nell’ipotesi di comprovata perdita definitiva della capacità lavorativa specifica, il danno per perdita del reddito deve essere integralmente risarcito come danno emergente (poiché, quando manca il reddito, emerge la necessità di ricorrere al risparmio accumulato o all’indebitamento) e lucro cessante (per il mancato guadagno che si protrae per l’intera esistenza), non dovendosi operare una compensazione e, quindi, una diminuzione del danno patrimoniale del lavoratore, in considerazione della permanenza della capacità lavorativa generica, la cui riduzione o perdita è inerente al valore dell’uomo come persona e deve essere valutata all’interno della liquidazione del danno biologico.

Tribunale Pescara, civile Sentenza 8 gennaio 2019, n. 14

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del Tribunale di Pescara, Dott. Marco Bortone, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n. 6464 del R.G.A.C.C. dell’anno 2013 vertente

TRA

Ca.Es. (…), Pa.Ga. (…), in qualità di eredi di Pa.Lo., residenti in Pescara ed elettivamente domiciliati in Montorio al Vomano (TE), Via (…), presso lo studio dell’avv. Fi.Sa., che li rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di intervento volontario in data 6-7-2015

ATTORI

CONTRO

Un. S.p.a. (…), in persona del procuratore dott. Sa.Br., con sede in Bologna ed elettivamente domiciliata in Ascoli Piceno, Via (…), presso lo studio dell’avv. Fa.Ci., dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

E

Co.Gi., residente in Brittoli (PE), C.da (…)

CONVENUTO CONTUMACE

OGGETTO: risarcimento danni da incidente stradale.

FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA

Con atto di citazione notificato il 21-11-2013 Pa.Lo. conveniva in giudizio la Fo. S.p.a. e Co.Gi., quali assicuratrice per la r.c.a. e conducente e proprietario dell’autovettura (…) targata (…) per ottenere, a seguito del sinistro avvenuto l’1/9/2011 in Pescara, assumendo l’esclusiva responsabilità del Co.Gi., il risarcimento dei danni patiti, quantificati in complessivi Euro 259.644,67 o altra somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione del credito all’effettivo soddisfo.

Esponeva l’attore che mentre si trovava in sella alla propria bicicletta in corrispondenza della rotatoria sita tra Via (…) e Corso (…) era stato tamponato e scaraventato a terra dal Co.Gi.

Questi contumace, la Un. S.p.a., nel costituirsi in giudizio, eccepiva che il sinistro era da ascrivere a colpa esclusiva, se non maggioritaria, del Pa., il quale, sopraggiungendo dalla Via (…) mentre il Co., provenendo dal Corso (…), stava per abbandonare la rotatoria per svoltare sulla Via (…), aveva oltrepassato la linea continua orizzontale che separava la sua corsia da quella occupata dall’autovettura, tagliandole la strada e rendendo inevitabile l’impatto tra il lato anteriore destro dell’autovettura e la ruota posteriore della bicicletta; contestando anche il quantum debeatur come eccessivo, concludeva dunque per il rigetto della domanda ed in subordine perché, accertata la concorrente responsabilità dell’attore, fosse a costui liquidata la somma di giustizia.

Acquisita prova documentale e testimoniale, deceduto l’attore e costituitisi i suoi eredi come in epigrafe, espletata c.t.u. medico – legale, infine all’udienza del 27-4-2018 i procuratori delle parti costituite precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta per la decisione, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. (giorni sessanta più venti) per il deposito di comparse conclusionali e di replica.

RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE

In ordine al sinistro per cui è causa è stata prodotta copia del rapporto d’intervento della Polizia Municipale di Pescara, illustrato e confermato, quanto ai rilievi effettuati, dall’Agente D’A. Laura, la quale ha precisato che sia la ricostruzione della dinamica dell’incidente sia la redazione del relativo schizzo planimetrico furono opera del Maggiore Co.Pa..

Orbene, per quanto il rapporto si concluda con la mancanza di “elementi certi sulla dinamica del sinistro”, emerge tuttavia che “da un attento esame dei danni riportati dai veicoli, si evince che l’urto in questione si concretizzava tra la parte anteriore destra del veicolo A e la parte sinistra della ruota posteriore del velocipede B”; che, “analizzando la posizione dei veicoli, rilevata nello stato di quiete assunto dopo la fase dinamica, si può ragionevolmente pensare che l’urto si sia verificato qualche metro prima rispetto alla posizione del veicolo A e che quest’ultimo, subito dopo l’impatto, abbia percorso qualche metro accostandosi alla sua sinistra in corrispondenza dell’isola spartitraffico ivi posta”.

La bicicletta, per quanto confermato dalla teste D’A., veniva invece rinvenuta “qualche metro distante dal veicolo A, presso il margine nord della stessa Via (…)”, all’interno dunque della corsia di tale via destinata ai veicoli che la percorrono proseguendo con direzione monti, dove venne rinvenuta anche una chiazza ematica.

Sulla scorta di tali rilievi, il Maggiore Pa.Co. scriveva dunque che, a seguito dell’impatto come sopra individuato, “il conducente del velocipede veniva sbalzato all’indietro, andando a collidere con la parte sinistra del corpo contro il montante destro del veicolo A e il parafango anteriore destro dello stesso, provocando a quest’ultimo una vistosa ammaccatura proprio sopra la ruota anteriore destra con parziale distacco del paraurti. Il sig. Pa.Lo., a seguito di quanto sopra, veniva poi scaraventato a terra sbattendo la testa sul selciato e procurandosi le lesioni certificate…”.

Sulla base di questa ricostruzione deve dunque concludersi che fu inequivocabilmente l’autovettura ad urtare la bicicletta sulla ruota posteriore, nel mentre, provenendo dal Corso (…), uscendo dalla rotatoria, giungeva alla confluenza con la Via (…) per imboccarla in direzione monti; si deve nel contempo concludere che, sbalzato il Pa. con la sua bicicletta all’indietro, considerato il punto in cui venne rinvenuta la chiazza ematica, appena a ridosso della linea orizzontale continua che delimita la corsia di Via (…) destinata ai veicoli che, provenendo da nord, la percorrono proseguendo in direzione monti (si veda lo schizzo planimetrico), considerato anche lo stato di quiete assunto dall’autovettura, l’impatto avvenne all’interno della corsia di Via (…) destinata ai veicoli in uscita dalla rotatoria; che dunque il Pa. si trovò effettivamente, secondo l’assunto della convenuta, provenendo da destra, ad oltrepassare la predetta linea orizzontale continua, tagliando la strada all’autovettura e comunque omettendo di concederle la precedenza, quale veicolo favorito perché già in transito sulla rotatoria.

In tal senso ha deposto anche il teste Me.Gi., ricordando che, trovandosi presso il parcheggio adiacente alla rotatoria, alzando lo sguardo, vide il ragazzo in sella alla bicicletta “attraversare la corsia e in tale frangente essere investito”.

Chiaramente, non risulta invece attendibile la testimonianza del terzo trasportato sull’autovettura investitrice, Co.Ad., fratello del convenuto contumace, per il quale sarebbe stata la bicicletta ad impattare con la ruota anteriore contro l’autovettura.

Nello stabilire dunque a chi ed in quale misura sia addebitabile la responsabilità per il sinistro verificatosi, se a carico del Pa. debbono muoversi addebiti di colpa specifica e prevalente, nondimeno non si può non riconoscere che nella condotta di guida del Co. sono rinvenibili profili di colpa generica, per non aver osservato le dovute cautele nel percorrere l’uscita dalla rotatoria alla confluenza con strada a doppia corsia, così dovendosi rimproverargli di non aver prestato la massima attenzione nel prevedere e prevenire presenze ravvicinate, anche repentine, di altri veicoli, si da rendere prontamente attuabili le manovre di emergenza del caso e dunque le contromisure necessarie ad evitare l’evento lesivo.

Va ricordato a tal riguardo che la presunzione di eguale concorso di colpa posta dall’art. 2054, comma 2, c.c., ha funzione sussidiaria rispetto al criterio ordinario di imputazione della responsabilità, che presuppone la individuazione di specifici profili di colpa riconducibili a ciascuno dei conducenti.

Per vincere tale presunzione il conducente di uno dei due veicoli coinvolti deve dimostrare non solo che il conducente dell’altra auto sia in colpa, ma anche di essersi uniformato alle norme di circolazione ed a quelle di comune prudenza, ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l’incidente (Cass. civ., Sez. III, 2 aprile 2002, n. 4639).

Infatti è stato chiarito che l’accertamento in concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancito dall’art. 2054 c.c., proprio perché, come sopra ricordato, occorre accertare in pari tempo che l’altro conducente non versi anch’egli in colpa.

Conseguentemente, l’infrazione, anche grave, come l’inosservanza del diritto di precedenza, commessa da uno dei conducenti, non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso (Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2000, n. 5671).

Ordunque, quanto alla fattispecie, nel concorso causale dell’evento, ritiene il decidente di dover pervenire all’affermazione di responsabilità prevalente in capo al Pa., quantificabile nell’ordine del 70%, per il residuo 30% ascrivibile dunque al Co..

In tali termini e limiti accertata l’addebitabilità del sinistro ai convenuti, proprietario e conducente dell’autovettura (…), e compagnia di assicurazioni, che per detta autovettura copre il rischio da responsabilità civile verso terzi, si può ora passare alla individuazione delle singole voci di danno autonomamente risarcibili nel caso di specie, tenuto conto della formulazione della domanda e delle conclusioni rassegnate.

Il c.t.u., dott. Ar.Ma., esaminata la documentazione medica acquisita agli atti e ripercorso l’iter clinico e terapeutico del Pa.Lo., con relazione depositata il 28-3-2016, immune da rilievi critici, ha rilevato che a costui, in conseguenza del sinistro per cui è causa, derivarono lesioni consistite in “Aprassia della marcia di grado lieve, ipoacusia neurosensoriale sinistra, paralisi periferica parziale del nervo faciale sinistro, focolaio lacerocontusivo frontotemporale sinistro elettroencefalograficamente attivo, in rapporto a trauma cranico maggiore con frattura della mastoide sinistra”.

In risposta ai quesiti posti, ha dunque determinato l’inabilità temporanea assoluta in sessanta giorni e quella parziale in trenta giorni al 75%, trenta giorni al 50% e trenta giorni al 25%; ha stimato che sono conseguiti postumi da invalidità permanente nell’ordine del 20%; ha rilevato la congruità delle spese mediche documentate.

Ordunque, sulla scorta delle conclusioni del c.t.u. interamente recepite, si ricorda che da tempo ormai la giurisprudenza di legittimità e di merito è pervenuta al riconoscimento che “la lesione del diritto alla salute e di ogni altro valore inerente alla persona costituzionalmente garantito costituisce un evento immanente ovvero interno al fatto illecito e ne comporta pertanto il relativo risarcimento, indipendentemente dai riflessi patrimoniali che da tale lesione conseguano, integranti voce di danno eventuale, autonoma ed aggiuntiva” (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2004, n. 7980).

“Il danno alla salute o biologico – in cui vanno anche ricomprese quelle forme di danno non incidenti sulla capacità di produrre reddito, come il danno alla vita di relazione, il danno estetico non incidente direttamente su quella capacità, il danno alla sfera sessuale – consiste nella menomazione anatomo – funzionale del soggetto, idonea a modificare le preesistenti condizioni psico – fisiche, e quindi ad incidere negativamente sulla sfera individuale, in ogni sua concreta articolazione ed indipendentemente dall’attitudine della persona a produrre reddito: tale menomazione è sempre presente in ipotesi di danno alla persona e, quindi, essa va risarcita, ai sensi degli art. 32 Cost. e 2043 c.c., in linea prioritaria rispetto ad ogni altro danno” (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1990, n. 6536).

Successivamente, la Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2003, n. 19057, ha avuto modo di ribadire e precisare che, “riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), e ritenuto che il danno non patrimoniale debba essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesioni di valori della persona umana costituzionalmente protetti, poiché il danno biologico, quale danno alla salute, rientra a pieno titolo, per il disposto dell’art. 32 Cost., tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la sua tutela è apprestata dall’art. 2059 c.c., e non dall’art. 2043 c.c., che attiene esclusivamente alla tutela dei danni patrimoniali”.

E la Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2005, n. 729, ha ulteriormente precisato che “il risarcimento del danno non patrimoniale non richiede che la responsabilità dell’autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale, in quanto l’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2059 c.c. (Corte Cost., sentenza n. 233 del 2003) comporta che il riferimento al reato contenuto nell’art. 185 c.p., comprende tutte le fattispecie corrispondenti nella loro oggettività all’astratta previsione di una figura di reato;

inoltre il danno non patrimoniale non può essere identificato soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo transeunte, determinati dal fatto illecito integrante reato, ma va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.”.

Con l’importante decisione 11 novembre 2008 n. 26972, le Sezioni Unite della Cassazione hanno non solo composto i precedenti contrasti sulla risarcibilità del cosiddetto danno esistenziale, ma hanno anche più in generale riesaminato approfonditamente i presupposti ed il contenuto della nozione di “danno non patrimoniale” di cui all’art. 2059 c.c., ribadendo innanzitutto che esso è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad esempio, nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato) e quelle in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione.

In tali ipotesi non emergono, nell’ambito della categoria generale “danno non patrimoniale”, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale.

È solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico.

Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private, artt. 138 e 139, come di recente sostituiti dai commi 17 e 19 della Legge 4 agosto 2017, n. 124, che individuano il danno biologico nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico – legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico – relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”, e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Stabilendo che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva (sicché non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d’un danno definito “esistenziale”, inteso quale la perdita del fare areddituale della persona), le Sezioni Unite hanno sancito che esso va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni, dovendo pertanto ritenersi sbagliata la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; la Suprema Corte riconosce però che la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, anche se non un pregiudizio a sé stante.

Ed allora ed in concreto i criteri equitativi di tale integrale liquidazione del danno non patrimoniale, unitariamente inteso, non sembra possano comunque prescindere dalla considerazione del danno alla salute o biologico, tradizionalmente valutato, con l’ausilio della medicina legale, con riferimento alla menomazione anatomo – funzionale e quindi all’individuazione dei periodi diversi dell’inabilità temporanea e dell’invalidità permanente, che corrispondono ad una diversa intensità della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto: ad essi dunque va intanto rapportata la liquidazione, si ribadisce equitativa, del danno di cui si discute, per equivalente con una prestazione patrimoniale, che reintegri la lesione di questo specifico valore, che non ha in sé immediata natura patrimoniale (cfr.: Cass. civ., sez. lav., 30 luglio 2003, n. 11704; Cass. civ., sez. III, 15 settembre 1995, n. 9725 e 25 febbraio 2004, n. 3806).

In passato la Suprema Corte si è trovata ripetutamente ad affermare che l’unico criterio utilizzabile nella valutazione del danno biologico è quello equitativo, non sussistendo elementi sicuri ed attendibili per la determinazione del valore biologico dell’uomo (cfr.: Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1997, n. 7459), considerando le circostanze del caso concreto, specificamente la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l’età, le condizioni sociali e familiari del danneggiato, valutato in relazione ai due momenti dell’inabilità temporanea e dell’invalidità permanente del danneggiato; ha riconosciuto che il giudice può ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, quali le tabelle elaborate da alcuni uffici giudiziari, anche se non in quello di sua appartenenza, che assumono quale parametro il valore medio del punto di invalidità, con la precisazione che, poiché il loro fondamento è la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la loro finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione del danno, il giudice deve congruamente motivare le ragioni della sua scelta (cfr.: Cass. civ., sez. lav., 1 ottobre 2003, n. 14645 e 12 maggio 2006, n. 11039; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16225 e 20 ottobre 2005, n. 20323).

Lo stesso legislatore, nell’ambito della specifica materia di cui si controverte, ha comunque individuato i criteri di liquidazione, limitatamente alle lesioni cosiddette micropermanenti, dapprima con l’art. 5 L. 5 marzo 2001, n. 57, ora con l’art. 139 del citato D.L.vo 7 settembre 2005, n. 2009, così come sostituito dal comma 19 dell’art. 1 L. 124/2017 (sostanzialmente senza soluzione di continuità normativa).

La norma indica il valore del primo punto percentuale di invalidità e stabilisce che esso cresce in misura più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi, attraverso l’applicazione di coefficienti moltiplicatori, specificamente indicati nel comma 6, correlati a ciascun punto percentuale d’invalidità, e si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello 0,5% per ogni anno di età a partire dall’undicesimo, per l’evidente considerazione che la menomazione della sfera psicofisica ha una proiezione futura maggiore nel soggetto di giovane età; indica anche l’importo da liquidarsi per ogni giorno di inabilità assoluta, ad esso correlando quello per ogni giorno di inabilità parziale, in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta.

Per le lesioni “di non lieve entità” l’art. 138 dello stesso D.L.vo, così come sostituito dal comma 17 dell’art. 1 L. 124/2017, rinvia a disposizioni di attuazione, non ancora promulgate, per la formulazione di “una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica: a) delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti; b) del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso”, stabilendo quindi i principi e criteri per la sua redazione.

Ed allora, ad avviso del giudicante e con riferimento al caso di specie, secondo l’orientamento costante di questo Tribunale, appare consentito applicare le apposite tabelle redatte presso il Tribunale di Milano.

Dette tabelle, così come espressamente enunciato nell’illustrazione dei criteri informatori, si sono del resto basate in passato, in conformità a quanto accennato in premessa, sulla valutazione medico – legale della lesione anatomo – funzionale nel suo aspetto statico, quale danno fisiologico, e nei suoi aspetti dinamico – relazionali medi, cioè sotto il profilo della compromissione della possibilità di espletare gli atti ordinari del vivere quotidiano nelle sue varie sfere (attività interrelazionali, produttive, sportive, sociali in genere), con personalizzazione con riferimento all’età del danneggiato e salva una ulteriore personalizzazione, attraverso la valutazione di specifici profili soggettivi diversi ed ulteriori rispetto a quelli medi, da prendersi in considerazione ove allegati e provati.

A seguito dell’indirizzo giurisprudenziale di cui alla citata pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, le ultime tabelle, a partire dal 2009 e così anche le rinnovate tabelle 2018, propongono una liquidazione unitaria e congiunta del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione alla salute, così ricomprendendo il danno non patrimoniale conseguente a lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico – legale nei suoi risvolti anatomo – funzionali e relazionali medi, e il danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, sofferenza soggettiva, in via di presunzione, pregiudizi liquidati separatamente sino al 2008; salva sempre la personalizzazione, attraverso percentuali di aumento dei valori monetari medi (individuati con riferimento all’andamento dei precedenti degli uffici giudiziari di Milano), in presenza, nel caso concreto, di peculiarità da allegarsi e provarsi dal danneggiato; sempre salva infine la possibilità per il giudice di modulare la liquidazione, anche oltre i valori massimi, in relazione a fattispecie eccezionali.

Secondo analoghi criteri sono stati proposti i valori di liquidazione, anche in tal caso congiunta ed intera, del danno non patrimoniale temporaneo derivante da lesione alla persona, da un minimo di Euro 98,00 ad un massimo, con aumento del 50%, di Euro 147,00.

Viene altresì precisato che vanno distinte le ipotesi integranti reati colposi o dolosi, la tabella applicandosi solo alle prime, salva dunque la possibilità, nelle fattispecie in cui l’illecito sia stato cagionato con dolo, di valutare tutte le peculiarità del caso concreto e pervenire ad una liquidazione che superi la percentuale massima prevista in tabella.

Sull’utilizzabilità dei parametri tabellari, nel rispetto del principio della personalizzazione e del criterio equitativo dell’approssimazione al preciso ammontare, e quindi delle tabelle milanesi, come quelle statisticamente maggiormente testate, che indicano dunque un criterio generale di valutazione adottabile per arrivare ad una quantificazione dell’ammontare preciso del risarcimento, si è espressa la Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n. 15760; ancora, Cass. civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408:

“La liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico – fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l’art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto”.

La stessa Suprema Corte (Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2018, n. 11754) è tornata sul tema sancendo che “nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di “danno morale” la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all’anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfetaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. (Nella specie, in relazione ad un’ipotesi di danno iatrogeno, la S.C. ha ritenuto meritevoli di valorizzazione, ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale, aspetti legati alle dinamiche emotive della vita relazionale ed interiore del soggetto leso, in quanto connotati da obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento)”.

Possono dunque liquidarsi, sulla base della suaccennata parametrazione media, non essendo apprezzabili ulteriori peculiarità della fattispecie in difetto delle necessarie allegazioni attoree, e con determinazione all’attualità:

– a titolo di risarcimento del danno da inabilità temporanea totale la somma di Euro 5.880,00 (Euro 98,00 x giorni 60);

– a titolo di risarcimento del danno da inabilità temporanea parziale al 75% la somma di Euro 2.205,00 (Euro 98,00 x giorni 30 x 3/4);

– a titolo di risarcimento del danno da inabilità temporanea parziale al 50% la somma di Euro 1.470,00 (Euro 98,00 x giorni 30: 2);

– a titolo di risarcimento del danno da inabilità temporanea parziale al 25% la somma di Euro 735,00 (Euro 98,00 x giorni 30: 4);

– a titolo di risarcimento del danno da invalidità permanente, la somma di Euro 70.353,00 (Euro 4.397,07 valore punto x 20% percentuale d’invalidità x 0,795 coefficiente demoltiplicatore per l’età del danneggiato, 42 anni all’epoca del fatto);

così complessivamente Euro 80.643,00.

Come già accennato, il danno biologico e quello patrimoniale attengono a due distinte sfere di riferimento, il primo riguardando il cosiddetto diritto alla salute ed il secondo attenendo alla capacità di produrre reddito; pertanto “il giudice deve procedere a due distinte liquidazioni e può scegliere per ciascuna di esse il criterio che ritiene più idoneo al caso concreto” (Cass. civ., sez. lav., 10 marzo 1990, n. 1954).

Preliminarmente va chiarito che, nell’ipotesi di comprovata perdita definitiva della capacità lavorativa specifica, il danno per perdita del reddito deve essere integralmente risarcito come danno emergente (poiché, quando manca il reddito, emerge la necessità di ricorrere al risparmio accumulato o all’indebitamento) e lucro cessante (per il mancato guadagno che si protrae per l’intera esistenza), non dovendosi operare una compensazione e, quindi, una diminuzione del danno patrimoniale del lavoratore, in considerazione della permanenza della capacità lavorativa generica, la cui riduzione o perdita è inerente al valore dell’uomo come persona e deve essere valutata all’interno della liquidazione del danno biologico (cfr.: Cass. civ., Sez. III, 22 febbraio 2002, n. 2589).

Detto danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse, o presumibilmente in futuro avrebbe svolto, un’attività lavorativa produttiva di reddito.

Al riguardo è stato affermato che “il grado di invalidità di una persona determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psicofisica dalla medesima subita, non si riflette automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e quindi di guadagno della stessa, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza (cfr.: Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2003, n. 14678) e che spetta al soggetto leso allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l’invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (cfr.: Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2004, n. 3867 e 29 aprile 2006, n. 10031).

E ciò anche se la stessa Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1998, n. 8769, ha comunque riconosciuto che “così come nel caso di danno alla salute di modesta entità può fondatamente presumersi, ex art. 2727 c.c., che i postumi derivati dalle lesioni non avranno alcuna conseguenza sull’attività di lavoro e sulla conseguente capacità di produrre reddito, al contrario, nel caso di postumi permanenti i quali superino la soglia delle cosiddette micropermanenti (convenzionalmente stabilita nella misura del 10% della complessiva validità dell’individuo), sussiste una presunzione opposta: e cioè che l’invalidità conseguente al sinistro inciderà in modo apprezzabile sulla capacità di guadagno del danneggiato”.

Nel caso di specie, pur risultando essere stata demandata al c.t.u. puntuale attività d’indagine sull’argomento, in difetto anche in tal caso delle necessarie allegazioni attoree, nulla ha argomentato il dott. Ma. e non può venire pertanto in rilievo alcuna incidenza negativa delle lesioni patite dal Pa. sulla sua capacità lavorativa specifica.

Spetta invece il rimborso delle spese mediche sostenute, documentate in complessivi Euro 422,23 a tutto il mese di maggio 2013, somma rivalutata ad oggi in Euro 433,20 (coefficiente di rivalutazione del valore della moneta nel maggio 2013, riferito al mese di ottobre 2018, ultimo dato conosciuto: 1,026).

Sommano pertanto Euro 81.076,20.

Conclusivamente, in proporzione della ritenuta quota di corresponsabilità del danneggiato, i convenuti vanno condannati in solido a pagare agli eredi dell’attore defunto la somma di Euro 24.322,86.

L’obbligazione risarcitoria configura, come è noto, debito di valore, con la conseguenza che il giudice deve tener conto, anche di ufficio, della svalutazione monetaria verificatasi fino alla data della liquidazione, in quanto l’integrale ed effettiva reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione in cui questi si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’evento dannoso, alla quale il risarcimento è preordinato, può essere conseguita solo tenendo conto di tale svalutazione (cfr. Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1983, n. 5337 e numerose altre conformi).

Quanto agli interessi, cosiddetti compensativi, essi costituiscono invece una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore e nel riconoscimento degli stessi non è configurabile alcun automatismo, “sia perché il danno da ritardo che con quella modalità liquidatoria si indennizza non necessariamente esiste, sia perché, di per sé, esso può essere comunque già ricompreso nella somma liquidata in termini monetari attuali” (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2003, n. 12452).

Pertanto, liquidata la somma capitale in termini monetari attuali, secondo i criteri sopra evidenziati, la mancanza di ogni deduzione ed elemento di prova a riguardo del pregiudizio che sarebbe stato subito per il mancato godimento nel tempo dell’equivalente in denaro del bene perduto, la richiesta di interessi, pura e semplice, deve essere disattesa.

Alla data di pubblicazione della sentenza, che costituisce il momento in cui il credito dedotto in giudizio diviene liquido ed esigibile, il correlativo debito si converte in debito di valuta ed il ritardo nell’adempimento, come per ogni obbligazione pecuniaria, comporta, a norma dell’art. 1224 c.c., il diritto agli interessi di mora al tasso legale (salvo che non siano dovuti in misura superiore o non si dimostri un danno maggiore).

Le spese seguono la soccombenza, secondo liquidazione come da dispositivo, alla luce delle disposizioni di cui all’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 ed a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 10 marzo 2014 n. 55, in G.U. del 2-4-2014 n. 77 (scaglione di valore, con riferimento alla somma attribuita piuttosto che a quella domandata: da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00; fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale: valori medi).

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da Ca.Es. (…) e Pa.Ga. (…), in qualità di eredi di Pa.Lo., attori, contro la Un. S.p.a. (…), in persona del procuratore dott. Sa.Br., convenuta, e Co.Gi., convenuto contumace, contrariis reiectis, così provvede:

– condanna i convenuti in solido a pagare agli attori, per i titoli di cui in motivazione, la complessiva somma di Euro 24.322,86, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo;

– condanna i convenuti in solido a rifondere agli attori le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.503,00, di cui Euro 668,00 per esborsi ed Euro 4.835,00 per compensi d’avvocato, oltre 15% rimb. forf., I.VA. e C.A.P.;

– pone in via definitiva a carico dei convenuti in solido le spese di c.t.u., già liquidate. Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.

Così deciso in Pescara il 10 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria l’8 gennaio 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.