il contratto di utenza telefonica è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione e, in applicazione delle regole in materia di inadempimento delle obbligazioni e relativo onere della prova, può, dunque, ritenersi che all’attore spetta allegare l’inadempimento, mentre spetta al convenuto dimostrare di aver adempiuto o la mancanza di colpa, ivi compresa la sussistenza di cause impeditive di natura eccezionale. Il contratto di somministrazione pone a carico del somministrante sia l’obbligo di fornire il servizio in via continuativa sia quello di garantire all’utente un ripristino tempestivo della eventuale interruzione, essendosi impegnato a garantire nel tempo la funzionalità dell’utenza.

Tribunale|Benevento|Sezione 1|Civile|Sentenza|15 aprile 2020| n. 658

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BENEVENTO

I sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Floriana Consolante, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2921 R.G. dell’anno 2017 avente ad oggetto: appello avverso sentenza del Giudice di Pace di Airola, riservata in decisione all’udienza del 28.10.2019 vertente

TRA

Wi. S.p.A. in persona del L.r.p.t., rappresentata e difesa come da procura generale in atti dall’Avv. Da.Cu., elett.te dom.ta in Benevento presso lo studio dell’Avv. Gu.Be.;

appellante

E

Pe.Do., rappresentato e difeso dall’Avv. Pa.Me., presso il quale elettivamente domicilia in virtù di procura in atti;

appellato

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 66 del 30.1.2017, il Giudice di Pace di Airola accoglieva la domanda di risarcimento del danno (patrimoniale e non) proposta dall’odierno appellato Pe.Do., titolare di utenza di telefonia mobile con la WI., per i disservizi patiti a seguito della interruzione della linea telefonica dal 3 al 15 febbraio 2012, a sua volta cagionata dalla interruzione della linea elettrica la quale aveva trovato origine in abbondanti nevicate che avevano colpito la zona interessata, per non aver provato, esso gestore, l’uso della ordinaria diligenza per ripristinare la linea in conseguenza dell’evento atmosferico, pacificamente eccezionale, dedotto in lite.

Il Giudice di Pace di Airola ha liquidato il danno derivante dal disagio patito in via equitativa per una somma pari ad Euro 70,00 a titolo di indennizzo contrattuale e ad Euro 350,00 per i danni non patrimoniali patiti dall’utente, con condanna della Wi. soccombente al pagamento delle spese di lite.

Avverso questa sentenza ha proposto appello la Wi. S.p.A. affidato a svariati motivi e chiedendo le conseguenti declaratorie, vinte le spese del doppio grado.

Ha resistito l’appellato, chiedendo dichiarare l’appello inammissibile e concludendo, comunque, per il suo rigetto nel merito, vinte le spese.

L’appello principale è ammissibile.

Il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. (art. 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83, conv. con modif. dalla L. 7.8.2012 n. 134), applicabile al giudizio in esame, dispone che l’appello deve essere motivato e la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Orbene, l’appellante ha riportato le parti della sentenza censurate e che ha inteso appellare ed ha indicato con chiarezza le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal g.d.p. e le circostanze da cui deriva la violazione di legge.

Non può non richiamarsi il recente pronunciamento della Cassazione a sezioni unite, sentenza 2017, n. 27199:

“Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22/06/2012 n. 83 art. 54, conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.

In virtù del principio della ragione più liquida, al giudice è consentito sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre. Infatti, la ragione più liquida consente di modificare l’ordine delle questioni da trattare, in adesione alle esigenze di celerità del giudizio e di economia processuale di cui agli artt. 24 e 111 Cost. (Cass. 2018, n. 9671).

Tanto premesso, è assorbente, in punto di accoglimento dell’appello, la fondatezza dei motivi riferibili:

1. all’erroneità della motivazione in punto di onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, con specifico riferimento al mancato ripristino del servizio in ragione del pacifico evento atmosferico eccezionale (abbondanti nevicate) avvenuto nel periodo di riferimento;

2. al difetto di motivazione e malgoverno delle risultanze istruttorie quanto alla prova del danno. L’appellante, infatti, censura la sentenza per insufficiente ed omessa motivazione; erronea valutazione delle risultanze istruttorie; erronea applicazione delle regole di distribuzione dell’onere della prova anche in punto di quantificazione del danno.

Occorre dar conto delle regole di distribuzione dell’onere della prova applicabili alla fattispecie poiché, alla luce di tale distribuzione, va esaminato anche il profilo di erronea valutazione delle prove stesse.

Si ricorda, infatti, che il contratto di utenza telefonica è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione e, in applicazione delle regole in materia di inadempimento delle obbligazioni e relativo onere della prova, può, dunque, ritenersi che all’attore spetta allegare l’inadempimento, mentre spetta al convenuto dimostrare di aver adempiuto o la mancanza di colpa, ivi compresa la sussistenza di cause impeditive di natura eccezionale.

Pacifico ed incontestato tra le parti il rapporto di somministrazione, la domanda proposta va qualificata come domanda di danno da inadempimento contrattuale (oltre che di pagamento dell’indennizzo ci cui si dirà) ed è noto che ogni disservizio o interruzione della linea telefonica in astratto integrano un inadempimento da parte della convenuta, atteso che il contratto di somministrazione pone a carico del somministrante sia l’obbligo di fornire il servizio in via continuativa sia quello di garantire all’utente un ripristino tempestivo della eventuale interruzione, essendosi impegnato a garantire nel tempo la funzionalità dell’utenza.

Come detto, vertendosi in evidente ipotesi di danno da inadempimento contrattuale, l’attore è tenuto ad allegare l’inadempimento ed a dimostrare l’evento di danno ed il nesso di causalità, mentre il convenuto deve provare di aver fatto quanto possibile per evitare il danno (anche sotto il profilo del tempestivo ripristino) o la sua mancanza di colpa (così Cass. Sezioni Unite nella nota sentenza n. 13533 del 2001).

Orbene, il giudice di pace ha ritenuto sicuramente che l’evento atmosferico che aveva colpito le zone interessate avesse pacifiche caratteristiche di eccezionalità, ma non ne ha tratto le logiche conseguenze in punto di configurabilità nel caso di specie della esimente del caso fortuito.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza sez. VI, 12/03/2018, n. 5859: “Una abbondante nevicata può integrare caso fortuito così da escludere la responsabilità dell’Ente gestore della strada. La straordinarietà di un evento atmosferico può comportare la configurabilità del caso fortuito, idoneo ad escludere, come nel caso di specie, le pretese risarcitorie di alcuni automobilisti nei confronti della Provincia, proprietaria del tratto di strada in cui gli stessi erano rimasti bloccati a causa di un’abbondante nevicata senza ricevere né assistenza né soccorso”.

Il caso fortuito può avere un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra fatto ed evento dannoso.

Va sottolineato che non vi è dubbio alcuno dell’eccezionalità, imprevedibilità e catastroficità delle condizioni meteorologiche che hanno interessato la zona della Provincia di Benevento nell’inverno del 2012.

Chiarito che l’art. 1218 cod. civ. statuisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, va anche ricordato che l’art. 1256 co. II cod. civ., dispone che il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento finché perdura l’impossibilità della prestazione. Vengono in rilievo, dunque, le fattispecie del caso fortuito e della forza maggiore, che costituiscono altrettante scriminanti dell’illecito contrattuale civilistico.

La Wi. ha provato ampiamente ed incontrovertibilmente che il malfunzionamento delle linee telefoniche mobili fu dovuto alla copiosa nevicata sopravvenuta nel periodo in contestazione, nevicata che provocò la interruzione del funzionamento della linea elettrica aerea e conseguentemente anche quella della linea telefonica.

All’eccezionalità dell’evento meteorico è stata data, all’epoca, ampia e copiosa diffusione a mezzo delle testate giornalistiche e dei mezzi di informazione. I resoconti informativi mediatici, i bollettini delle previsioni meteo, i provvedimenti adottati in via di urgenza dalle autorità amministrative centrali e locali comprovano, in maniera tanto attendibile quanto esaustiva, che le disastrose condizioni meteo hanno senza dubbio rivestito una connotazione di imprevedibilità, eccezionalità e gravità, non soltanto per i servizi telefonici, ma anche per quelli elettrici, di trasporto aereo e ferroviario, di viabilità etc.

La virulenza dell’evento fu tale che indusse le autorità a mobilitare il Servizio di Protezione Civile; si verificarono crolli di manufatti, perdite di vite umane, cadute di alberi e di cavi di trasporto dell’alta tensione, interruzioni nei servizi di trasporto, enormi e numerose criticità nelle reti di distribuzione di energia elettrica, acqua e gas ed anche nelle trasmissioni radiotelevisive.

Questo il quadro notorio sotteso alla domanda risarcitoria al vaglio.

E’ evidente, dunque, la non imputabilità alla Wi. dell’inadempimento della prestazione cui era tenuta, sia sotto il profilo della prevedibilità dell’evento sia sotto il profilo della tempestiva riparazione della linea di cui l’appellato si duole, sicuramente impossibile alla luce del quadro globale descritto. E’ venuto meno, dunque, il nesso eziologico tra l’evento ed il danno sofferto della clientela.

Peraltro, l’ipotesi è prevista espressamente nelle condizioni generali di contratto (art. 3), in cui si prevede la sospensione del servizio per caso fortuito o forza maggiore e la non imputabilità dei guasti dipendenti, a titolo esemplificativo dalle avverse condizioni meteo.

Si tratta di una clausola di esonero dalla responsabilità accettata dagli utenti in sede di conclusione del contratto e del tutto valida (art. 1229 c.c.).

Conclusivamente, non vi è dubbio sulla impossibilità di prevenire i fatti accaduti né di procedere ad una tempestiva riparazione della linea, per tutto quanto esposto; peraltro, non può non evidenziarsi che non sono mai state dedotti od allegati in maniera chiara, dettagliata e collocata nel tempo, reclami nel periodo in contestazione, cui collegare una volontaria inerzia; basta leggere l’atto di citazione in primo grado per verificare la totale assenza di allegazioni in tal senso.

L’inesatto adempimento della prestazione fu cagionato da causa non imputabile alla società appellante.

Egual discorso è a farsi per l’indennizzo.

Va preliminarmente chiarito che le domande proposte in primo grado sono sia di risarcimento del danno contrattuale che di pagamento dell’indennizzo, ma anche il rispetto delle procedure per ottenere quest’ultimo deve essere allegato e dimostrato da chi lo invoca.

Ed invero è ben nota la diversa funzione e natura dell’indennizzo rispetto al risarcimento del danno: l’uno ha la funzione di riequilibrio dell’altrui sfera giuridica in dipendenza di un fatto che non riveste i caratteri dell’illecito, mentre l’altro ha la funzione di reintegrare la sfera giuridica del soggetto leso dall’altrui fatto illecito.

E’ pertanto evidente che, qualora l’inadempimento rivesta i caratteri dell’illecito contrattuale, il soggetto leso avrà diritto all’integrale ristoro di tutto il pregiudizio subito in dipendenza dell’inadempimento stesso, naturalmente purché tale pregiudizio venga dedotto ed adeguatamente provato.

Orbene, anche in riferimento all’indennizzo va escluso ogni ristoro in caso di forza maggiore, sicché vale tutto quanto sopra esposto.

In ogni caso, il danno ulteriore richiesto non è stato né dedotto né provato in alcun modo; né come detto, è stato con chiarezza dato conto dell’osservanza delle procedure necessarie all’ottenimento dell’indennizzo, al fine di individuare e calcolare eventuali tempi di inerzia.

Non può non evidenziarsi poi che il giudice di pace riconosce anche un danno non patrimoniale in sé (in re ipsa), liquidandolo equitativamente, danno che in questi termini concorde giurisprudenza non riconosce: pur volendo ritenere sussistente un inadempimento, ad ogni inadempimento non consegue automaticamente un danno, che deve essere allegato e provato, e ciò vale sia per gli aspetti patrimoniali che per quelli non patrimoniali astrattamente risarcibili.

Dalla documentazione in atti e dall’attività espletata in primo grado, tuttavia, non appaiono emergere adeguati riscontri in ordine all’effettiva sussistenza del danno di cui è stato accordato il ristoro, non essendo stata svolta alcuna incombenza istruttoria in prime cure né tantomeno prodotta alcuna documentazione a riprova della sussistenza delle conseguenze pregiudizievoli, sia patrimoniali che personali, di cui è stato chiesto, in maniera del tutto generica e indeterminata, il risarcimento.

Il teste escusso nel giudizio di I grado si è limitato a riferire del disservizio verificatosi ma nulla ha dichiarato in merito ai concreti disagi e pregiudizi subiti dall’attore in conseguenza dell’interruzione della linea telefonica.

Fermo, dunque, il difetto di riscontri circa il danno patrimoniale (v. assenza di prove circa eventuali esborsi o occasioni di guadagno perdute a causa del disservizio subito), a soluzioni dissimili non si sarebbe potuto giungere in punto di danno non patrimoniale, in assenza di specifiche deduzioni circa i pregiudizi, quantitativamente e qualitativamente qualificati, a tale titolo subiti, avendo la giurisprudenza a più riprese affermato che il danno non patrimoniale, pur lamentato per supposta lesione di diritti costituzionalmente protetti, non è meritevole di tutela risarcitoria quando inquadrabile nello sconvolgimento della quotidianità della vita, che si traduca in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2370 del 04/02/2014; ma anche Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008).

Come chiarito dalla Cassazione nella sentenza resa a sezioni unite 2008 n. 26972 cit., il danno non patrimoniale da contratto è risarcibile se lede diritti inviolabili della persona (esemplificativamente: salute, libertà, onore, autodeterminazione); se la tutela di questo interesse rientra nella causa del negozio; se il danno era prevedibile all’epoca in cui l’obbligazione è sorta, giusta il limite di cui all’art. 1225 c.c. richiamato dalla Corte e che non opera nell’illecito aquiliano, atteso il difetto di richiamo di cui all’art. 2056 c.c.

Occorre poi che la condotta tenuta superi quella soglia di gravità che consente la tutela risarcitoria: il diritto deve essere inciso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio serio, e la lesione deve eccedere una certa soglia di offensività rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un certo grado di tolleranza addirittura di illegittime condotte altrui.

La menzionata inconsistenza degli elementi probatori e delle allegazioni a disposizione, dunque, avrebbe dovuto precludere la liquidazione in termini equitativi del danno operata in sentenza dal giudice di prime cure, la giurisprudenza avendo a più riprese affermato che in sede di liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all’entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell’impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (Sez. 3, Sentenza n. 11968 del 16/05/2013).

Il risarcimento in via equitativa integra un potere discrezionale riconosciuto al giudice, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.. Trattasi di un potere che è espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., che dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che presuppone, quindi, che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare.

La liquidazione equitativa del danno ha, pertanto, natura sussidiaria, perché presuppone l’esistenza di un danno oggettivamente accertato; ne consegue che il giudice di merito ha facoltà di integrare in via equitativa la prova semipiena circa l’ammontare del danno. Ma poiché la liquidazione equitativa ha natura non sostitutiva, ad essa non può farsi ricorso per sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti fossero incorse; ne consegue che al fine di non tradurre tale potere in arbitrio occorre che vi sia completa allegazione e prova quantomeno degli elementi minimi che consentano l’operare della presunzione.

L’appello va, dunque, accolto e, in riforma della gravata sentenza, la domanda avanzata in I grado va rigettata.

Tanto premesso, l’esistenza di pronunciamenti difformi integra grave motivo per compensare le spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Tribunale di Benevento, definitivamente pronunciando, ogni altra richiesta ed eccezione disattesa, così provvede:

1) accoglie l’appello proposto dalla WI. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t., e, per l’effetto, in riforma della sentenza resa del Giudice di Pace di Airola n. 66/2017, così provvede:

a) rigetta ogni domanda avanzata da Pe.Do.;

b) compensa le spese del doppio grado.

Così deciso in Benevento il 7 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2020.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.