violazione dei precetti dettati dalla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014, gia’ sopra ricordati, non indica quando sia stato introdotto nel giudizio il fatto trascurato, come sia stato provato, quale ne sia la decisivita’.

Se invece, piu’ correttamente, si volesse qualificare la censura in esame come un vizio di omessa pronuncia, il motivo sarebbe parimenti inammissibile ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente non indica in quale atto processuale e in quali termini abbia formulato la domanda di defalco degli interessi sul deposito cauzionale.

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1218, 1223, 1226, 1575, 2043, 2059 e 2697 c.c.; articoli 112, 115 e 116 c.p.c.; L. n. 392 del 1978, articoli 31 e 60.

Lamentano l’erroneita’ della sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato tutte le domande di risarcimento del danno.

Deducono, in particolare, che:

-) erroneamente e’ stato ritenuto non dovuto risarcimento del danno rappresentato dalle spese di trasloco, sul presupposto che quelle spese si sarebbero comunque dovute sostenere al momento della scadenza del contratto; osservano che “l’anticipato esborso e’ esclusivamente imputabile al locatore e le spese (…) sono comunque dovute, anche in applicazione del principio generale desumibile della L. n. 392 del 1978, articoli 31 e 60”;

-) erroneamente e’ stata rigettata la domanda di risarcimento del danno per la perdita dei libri custoditi nell’immobile locato, danneggiati dall’umidita’; allegano che quei libri, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, non erano affatto privi di valore commerciale;

-) erroneamente e’ stata rigettata la domanda di risarcimento dei “danni biologici e non patrimoniali”, dal momento che il ricorrente aveva prodotto vari documenti medici dai quali risultava che egli era affetto da cardiopatia e diabete, perche’ costretto a lavorare in un ambiente insalubre.

5.2. Il motivo e’ in parte inammissibile, ed in parte infondato.

Nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno consistito nelle spese di trasloco esso e’ inammissibile in quanto investe un accertamento di fatto, e non una statuizione in punto di diritto: vale a dire la ritenuta insussistenza di nesso causale tra l’inadempimento del locatore e il danno.

Nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno derivato dalla perdita dei libri esso investe un accertamento di fatto, quale e’ lo stabilire se un determinato bene abbia o non abbia un valore di mercato.

Il ricorrente, infatti, si diffonde a censurare la valutazione con cui la Corte d’appello, recependo la decisione di primo grado, ha reputato che la fattura di acquisto dei libri che si assumono danneggiati non fosse una prova decisiva dell’esistenza del danno.

Ma la Corte d’appello ha ritenuto quella fattura non attendibile perche’ emessa da un soggetto (la societa’ (OMISSIS) s.r.l.) di cui l’odierno ricorrente era socio ed amministratore; perche’ i libri che ne formavano l’oggetto erano stati editi otto anni prima dell’emissione della fattura, e venduti a prezzo pieno; perche’ ritenne sospetto il periodo in cui venne emessa, coincidente con l’esordio del contenzioso.

Tutte queste valutazioni attengono alla valutazione della prova, sicche’ la contestazione di esse che i ricorrenti propongono in questa sede cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non e’ consentita in sede di legittimita’ una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito

(ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e cosi’ via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermo’ il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioe’ che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte e’ incensurabile in Cassazione”).

Nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico la censura e’ parimenti inammissibile, perche’ anche in questo caso investe la valutazione delle prove.

Nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento dei “danni esistenziali” il motivo e’ parimenti inammissibile.

La Corte d’appello, infatti, non si occupa affatto di danni esistenziali, ne’ la sentenza viene impugnata su questo punto per omessa pronuncia.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c.. Deducono che, essendo la loro opposizione fondata, non potevano essere condannato alla rifusione delle spese.

6.2. La censura e’ manifestamente infondata, dal momento che la Corte d’appello ha correttamente applicato il principio di soccombenza, che come noto va valutato in base all’esito finale e complessivo della lite.

7. Le spese.

7.1. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

7.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l., in solido, alla rifusione in favore di (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;

(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.