L’interesse ad agire in relazione ad una clausola reputata in tesi nulla o inefficace sussiste sin dalla pattuizione della medesima, in quanto risponde ad un bisogno di certezza del diritto che le convenzioni negoziali siano accertate come valide e efficaci, oppure no; cio’ perche’ l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualita’ della lesione di un diritto essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva. Pertanto, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarieta’ degli interessi moratori sussiste anche in astratto riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo.

Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|2 maggio 2022| n. 13736

Data udienza 9 febbraio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30369/2019 R.G. proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a. (gia’ (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio, in (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2596/2019, pubblicata il 12 giugno 2019, non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9 febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Irene Ambrosi.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Milano con cui era stata respinta la domanda proposta (con atto di citazione notificato in data 6.12.2016) dalla predetta nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. deducendo l’usurarieta’ degli interessi moratori convenuti nel contratto di leasing finanziario concluso il 18.04.2005, avente ad oggetto un’autovettura (OMISSIS), sostenendo la nullita’ parziale del contratto, relativamente a tutte le clausole relative agli interessi e chiedendo la condanna della concedente (OMISSIS) alla restituzione di quanto essa avrebbe illegittimamente percepito, pari all’importo di Euro 65.234,67.

Per quel che qui ancora interessa, la Corte territoriale ha confermato la decisione di prime cure sulla base di due, parzialmente diverse, argomentazioni: per un verso, ha ritenuto che “dal momento che e’ pacifico che il contratto ha avuto regolare esecuzione e che non siano stati richiesti e versati interessi moratori, la allegata usurarieta’ degli interessi moratori convenzionali siccome pattuiti in misura superiore al tasso soglia, quand’anche possa comportare la nullita’ della relativa clausola pattizia (secondo il principio recentemente riaffermato della Suprema Corte n. 27442/2018 pubblicata il 30.10.2018), non produce conseguenze, non sussistendo i presupposti per la ripetizione delle somme corrisposte” e, per l’altro, ha sostenuto non sussistente “l’interesse ad agire al fine di ottenere una sentenza di accertamento rispetto alla situazione giuridica che non ha alcuna potenzialita’ lesiva per la sua sfera giuridica””. Infine, ha ritenuto “quanto alla considerazione dell’interesse moratorio ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, e’ davvero una forzatura ritenere che esso possa costituire voce di costo ancorche’ non abbia trovato applicazione e non sia stato comminato nel corso dell’esecuzione del contratto”.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Ha resistito con controricorso la (OMISSIS) s.p.a..

La trattazione del ricorso e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 1. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, e del Decreto Legge 29 dicembre 2000, n. 394, articolo 1 – con riferimento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 e dell’articolo 644 c.p.” la societa’ ricorrente – dopo aver dedotto in via generale sulla natura giuridica degli interessi moratori, sulla necessita’ del vaglio di usurarieta’ cui sottoporre gli interessi moratori convenzionali e sulle conseguenze civilistiche derivanti dalla presenza nel contratto di un interesse moratorio contrario alle norme in tema di usura, con conseguente applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, all’intera previsione degli interessi – sostiene che “se qualsiasi violazione in tema di usura anche solo potenziale deve ritenersi capace di pregiudicare l’ordine pubblico economico e l’interesse pubblico al corretto svolgimento delle attivita’ finanziarie, la sanzione deve garantire l’ordinamento e non solo il debitore”.

In tale ottica, la ricorrente critica la decisione del giudice di appello nel punto in cui ha sottolineato l’inapplicabilita’ della norma in tema di usura a fronte della natura eventuale del costo di mora e sostiene che il vaglio di usurarieta’ deve essere effettuato, non al momento del versamento delle rate, ma al momento del contratto trattandosi di attivita’ illecita rilevante sia in ambito penale che civile.

Pertanto, “omettere l’applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, al caso in esame consente all’istituto di credito l’applicazione in un contratto di un qualsiasi tasso di mora capace di “costringere” il debitore a rispettare l’impegno assunto ed ingenerare uno “stato di bisogno” che l’intera recente legislazione in tema di usura vuole scongiurare”; in altri termini, a parere della ricorrente, legittimare la previsione contrattuale di una clausola palesemente illecita, consentendone l’esenzione da sanzione fino alla sua concreta applicazione, rappresenterebbe la possibilita’ di prevedere uno strumento illecito di garanzia limitandone la sanzione al solo caso di applicazione.

Cio’ contrasterebbe con quanto affermato sia dal precedente n. 24675 del 2017 delle Sezioni unite della Corte di cassazione sia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 29 del 2002, secondo cui l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 1815 c.c., comma 2, discenderebbe automaticamente, una volta accertato il presupposto dell’interesse usurario. L’applicazione della sanzione accessoria menzionata sarebbe conforme anche al dovere di buona fede oggettiva che l’ordinamento impone al creditore per tutelare la sfera giuridica del debitore entro il limite dell’apprezzabile sacrificio.

1.1. Venendo allo scrutinio dell’unico motivo, sopra sinteticamente illustrato, la Corte territoriale ha accertato che la clausola di cui si chiede la nullita’, con conseguente applicazione della disciplina prevista ai sensi dell’articolo 1815 c.c., comma 2, non ha mai ricevuto applicazione con riferimento al contratto di leasing finanziario intercorso tra le parti, con la conseguenza che alcun interesse di mora e’ mai insorto nella fattispecie; pacificamente, difatti, risulta che il contratto abbia avuto regolare esecuzione atteso che la attuale ricorrente ha adempiuto al pagamento di tutte le rate pattuite (60 canoni mensili dal 16.04.2005 al 9.04.2010), ragione per cui il contratto si e’ estinto, con riscatto del bene da parte della predetta.

La Corte di appello ha poi affermato non sussistente “l’interesse ad agire al fine di ottenere una sentenza di accertamento rispetto alla situazione giuridica che non ha alcuna potenzialita’ lesiva per la sua sfera giuridica”, per poi rigettare la domanda, affermando che “la considerazione dell’interesse moratorio ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, e’ davvero una forzatura ritenere che esso possa costituire voce di costo ancorche’ non abbia trovato applicazione e non sia stato comminato nel corso dell’esecuzione del contratto” (pag. 11 sentenza impugnata).

L’affermazione relativa alla mancanza di legittimazione non e’ in linea con quanto affermato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte che dirimendo il contrasto sussistente in ordine alla applicabilita’ della disciplina antiusura agli interessi moratori e alle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia – ha, tra l’altro, chiarito che “l’interesse ad agire in relazione ad una clausola reputata in tesi nulla o inefficace sussiste sin dalla pattuizione della medesima, in quanto risponde ad un bisogno di certezza del diritto che le convenzioni negoziali siano accertate come valide e efficaci, oppure no; cio’ perche’ l’interesse ad agire in un âEuroËœazione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualita’ della lesione di un diritto essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva”. Pertanto, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarieta’ degli interessi moratori sussiste anche in astratto riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo (Cass. Sez. U. 18 settembre 2020, n. 19597, punto vi, in motivazione).

In definitiva, la prospettazione rivendicata nel merito e’ stata ritenuta giuridicamente insussistente e da cio’, non puo’ che derivare il rigetto del ricorso, previa correzione ex articolo 384 c.p.c., della motivazione assunta nella sentenza impugnata relativamente all’interesse ad agire che, va ribadito, permane anche rispetto ad una situazione giuridica potenzialmente lesiva in astratto.

1.2. In conclusione, il ricorso e’ rigettato.

2. La richiamata pronuncia di questa Corte a Sezioni unite n. 19597 del 2020, successiva alla sentenza impugnata (pubblicata nel giugno 2019), sulla quale si fonda la correzione, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.

Il rigetto del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, spese compensate.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

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Avv. Umberto Davide

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