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il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, puo’ trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.
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Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 15 gennaio 2019, n. 850
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29574-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2205/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
(OMISSIS), anche quale erede di (OMISSIS), impugna, articolando due motivi di ricorso, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 2205/2017 del 28 settembre 2017.
(OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso.
La Corte d’Appello di Bologna ha riformato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Bologna il 1 ottobre 2009, che aveva accolto la domanda di (OMISSIS) volta alla demolizione della terrazza in falda realizzata da (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’appartamento di loro proprieta’, trasformando parte del tetto condominiale, nell’edificio di (OMISSIS).
La Corte d’Appello, accogliendo il gravame avanzato da (OMISSIS) e (OMISSIS), ha evidenziato come la CTU espletata aveva dimostrato che la terrazza in falda, ricavata da un’asportazione del tetto per una larghezza di sei metri ed una profondita’ di quattro metri, era stata corredata da pavimentazione ed impermeabilizzazione, in grado di garantire la funzione di copertura e di protezione dagli agenti atmosferici.
I due motivi di ricorso di (OMISSIS), successore di (OMISSIS), deducono: 1) il primo, la falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., trattandosi di terrazza delle dimensioni di mq. 25,80, in quanto tale da intendersi modifica del muro e del tetto comuni di portata significativa; 2) il secondo, la nullita’ della sentenza per omesso esame di fatto decisivo e carenza di motivazione, nonche’ falsa applicazione dell’articolo 333 c.p.c., avendo la Corte d’Appello ritenuto coperta da giudicato la pronuncia del Tribunale che non aveva condannato i convenuti alla rimozione dei manufatti esterni dell’impianto di condizionamento, non essendovi stato appello incidentale sul punto.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilita’ del ricorso nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In ordine al primo motivo di ricorso, deve evidenziarsi come l’intervento di ristrutturazione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condomini (OMISSIS) e (OMISSIS), non e’ riconducibile alla nozione di innovazione ex articolo 1120 c.c., ma a quello di modificazione ex articolo 1102 c.c. Invero, secondo l’interpretazione di questa Corte, le innovazioni di cui all’articolo 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’articolo 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facolta’ riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso articolo 1102 c.c., per ottenere la migliore, piu’ comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensi’ con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).
L’interpretazione di questa Corte, che lo stesso ricorrente invoca, ha affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, puo’ trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14107; si vedano anche Cass. Sez. 6 – 2, 04/02/2013, n. 2500; Cass. Sez- 6-2, 25/01/2018, n. 1850; Cass. Sez. 6-2, 21/02/2018, n. 4256). Il ricorrente deduce che qui si ha riguardo ad un’apertura nel muro comune di oltre 25 metri quadri, ma la censura, per come formulata, comunque non consente a questa Corte di addivenire ad un nuovo apprezzamento di fatto su entita’ e consistenza delle opere per cui e’ causa in rapporto alla dimensioni del tetto. E’ evidente come l’accertamento circa la non significativita’ del taglio del tetto praticato per innestarvi la terrazza di uso esclusivo e circa l’adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare, la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto e’ riservato al giudice di merito e, come tale, non e’ censurabile in sede di legittimita’ per violazione dell’articolo 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all’articolo 360 c.c., comma 1, n. 5.
Nella specie, per quanto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di una terrazza ad asola. La legittimita’ della modifica dello stato dei luoghi e’ stata argomentata dai giudici di secondo grado con riferimento alla immutata consistenza e funzione del tetto.
Questa Corte ha piu’ volte affermato come l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e’ sottoposto, secondo il disposto dell’articolo 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresi’, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilita’ di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilita’, non potendosi intendere la nozione di “uso paritetico” in termini di assoluta identita’ di utilizzazione della “res”, poiche’ una lettura in tal senso della norma “de qua”, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui e’ prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini e’ dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466; Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808; Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368). Il piu’ ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura, cosi’, ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1986, n. 3822).
Quanto al secondo motivo di ricorso, l’attrice (OMISSIS) aveva chiesto con la sua citazione espressamente anche la “rimozione dei manufatti illecitamente apposti” da (OMISSIS) sul tetto, indicati nello stesso atto introduttivo con riguardo a “cassoni metallici” e “tubazioni”. Il Tribunale si era tuttavia limitato nella sua sentenza ad ordinare la rimozione della terrazza in falda. L’attrice (OMISSIS), sul capo della sua domanda originaria attinente alla rimozione dei cassoni e delle tubazioni, era quindi rimasta soccombente in primo grado, ed aveva percio’ necessita’ di proporre al riguardo appello incidentale per far valere tale autonoma pretesa non accolta dal primo giudice. Non bastava, nella specie, ad evitare la presunzione di rinuncia la semplice riproposizione nella comparsa in grado d’appello, ex articolo 346 c.p.c., delle proprie conclusioni di primo grado, in quanto la stessa riproposizione e’ sufficiente quando la parte sia risultata, comunque, vittoriosa rispetto alla questione oggetto del capo di sentenza: la sola possibilita’ di perseguire un esito favorevole della lite rispetto alla questione della rimozione dei cassoni e delle tubazioni imponeva, pertanto, la sollecitazione della riforma della decisione del Tribunale, che determinava la soccombenza, mediante specifico motivo di appello incidentale (cfr. Cass. Sez. L, 20/01/1995, n. 649).
Il ricorso va percio’ rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.