il mancato o tardivo recepimento nel diritto interno di una direttiva dell’Unione Europea non autoesecutiva, che però prevede l’attribuzione di diritti ai cittadini dell’Unione, costituisce inadempimento dello Stato italiano ad una obbligazione e, pertanto, attribuisce al cittadino il diritto al risarcimento del danno; il diritto del cittadino, avendo natura di diritto al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, si prescrive nel termine ordinario decennale.

 

Tribunale Roma, Sezione 2 civile Sentenza 4 ottobre 2018, n. 18888

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Ettore Favara

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 16129/2017 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. AN.GE. e dell’avv. GU.MA. ((…)) Indirizzo Telematico;, elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. AN.GE.

ATTORE

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA (C.F. (…)), MINISTERO DELLA SALUTE (C.F. (…)), MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (C.F. (…)), REPUBBLICA ITALIANA (C.F. (…)), UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ROMA e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in VIA (…) 00187 ROMA presso il difensore avv. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ROMA

CONVENUTI

FATTO E DIRITTO

Il Prof. (…) citava in giudizio, innanzi al Tribunale di Firenze (R.G. n. 12521/2016), i convenuti indicati in epigrafe, riferendo di aver frequentato il Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Firenze periodo nel 1973-1979, conseguendo il diploma di laurea in data 25.10.1979; che dal 28.12.1979 – a seguito di conseguimento dell’abilitazione professionale, presso l’Ordine di Firenze – il Prof. (…) era regolarmente iscritto nell’Albo dei Medici Chirurghi di Firenze, al numero 06246; che nel periodo 1980-1983, il Prof. (…) aveva frequentato il Corso di Specializzazione in Ematologia Clinica e di Laboratorio presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia del medesimo Ateneo, conseguendo il relativo diploma di specializzazione in data 26.10.1983 (cfr. certificato specializzazione, doc. n. 3).

L’attore affermava di aver frequentato il suddetto Corso di Specializzazione senza percepire alcuna borsa di studio, a fronte dell’attività svolta a tempo pieno.

Chiedeva pertanto che gli fosse riconosciuto a titolo indennitario il trattamento previsto dalle direttive della CEE in materia di specializzazioni mediche, a causa del danno da lui subito per la mancata attuazione delle direttive.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni convenute con il patrocinio della difesa erariale, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, la prescrizione e l’infondatezza del credito vantato.

Il Tribunale di Firenze dichiarava la propria incompetenza in favore del Tribunale di Roma. Riassunto il giudizio, sulla scorta delle conclusioni rassegnate la causa veniva trattenuta in decisione, senza termini per lo scambio delle conclusionali.

Prima di procedere all’esame della domanda proposta dall’attore è opportuno soffermarsi, in via generale, sugli aspetti maggiormente rilevanti della questione oggetto del presente giudizio.

La presente controversia trae origine dal ritardo con il quale lo Stato Italiano ha dato attuazione alla direttiva n.82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 – che ha modificato la direttiva 76/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 (cd. “direttiva riconoscimento”) e la direttiva n.75/363/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 (cd. “direttiva coordinamento”).

Le direttive in questione avevano ad oggetto (la prima) il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e le misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi nonché (la seconda) il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attività di medico.

Gli Stati membri avrebbero dovuto adottare le misure necessarie a conformarsi al contenuto dalla direttiva entro il 31 dicembre 1982; tale termine, però, non è stato rispettato dallo Stato Italiano, che ha provveduto a recepire la direttiva solo a seguito dell’accertamento dell’inadempimento conclamato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 7 luglio 1987 (causa C-49/86 Commissione/Italia).

A tal fine, è stato emanato il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, adottato su delega conferita con L. 29 dicembre 1990, n. 428.

Il provvedimento in questione ha determinato i diritti e gli obblighi dei medici iscritti alle scuole di specializzazione (art.4), prevedendo l’erogazione di una borsa di studio in loro favore (art. 6), ma ha limitato l’applicazione delle sue disposizioni a decorrere dall’anno accademico 1991/92.

Si è trattato, però, di un recepimento non corretto, tanto che la Corte di giustizia è dovuta tornare nuovamente ad interessarsi della vicenda.

Con la sentenza 25 febbraio 1999 (causa C-131/97, Carbonari) la Corte di Giustizia ha stabilito che l’art. 2, n.1 lett. c) nonché il punto 1 dell’allegato alla “direttiva coordinamento” (come modificata dalla direttiva 82/76, che ha modificato anche la “direttiva riconoscimento”) va interpretato nel senso che:

a) l’obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione dei medici specialistici s’impone solo per le specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due o più di essi e menzionate negli artt. 5 o 7 della “direttiva riconoscimento”;

b) tale obbligo è incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui richiede che la formazione del medico specialista si svolga a tempo pieno e sia retribuita (quale condizione per avvalersi del sistema del reciproco riconoscimento);

c) detto obbligo non consente, però, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, né il suo importo;

d) il giudice nazionale è comunque tenuto, quando applica disposizioni di diritto interno precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle quanto più possibile, alla luce della lettera e dello spirito della direttiva stessa;

Tali principi sono stati ribaditi dalla sentenza 3 ottobre 2000 (causa C-371/97, Go.), nella quale è stato ulteriormente precisato che:

a) l’obbligo della retribuzione adeguata attiene ai periodi di formazione tanto a tempo pieno quanto a tempo parziale;

b) l’obbligo si impone solo se le condizioni di formazione, sia a tempo pieno sia a tempo ridotto, sono rispettate dai medici specializzandi.

La Corte, richiamando la sua precedente giurisprudenza, ha sottolineato come il giudice nazionale sia tenuto, in primis, a far conseguire il risultato previsto dalla direttiva inattuata (o non esattamente attuata) mediante interpretazione adeguatrice delle norme nazionali (v. punto 37 della sentenza Go. e punto 48 della sentenza Carbonari).

Nel caso posto all’attenzione della Corte, quindi, spettava al giudice nazionale accertare se l’importo della remunerazione adeguata e l’istituzione tenuta al pagamento potessero essere determinati sulla base dell’insieme delle disposizioni del diritto interno (sentenza Carbonari, punto 50).

Solo ove ciò non fosse stato possibile, doveva essere riconosciuta ai singoli la facoltà di agire per il risarcimento dei danni, in presenza delle seguenti condizioni:

a) la norma giuridica violata fosse preordinata ad attribuire diritti a favore dei singoli, il cui contenuto potesse essere identificato sulla base della direttiva;

b) la violazione fosse sufficientemente grave e manifesta;

c) esistesse un nesso di causalità fra la violazione dell’obbligo imposto allo Stato e il danno lamentato dai singoli (v. punto 38 della sentenza Go. e punto 52 della sentenza Carbonari; si tratta dei principi già affermati nella nota sentenza della Corte di giustizia 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C- 9/90, Fr., punto 46).

A questo proposito, la Corte ha espressamente precisato che: “l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva, a condizione che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. Tuttavia, spetta al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito dai beneficiari sia adeguato. Un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti da detta direttiva e che dovrebbero quindi essere anch’essi risarciti” (v. sentenza Go., punto 39, e sentenza Carbonari, punto 53, che richiama Corte di giustizia 10 luglio 1997, in cause riunite C- 94/95 e C- 95/95, Bo., in particolare punti 51 e 53).

Dalle sentenze della Corte di giustizia emerge un chiaro indirizzo per l’applicazione delle misure di attuazione della direttiva, vuoi sub specie di interpretazione adeguatrice, vuoi sub specie di risarcimento del danno in forma specifica; il risarcimento del danno per equivalente, invece, rappresenta l’extrema ratio per il ristoro di quei pregiudizi che l’una o l’altra forma di tutela da accordare in via principale non siano stati in grado di assicurare.

Nella fattispecie esaminata, essi vanno individuati, secondo la Corte, nell’impossibilità di aver potuto fruire a tempo debito dei vantaggi pecuniari della direttiva (cd. lucro cessante) e devono essere dimostrati dall’attore.

A ciò può aggiungersi, quale ulteriore pregiudizio, la perdita di occasioni di lavoro per non aver potuto fruire del punteggio aggiuntivo assegnato agli specialisti.

3 – Come è noto, la problematica relativa all’inquadramento giuridico della domanda formulata dai medici specializzandi, al termine di prescrizione applicabile e al dies a quo della stessa prescrizione ha sollevato notevoli problemi interpretativi.

Ed invero, in un primo momento, la Suprema Corte si era orientata nel ritenere che la responsabilità dello Stato italiano per la mancata o tardiva attuazione di direttive comunitarie andasse inquadrata nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, con conseguente termine di prescrizione quinquennale, decorrente dalla data in cui si era manifestata l’insolvenza del debitore ed era, quindi, venuta in essere la pretesa risarcitoria, purché quella data fosse successiva alla scadenza del termine in cui lo Stato avrebbe dovuto adeguare il proprio ordinamento alle prescrizioni comunitarie (Cass. n. 5249 del 9.4.2001).

Successivamente, le Sezioni Unite della Suprema Corte, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, avevano ritenuto che la responsabilità dello Stato per tardivo recepimento di una direttiva comunitaria non autoesecutiva andasse inquadrata quale inadempimento di una “obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica”, riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione dell’ordinario termine decennale di prescrizione (Cass. S.U. n. 9147 del 17.4.2009).

Anche in ordine all’individuazione del dies a quo del termine prescrizionale per la domanda di risarcimento del danno derivante da illecito sia contrattuale che extracontrattuale, si era affermato nella giurisprudenza di questo Tribunale un orientamento che individuava il dies a quo nella data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, ovvero – al più tardi – nella data di conseguimento del diploma di specializzazione.

Tale interpretazione, però, era stata confutata dalla Suprema Corte con una decisione nella quale era stato affermato che il dies a quo del termine prescrizionale decennale in questione andava individuato con l’entrata in vigore dell’art.11 della L. 19 ottobre 1999, n. 370 in quanto solo in tale momento (27.10.2009) l’obbligo risarcitorio era divenuto apprezzabile come un effetto della condotta di inadempimento ormai definitivo (Cass. Sez. III n. 10813 del 17.5.2011).

Successivamente, la Cassazione ha avuto modo di ribadire con ripetute e conformi pronunce, le argomentazioni interpretative già fissate con le predette decisioni n. 9147/09 e n. 10813/11.

Il giudice, ritiene di condividere l’ormai costante indirizzo interpretativo della Suprema Corte.

Di conseguenza, il mancato o tardivo recepimento nel diritto interno di una direttiva dell’Unione Europea non autoesecutiva, che però prevede l’attribuzione di diritti ai cittadini dell’Unione, costituisce inadempimento dello Stato italiano ad una obbligazione e, pertanto, attribuisce al cittadino il diritto al risarcimento del danno; il diritto del cittadino, avendo natura di diritto al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, si prescrive nel termine ordinario decennale v. Cass. Sez. III n. 10813 del 17.5.2011: “In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria. Tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 cod. civ. – va inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 cod. civ., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione”; il dies a quo del predetto termine di prescrizione deve essere individuato alla data del 27.10.1999 v. Cass. Sez. III n. 10813 del 17.5.2011: “A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991.

La lacuna è stata parzialmente colmata con l’art.11 della L. 19 ottobre 1999, n. 370, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art.11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11”; v. anche, tra le altre, Cass. Sez. III n.17868 del 31.8.2011; L’art.4, comma 43 della L. n. 183 del 2011 ha disposto che: “la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato”.

Tale disposizione, però, in assenza di una espressa previsione, non può avere natura interpretativa o, comunque, retroattiva e, pertanto, si applica solo ai fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore. v. Cass. Sez. III n. 1917 del 9.2.2012: “Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell’art. 11 della L. 19 ottobre 1999, n. 370. In riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui all’art. 4, comma 43, della L. 12 novembre 2011, n. 183… trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2012)”.

Dalle pronunce giurisprudenziali che precedono discende anche che l’azione esperibile dai medici specializzandi iscritti negli anni accademici anteriori al 1991 non è quella contrattuale (non essendo le direttive auto esecutive) ma esclusivamente quella risarcitoria del danno derivato dall’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di attuare la normativa comunitaria; legittimato passivo rispetto alla domanda risarcitoria spiegata dai medici specializzati è soltanto lo Stato italiano, come rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ai sensi dell’art. 3 D.Lgs. n. 303 del 1999, infatti, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare l’azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell’Italia all’Unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea; allo stesso Presidente del Consiglio, poi, va attribuita la responsabilità per l’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione europea (art. 3, II co.). Quanto ai Ministeri, la presenza in giudizio del legittimato passivo rende non attuale la questione dell’esatta individuazione dello stesso, per cui può affermarsi che la mancanza di legittimazione passiva dei Ministeri, peraltro difesi dalla medesima difesa erariale, non va rilevata.

Non appare, invece, passivamente legittimata l’Università, considerato che l’obbligazione risarcitoria è “riferibile ad un comportamento dello Stato legislatore” (v. Cass. ord. n. 13255/11).

Va inoltre rilevato che, secondo la recente giurisprudenza della Corte di legittimità, sulla base di quanto affermato dalla CG UE, il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, può essere riconosciuto anche a favore dei soggetti che abbiano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni anteriori al 1 gennaio 1983 e fino all’anno accademico 1990-1991, ma solo per la parte di corso successivo al 1983, mentre nel caso in esame il dr. (…) risulta aver frequentato il corso solo fino al 26 ottobre 1983 e, quindi, se del caso, avrebbe diritto solo a una minima parte della remunerazione.

In conclusione:

a) Quanto alla legittimazione passiva, deve dichiararsi il difetto di legittimazione dell’Università, mentre è da affermare la legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri;

b) Quanto all’eccezione di prescrizione, la stessa deve essere accolta perché il (…) non risulta aver interrotto con alcun valido atto di costituzione in mora il termine decennale decorrente dal 1999, avendo per la prima volta agito nel 2016;

Le spese sono regolate dal principio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1. Dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli studi di Firenze;

2. Rigetta le domande proposte per intervenuta prescrizione;

3. Condanna l’attore alla rifusione in favore dei convenuti delle spese di lite che liquida in Euro 3600,00, oltre spese generali, IVA e CPA.

Così deciso in Roma il 3 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.