lo scopo mutualistico proprio delle cooperative puo’ avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualita’ pura, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualita’ spuria che, con l’attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicita’ operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando cosi il fine mutualistico con un’attivita’ commerciale e con la conseguente possibilita’ per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro.
Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|10 ottobre 2019| n. 25478
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 8385-2015 r.g. proposto da:
(OMISSIS) a r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore prof. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
Curatela Fallimento (OMISSIS) a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore il curatore Avv. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, depositata in data 23.9.2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo – decidendo sull’appello proposto da (OMISSIS) a r.l. nei confronti di FALLIMENTO (OMISSIS) a r.l., (OMISSIS), avverso la sentenza emessa (in sede di opposizione alla declaratoria di fallimento, vecchio rito) dal Tribunale di Palermo in data 16.7.2008 – ha rigettato l’appello, confermando, pertanto, la sentenza dichiarativa di fallimento opposta.
La corte del merito ha, in primo luogo, ritenuto infondata l’eccezione di nullita’ della sentenza impugnata per la dedotta violazione del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione, da un lato, alla contestata rimessione della causa sul ruolo istruttorio dopo l’assunzione in decisione per acquisire gli scritti difensivi delle parti (assenti nel fascicolo d’ufficio) e, dall’altro, per l’acquisizione ex officio del fascicolo fallimentare: la corte territoriale ha ritenuto infatti legittima l’ordinanza di rimessione sul ruolo perche’ volta non gia’ a riacquisire la documentazione depositata dalle parti (e non depositata unitamente alle comparse conclusionali), ma piuttosto a ricostruire gli atti delle parti facenti parte del fascicolo di ufficio e conosciuti dalle parti stesse; ha, inoltre, ritenuto legittima l’acquisizione officiosa del fascicolo fallimentare, in quanto espressione di un potere discrezionale che diviene dovuto, ove l’esame di esso sia necessario per la decisione della causa; ha infine evidenziato che, allorquando si deduce la violazione del diritto di difesa, occorre specificare le modalita’ in cui tale violazione si sarebbe realizzata, risultando al contrario non ricevibile la relativa doglianza. La corte di merito ha ritenuto infondata anche l’altra doglianza sollevata dall’appellante sulla carenza del presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento, e cioe’ la mancata dimostrazione da parte degli istanti che la societa’ cooperativa debitrice svolgesse attivita’ commerciale; ha infatti evidenziato il giudice di appello che: a) la nota datata 12.11.2003 – le cui informazioni avrebbero escluso lo svolgimento di attivita’ commerciale da parte della cooperativa – aveva un contenuto generico e dunque probatoriamente debole, non essendo significativa neanche l’ulteriore circostanza dell’accertata mancata presenza di estranei durante gli accertamenti svolti dalla P.G.; b) l’articolo 4 statuto della cooperativa prevedeva che gli impianti sportivi ed i centri di fisioterapia erano destinati anche all’uso da parte di terzi, dietro pagamento di corrispettivo; c) la finalita’ mutualistica esplicitata nello statuto non poteva di per se’ valere ad escludere che le attivita’ espressamente indicate nello statuto stesso avessero anche finalita’ commerciale; d) la societa’ cooperativa, attinta dalla istanza di fallimento, aveva svolto attivita’ di maneggio anche in favore di terzi, tanto cio’ era vero che diversi soggetti avevano avanzato domande di insinuazione al passivo per i crediti derivanti da sentenze di condanna risarcitorie per cadute da cavallo; e) il numero di cavalli posseduti era incompatibile con l’attivita’ rivolta solo ai soci; f) era rimasta indimostrata l’affermazione secondo cui i crediti verso terzi sarebbero derivati da finanziamenti comunali mai erogati; g) non era stata spiegata la modalita’ di restituzione del finanziamento pari a Lire 550.000.000 ottenuto dall’ (OMISSIS); h) l’iscrizione alla camera di commercio e la partita IVA confermavano, poi, il quadro probatorio sopra ricostruito e volto a dimostrare la soggettiva fallibilita’ della cooperativa debitrice.
2. La sentenza, pubblicata il 23.9.2014, e’ stata impugnata da FALLIMENTO (OMISSIS) a r.l., con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La parte intimata FALLIMENTO (OMISSIS) a r.l. non ha svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 2700 e 2729 c.c., nonche’ della L. Fall., articolo 1.
Evidenzia la parte ricorrente che, ai sensi dell’articolo 2545 terdecies, comma 1, e dell’articolo 2540 (nel testo normativo anteriore alla riforma di cui al Decreto Legislativo n. 6 del 2003, applicabile ratione temporis), si ammetteva il fallimento anche delle cooperative che svolgano attivita’ di imprenditore commerciale. Si osserva che cio’ che rileva ai fini della fallibilita’ e’ il perseguimento del cd. lucro oggettivo, ossia il rispetto del criterio di economicita’ della gestione, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attivita’ economica organizzata ricollegabile all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. Si evidenzia, ancora, che, per le societa’ cooperative, lo svolgimento di tale attivita’ di impresa commerciale deve rivestire natura prevalente e carattere sistematico per essere suscettibile di essere sottoposta a dichiarazione di fallimento.
1.1 Osserva, dunque, la parte ricorrente, sulla base di tali premesse, che risulta fuorviante la decisione impugnata laddove aveva ritenuto che l’esercizio di attivita’ commerciale da parte di una societa’ potesse trovare conferma nella sola indicazione nell’oggetto sociale di tale attivita’, potendo tale indicazione rappresentare, al piu’, un mero indice rivelatore dello svolgimento di attivita’ commerciale, per la cui dimostrazione necessitano tuttavia ulteriori elementi di prova.
1.2 Erronea sarebbe, peraltro, – aggiunge ancora la difesa della ricorrente la valutazione giudiziale circa l’esistenza, nell’oggetto sociale della fallita, di attivita’ aventi carattere commerciale, con la conseguenza che e’ la stessa sentenza impugnata a dover ammettere che lo statuto della cooperativa non elencava effettivamente ed espressamente attivita’ commerciali, limitandosi solo a precisare che lo scopo mutualistico della societa’ non escludeva, di per se’, che le predette attivita’ potessero rivestire anche il menzionato carattere di commercialita’. Tale contraddittoria motivazione vizierebbe – secondo le doglianze prospettate dal ricorrente – le argomentazioni spese dalla corte di merito, in termini di necessaria adeguatezza e coerenza logica, per sostenere la ricorrenza del presupposto della fallibilita’ soggettiva della cooperativa debitrice.
1.3 Assiomatica e non dimostrata – aggiunge ancora la ricorrente – sarebbe l’affermazione contenuta nella motivazione impugnata secondo cui gli impianti sportivi e i centri di fisioterapia sarebbero stati destinati “per volonta’ statutaria” anche ai terzi “dietro corrispettivo”: lo stesso contenuto dell’articolo 4 statuto, infatti, prevede solo il perseguimento delle finalita’ meramente mutualistiche e senza scopo di lucro, prevedendo, anzi, che le attivita’ sociali possano svolgersi esclusivamente con il lavoro dei soci, ovvero attraverso convenzioni con enti pubblici.
1.4 Si denuncia da parte della ricorrente anche la mancata dimostrazione probatoria dell’affermazione secondo cui la cooperativa fallita era solita svolgere attivita’ di maneggio in favore di terzi dietro corrispettivo, posto che l’esistenza di contenzioso risarcitorio intentato anche da soggetti estranei alla cooperativa per cadute da cavallo era in realta’ compatibile con la possibilita’ che tali crediti fossero maturati in occasione di manifestazioni di carattere ricreativo-culturale, patrocinate da enti pubblici, e non gia’ nello svolgimento di attivita’ lucrativo-commerciali (come dimostrato per lo meno in un caso, per la domanda risarcitoria avanzata da (OMISSIS), attraverso la documentazione prodotta in giudizio e totalmente ignorata dai giudici del merito).
1.5 Si evidenzia, inoltre, che l’ulteriore argomento utilizzato dalla corte di merito per dimostrare la soggettiva fallibilita’ della cooperativa, e cioe’ la mancata spiegazione delle modalita’ di restituzione del cospicuo finanziamento pari a Lire 550.000.000 ottenuto dall’ (OMISSIS), era al contrario un ulteriore indice probatorio volto a dimostrare la mancanza del criterio di economicita’ nella gestione sociale e non teneva, peraltro, in considerazione la Delib. sociale 5 dicembre 1993 (puntualmente prodotta in giudizio), con la quale si era dimostrato proprio che, in occasione del predetto finanziamento, era stato deliberato l’aumento del capitale sociale sottoscritto da alcuni soci per far fronte alle conseguenti necessita’ di patrimonializzazione della societa’.
1.6 Anche l’iscrizione alla camera di commercio e l’attribuzione della partita Iva – precisa inoltre la ricorrente nel suo motivo di censura – non costituivano sicuri indici di svolgimento di attivita’ commerciale.
1.7 Si denuncia pertanto il malgoverno da parte della corte territoriale delle norme poste a presidio della corretta valutazione delle prove e dunque l’erroneita’ delle conclusioni raggiunte nella motivazione impugnata. Cosi’ in tale vizio di valutazione delle prove sarebbe di nuovo incorso il giudice di appello nell’erroneo scrutinio del contenuto delle informative di P.G. del 17.9.2003 e del 12.11.2003 i cui accertamenti – peraltro coperti dalla valenza fidefacente di quanto verificato dai pubblici ufficiali – dimostravano (al contrario di quanto ritenuto dalla corte di merito) lo svolgimento di attivita’ non commerciale da parte della societa’ cooperativa dichiarata fallita.
2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 2697 c.c. e articolo 132 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c.
Si evidenzia da parte della ricorrente la violazione del principio del contraddittorio processuale e del diritto di difesa delle parti non tanto per l’acquisizione del fascicolo fallimentare nel giudizio di merito, quanto piuttosto per la sua acquisizione dopo che la causa era stata assunta in decisione, impedendo di poter controdedurre in relazione alla documentazione cosi’ acquisita al patrimonio conoscitivo del giudizio e determinando, in tal modo, la nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’esercizio di difesa e del contraddittorio processuale.
3. Il ricorso e’ infondato.
3.1 Il primo motivo presenta profili di inammissibilita’ e di infondatezza.
3.1.2 Sotto quest’ultimo profilo occorre precisare quali siano i principi affermati da questa Corte in tema di fallibilita’ delle societa’ cooperative.
Sul punto risulta utile ricordare che, secondo la costante giurisprudenza espressa da questa Corte, lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben puo’ essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale societa’ ove svolga attivita’ commerciale puo’, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’articolo 2545 terdecies c.c. (cosi’, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6835 del 24/03/2014; cfr. anche Cass., Sez. 6 1, Ordinanza n. 14250de1 12/07/2016;Sez. 1, Sentenza n. 7061de1 28 /07/1994).
3.1.3 Orbene, la nozione di imprenditore ai sensi dell’articolo 2082 c.c. va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attivita’ economica organizzata che sia ricollegabile a un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, il quale riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attivita’ (cfr., ad esempio, Cass. 5 giugno 1987, n. 4912, con riguardo a societa’ esercente in regime di concessione un’attivita’ di trasporto, sebbene assoggettata ad un peculiare regime di prezzi e costi). Persino il fine altruistico, infatti, non pregiudica il carattere dell’imprenditorialita’ dei servizi resi, qualora quest’ultimi vengano organizzati in modo che i compensi per essi percepiti siano adeguati ai relativi costi, onde questa Corte ha affermato la natura commerciale di un’attivita’, anche se svolta in modo che i compensi non eccedano i costi, dato che ai fini della valutazione del carattere imprenditoriale di un’attivita’ economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o servizi rimangono giuridicamente irrilevanti sia il perseguimento o no di uno scopo di lucro, sia il fatto che i proventi siano destinati ad iniziative connesse con gli scopi istituzionali dell’ente (Cass., sez. lav., 19 agosto 2011, n. 17399, sull’attivita’ di gestione di una struttura alberghiera da parte di un ente religioso; Cass., sez. 3, 19 giugno 2008, n. 16612).
Pertanto, anche la natura commerciale dell’attivita’ svolta da una societa’ cooperativa deriva esclusivamente dalla circostanza obiettiva che essa eserciti (o abbia esercitato) questo tipo di attivita’; l’indagine sull’accertamento del predetto scopo, quindi, non puo’ ritenersi formalmente preclusa dal fine mutualistico della cooperativa, posto che l’attivita’ commerciale non e’ incompatibile con la finalita’ mutualistica (cosi’, sempre Cass. n. 6835 /2014, cit. supra).
Non e’, invero, il fine mutualistico che esclude in se’ la natura di imprenditore commerciale di una cooperativa, dato che l’articolo 2545 terdecies, come gia’ prima l’articolo 2540 c.c., ne prevede espressamente la dichiarazione di fallimento, cosi’ riconoscendo che queste possono svolgere anche un’attivita’ commerciale (cfr. Cass., sez. 1, 28 luglio 1994, n. 7061).
In realta’, questa Corte ha precisato da tempo (Cass., sez. 1, 8 settembre 1999, n. 9513) come “lo scopo mutualistico proprio delle cooperative puo’ avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualita’ pura, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualita’ spuria che, con l’attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicita’ operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando cosi il fine mutualistico con un’attivita’ commerciale e con la conseguente possibilita’ per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro”.
3.1.3 Cio’ posto in termini generali, osserva la Corte come, per un verso, la corte territoriale non si sia discostata dai sopra ricordati principi che regolano la subiecta materia (con cio’ evidenziandosi la gia’ sopra rilevata infondatezza delle doglianze cosi’ sollevate sul punto dalla ricorrente) e come, per altro verso, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge (in relazione alle norme che presidiano l’attivita’ di valutazione giudiziale della prova), intenda, ora, sollecitarla ad una rivalutazione diretta del corredo probatorio acquisito al patrimonio gnoseologico del processo, senza neanche il medio del vizio argomentativo, ora declinabile nei ristretti limiti di cui al novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.1.3.1 Sotto quest’ultimo profilo, occorre pertanto rilevare l’inammissibilita’ delle relative doglianze.
Non puo’ infatti essere dimenticato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3340de1 05/02/2019).
3.1.3.2 Cosi’, non puo’ certo essere condivisa la contestazione in merito alla interpretazione della clausola negoziale contenuta nell’articolo 4 dello statuto della societa’ fallita, posto che la corte territoriale si e’ limitata a statuire che lo scopo mutualistico, statutariamente stabilito ed espressamente previsto in ordine alle sopra ricordate attivita’ dell’ente, non fosse di per se’ incompatibile con lo svolgimento di attivita’ commerciale finalizzata alla remunerazione dei fattori produttivi coinvolti nella detta attivita’, e cio’ in piena coerenza con i principi sopra ricordati (e qui di nuovo riaffermati) e con le successive valutazioni probatorie che confermavano la valutazione positiva circa lo svolgimento da parte della cooperativa di attivita’ remunerate da terzi e dunque volte a realizzare profitto per la societa’ ed i soci.
3.1.3.3 Le ulteriori doglianze formulate dalla parte ricorrente nel primo motivo di censura attingono, invero, il merito delle valutazioni giudiziali di scrutinio del contenuto delle prove acquisite nell’incarto processuale, scrutinio che e’ rimesso ai giudici del merito e che non puo’ essere sindacato innanzi a questa Corte, se non nei ristretti limiti sopra ricordati.
Cio’ vale per la doglianza articolata per l’asserita non corretta valutazione delle prove circa la ritenuta attivita’ remunerata di maneggio; ma ad analoga conclusione di irricevibilita’ della censura non puo’ non pervenirsi anche in riferimento alle valutazioni sul rientro del finanziamento di Lire 550.000.000 ottenuto dall’ (OMISSIS), profilo quest’ultimo sul quale la corte di merito spende una motivazione adeguata e scevra da vizi argomentativi, peraltro neanche formalmente sollevati dalla parte ricorrente.
3.1.3.4 Anche le ulteriori contestazioni sulla valutazione (di carattere indiziario) svolta dalla corte di merito sulla iscrizione alla camera di commercio e l’attribuzione della partita Iva aggrediscono, invero, il merito delle valutazioni probatorie dei precedenti giudici e dunque sono improponibili innanzi a questa Corte di legittimita’.
3.1.3.5 Infondata, infine, la censura sollevata in ordine al mancato rispetto della fidefacenza del contenuto delle informative di P.G. del 17.9.2003 e del 12.11.2003, posto che la corte di merito non ha posto in discussione quanto effettivamente accertato dai pubblici ufficiali nel corso dei due sopralluoghi, ma si e’ semplicemente limitata a valutare probatoriamente quanto riferito nelle informative, ritenendo non rilevante quanto accertato dalla P.G..
Ne consegue il complessivo rigetto del primo motivo.
3.2 Anche il secondo motivo di censura e’ infondato.
3.2.1 Sul punto, occorre ricordare che – secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (e che qui si ribadisce, anche in questo ulteriore contesto decisorio) nel precedente regime normativo – il carattere officioso del procedimento fallimentare implica che il giudice dell’opposizione, anche in secondo grado, prenda diretta conoscenza delle risultanze dal fascicolo della procedura concorsuale, onde valutare la situazione obbiettiva dell’impresa, accertandone l’eventuale insolvenza, se del caso, anche a prescindere dalle specifiche pretese vantate dal creditore istante (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 4727de1 09/03/2004;Sez. 1, Sentenza n. 4476 del 26/03/2003).
Ribadito, dunque, il principio della piena legittimita’ dell’acquisizione del fascicolo fallimentare nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento (ed anche nel successivo giudizio di appello) – principio invece contestato in nuce da parte della ricorrente – occorre concordare con la corte di merito sulla valutazione di genericita’ della sopra ricordata doglianza processuale, che non consente di valutare concretamente la dedotta violazione del diritto di difesa e del contraddittorio processuale.
3.2.2 Se, infatti, si dovesse ritenere che la doglianza del ricorrente si concentri (come sembrerebbe dalla lettura del ricorso) non tanto sul profilo dell’avvenuta acquisizione del fascicolo fallimentare, quanto sull’ulteriore questione della sua acquisizione dopo che la causa era stata assunta in decisione (con le conseguenze dedotte in ordine alla violazione dei predetti principi processuali), allora occorre ribadire ancora una volta che la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo la nullita’ della sentenza per un vizio dell’attivita’ del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicche’ l’annullamento della sentenza impugnata e’ necessario solo se, nel successivo giudizio di rinvio, il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e piu’ favorevole a quella cassata (cfr. Cass.Sez. 1, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017; Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014).
Cio’ posto, occorre evidenziare come la parte ricorrente non avesse, gia’ in sede di proposizione dei motivi di gravame, avanzato alcuna concreta doglianza in punto di pregiudizio subito per la dedotta acquisizione del fascicolo fallimentare dopo l’assunzione della causa in decisione e come, innanzi a questa Corte, si sia limitata solo a contestare il principio di diritto sopra ricordato (e qui di nuovo affermato), di talche’ la censura cosi’ avanzata si presenta come destituita di ogni fondamento.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Nessuna statuizione e’ dovuta per le spese del giudizio di legittimita’, stante la mancata difesa della curatela intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.