in tema di revocatoria fallimentare, la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca e’ revocabile, ai sensi dell’articolo 67 l.fall., non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l’eventus damni deve considerarsi in re ipsa, consistendo nella lesione della par condicio creditorum ricollegabile all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo, e non potendosi escludere a priori il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo.

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16565

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 39/2013 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., cod. fisc. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), in persona dell’Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS), con i quali elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS).

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO di (OMISSIS) e della SOCIETA’ DI FATTO (OMISSIS) (p. iva (OMISSIS) (OMISSIS)), in persona del curatore Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con il quale elettivamente domiciliano in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA, depositata il 15/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.p.a., ed ancor prima (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.) ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1 e resistiti dalla curatela del fallimento di (OMISSIS) e della societa’ di fatto tra lui e (OMISSIS), avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila del 23 aprile/15 novembre 2011, n. 1084, che, in parziale riforma della decisione di primo grado resa dal Tribunale di Teramo, dichiaro’ inefficace rispetto alla massa, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, n. 2, l.fall., e dispose la revoca dell’operazione effettuata dalla (OMISSIS) il 23 febbraio 1989, condannando (OMISSIS) s.p.a. a rimborsare alla curatela fallimentare la somma di Euro 155.324,41, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, da commisurare al rendimento medio dei BOT con scadenza annuale emessi nel periodo di riferimento, correnti dalla data della domanda fino al soddisfo.

1.1. Per quanto qui ancora di effettivo interesse, la corte aquilana, pur affermando che, erroneamente, il giudice di prime cure aveva accolto la domanda attrice rilevando la nullita’ dell’atto costitutivo di pegno concesso con scrittura privata dell’8 ottobre 1995 e la inoperativita’ della prelazione del credito pignoratizio per mancanza dei requisiti della data certa di quell’atto e di determinazione del credito garantito, benche’ la curatela non avesse tempestivamente sollevato la corrispondente eccezione, nondimeno ritenne che la suddetta operazione del 23 febbraio 1989 (con la quale la filiale di (OMISSIS) del menzionato istituto di credito ebbe ad acquistare dalla societa’ in bonis, il giorno successivo alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, cui fece seguito quella di concordato preventivo e, poi, la dichiarazione di fallimento, i titoli (OMISSIS) al prezzo di Lire 300.750.000, mai versato nelle casse della fallita ma utilizzato per ripianare una parte del debito da quest’ultima maturato nei confronti della banca) presentasse i caratteri dell’atto estintivo del pagamento del debito pecuniario scaduto ed esigibile, revocabile ex articolo 67, comma 1, n. 2, l.fall., accertandone l’esistenza dei necessari presupposti.

2. Il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 67, comma 1, n. 2, l.fall., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3); insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio, cioe’ circa la sussistenza del pagamento effettuato con mezzi anormali (articolo 360 c.p.c., n. 5)”, censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto configurabile, nella specie, l’esistenza di un pagamento effettuato con mezzi non normali, e ribadisce l’assoluta normalita’ di un atto estintivo di un debito effettuato dal creditore mediante il realizzo di un pegno non piu’ revocabile.

2.1. Il secondo motivo, recante “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articoli 1223 e 1224 c.c., articolo 67, comma 1, n. 2, l.fall., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3) e nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, laddove la Corte di merito ha riconosciuto al Fallimento (oltre al capitale di Euro 155.324,41 ed agli interessi legali) “la rivalutazione monetaria da commisurare al rendimento medio dei BOT con scadenza annuale nel periodo di riferimento””, ascrive alla corte aquilana di aver attribuito alla curatela anche il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, benche’ la stessa non lo avesse allegato, ne’ richiesto.

3. Ritiene, pregiudizialmente, il Collegio che, malgrado il ricorso sia stato redatto, quanto all’esposizione sommaria dei fatti di causa, mediante la quasi integrale riproduzione di una serie di atti processuali di primo e secondo grado, cosi’ traducendosi, in realta’, in un’esposizione dei fatti non proprio sommaria, e’ comunque possibile procedere al suo esame rivelandosi, invero, sufficientemente agevole ricavarne, con chiarezza, dal suo contesto, i fatti concretamente rilevanti, cosi’ da comprendere le censure sollevate in questa sede con i motivi descritti in precedenza.

4. Il primo motivo e’, nel suo complesso, inammissibile ex articolo 360-bis c.p.c., n. 1, risultando il provvedimento impugnato conforme, nella sua corrispondente motivazione, alla consolidata giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, in tema di revocatoria fallimentare, la rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in favore della stessa banca e’ revocabile, ai sensi dell’articolo 67 l.fall., non assumendo alcun rilievo la circostanza che il ricavato della vendita sia destinato a soddisfare un credito privilegiato, in quanto l’eventus damni deve considerarsi in re ipsa, consistendo nella lesione della par condicio creditorum ricollegabile all’uscita del bene dalla massa in forza dell’atto dispositivo, e non potendosi escludere a priori il pregiudizio delle ragioni di altri creditori privilegiati, insinuatisi in seguito al passivo (cfr. Cass. 17358 del 2016, in motivazione; Cass. n. 4785 del 2010; Cass. n. 25571 del 2010; Cass. n. 7563 del 2011).

4.1. Ne’ la ricorrente, che si limita ad invocare il superato orientamento espresso, da ultimo, da Cass. n. 26898 del 2008 (peraltro gia’ disatteso anche dalla corte territoriale), offre convincenti argomentazioni per indurre questa Corte a mutare la piu’ recente opinione suddetta.

5. Il secondo motivo e’, invece, fondato.

5.1. Posto, invero, che l’obbligazione restitutoria, a contenuto pecuniario, che sorge in capo all’accipiens soccombente in revocatoria ex articolo 67 l.fall., ha natura di debito di valuta (cfr. Cass. n. 27084 del 2011; Cass. n. 12736 del 2011), giova rimarcare, da un lato, che il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2, e non puo’ limitarsi a chiedere semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (cfr. Cass., SU., n. 5743 del 2015. In senso conforme, si veda anche Cass. n. 22273 del 2010); dall’altro, che la rivalutazione monetaria per i debiti di valuta non spetta automaticamente, in difetto della prova del pregiudizio da parte del creditore (cfr., ex plurimis, Cass. n. 23157 del 2014; Cass. n. 5639 del 2014; Cass. n. 19437 del 2011).

5.2. Nella specie, dalla stessa sentenza oggi impugnata emerge che: i) la curatela fallimentare odierna controricorrente ebbe a chiedere, nella citazione introduttiva del presente giudizio, la condanna della banca “… al rimborso della somma di Lire 300.750.000, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 23 febbraio al saldo” (cfr. pag. 3); il giudice di prime cure aveva in tali sensi statuito (cfr. pag. 4 della medesima sentenza); iii) con il terzo motivo di gravame, la banca aveva contestato il riconoscimento, in favore della controparte, della rivalutazione monetaria in mancanza della prova del maggior danno (cfr. pag. 5); iv) la corte distrettuale, decidendo su tale motivo, e richiamati i principi di Cass., SU., n. 19499 del 2008 (e delle pronunce successive delle sezioni semplici ad essa conformi), ritenne che “il maggior danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali” (cfr. pag. 12), e che, “Poiche’, come e’ noto, nel periodo che qui interessa il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza annuale e’ stato sempre superiore al saggio degli interessi legali” (cfr. pag. 13), la sentenza di primo grado doveva essere confermata, con la condanna della (OMISSIS) s.p.a. a rimborsare alla curatela fallimentare, oltre alla somma di Euro 155.324,41, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria da commisurarsi “al rendimento medio dei BOT con scadenza annuale emessi nel periodo di riferimento, correnti dalla data della domanda fino al soddisfo” (cfr. dispositivo, pag. 14).

5.2.1. Appare, dunque, evidente – argomentando dalla citata Cass., SU, n. 5743 del 2015, ed utilizzandosi il medesimo passo motivazionale ivi rinvenibile – come la riportata, originaria richiesta della curatela non fosse una domanda di riconoscimento del maggior danno, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2, ma proprio una domanda di rimborso del capitale e della rivalutazione monetaria. Non era stata, dunque, invocata una somma di denaro, “oltre agli interessi ed al maggior danno da svalutazione monetaria”, come si deve nei debiti di valuta ex articolo 1224 cod. civ. se si intenda essere indennizzati del maggior danno da svalutazione monetaria rispetto a quello gia’ coperto dagli interessi legali, ma si era formulata una domanda che implicitamente, ed erroneamente, assumeva che il debito fosse di valore.

5.3. La corte aquilana, pertanto, disattendendo il descritto motivo di gravame della Banca con la motivazione di cui si e’ detto, ha chiaramente contraddetto i principi di cui alla citata Cass., SU., n. 5743 del 2015, finendo con l’attribuire alla curatela ivi appellata il maggior danno da svalutazione monetaria, ex articolo 1224 c.c., comma 2, (sub specie di rivalutazione monetaria da calcolarsi come indicato nella sentenza oggi impugnata), malgrado l’assenza di una sua corrispondente domanda correttamente formulata.

6. In conclusione, dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, ne va accolto il secondo, in relazione al quale la sentenza impugnata deve essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, puo’ procedersi alla decisione della causa nel merito, ex articolo 384 c.p.c., comma 2, condannandosi l’odierna ricorrente a rimborsare alla curatela fallimentare la somma di Euro 155.324,41, oltre interessi legali dalla data della domanda giudiziale fino al soddisfo.

7. La cassazione con decisione nel merito impone a questa Corte di procedere, di ufficio, quale conseguenza della pronuncia adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali dei gradi di merito, nonche’ alla statuizione su quelle di questo giudizio di legittimita’. Tenendo conto dell’evoluzione giurisprudenziale, successiva all’instaurazione della controversia, sulle diverse questioni trattate, oltre che della parziale reciproca soccombenza determinata dall’esito complessivo della lite, appare possibile la loro integrale compensazione tra le parti ex articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica apportatagli dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera a), risalendo l’inizio del giudizio di primo grado al settembre 1996.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accogliendone il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna (OMISSIS) s.p.a. a rimborsare alla curatela fallimentare la somma di Euro 155.324,41, oltre interessi legali dalla data della domanda giudiziale fino al soddisfo. Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.