il debitore che intenda opporre al garante una eccezione vantata nei confronti del creditore principale, in caso di mancato avviso preventivo ai sensi del co. 2 dell’art. 1952 c.c., è legittimato a farlo nei limiti, alle condizioni e con le modalità previste dall’eccezione stessa; sicché, nonostante al momento dell’escussione della garanzia l’eccezione nascente dalla conclusa transazione fosse opponibile al garante, quest’ultimo può giovarsi dei successivi inadempimenti del debitore e avvalersi della decadenza dal beneficio della dilazione, esattamente come avrebbe potuto fare il creditore principale, con ciò rendendo esigibile il pagamento alla data della presente sentenza e realizzando la condizione dell’azione.

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Corte d’Appello|Catania|Sezione 2|Civile|Sentenza|27 marzo 2020| n. 649

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI CATANIA – SECONDA SEZIONE CIVILE

La Corte d’Appello di Catania – Seconda Sezione Civile – composta da:

1) Dott. Tommaso FRANCOLA Presidente

2) Dott.ssa Grazia LONGO Consigliere rel. ed est.

3) Avv. Sergio FLORIO Giudice Ausiliario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 1589/2018 R.G., avente per oggetto: “Altri istituti e leggi speciali”;

TRA

CO. SOC. COOP., con sede in Ragusa, via (…), in persona del presidente del C.d.A. Gu.Sa. rappresentata e difesa dall’avv. An.Gi. giusta procura in atti;

PARTE APPELLANTE

CONTRO

Co.Pi., nato (…), c.f. (…), in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della società FI. S.N.C., c.f. (…), con sede in Modica, nella Via (…), e TA.VI., nata (…) rappresentati e difesi dall’avv. Ca.Ru. giusta procura in atti;

PARTI APPELLATE

all’udienza del 9 dicembre 2019 venivano precisate le conclusioni come da verbale in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’11 luglio 2018, n. 875 il Tribunale di Ragusa ha accolto l’opposizione proposta da Pi.Co., in proprio e n. q. di legale rappresentante della Fi. s.n.c., e da Vi.Ta. avverso il decreto ingiuntivo n. 2008/2014 emesso dal medesimo Tribunale; conseguentemente, ha revocato detto decreto.

Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello la CO. soc. coop. e ha chiesto, in riforma della stessa per i motivi di seguito esaminati, di confermare il revocato decreto ingiuntivo emesso in suo favore e, in ogni caso, di dire e ritenere sussistente il credito di Euro 47.457,32 e, conseguentemente, condannare gli opponenti al pagamento di detto importo oltre interessi, spese e compensi.

Instauratosi il contraddittorio, si sono costituiti Co.Pi., in proprio e n. q. di legale rappresentante della Fi. s.n.c, e Ta.Vi., i quali hanno contestato le prospettazioni di controparte e ne hanno chiesto il rigetto, con conferma integrale della sentenza impugnata.

Acquisito il fascicolo di primo grado, all’udienza del 9 dicembre 2019 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata posta in decisione con termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Avuto riguardo al merito della controversia, appare opportuna la trattazione preliminare del secondo motivo di impugnazione, antecedente logico del resto del gravame, con cui l’appellante ha contestato la qualificazione giuridica del rapporto intercorrente tra le parti.

In particolare, l’appellante ha prospettato che detto rapporto dovesse essere ricondotto ad un contratto c.d. autonomo di garanzia e non ad una fideiussione, così come regolata dal codice civile; in ogni caso, anche a voler ritenere applicabile l’art. 1952 c.c., la CO. ha contestato l’esistenza dei presupposti di detto articolo, per non avere l’appellata “pagato ugualmente il debito”.

Il motivo non merita accoglimento e deve essere rigettato.

Emerge, infatti, con certezza che tra le parti sia intercorso un rapporto latu sensu di garanzia, in virtù del quale l’appellante ha, prima, garantito per il debitore e, successivamente, versato all’istituto di credito il 50% dell’importo totale del mutuo fondiario sottoscritto dall’appellata.

Sebbene la disciplina della fideiussione codicistica sia in larga misura derogabile dalle parti, sarebbe comunque stato onere dell’appellante provare ex art. 2697 c.c. le eventuali difformità del rapporto in esame rispetto al tipo legale.

Tuttavia, tale onere non è stato adempiuto, non essendo stati versati in atti documenti che consentissero di stabilire con certezza la disciplina di dettaglio del rapporto de quo: nello specifico, la mancata produzione della convenzione intercorrente tra la CO. e l’istituto di credito rende impossibile l’accertamento delle specifiche condizioni di esercizio della garanzia, atteso che tali possono essere considerate solo quelle ivi espressamente contenute, a prescindere dall’eventuale nomen iuris utilizzato aliunde dalle parti.

In mancanza di prova di eventuali specifiche pattuizioni, il primo giudice ha dunque correttamente applicato la disciplina generale della fideiussione a norma del codice civile, ivi incluso l’art. 1952 c.c..

Va, infatti, sottolineato che la circostanza per cui il debitore abbia “pagato ugualmente il debito” è richiesta dal solo primo comma della disposizione in esame, al fine di escludere l’eventuale regresso nei confronti di quest’ultimo da parte del fideiussore.

Tale ipotesi non può trovare applicazione nel caso in esame, poiché il debitore principale non aveva ancora provveduto a saldare l’intera esposizione; d’altra parte, detto comma mira ad evitare al debitore il rischio di un eventuale doppio integrale adempimento, nel caso di specie impossibile.

Tuttavia, la mancanza dei requisiti di cui al primo comma non pregiudica la possibile applicazione del secondo comma del medesimo articolo, che resta ipotesi distinta.

Nello specifico, proprio quest’ultima norma risulta applicabile al caso di specie, poiché emerge con chiarezza dalle stesse comunicazioni dell’appellante che questi saldava l’istituto di credito senza preventivamente informare il debitore principale, limitandosi a comunicare l’addebito già avvenuto.

A ciò consegue dunque la possibilità per il debitore principale di opporre al fideiussore “le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore principale all’atto del pagamento”.

In sintesi, in mancanza di prova di diverse pattuizioni rispetto al tipo legale della fideiussione, il rapporto di garanzia in esame deve essere valutato applicando la disciplina del codice civile, ivi incluso l’art. 1952 c.c..

Indi, il detto motivo di impugnazione deve essere rigettato.

Passando, ora, all’esame degli altri motivi, con la prima doglianza l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata in relazione all’opponibilità alla CO. dell’eventuale accordo transattivo concluso tra i debitori e l’Un., creditrice principale.

In particolare, ha sostenuto l’appellante di essere rimasta estranea a detto accordo, peraltro mai giunto a conclusione, posto che le proposte del 20 febbraio 2014 e del 13 gennaio 2015 non risultano sottoscritte per accettazione e che i pagamenti intercorsi successivamente a dette date non possono essere considerati attuativi delle medesime perché in numero inferiore a quello previsto e non tempestivi.

In ogni caso, ha sostenuto l’appellante che anche a voler ritenere concluso detto accordo, esso sarebbe divenuto inefficace a seguito del mancato tempestivo versamento della seconda rata, mentre i bonifici successivi al gennaio 2015 sarebbero al più attuativi della seconda piuttosto che della prima proposta; infine, nessuna somma sarebbe stata versata all’appellante e gli importi corrisposti periodicamente non sarebbero stati sufficienti ad estinguere nemmeno la quota residuata a favore dell’istituto di credito dopo l’escussione della garanzia.

Il motivo è fondato e deve essere accolto.

Giova preliminarmente ricordare che, in data 20 febbraio 2014, il creditore principale aveva inviato al difensore dell’appellata una proposta relativa ad una possibile rimodulazione delle scadenze relative al mutuo fondiario per la cui garanzia parziale è causa: in particolare, detta missiva aveva manifestato la disponibilità dell’istituto di credito ad un piano di rientro del debito con versamenti periodici a scadenze prefissate.

Tale lettera rappresenta una proposta unilaterale dell’istituto di credito, come può evincersi in modo inequivoco dal tenore letterale della stessa: tuttavia, nonostante manchi la prova di una sua accettazione scritta, l’accordo transattivo in essa rappresentato può comunque ritenersi stipulato per fatti concludenti.

Infatti, come statuito dalla consolidata giurisprudenza della S.C. correttamente citata dal primo giudice, “poiché la transazione richiede la forma scritta unicamente “ad probationem” (salvo quando riguardi uno dei rapporti di cui all’art. 1350, n. 12, c.c.), la prova del contratto può anche essere fornita da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso anche solo tacito, purché univoco, dell’altra parte manifestato mediante attuazione integrale dei relativi patti” (v. Cass. ord. n. 1627/2018).

Nel caso in esame, l’avvenuto tempestivo pagamento della prima rata da parte del debitore, in data 28 febbraio 2014, appare certamente idoneo a configurare l’inequivoca volontà di concludere la transazione prospettata, dilazionando l’esigibilità del credito da parte del creditore principale.

La conclusione di tale accordo transattivo è avvenuta in epoca anteriore all’escussione della garanzia prestata dall’appellante: al momento del pagamento da parte della CO., la transazione sarebbe stata dunque in astratto opponibile all’istituto di credito da parte del debitore principale.

Come già sottolineato, sulla base della documentazione in atti, la CO. non ha informato il debitore principale della richiesta di pagamento dell’istituto di credito prima della sua effettiva realizzazione: al mancato rispetto del secondo comma dell’art. 1952 c.c., che si è già detto applicabile al caso in esame, consegue l’opponibilità alla CO., al momento dell’avvenuto pagamento, anche dell’eccezione di inesigibilità del credito a causa della conclusa transazione.

Tuttavia, a detta opponibilità non può conseguire automaticamente un’inesigibilità sine die ovvero incondizionata del credito da parte del garante.

Va, infatti, evidenziato che lo stesso art. 1952 c.c., nel prendere in esame solo le eccezioni che il debitore “avrebbe potuto opporre al creditore principale all’atto del pagamento”, non si limita a fissare con esattezza solo il momento in cui il fatto impeditivo, modificativo o estintivo deve sussistere: con detto richiamo, esso rinvia, implicitamente ma inevitabilmente, alla specifica eccezione volta per volta opponibile così come strutturata nel suo complesso, individuata sulla base di un criterio temporale, e tuttavia onnicomprensiva della

sua concreta natura e disciplina eventualmente pattuita tra debitore e creditore originario.

In altre parole, consapevole dell’impossibilità di predisporre un regime unitario per tutte le possibili fattispecie, il legislatore ha inteso fissare un criterio generale per l’individuazione dell’eccezione opponibile, rinviando alla concreta natura e portata della stessa ai fini della disciplina volta per volta applicabile al rapporto di specie.

Ciò implica che, sulla base dell’art. 1952 c.c., l’eccezione esistente all’atto del pagamento da parte del garante sarà concretamente a questi opponibile da parte del debitore principale negli stessi limiti, alle identiche condizioni, e con le medesime modalità con cui essa sarebbe stata in ipotesi opponibile al creditore originario nel momento in cui la garanzia è stata escussa; ivi incluse le eventuali regole di esigibilità eventualmente stabilite contrattualmente dalle parti, se del caso in deroga alla disciplina di legge.

Siffatta interpretazione dell’art. 1952 c.c. presenta l’indubbio pregio di equiparare in tutto e per tutto i rapporti che per il debitore principale intercorrono rispettivamente e individualmente con il creditore originario e con il garante in surroga.

Infatti, dal momento in cui, escussa la garanzia parziale, il garante si surroga nei diritti del creditore originario limitatamente alla somma pagata, detti rapporti per il debitore proseguono su binari tra loro paralleli, che partono dalle medesime condizioni originarie, potendo eventualmente giungere a esiti diversi nel tempo.

Viceversa, ritenere a contrario che al garante in surroga possa opporsi la medesima eccezione opponibile al creditore principale, ma senza le relative condizioni e modalità stabilite dalle parti originarie, determinerebbe un’ingiustificata differenza di tratta – mento tra rapporti nella sostanza identici.

Tale interpretazione, oltre a contrastare con una lettura quanto più possibile costituzionalmente orientata sulla base dell’art. 3 Cost., cagionerebbe un indubbio pregiudizio al garante che, nonostante il suo adempimento, per il solo fatto del mancato avviso preventivo si troverebbe sprovvisto delle cautele a suo tempo predisposte dal creditore originario nei confronti del debitore: condizioni, sovente, di estrema importanza specialmente nelle eccezioni che potrebbe definirsi c.d. di durata, che presuppongono un contegno del debitore prolungato nel tempo, quale quella del caso di specie.

Peraltro, il fatto che la specifica disciplina dell’eccezione opponibile sia individuata in tutte le sue sfaccettature sulla base della concreta volontà pattizia, ove espressa, è del tutto coerente con il sistema del codice civile, che assegna un ruolo primario all’autonomia contrattuale delle parti, tale da assurgere a vincolo con “forza di legge”.

Nel caso in esame, l’accordo transattivo che si è detto concluso tra il debitore e l’istituto di credito era stato subordinato al continuo e tempestivo pagamento delle rate previste alle scadenze prefissate dal creditore.

Si era, infatti, stabilito che “resta naturalmente inteso che in caso di ritardo o mancato rispetto di una sola delle condizioni sopraindicate, quanto sopra dovrà ritenersi privo di efficacia e pertanto saremo liberi di agire per l’ammontare dell’intero credito ed accessori”.

Alla luce di quanto detto sopra, detta clausola deve ritenersi applicabile anche al rapporto tra debitore e garante in surroga, ormai distinto da quello con l’istituto di credito, ma che si è specificato essere retto dalle stesse modalità, condizioni e limiti.

Detta clausola, in caso di inadempimento della transazione, rende esigibile la originaria prestazione sia nei confronti del creditore che del garante; esigibilità che deve essere verificata al momento della decisione del giudice.

In altri termini, in caso di esatto adempimento della transazione, così come il creditore originario non può chiedere l’adempimento dell’originario credito, il garante, in caso di pagamento, non può ottenerne il rimborso da parte del debitore per inesigibilità della prestazione; tuttavia, in caso di inadempimento della transazione, pur anche verificatosi in corso di giudizio, al garante – così come al creditore originario – non si può opporre l’inesigibilità della prestazione, poiché questa prestazione è divenuta esigibile.

In altri termini, è con riferimento alla data della decisione che il giudice deve valutare l’eventuale esigibilità del credito, dovendosi condannare la parte inadempiente, anche se esso non fosse stato esigibile prima dell’instaurazione del giudizio e finanche se non lo fosse stato nel corso dello stesso, ma lo sia successivamente divenuto al momento della pronuncia della sentenza.

Nel caso di specie emerge dalla stessa documentazione degli appellati che, dopo il tempestivo bonifico della prima rata, già dal secondo versamento e in più occasioni successive non sono stati rispettati i termini di pagamento prescritti dalla transazione.

Se è vero, dunque, che l’accordo transattivo sarebbe stato opponibile al creditore al momento dell’escussione della garanzia, data in cui non si era ancora realizzato alcun inadempimento, i ritardi successivi ed il mancato saldo dell’intero importo avrebbero nondimeno consentito all’istituto di credito di pretendere l’adempimento per intero alla data della presente decisione, facendo valere la decadenza del debitore dal beneficio della dilazione del pagamento.

Alla luce di quanto detto sopra, consegue che anche il garante in surroga, alla data della presente decisione, in assenza di integrale pagamento è legittimato a pretendere l’adempimento dell’intero da lui versato, avvalendosi della decadenza dal beneficio della dilazione in virtù dei sopravvenuti ritardi nei versamenti, esattamente come avrebbe potuto fare il creditore principale.

In conclusione, il debitore che intenda opporre al garante una eccezione vantata nei confronti del creditore principale, in caso di mancato avviso preventivo ai sensi del co. 2 dell’art. 1952 c.c., è legittimato a farlo nei limiti, alle condizioni e con le modalità previste dall’eccezione stessa; sicché, nonostante al momento dell’escussione della garanzia l’eccezione nascente dalla conclusa transazione fosse opponibile al garante, quest’ultimo può giovarsi dei successivi inadempimenti del debitore e avvalersi della decadenza dal beneficio della dilazione, esattamente come avrebbe potuto fare il creditore principale, con ciò rendendo esigibile il pagamento alla data della presente sentenza e realizzando la condizione dell’azione.

Nello specifico, la domanda di pagamento appare fondata per l’intero importo richiesto, avendo l’appellante provato, sulla base delle risultanze in atti, sia il rapporto sottostante sia l’esistenza di un credito certo liquido ed esigibile e non avendo di contro gli appellati allegato alcun adempimento né totale né parziale nei confronti della CO., né alcuna causa di inesigibilità da opporre al creditore principale.

Deve, pertanto, condannarsi in solido la Fi. s.n.c., Co.Pi. e Ta.Vi. al pagamento in favore della CO. soc. coop. della somma di Euro 47.457,32 originariamente richiesta con il decreto ingiuntivo, oltre interessi dalla data della messa in mora al soddisfo.

All’accoglimento del primo motivo di impugnazione consegue l’assorbimento del terzo motivo, con cui l’appellante ha lamentato l’erronea condanna alle spese di primo grado.

Infatti, il giudice di appello allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale.

Le spese processuali di entrambi i gradi seguono la soccombenza e vanno poste in solido a carico della Fi. s.n.c., di Co.Pi. e di Ta.Vi., nella misura indicata in dispositivo in applicazione dei criteri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014 n. 55, entrato in vigore il 3 aprile 2014, che all’art. 28 stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” e tenuto conto del valore della controversia (da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00).

P.Q.M.

La Corte di Appello di Catania, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 1589/2018 R.G.,

in accoglimento dell’appello proposto dalla CO. soc. coop. avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa n. 875/2018,

condanna la Fi. s.n.c., Co.Pi. e Ta.Vi. al pagamento in solido in favore della CO. soc. coop della somma di Euro 47.457,32, originariamente richiesta con il decreto ingiuntivo, oltre interessi dalla data della messa in mora al soddisfo.

Condanna la Fi. s.n.c., Co.Pi. e Ta.Vi. al pagamento in solido a favore della CO. soc. coop. delle spese processuali del primo grado, che liquida in complessivi Euro 7.254,00 di cui Euro 1.620,00 per fase di studio della controversia, Euro 1.147,00 per fase introduttiva del giudizio, Euro 1.720,00 per fase istruttoria ed Euro 2.767,00 per fase decisoria, oltre alle spese forfettarie del 15% ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014 n. 55, IVA e CPA come per legge.

Condanna la Fi. s.n.c., Co.Pi. e Ta.Vi. al pagamento in solido a favore della CO. soc. coop. delle spese processuali del presente grado, che liquida in complessivi Euro 6.615,00 per compensi, di cui Euro 1.960,00 per fase di studio della controversia, Euro 1.350,00 per fase introduttiva del giudizio ed Euro 3.305,00 per fase decisoria, oltre alle spese forfettarie del 15% ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014 n. 55, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Catania il 27 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.