in tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, affinche’ il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dalla L. n. 431 del 1998, articolo 3, non e’ necessario che egli fornisca la prova dell’effettiva necessita’ di destinare l’immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma e’ sufficiente una semplice manifestazione di volonta’ in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al citato articolo 3, comma 3, nell’eventualita’ in cui il locatore non abbia adibito l’immobile all’uso dichiarato nell’atto di diniego del rinnovo, nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilita’.

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Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Sentenza|16 luglio 2019| n. 18947

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22720/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), rappresentata e difesa dalle Avv.sse (OMISSIS) e (OMISSIS) con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di:

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 236/2017, pubblicata il 22 febbraio 2017;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2019 dal Consigliere Emilio Iannello;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe, per quel che ancora interessa, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di Euro 20.451,60 a titolo di risarcimento del danno L. 9 dicembre 1998, n. 431, ex articolo 3, comma 5.

Ha infatti ritenuto provato che l’immobile, sito in (OMISSIS), che la (OMISSIS) aveva concesso alla (OMISSIS) in locazione ad uso abitativo, non era stato adibito all’uso (abitazione del nipote) dichiarato dalla locatrice per motivare il diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza del 31/12/2005, senza che di cio’ ricorresse alcuna causa giustificatrice.

2. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resiste (OMISSIS) depositando controricorso.

L’altra intimata non svolge difese nella presente sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 116 c.p.c.”.

Lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto non soddisfatto l’onere di provare la non riconducibilita’ a dolo o colpa della locatrice della difforme destinazione impressa all’immobile locato.

Sostiene che la decisione viola il criterio normativo del prudente apprezzamento del materiale probatorio in atti ed e’ frutto della “totale pretermissione della complessa e articolata documentazione prodotta”, dalla quale si evinceva che, in previsione dell’ingresso nell’immobile del nipote (destinazione dichiarata a giustificazione del diniego di rinnovo la prima scadenza), erano stati eseguiti svariati lavori di ristrutturazione;

che altresi’ illegittimamente i giudici a quibus hanno pretermesso la stessa deposizione del nipote, il quale aveva espressamente confermato che l’iniziale decisione di prendere in locazione l’appartamento era successivamente venuta meno in ragione di un evento assolutamente non prevedibile al momento in cui era stata intimata la disdetta (quale il sorgere di un rapporto contrattuale lavorativo con uno studio professionale in (OMISSIS));

che di contro altrettanto illegittimamente la Corte ha valorizzato dichiarazioni testimoniali ritenute irrilevanti in primo grado, indotte dalla parte attrice appellante e che comunque si limitavano a riferire di asseriti interessamenti da parte di terzi.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, articolo 3, comma 5.

Rileva che non solo la motivazione della disdetta risultava ex ante ineccepibile, ma “e’ stata provata pure quella, ex post, di adibire l’immobile ad abitazione del nipote Avv. (OMISSIS), la cui decisione postuma di non entrarvi non poteva, in ogni caso, addebitarsi alla volonta’ della locatrice”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c..

Assume che la Corte d’appello ha pronunciato ultra ed extra petita per avere ritenuto decisivo il fatto che i lavori eseguiti nell’immobile fossero di modesta entita’ e tali da imporre l’accesso al nipote nello stato in cui si trovava quando fu reso disponibile: con cio’ interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti della domanda su una questione non rilevabile d’ufficio.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia infine “omessa valutazione di prova documentale su un punto decisivo della controversia”.

Lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che le prove testimoniali assunte potessero invalidare o contraddire quelle documentali.

Afferma al riguardo che i testi, “essendosi limitati a riferire ipotesi di meri interessi locatizi, non ebbero minimamente a sconfessare, ne’ a contraddire, gli esiti probatori obiettivi delle intenzioni della Sig.ra (OMISSIS) di adibire l’immobile ad abitazione del nipote”.

5. Il primo e il secondo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili in quanto intimamente connessi, sono fondati.

Il convincimento della sussistenza dei presupposti del richiesto risarcimento e’ essenzialmente motivato in sentenza dal rilievo che “non vi e’ alcuna prova che il nipote della locatrice (OMISSIS) abbia mai utilizzato il bene per le proprie esigenze abitative benche’, secondo la tesi difensiva delle stesse appellate, la necessita’ di trasferirsi per lavoro a Milano sia sorta solo nel giugno 2006, quindi a distanza di diversi mesi dal rilascio del bene da parte della conduttrice (OMISSIS);

ne’ vi e’ prova che l’uso dell’immobile dipendesse dall’esecuzione dei lavori di cui al preventivo apparentemente richiesto dal nipote della (OMISSIS), trattandosi di interventi minimali… che, ove la necessita’ abitativa fosse realmente esistita, avrebbero potuto essere effettuati rapidamente e con una spesa modesta” (v. sentenza impugnata, pag. 3, ultimo cpv.).

Poste tali premesse, secondo la Corte d’appello, “deve necessariamente concludersi che la mancata destinazione dell’immobile all’uso dichiarato ai sensi della L. n. 431 del 1998, articolo 3, oggettivamente integrata dalla stipulazione – a fine luglio 2006 – di un nuovo contratto di locazione con i terzi (OMISSIS) e (OMISSIS), sia ascrivibile alla precisa volonta’ della locatrice stessa e non gia’ al trasferimento del nipote a (OMISSIS), le cui esigenze abitative, come si e’ rilevato, non sono mai state prese in considerazione dalla locatrice la quale, con la condotta tenuta sin da subito dopo il rilascio dell’immobile, aveva di fatto smentito l’intenzione dichiarata di adibire l’immobile ad abitazione del nipote” (sentenza impugnata, pag. 4, primo periodo).

Tali considerazioni palesano il vizio di fondo rappresentato dall’omesso esame di un fatto (la sopravvenuta necessita’ del trasferimento del nipote a Milano per ragioni di lavoro) la cui acquisizione processuale e sottoposizione a dibattito delle parti risultano evidenziate in ricorso (v. pag. 8) nel pieno rispetto degli oneri di specifica indicazione degli atti su cui lo stesso e’ fondato, ex articolo 366 c.p.c., n. 6, ed emergono del resto dalla stessa motivazione nella quale si da’ atto che detta circostanza costitui’ oggetto di deduzione difensiva, rimanendo pero’ la stessa successivamente negletta nel ragionamento posto a base della decisione.

Trattasi di fatto la cui potenziale decisivita’ emerge da una corretta ricostruzione della disciplina di riferimento, dalla quale invece rimane distante l’argomentare della Corte di merito, viziato anche in diritto dalla valorizzazione di circostanze che avrebbero invece dovuto considerarsi rilevanti e, per converso, dalla obliterazione o pretermissione di dati cui al contrario avrebbe dovuto prestarsi centrale attenzione.

Ed invero, ai sensi della citata disposizione, “nel caso in cui il locatore abbia riacquistato, anche con procedura giudiziaria, la disponibilita’ dell’alloggio e non lo adibisca, nel termine di dodici mesi dalla data in cui ha riacquistato la disponibilita’, agli usi per i quali ha esercitato facolta’ di disdetta ai sensi del presente articolo, il conduttore ha diritto al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3”.

Si ricava da tale norma, anzitutto, che ad essere sanzionata con il risarcimento “in misura non inferiore a trentasei mensilita’ dell’ultimo canone di locazione percepito” e’ la mancata destinazione dell’alloggio rilasciato agli usi indicati in disdetta “nel termine di dodici mesi dalla data in cui (il locatore) ha riacquistato la disponibilita’”.

E pacifico inoltre nella giurisprudenza di questa Corte il principio – gia’ elaborato con riferimento alla L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 31, poi riaffermato con riferimento alla L. n. 431 del 1998, articolo 3, commi 3 e 5, e al quale qui si intende dare continuita’ – secondo cui le sanzioni previste dalle suddette norme non sono applicabili al locatore qualora la tardiva o la mancata destinazione dell’immobile all’uso dichiarato ai fini del rilascio siano in concreto giustificate da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso (v. Cass. 21/01/2016, n. 1050; 07/11/2014, n. 237).

Cio’ significa che, da un lato, nessun rilievo puo’ avere la mancata destinazione dell’immobile all’uso indicato finche’ e’ in corso il termine di 12 mesi all’uopo concesso dalla norma; dall’altro, assume per contro rilievo esimente dalla responsabilita’ posta dalla norma a carico del locatore la sopravvenienza, nell’arco del medesimo termine, di ragioni o situazioni meritevoli di tutela non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso.

Nel caso in esame la Corte d’appello si e’ ispirata ad una regola di giudizio opposta avendo, con la riportata motivazione, da un lato, attribuito rilievo al fatto che, ancora nel giugno 2006 (quando dunque non era trascorso il termine di dodici mesi e quando secondo la tesi difensiva negletta sopravvenne la suddetta esigenza: trasferimento del nipote per ragioni di lavoro a (OMISSIS)), l’immobile non era stato destinato all’utilizzo indicato nella disdetta; dall’altro, omesso di valutare l’idoneita’ della predetta sopravvenuta circostanza ad escludere l’imputabilita’ a dolo o colpa del locatore della mancata attuazione dell’utilizzo indicato.

6. Devesi inoltre rilevare che, a ben vedere, con la seconda parte della sopra trascritta motivazione, la sentenza impugnata sembra chiaramente voler attribuire rilievo alla condotta della locatrice tenuta nei mesi immediatamente successivi al rilascio dell’immobile, siccome indicativa di una intenzione diversa da quella dichiarata ai fini della disdetta, ovvero della non veridicita’ di tale dichiarazione.

Anche per tale parte la motivazione deve ritenersi ispirata ad una regola di giudizio non corretta.

Occorre invero rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, affinche’ il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dalla L. n. 431 del 1998, articolo 3, non e’ necessario che egli fornisca la prova dell’effettiva necessita’ di destinare l’immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma e’ sufficiente una semplice manifestazione di volonta’ in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al citato articolo 3, comma 3, nell’eventualita’ in cui il locatore non abbia adibito l’immobile all’uso dichiarato nell’atto di diniego del rinnovo, nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilita’ (Cass. 10/12/2009, n. 25808).

Ed invero, come e’ stato pure condivisibilmente rimarcato, il meccanismo sanzionatorio predisposto dalla L. n. 431 del 1998, articolo 3, con riferimento al diniego di rinnovo alla prima scadenza, e’ da considerarsi tale, sia per la sua automaticita’ sia per la sua gravita’ (avuto riguardo alle conseguenze pregiudizievoli che subisce il locatore in caso di inadempimento, come previste dallo stesso articolo 3, comma 3, della citata legge), da lasciar presumere che il locatore, il quale deduca una delle intenzioni ritenute dalla suddetta legge (come contemplate nel medesimo articolo 3, comma 1) meritevoli di considerazione, non invochi maliziosamente e superficialmente la particolare intenzione addotta a sostegno del formulato diniego, a meno che non emergano concreti elementi che inducano il giudice a ritenere l’intenzione dedotta irrealizzabile (v. Cass. 18/07/2013, n. 17577; 18/05/2010, n. 12127).

Non rileva dunque alcuna indagine sulla effettivita’ dell’esigenza indicata al momento della dichiarazione, ma solo il dato oggettivo che la destinazione dichiarata in correlazione a quella esigenza rimanga, dopo dodici mesi, inattuata, e che non lo sia per ragioni oggettive sopravvenute nell’arco del medesimo termine, non prevedibili dal locatore e non imputabili dunque a dolo o colpa dello stesso.

7. In accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti, la sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata al giudice a quo in diversa composizione, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.