Premesso che la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 cod. civ., e non dalle norme speciali contenute negli artt. 2051 e/o 2052 cod. civ., non applicabili in considerazione della natura di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo, l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo rileva non sul piano della colpa, ma dell’imputazione della responsabilità omissiva sul piano causale. Non può infatti essere la mera inosservanza dell’obbligo giuridico di provvedere alla cattura dell’animale randagio ad integrare la colpa rispetto ad un fenomeno, quale quello del randagismo, la cui prevenzione totale si sottrae ai parametri della condotta esigibile non potendo essere del tutto impedito che un animale randagio possa comunque trovarsi in un determinato momento sul territorio. L’omissione deve quindi essere espressione di un comportamento colposo dell’ente preposto, quale il non essersi adeguatamente attivato per la cattura nonostante l’esistenza di specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale nel territorio di competenza dell’ente preposto, cadendosi diversamente in un’ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051,2052 e 2053 cod. civ

Tribunale|Brindisi|Civile|Sentenza|12 marzo 2020| n. 449

TRIBUNALE DI BRINDISI

SEZIONE CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica nella persona del dott. Francesco Giliberti, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella controversia in primo grado rubricata al N. 1142/2014 RGAC;

tra

GI.CO. (…), BR.FR. (…), GI.GI. (…), GI.RO. (…), rappr.ti e dif.si dall’avv. PO.MA.;

attori

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE BR/1 (c.f.), in persona del legale rapp.te, rappr. e dif. dall’avv. AN.RO.;

nonché

COMUNE DI LATIANO (c.f. ), in persona del Sindaco pro tempore, rappr. e dif. dall’avv. PI.MA.;

convenuti

Oggetto: risarcimento danni materiali e da perdita parentale;

precisazione delle conclusioni come da verbale dell’udienza del 20 dicembre 2018.

FATTO E DIRITTO

La presente sentenza viene emessa in forma sintetica omettendo di riportare la parte relativa allo svolgimento del processo, a norma dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. come novellato dall’art. 45, comma 17, legge 69/2009.

Gi.Co., Br.Fr., Gi.Gi. e Gi.Ro., rispettivamente padre, madre, sorella e fratello di Gi.An., hanno convenuto in giudizio la ASL BR ed il Comune di Latiano, al fine di sentirli condannare in solido fra loro, al risarcimento dei danni da essi patiti per la perdita del rapporto parentale con il congiunto Gi.An., deceduto a causa ed in conseguenza delle lesioni riportate nel sinistro occorso in data 15/6/2011 nell’abitato di Latiano, sinistro causato dalla presenza di un cane randagio sulla sede stradale nonché al ristoro dei danni materiali (quantificati in Euro 5.000,00, importo pari al valore antesinistro del veicolo andato completamente distrutto) subiti dal Gi.Co., quale proprietario del motociclo a bordo del quale viaggiava la predetta vittima.

Con distinti atti si costituivano gli enti convenuti i quali eccepivano preliminarmente il rispettivo difetto della legittimazione passiva e nel merito l’infondatezza dell’avversa pretesa, ritenendo che il sinistro fosse ascrivibile alla stessa vittima la quale percorreva la via cittadina ad elevatissima velocità e non indossava il casco protettivo e che comunque nessun addebito potesse essere mosso agli enti stessi.

La causa è stata istruita attraverso l’interrogatorio formale degli attori, prova per testi e CTU valutativa e ricostruttiva del sinistro nonché CTU medico legale circa la compatibilità fra le lesioni riportate ed il corretto uso del casco protettivo da parte della vittima.

Le domande attoree sono parzialmente fondate e vanno pertanto accolte per quanto di ragione.

Va innanzitutto rilevato che la dinamica del sinistro a seguito del quale ha perso la vita Gi.An., appare pacifica fra le parti e comunque va ricostruita sulla base non tanto delle deposizioni testimoniali invero frammentarie e generiche, bensì attraverso gli elementi oggettivi acquisiti e segnatamente i rilievi grafici e fotografici del luogo teatro del sinistro effettuati dai c.c. intervenuti, nonché sulla base della CTU ricostruttiva della dinamica.

Riassuntivamente, sulla base degli atti può dunque riconoscersi che Gi.An. in data 15/06/2011, alle ore 23,circa, mentre percorreva, a bordo del motociclo (…) targato (…), in Latiano la via (…) in direzione della contrada (…) investiva un cane che vagava al centro della carreggiata per poi perdere il controllo del veicolo dal quale veniva disarcionato durante la rovinosa caduta per poi terminare la propria corsa contro un ostacolo fisso, cos’ procurandosi lesioni di tale gravità da determinarne il decesso che veniva constatato alle ore 00,35.

In particolare di grande ausilio debbono ritenersi le valutazioni tecniche svolte dal CTU Ma., segnatamente nella parte in cui stima che il motociclo condotto dalla vittima al momento dell’impatto con il cane, viaggiasse alla velocità di circa 1 20 Kmh.

La velocità stimata dal CTU, attraverso una indagine tecnica esaustiva e scevra da vizi logici e metodologici, consente da un lato di ritenere che la presenza dell’animale vagante al centro della carreggiata sia stata concausa dell’evento, da ascrivere in misura pari all’80% alla velocità eccessiva del veicolo condotto dalla vittima, specie se si considera che il sinistro avveniva all’interno di un centro abitato ove il limite massimo di velocità è di 50 Kmh, in orario notturno ed

in un tratto di strada scarsamente illuminato dalla pubblica illuminazione (secondo quanto dato rilevare dai rilievi fotografici scattati dai militari intervenuti immediatamente dopo il sinistro).

La velocità del motociclo, alla luce delle valutazioni svolte dal CTU medico legale dott. Bocchini, rendono del tutto superflua la circostanza inerente al corretto uso del casco protettivo, posto che (pur ignorandosi quali fossero i distretti del Gi. effettivamente lesionati e quali lesioni abbiano causato il decesso) ad una simile velocità, secondo l’id quod plerumeque accidit, il corretto uso del casco protettivo non sarebbe servito a scongiurare il decesso del centauro.

Pacifica è altresì la natura randagia dell’animale vagante investito dal motociclo condotto dal Gi..

Così accertati e ricostruiti i rilevanti fatti di causa, vanno affrontate, gradatamente, le questioni dirimenti sollevate dalle parti e prima fra tutte la legittimazione passiva degli enti convenuti.

Premesso che la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 cod. civ., e non dalle norme speciali contenute negli artt. 2051 e/o 2052 cod. civ., non applicabili in considerazione della natura di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo (Cass. 31 luglio 2017, n. 18954), l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo rileva non sul piano della colpa, ma dell’imputazione della responsabilità omissiva sul piano causale.

“Non può infatti essere la mera inosservanza dell’obbligo giuridico di provvedere alla cattura dell’animale randagio ad integrare la colpa rispetto ad un fenomeno, quale quello del randagismo, la cui prevenzione totale si sottrae ai parametri della condotta esigibile non potendo essere del tutto impedito che un animale randagio possa comunque trovarsi in un determinato momento sul territorio. L’omissione deve quindi essere espressione di un comportamento colposo dell’ente preposto, quale il non essersi adeguatamente attivato per la cattura nonostante l’esistenza di specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale nel territorio di competenza dell’ente preposto, cadendosi diversamente in un’ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051,2052 e 2053 cod. civ.” (Cass. 31 luglio 2017, n. 18954).

La disciplina di riferimento in materia, è contenuta nella legge n. 281 del 1991 (“Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”), la quale ha demandato alle Regioni il compito di regolamentare, con legge propria, le funzioni che spettano ad altri enti.

Poiché quindi la legge quadro statale n. 281 del 1991 non indica direttamente a quale ente spetti il compito di cattura e custodia dei cani randagi, ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, occorre analizzare la legge regionale n. 12/1995, con cui la regione Puglia ha ripartito i compiti di tutela della cittadinanza dai pericoli rivenienti dai randagi tra enti comunali ed ASL.

L’articolo 2 (Tutela sanitaria e vigilanza) prevede che “1. Le funzioni di vigilanza sul trattamento degli animali, la tutela igienico-sanitaria degli stessi, nonché i controlli connessi all’attuazione della presente legge sono attribuiti ai Comuni, che li esercitano mediante le Unità sanitarie locali (USL), ai sensi dell’art. 5 della legge regionale 2 agosto 1989, n. 13. 2. Per le funzioni di cui al precedente comma 1, le USL possono avvalersi della collaborazione delle Guardie zoofile di cui al successivo art. 15 e degli enti ed associazioni di cui all’art. 13 della presente legge”.

Nell’ambito delle USL (ed attualmente Asl) le competenze di legge sono ripartite fra gli organi che provvedono all'”anagrafe canina”, ove iscrivere anche i cani randagi dopo essere stati reperiti (articolo 3), laddove “… ai Servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi” (articolo 6). Inoltre “Sugli animali randagi presenti nel territorio i servizi veterinari delle AUSL, servendosi di strutture proprie o regolarmente accreditate, effettuano interventi chirurgici di sterilizzazione, individuati nella ovarioisterectomia per le femmine e nella orchiectomia nei maschi. Le autorità sanitarie locali possono disporre la reimmissione sul territorio di provenienza degli animali sottoposti a preventivo intervento di sterilizzazione”, mentre gli enti comunali provvedono a costituire e mantenere sia i canili sanitari (articolo 8), che i rifugi di cani (articolo 9), strutture essenziali nella gestione del fenomeno del randagismo.

Peraltro, dopo una fase di incertezza nella ripartizione delle responsabilità fra enti civici e ASL (conseguente alla istituzione di queste ultime e alla soppressione delle USL, un tempo articolazioni dei Comuni presso i quali erano istituite ), la giurisprudenza di legittimità ha ormai in modo consolidato affermato che “Ai sensi degli artt. 2, 6 e 8, l. r. Puglia n. 12 del 1995, il Comune è privo legittimazione passiva in rapporto alla pretesa risarcitoria per i danni causati dai cani randagi, posto che in base alla menzionata legislazione regionale i Comuni devono limitarsi alla gestione dei canili al fine della mera “accoglienza” dei cani randagi recuperati, mentre al relativo “ricovero”, che presuppone l’attività di recupero e cattura, sono tenuti i Servizi veterinari delle ASL.” (da ultimo Cassazione civile, sez. III, 28/06/2018, n. 17060).

La S.C. ha peraltro avuto modo di precisare che “Secondo un indirizzo di questa Corte, sulla base della legge regionale in considerazione, la vigilanza sui cani randagi spetta alle A.S.L., mentre sui Comuni non può ricadere il giudizio di imputazione dei danni, i quali sono così privi di legittimazione passiva (Cass. 7 dicembre 2005, n. 27001; 27 giugno 2008, n. 17737; 3 aprile 2009, n. 8137). Più di recente è stato affermato che “l’ente territoriale – ai sensi della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 281 e delle leggi regionali in tema di animali di affezione e prevenzione del randagismo (nella specie legge reg. ..) – è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza” (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2741). Tale statuizione, pur resa con riferimento ad una vicenda relativa all’applicazione della legge della Regione Puglia, ha in realtà portata generale e risulta richiamata in altre fattispecie relative a diversi contesti regionali (Cass. 23 agosto 2011, n. 17528 e 13 agosto 2015, n. 16802). Proprio per la sua portata generale deve essere misurata con riferimento alla specifica legislazione regionale vigente. Per la legge della Regione Puglia ritiene il Collegio che vada mantenuto l’indirizzo tradizionale”.

Sulla base dei principi innanzi esposti cui il giudicante aderisce, va dunque affermata la esclusiva legittimazione passiva della ASL BR a rispondere dei danni causati da animali randagi nel territorio di sua competenza, dovendo dunque ritenersi carente il Comune di Latiano carente della predetta legittimazione, né potendo una diversa ripartizione delle responsabilità nei confronti dei terzi danneggiati, farsi discendere da atti di normazione secondaria, qual è la deliberazione della Giunta Regionale del 1223 del 4 luglio 2013, le cui disposizioni (siccome tese alla ripartizione dei compiti fra organi delle ASL ed organi dei singoli comuni) hanno una portata meramente interna agli enti stessi, salvo a volerne ritenere la illegittimità per violazione di legge.

Sul punto appare illuminante questo passo della già citata sentenza della S.C. “L’obbligo giuridico di costruzione e gestione di canili sanitari per l’accoglienza di cani vaganti è astrattamente suscettibile di integrare il requisito di antigiuridicità di un contegno omissivo ai fini dell’imputazione causale di un evento dannoso, o anche il requisito soggettivo di una condotta colposa da identificare con la mera inosservanza di legge se le circostanze lo consentono, ma resta estraneo alla funzione tipica della prevenzione dei rischi derivanti dal randagismo, di cui è espressione l’evento dannoso per cui è causa, in quanto non comporta l’obbligo dell’attività di recupero, ma solo quello di accoglienza dei cani randagi. Il punto risulta chiarito dalla differenza con la L. R Lazio 21 ottobre 1997, n. 34, al centro dell’attenzione di Cass. 20 giugno 2017 n. 15167”.

Individuata la esclusiva legittimazione passiva della ASL, va peraltro rilevato che non può essere la mera inosservanza dell’obbligo giuridico di provvedere alla cattura dell’animale randagio ad integrare la colpa rispetto ad un fenomeno, quale quello del randagismo, la cui prevenzione totale si sottrae ai parametri della condotta esigibile non potendo essere del tutto impedito che un animale randagio possa comunque trovarsi in un determinato momento sul territorio. L’omissione deve quindi essere espressione di un comportamento colposo dell’ente preposto, quale il non essersi adeguatamente attivato per la cattura nonostante l’esistenza di specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale nel territorio di competenza dell’ente preposto. La sentenza impugnata non viola tale principio di diritto perché ha ritenuto rilevante, ai fini dell’integrazione della ipotesi di responsabilità civile, non solo la mera omissione, ma anche il suo carattere “colpevole”, attribuendo all’uopo rilievo alla segnalazione della presenza di cani randagi. Il giudice di merito non si è quindi arrestato al livello della mera inosservanza dell’obbligo giuridico, rilevante ai fini dell’antigiuridicità dell’omissione, ma ha esteso la propria valutazione anche al piano della colpa” (Cass. Civ., Sez. III, 17060/2018).

Ai fini dell’affermazione della responsabilità della ASL occorre pertanto individuare un concreto comportamento colposo imputabile alla stessa, non essendo materialmente esigibile, anche per la possibilità di spostamento degli animali, un controllo del territorio così penetrante e diffuso ed uno svolgimento dell’attività di cattura così puntuale e tempestiva da impedire del tutto che animali randagi possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento.

Il danneggiato è tenuto dunque a provare che la cattura fossero nella specie possibili ed esigibili, e che il danno si possa ricondurre al comportamento colposo della ASL, quale ente preposto alla cattura, in adempimento dell’onere probatorio richiesto dalla norma di cui all’art. 2043 c.c., pacificamente applicabile alla fattispecie:

“La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’art. 2052 c.c.; non è quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base dell’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilità dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalità omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria (ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e ciò nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura” (Cass.. n. 18954/2017 ).

Nel caso di specie deve ritenersi che gli attori abbiano assolto all’onere su di essi gravante non soltanto in ordine alla natura randagia dell’animale la cui presenza sulla sede stradale, come detto va considerata concausa del sinistro, ma altresì che gli organi della ASL preposti alla cattura non avessero assolto al loro compito, malgrado le segnalazioni loro pervenute come documentato in atti. Si fa in particolare riferimento alle note datate rispettivamente 25/5/2011 e 17/6/2011 (e dunque nei giorni precedenti e successivi al sinistro) trasmesse dall’Ufficio Randagismo del Comune di Latiano al Responsabile del servizio veterinario della ASL BR, con le quali veniva segnalata la presenza di cani randagi nell’abitato di Latiano, note alle quali il predetto servizio veterinario non dava alcun seguito.

Né la ASL ha specificamente dedotto né tantomeno fornito alcuna prova in ordine al fatto che il cane randagio investito dal Gi.An., non potesse essere ricompreso fra quei cani randagi oggetto delle predette segnalazioni rimaste inevase.

Riconosciuta la legittimazione passiva e responsabilità della ASL per i danni causati dal predetto cane randagio, va innanzitutto riconosciuto il diritto di Gi.Co. al risarcimento dei danni al veicolo di sua proprietà, da parametrarsi per equivalente al valore ante sinistro del motociclo, indicato dall’attore in Euro 5.000,00, non essendo insorta alcuna contestazione né sul predetto valore ante sinistro né sulla antieconomicità delle riparazioni: e tenuto conto del concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro stimato nell’80%, la ASL va dunque condannata al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 1.000,00 oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal di del sinistro.

Tutti gli attori agiscono inoltre iure proprio per il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.

In termini generali deve evidenziarsi la categoria unitaria del danno non patrimoniale e come questo si articoli in una serie di aspetti aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o sofferenza interiore subìti), quello biologico (laddove il danno sia suscettibile di valutazione medico legale) e quello esistenziale/alla vita di relazione (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita).

Di tutte le voci indicate – ove esse ricorrano cumulativamente – occorre tenerne conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto venga computato più volte sulla base di diverse e meramente formali, denominazioni (sul punto Cass. Sez. III, Sentenza n. 1361 del 23/01/2014).

Gli attori, quali congiunti della vittima, hanno senza dubbio diritto a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio da perdita del rapporto parentale.

Ciò vale tanto per i genitori che per i due fratelli.

Sul punto il giudicante ritiene infatti di dover seguire l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, in base al quale la convivenza non è condizione necessaria per il riconoscimento delle domande risarcitorie avanzate per il ristoro del danno da perdita del rapporto parentale, rappresentando la convivenza con la vittima dell’illecito un parametro ulteriore per dimostrare l’intimità del rapporto tra prossimi congiunti, ma non potendo costituire un limite al riconoscimento del danno non patrimoniale sofferto, potendosi ammettere la configurabilità di un solido rapporto affettivo e di una agevole e regolare frequentazione anche senza condivisione del tetto familiare (cfr. Cass. sez. III, sentenza 20/10/2016 n. 21230).

Facendo applicazione quale parametro equitativo di riferimento delle tabelle adottate dal Tribunale di Milano, tenuto conto dell’età della vittima (27 anni ), dell’età di ciascun congiunto e dell’esistenza di altri prossimi congiunti, si ritiene di dove liquidare il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, nel modo che segue:

– In favore di ciascun genitore la somma di Euro 200.000,00;

– In favore di ciascun fratello la somma di Euro 50.000,00;

Per effetto del concorso della vittima nella causazione del sinistro, gli importi per come innanzi riconosciuti ai suoi prossimi congiunti vanno ridotti dell’80% e dunque Euro 40.000,00 in favore di ciascun genitore ed Euro 10.000,00: su tali importi, già attualizzati, vanno calcolati gli interessi nella misura del tasso legale a far data dal sinistro fino al giorno di effettivo soddisfo sull’intero importo, via via devalutato.

Escluso che gli eredi della persona deceduta vittima di un illecito, possano invocare il diritto iure hereditatis del danno da perdita della vita c.d. danno tanatologico (Cass. Civ., S.U. 22 luglio 2015, n. 15350 ), al fine di riconoscere il c.d danno catastrofale – questo trasmissibile iure successionis al pari del danno biologico di cui si dirà in seguito -, quale sofferenza patita dalla vittima, nel lasso di tempo trascorso tra l’evento e la morte, nell’assistere alla perdita della propria vita (Cass. Civ., Sez. III, del 21 marzo 2013, n. 7126 ), sarebbe stato necessario che gli attori avessero fornito la prova dello stato di coscienza del proprio dante causa, cosa che nella fattispecie è invece mancata (Cass. Civ., Sez. III, del 24 marzo 2011, n. 6754 ).

Né potrebbe riconoscersi iure hereditario il danno biologico (per le lesioni subite, siccome suscettibili di accertamento medico legale ), tenuto conto del brevissimo lasso di tempo trascorso (appena h.1,30) dall’evento al decesso, non suscettibile di valutazione neanche in relazione al danno da inabilità temporanea.

Per tutte le considerazioni che precedono, in accoglimento per quanto di ragione delle domande attoree, dichiarato il difetto della legittimazione passiva del Comune di Latiano, la ASL BR va condannata al pagamento in favore degli attori delle somme come sopra indicate.

Le spese, fra gli attori e la ASL, seguono la soccombenza e vanno liquidate tenuto conto ai fini dello scaglione di riferimento della tariffa di cui al DM 55/2014 del valore delle domande per come effettivamente riconosciuto nella misura di cui al dispositivo, dimidiate per effetto del parziale accoglimento delle domande, dovendosi invece compensare rispetto alla posizione del Comune di Latiano, in considerazione del fatto che al momento dell’introduzione del giudizio l’orientamento circa la legittimazione passiva era tutt’altro che consolidato.

P.Q.M.

Il Tribunale di Brindisi, Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del dott. Francesco Giliberti, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Gi.Co., Br.Fr., Gi.Gi. e Gi.Ro., nei confronti di ASL BR nonché del Comune di Latiano, disattesa ogni diversa o ulteriore istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

1. dichiara il difetto della legittimazione passiva del Comune di Latiano

2. riconosce che il sinistro per cui è causa si è verificato per concorrente responsabilità della vittima Gi.An. nella misura dell’80% e della ASL BR per il restante 20%;

3. condanna la ASL BR al pagamento in favore degli attori delle somme di seguito riportate a titolo di risarcimento danni: in favore di Gi.Co. la somma di Euro 41.000,00 (di cui Euro 1.000,00 a titolo di danno patrimoniale); in favore di Br.Fr. la somma di Euro 40.000,00; in favore di Gi.Gi. la somma di Euro 10.000,00; in favore di Gi.Ro. la somma di Euro 10.000,00, il tutto oltre gli interessi legali dal di del sinistro sulla somma via via devalutata;

4. condanna inoltre la ASL BR al pagamento in favore degli attori della metà delle spese processuali che si liquidano nell’importo già dimidiato in Euro 750,00 per esborsi ed Euro 6.715,00 per compensi oltre 15% per rimb. forf., CAP e IVA, nonché, integralmente, alle spese e competenze di CTU;

5. compensa le spese processuali integralmente fra gli attori ed il Comune di Latiano.

Così deciso in Brindisi l’11 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.