La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Tribunale|Crotone|Civile|Sentenza|25 gennaio 2020| n. 74

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI CROTONE

Sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nellea cause civile iscritte al r.g. n. 792/2018 proposta

da

Es.Sa. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t. (P. IVA (…)), elettivamente domiciliata in Crotone al Corso (…), presso lo studio dell’avv. An.Ma., che la rappresenta e difende giusta mandato in calce all’atto di citazione;

– attrice –

contro

Agenzia delle Entrate – Riscossione, cod. fisc. (…) p. IVA (…) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Ca.Pa. ed elettivamente domiciliata in Catanzaro, alla via (…), presso il suo studio, giusta mandato in calce alla comparsa di risposta;

– convenuta –

MOTIVI

I. – Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusta il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l’iter del processo possono riassumersi come segue.

I.1. – Con atto di citazione notificato il 22.3.2018, la società attrice esponeva: di aver convenuto Eq. S.p.A. dinanzi a questo Tribunale con atto di citazione notificato l’8.5.2013 per ottenere la condanna della convenuta al risarcimento del danno subito per mancata vendita di cespite aziendale alla Ba.Po. ed in quanto aveva iscritto ipoteca superiore al credito maturato, chiedendo la condanna alla riduzione dell’importo e il risarcimento del danno; che la causa, iscritta al n. R.G. 951/2013, era in fase di precisazione delle conclusioni; che nelle more si era completata la procedura esecutiva immobiliare ed i beni erano stati aggiudicati all’asta giudiziaria per prezzi di gran lunga inferiore a quello per cui sarebbero stati venduti.

Chiedeva, pertanto, la condanna di Agenzia delle Entrate-Riscossione al risarcimento del danno subito pari ad Euro 3.009.805,12 per la differenza tra quanto avrebbe potuto ricevere dalla vendita libera dei beni e quanto percepito all’esito della procedura giudiziaria.

I.2. – Si costituiva con propria comparsa Agenzia delle Entrate-Riscossione, deducendo: che all’epoca dei fatti, controparte era morosa nei confronti dell’Erario per oltre 1,43 milioni di euro; che sin dal 2009 Eq. aveva iscritto ipoteca sugli immobili di proprietà della società attrice fino alla concorrenza di 1,5 milioni di euro; che nel febbraio 2011 Eq. aveva promosso esecuzione forzata sui beni della debitrice e con nota pervenuta il 24.5.2011 la società attrice aveva chiesto la restrizione dell’ipoteca al fine di poter alienare un cespite alla Ba.Po. per il dichiarato scopo di ripianare i debiti con creditori privati e non di soddisfare le ragioni dell’Erario; che, comunque, parte attrice non dava alcuna prova dell’esistenza di un contratto preliminare stipulato con BP. S.p.A. o di altro documento dal quale avrebbe potuto desumersi la volontà della Banca di acquistare uno dei cespiti oggetto di esecuzione; che tale accordo, ove esistente, avrebbe violato la disposizione dell’art. 2744 c.c. e sarebbe stato posto in essere in violazione della par condicio creditorum. Eccepiva inoltre la litispendenza ex art. 39 c.p.c., in quanto i giudizi azionati dall’attrice nel 2013 e con l’atto introduttivo del presente erano identici e il difetto di giurisdizione, atteso che la valutazione sulla richiesta di restrizione di ipoteca avrebbe dovuto essere formulata dinanzi alla giurisdizione tributaria, trattandosi di cartelle presupposte aventi ad oggetto tributi; per tale motivo anche la richiesta risarcitoria avrebbe dovuto essere reputata inammissibile.

Chiedeva, pertanto, la pronuncia di cancellazione della causa dal ruolo per litispendenza o la sospensione del giudizio o la riunione a quello recante R.G. n. 951/2013; l’accertamento del difetto di giurisdizione dell’a.g.o.; in subordine la declaratoria di inammissibilità delle domande attoree o il rigetto delle stesse nel merito; la condanna della società attrice per lite temeraria.

I. 3. – In assenza di attività istruttoria, non richiesta dalle parti, ed in mancanza di accordo bonario, come preannunciato all’udienza del 10.6.2019 ma non raggiunto, le parti precisavano le conclusioni all’udienza del 23.9.2019 e la causa era trattenuta in decisione con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.

II. Devono essere preventivamente vagliate le eccezioni preliminare di parte convenuta, di litispendenza ex art. 39 c.p.c., di difetto di giurisdizione e di inammissibilità della domanda risarcitoria.

Al fine di vagliare l’eccezione di litispendenza, deve essere considerato che con sentenza n. 1294/2018, depositata il 24.10.2018 ed esibita da parte convenuta nel termine di cui alla seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., questo Tribunale ha rigettato la domanda proposta dalla società Es.Sa.. In quel giudizio l’attrice aveva agito per la declaratoria di illegittimità della condotta di Eq. che si era rifiutata di restringere l’ipoteca su uno dei beni pignorati (per debiti erariali) a fronte di un accordo di alienazione del bene che avrebbe consentito alla società attrice di ripianare alcuni debiti e per la condanna al risarcimento del danno.

In quel giudizio il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto non soltanto non era stata dimostrata la sussistenza di alcun danno, atteso che non sussiste responsabilità civile del creditore che iscriva ipoteca eccessiva rispetto al valore del debito, ma parte attrice non aveva dimostrato di aver instaurato un giudizio per la restrizione dell’ipoteca.

Non è noto se tale sentenza sia passata in giudicato, atteso che parte convenuta e parte attrice nulla hanno dedotto o provato in merito.

In ogni caso, considerato che la presente azione è stata instaurata proprio al fine di ottenere la restrizione dell’ipoteca e la condanna di parte convenuta al risarcimento del danno asseritamente subito per non aver potuto alienare alcuni beni al prezzo convenuto con un potenziale acquirente (BP.), non sussistevano i presupposti per dichiarare la litispendenza o disporre la riunione di procedimenti.

Per tali motivi l’eccezione di litispendenza è infondata e deve essere rigettata.

Quanto all’eccezione di difetto di giurisdizione, la stessa è parimenti infondata e deve essere rigettata.

Nel caso di specie, non sussiste la giurisdizione del giudice tributario, nonostante le cartelle presupposte abbiano natura tributaria, atteso che il giudizio è stato instaurato al fine di valutare l’illegittimità o meno del rifiuto di Eq. a consentire la restrizione di ipoteca e la domanda di risarcimento danni conseguente alla vendita dei beni all’asta, domande che rientrano nella cognizione del giudice ordinario, atteso che non è necessario vagliare la legittimità o il contenuto delle cartelle presupposte, atteso che non è contestata dalla società attrice l’entità del debito sussistente con l’Erario e azionato da Eq. (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione).

III. Nel merito, la domanda è infondata e deve essere rigettata.

Dall’analisi degli atti di causa, dalla consultazione della documentazione esibita dall’attrice e dalla convenuta non è emerso, infatti, alcun elemento idoneo a supporto delle ragioni dell’attrice.

Il presupposto dell’azione di risarcimento danni sussisterebbe infatti nell’aver posto in essere Eq. un comportamento scorretto, che sarebbe consistito nell’ingiustificato rifiuto di ridurre l’ipoteca mediante liberazione di uno dei beni immobili di proprietà della società attrice.

Tuttavia non sussistono i presupposti per ritenere che tale rifiuto sia stato ingiustificato.

Come dedotto dalla società convenuta, infatti, l’ipoteca era stata iscritta per un importo corrispondente al debito erariale e la proposta di restrizione dell’ipoteca era stata fatta dalla società attrice per ripianare debiti di soggetti privati, diversi da Eq. (cfr. note contenute nel fascicolo di parte attrice, Unicredit e Antares); ne deriva che non può reputarsi ingiustificato il rifiuto di Eq. di liberare uno degli immobili pignorati, atteso che dalla liberazione dello stesso l’Ente esattore non avrebbe derivato alcun vantaggio in termini di pagamento, sia pur parziale, del debito; peraltro la vendita come programmata dalla società attrice (ma non dimostrata neppure con l’esibizione di un contratto preliminare di vendita o altra documentazione idonea) avrebbe probabilmente violato le norme sul divieto del patto commissorio o della par condicio creditorum, come paventato dalla convenuta, cosicchè questo Tribunale non identifica alcuna condotta illegittima o posta in essere in violazione di regole di comportamento a carico di Eq..

Deve peraltro rilevarsi che la società attorea non ha in alcun modo dimostrato i propri assunti, non contestando la costituzione di parte convenuta o la documentazione dalla stessa depositata, non depositando le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., non chiedendo di svolgere attività istruttoria e non difendendosi neppure in sede di comparsa conclusionale, non depositata.

Ne deriva il rigetto della domanda attorea.

IV. Dev’essere altresì rigettata la domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. formulata dalla società convenuta.

La responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. sez. un., 20.4.2018, n. 9912).

Ebbene, nel caso di specie la domanda è stata rigettata per non aver assolto l’attrice all’onere della prova sulla stessa incombente, non ravvisandosi invece i profili del dolo o della colpa grave richiesti al fine di pronunciare condanna ai sensi dell’art. 96 co. III c.p.c.

V. Le spese seguono la soccombenza; in ragione del rigetto delle eccezioni preliminari formulate da parte convenuta e della domanda di condanna formulata dalla convenuta ex art. 96 c.p.c., devono essere compensate al 50%; il restante 50% delle spese segue la soccombenza e le spese sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55/2014, tenuto conto del valore della domanda (come indicato da parte attrice in Euro 3.009.805,12), in applicazione dei valori medi della relativa tariffa, ridotti del 50% tenuto conto della semplicità delle questioni giuridiche controverse e della minima attività processuale svolta dalle parti ed esclusa la fase istruttoria, non svolta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Crotone, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Es.Sa. s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t. (P. IVA (…)) contro Agenzia delle Entrate – Riscossione, cod. fisc. (…) p. IVA (…) in persona del legale rappresentante p.t. con atto di citazione notificato il 22.3.2018 (R.G. n. 792/2018), contrariis reiectis:

– Rigetta le eccezioni preliminari formulate da parte convenuta;

– Rigetta la domanda attorea;

– Rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata da parte convenuta;

– Compensa le spese per il 50% e condanna la Es.Sa. s.r.l. al pagamento del restante 50% delle spese processuali sostenute da Agenzia delle Entrate-Riscossione, che liquida in Euro 12.603,00 per compensi professionali, oltre compenso forfettario del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.

Si comunichi.

Così deciso in Crotone il 23 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.