in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ove il lavoratore agisca per il riconoscimento del diritto all’assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la possibilita’ della disapplicazione qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, restando la materia della mansioni del pubblico dipendente disciplinata compiutamente dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 (nel testo anteriore alla novella recata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 62, comma 1), che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalita’ in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all’articolo 2103 c.c. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della massima. In tema di pubblico impiego privatizzato, il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 52 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalita’ in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi aver riguardo alla norma generale di cui all’articolo 2103 c.c.

 

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 10 settembre 2018, n. 21957

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19215-2013 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 523/2012 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 01/02/2013 R.G.N. 450/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso in via principale inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva respinto la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti dell’ (OMISSIS), avente ad oggetto l’accertamento del mobbing.

2. Il ricorrente aveva dedotto che era stato assunto dalla Asl di Lodi con la qualifica di “conduttore di generatori di vapori”; che nel 1995 aveva chiesto e ottenuto il trasferimento presso l’Ospedale di (OMISSIS), ma poiche’ in detto ospedale la gestione dei generatori era stata privatizzata, era stato dapprima trasferito ad altra struttura e solo in un secondo momento era stato inserito nei ruoli del predetto ospedale, ma come addetto alle cucine; che l’Azienda ospedaliera lo aveva successivamente qualificato come “addetto alla manutenzione delle apparecchiature elettromedicali e manutentore di apparecchiature diverse”; che nel marzo 2006 gli era stata attribuita la qualifica di “operatore tecnico specializzato esperto”, categoria C; che era stato esiliato in un locale antigienico e senza telefono.

3. Il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda osservando che, in ordine al preteso demansionamento, il ricorrente aveva omesso di indicare in concreto le mansioni iniziali di conduttore di caldaie e quelle successive di addetto alle cucine, rendendo cosi’ impossibile accertare se le seconde rientrassero o meno nel profilo di appartenenza; che, anche in ordine alla condotta asseritamente persecutoria, non poteva qualificarsi come tale il negato trasferimento ad altra sede.

4. La Corte di appello, svolte alcune premesse in ordine generale in ordine alla responsabilita’ di tipo contrattuale derivante dall’articolo 2087 c.c., ha osservato che nel ricorso di primo grado non vi era alcuna specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del danno da dequalificazione, solo genericamente enunciato; che analoghe considerazioni dovevano essere fatti in ordine al lamentato danno da mobbing e al danno morale; che, in particolare, il (OMISSIS) non aveva dedotto, ne’ provato circostanze concrete onde far ritenere che la diversa qualifica attribuitagli potesse avere deteriorato la specifica professionalita’ posseduta; che l’esternalizzazione del servizio di conduzione caldaie effettivamente impediva all’ospedale (OMISSIS) l’adibizione del (OMISSIS) alle mansioni rivendicate, rendendo al contrario necessitata l’attribuzione di una diversa qualifica; che non erano stati forniti elementi atti ad accertare in che cosa si fossero sostanziate le mansioni di addetto alle cucine e se le stesse potessero configurare il dichiarato demansionamento; che occorreva altresi’ evidenziare come la successiva attribuzione datoriale della qualifica di “addetto alle apparecchiature varie” fosse stata comunicata ala ricorrente e dallo stesso contestata solo due anni dopo.

5. Per la cassazione di tale sentenza il (OMISSIS) propone ricorso affidato a dieci motivi. Resiste con controricorso l’ (OMISSIS)San Carlo (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. per non avere la Corte territoriale esaminato le allegazioni di parte ricorrente, volte a dedurre le circostanze concrete del danno lamentato. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. nella parte in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che non vi fossero elementi di allegazione e di prova da cui desumere che la diversa qualifica attribuita al ricorrente potesse avere deteriorato la specifica professionalita’ posseduta, omettendo di considerare la richiesta di c.t.u. e la documentazione allegata agli atti. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. e articolo 2103 c.c. in merito alla circostanza della esternalizzazione del servizio di conduzione caldaie e all’affermazione che cio’ avrebbe impedito all’Azienda ospedaliera di adibire il (OMISSIS) alle mansioni proprie della qualifica di conduttore di caldaie, omettendo di considerare che la qualifica originaria del (OMISSIS) era stata conseguita molti anni prima della esternalizzazione del servizio. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. in ordine al demansionamento, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare elementi documentali idonei a consentire il confronto delle qualifiche, nonche’ la richiesta di c.t.u. al fine di stabilire le differenze tra le funzioni proprie della qualifica di appartenenza e quelle di assegnazione. Il quinto motivo denuncia violazione dell’articolo 115 c.p.c. sulla contestazione della modifica della qualifica, per avere la Corte di appello affermato che la qualifica di “addetto alle apparecchiature varie” fu contestata dal ricorrente solo dopo due anni, omettendo di considerare che il (OMISSIS) ebbe contezza della modifica solo nel 2005 e che comunque anche in data anteriore il ricorrente aveva contestato l’attribuzione delle mansioni assegnategli. Il sesto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti e consistente nella relegazione del ricorrente in un locale fatiscente: nel ricorso introduttivo si era messo in rilievo che detto locale non era conforme alle regole e alle norme dettate in materia di sicurezza e igiene sul lavoro; a fronte delle richieste del (OMISSIS) di avere a disposizione un locale adeguato, il responsabile dell’amministrazione lo esilio’ in un seminterrato dov’era depositato materiale di ogni genere; a seguito delle sue rimostranze, anche il telefono del locale fu rimosso; al riguardo la Corte di appello, che pure nella parte narrativa della sentenza aveva dato atto delle allegazioni, ne aveva completamente omesso l’esame nella parte motiva. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. in relazione al fatto che il (OMISSIS) avrebbe contestato in ritardo l’attribuzione della nuova qualifica. L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. per omessa considerazione di fatti controversi e dibattuti in giudizio quali le domande di trasferimento del (OMISSIS). Il nono motivo, erroneamente rubricato come settimo, denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per aver omesso di decidere sulla possibilita’ di produrre in appello alcune prove documentali, tra le quali il C.C.N.L.. Il decimo motivo, erroneamente rubricato come ottavo, denuncia violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. in relazione agli articoli 2087 e 2103 c.c. per non avere la Corte territoriale dato risposta a quanto dedotto, eccepito e richiesto in ordine al danno subito dal (OMISSIS) a titolo di mobbing.

2. Il ricorso e’ inammissibile.

3. Innanzitutto, giova ricordare che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ove il lavoratore agisca per il riconoscimento del diritto all’assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la possibilita’ della disapplicazione qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, restando la materia della mansioni del pubblico dipendente disciplinata compiutamente dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52 (nel testo anteriore alla novella recata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 62, comma 1), che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalita’ in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all’articolo 2103 c.c. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della massima (Cass. n. 18283 del 2010). In tema di pubblico impiego privatizzato, il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 52 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalita’ in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi aver riguardo alla norma generale di cui all’articolo 2103 c.c. (Cass. n. 7106 del 2014).

4. La Corte di appello ha evidenziato che non vi erano ne’ allegazioni ne’ prove da cui potesse desumersi il demansionamento o il carattere deteriore della nuova qualifica attribuita. Ha altresi’ evidenziato come l’assegnazione a mansioni diverse fosse giustificata dalla esternalizzazione della manutenzione delle caldaie e come nulla fosse stato dedotto in ordine alle mansioni effettivamente svolte come addetto le cucine, onde valutarne la riconducibilita’ o meno alla qualifica di inquadramento.

5. A fronte di cio’, il ricorso sub specie violazione di legge censura in realta’ l’esito cui e’ pervenuta la Corte territoriale nell’esame delle risultanze di causa. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

6. Quanto al presunto omesso esame della richiesta di c.t.u., va osservato che la consulenza tecnica d’ufficio non puo’ essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed e’ quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (v. Cass. n. 3191 del 2006, n. 10202 del 2008, n. 3130 del 2011). Nel caso di specie, l’implicito rigetto delle istanze istruttorie e’ basato sul rilievo del difetto di allegazioni circa i fatti costitutivi del diritto azionato.

7. In ordine alla presunta violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., deve rilevarsi che questa e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’ (Cass. n. 24434 del 2016, n. 14267 del 2006). Secondo costante giurisprudenza di legittimita’, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).

8. Tali considerazioni valgono anche in ordine alla deduzione di omesso esame di fatto decisivo rappresentato dalla inidoneita’ dei locali di svolgimento della prestazione (sesto motivo). Invero, la sentenza ha dato atto che la questione era stata devoluta in appello, ma l’ha implicitamente ritenuta non decisiva, a fronte dell’assorbente rilievo della mancanza di (altre) allegazioni (sul mobbing).

9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 2.

10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (legge di stabilita’ 2013).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.