La domanda di risarcimento dei danni ex art. 96, comma I c.p.c., pertanto, non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato. Per quanto riguarda la fattispecie di cui all’art. 96, comma III c.p.c., è stato ribadito che la responsabilità aggravata in oggetto, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Tribunale|L’Aquila|Civile|Sentenza|21 febbraio 2020| n. 77

Data udienza 18 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI L’AQUILA

SEZIONE UNICA

Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, dott. Giovanni Spagnoli ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1012/2015 promossa da:

TO.AN., elettivamente domiciliato in L’Aquila, alla via (…), presso lo studio dell’Avv. Ma.Di., che lo rappresenta e difende nel presente giudizio, in virtù di procura alle liti in calce all’atto di appello;

APPELLANTE

CONTRO

So. S.P.A., elettivamente domiciliata in Pescara, alla Via (…), presso lo studio degli Avv.ti Da.Di. e Si.Di., che la rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente, nel presente procedimento, in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione in appello;

APPELLATO

OGGETTO: Altre controversie di diritto amministrativo.

All’udienza del 01.07.2019 i Procuratori delle parti concludevano riportandosi, l’appellante a quelle formulate nell’atto di citazione in appello, l’appellato a quelle formulate nella comparsa di costituzione, rappresentando tuttavia l’intervento di normativa sopravvenuta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi dell’art. 132, comma II, n. 4 c.p.c. introdotto dall’art. 45, comma 17 legge n. 69 del 2009, appare opportuno ripercorrere succintamente le domande e le eccezioni proposte dalle parti, prima di procedere alla stesura della motivazione.

Con atto di citazione depositato in data 16.06.2015, An.To. proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di L’Aquila n. 82/2015, depositata in data 31.03.2015, con cui veniva accolto il ricorso e annullata l’intimazione di pagamento n. 0017336, nella parte in cui dispone la compensazione delle spese di lite e omette la pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata.

Deduceva i seguenti motivi di appello: i) motivazione apparente e di stile in relazione ai motivi per cui, nonostante la soccombenza totale di controparte, veniva disposta la compensazione delle spese di lite, non ricorrendo alcuno dei motivi previsti dall’art. 92 c.p.c.; ii) omessa pronuncia sulla domanda relativa alla richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in considerazione dell’evidente colpa grave e mala fede della So. nel resistere in giudizio pur nella consapevolezza della fondatezza delle eccezioni formulate dal ricorrente.

La So. S.p.A. si costituiva il 30.07.2016, proponendo, ai sensi dell’art. 343 c.p.c., appello incidentale dell’impugnata sentenza, chiedendo in primo luogo l’accertamento del difetto di competenza del Giudice di Pace adito, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., in secondo luogo il rigetto delle domande di controparte con conseguente accertamento della legittimità dell’avviso di intimazione di pagamento n. 0017336 del 17.11.2014, in terzo luogo la condanna dell’appellante al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. per la temerarietà della lite instaurata, con vittoria di spese ed onorari.

All’udienza del 19.09.2016, il G.O.T. dott.ssa Giuliani, nonostante la costituzione della parte appellate, vista l’assenza in udienza, ne dichiarava la contumacia, fissando la data del 02.07.2018 per l’udienza di precisazione delle conclusioni.

A seguito del trasferimento ad altro Ufficio Giudiziario del precedente Giudice Istruttore, la presente controversia veniva assegnata allo scrivente in data 22.03.2019; alla successiva udienza del 01.07.2019 le parti precisavano le conclusioni come sopra riportate e la causa veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

1. Preliminarmente, è opportuno precisare che deve essere in questa sede revocata la dichiarazione di contumacia della So. S.p.A., erroneamente dichiarata all’udienza del 19.09.2016 nonostante la precedente costituzione del 30.07.2016.

Passando al merito della controversia, appare opportuno soffermarsi dapprima sulle circostanze rappresentate dalla parte appellata in sede di udienza di precisazione delle conclusioni.

In particolare, la So. S.p.A. rileva che, ai sensi dell’art. 4 D.L. n. 119/2018, convertito in L. n. 136/2018, “I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille Euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’art. 3 sono automaticamente annullati”. Per l’effetto, l’appellata rappresenta che il debito oggetto del presente giudizio, rientrando nel perimetro della normativa sopravvenuta, è stato interamente azzerato, come risulterebbe anche da estratto dettagliato prodotto (cfr. estratto To. allegato alla comparsa conclusionale del 24.09.2019).

Pertanto, la novella normativa se – da una parte – consente una dichiarazione di cessazione della materia del contendere in relazione all’appello incidentale presentato dalla So. senza dover entrare nel merito dei motivi esposti, dall’altra non è inidonea a precludere la valutazione sui motivi di appello presentati dal To. nei confronti della sentenza di primo grado.

2. L’appello è parzialmente fondato e può essere accolto per i motivi di seguito indicati.

In relazione al primo profilo contestato, si rileva che la pronuncia impugnata, in relazione alle spese, disponeva la compensazione tra le parti considerando la sussistenza di ‘giusti motivi, motivandoli con la natura della controversia e con le questioni trattate. Tale motivazione, sufficiente nel vigore della disciplina introdotta dalla L. n. 263/2005, appare carente già con novella di cui alla L. n. 69/2009, la quale richiede ora non più ‘giusti motivi’, bensì ‘gravi ed eccezionali ragioni. In proposito è stato detto che le ‘gravi ed eccezionali ragioni’, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, la particolarità della fattispecie), inidonea a consentire il necessario controllo (cfr. Cass. civ., Sez. III, 13.04.2018, n. 9186). Infine, nel testo modificato dall’art. 13, comma I del D.L. n. 132/2014, convertito nella L. n. 162/2014, disciplina applicabile al caso di specie, il legislatore ha circoscritto il novero delle ipotesi in cui è possibile la compensazione pur in assenza di soccombenza reciproca, ai casi di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Orbene, dall’esame del provvedimento impugnato, non emerge la sussistenza di una delle ipotesi previste dall’attuale art. 92, comma II c.p.c. per poter disporre la compensazione delle spese nonostante il totale accoglimento della domanda, né possono ritenersi configurate le “gravi ed eccezionali ragioni” elaborate da Corte Cost. n. 77/2018 che consentono la compensazione al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma.

Di conseguenza, atteso il vizio di motivazione in relazione alla compensazione delle spese di lite, l’impugnata sentenza dovrà essere riformata con la condanna della So. S.p.A. alla refusione delle spese del primo grado di giudizio.

Per quanto riguarda il secondo motivo di censura del provvedimento impugnato, si evidenzia che il Giudice di Pace, nell’accogliere la domanda del To. in relazione alla prescrizione del credito vantato dalla So. S.p.A., riteneva assorbiti gli ulteriori motivi dell’opposizione.

Al riguardo, è stato sostenuto dalla Suprema Corte di legittimità che la sentenza con la quale il giudice compensi le spese di lite, indicando le circostanze che integrano i giusti motivi per detta pronuncia, contiene una implicita esclusione dei presupposti richiesti per la condanna della parte soccombente al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata e resta quindi sottratta ad ogni censura non solo l’omessa motivazione ma, addirittura, l’omessa pronuncia sull’istanza di risarcimento di tali danni (cfr. Cass. civ., Sez. I, 30.03.2000, n. 3876; Cass. civ., Sez. L, 24.04.1993, n. 4808). Invero, nel caso di specie, l’erronea motivazione sulla statuizione delle spese del procedimento di primo grado, consente di valutare la sussistenza dei presupposti per una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Attesa la genericità della qualificazione dell’appellante sul punto, non rientrando certamente il caso di specie nel secondo comma della disposizione richiamata, deve ritenersi non dimostrato, e per vero neppure allegato, il danno subito per effetto della condotta di controparte, richiesto dall’art. 96, comma I c.p.c. Il danno da responsabilità aggravata per lite temeraria, in particolare, è costituito – secondo la prevalente opinione – dal pregiudizio strettamente determinato dal processo e non dall’ipotetica lesione del diritto di cui nel processo si controverte. Deve trattarsi, cioè, di conseguenza della responsabilità aggravata e, cioè, di “danno processuale”.

La domanda di risarcimento dei danni ex art. 96, comma I c.p.c., pertanto, non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (cfr. Cass. civ., Sez. I, Sez. III, 27.10.2015, n. 21798).

Per quanto riguarda la fattispecie di cui all’art. 96, comma III c.p.c., è stato ribadito che la responsabilità aggravata in oggetto, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 20.04.2018, n. 9912).

Orbene, dall’esame delle difese svolte dalla So. nel giudizio di primo grado, non emerge la manifesta inconsistenza giuridica e la palese infondatezza dei motivi di resistenza alle ragioni di controparte, dovendosi piuttosto ritenere che la medesima si sia limitata a resistere in giudizio sostenendo le ragioni giuridiche del proprio credito, sia in relazione all’eccezione di incompetenza che in relazione alla prescrizione dedotta. Tale conclusione sembra avvalorata dalla presentazione dell’appello incidentale con la formulazione di motivi specifici di doglianza in relazione alla pronuncia di primo grado e dal fatto che l’interesse alla pronuncia è venuto meno solamente a seguito della novella normativa che ha previsto l’azzeramento del debito residuo.

Alla luce di quando sin qui evidenziato, la sentenza impugnata va riformata esclusivamente in relazione al profilo delle spese di lite, non essendo meritevole di accoglimento il secondo motivo di censura in relazione alla condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Quanto alle spese del presente giudizio di appello, il Tribunale ritiene di aderire al più recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il rigetto, in sede di gravame, della domanda – meramente accessoria – ai sensi dell’art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (cfr. Cass. civ., Sez. VI, 15.05.2018, n. 11792; Cass. civ., Sez. VI, 12.04.2017, n. 9532).

Pertanto, le spese del presente giudizio, così come quelle del primo grado, seguono la soccombenza e vengono liquidate complessivamente come da dispositivo, in relazione al valore della causa e tenuto conto della attività difensiva svolta principalmente nelle fasi di esame, introduzione e decisione della controversia, facendo riferimento ai valori minimi di cui al D.M. n. 55/2014, così come modificato dal D.M. n. 37/2018, ricadendo la fase conclusiva dell’attività professionale dei difensori in un momento successivo all’entrata in vigore del citato decreto.

P.Q.M.

Il Tribunale Ordinario di L’Aquila, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al R.G. n. 1012/2015 e vertente tra le parti indicate in epigrafe, così provvede:

1) revoca la dichiarazione di contumacia di So. S.p.A.;

2) accoglie parzialmente l’appello proposto da To.An. avverso la sentenza del Giudice di Pace di L’Aquila n. 82/2015, depositata in data 31.03.2015 e, per l’effetto, in parziale riforma della stessa, condanna So. S.p.A. al pagamento nei confronti del To. delle spese del giudizio di primo grado, che liquida complessivamente in Euro 177,00 di cui Euro 43,00 per esborsi ed Euro 134,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), I.V.A. e C.P.A. come per legge;

3) dichiara cessata la materia del contendere in relazione all’appello incidentale proposto da rigetta So. S.p.A.;

4) condanna So. S.p.A. al pagamento in favore di To.An. delle spese del presente procedimento, che liquida complessivamente in Euro 285,90 di cui Euro 64,90 per esborsi ed Euro 221,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in L’Aquila il 19 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.